Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
L’EX GOVERNATORE DELLA CALIFORNIA E’ UNO DEI PIU’ NOTI AMBIENTALISTI DEL PIANETA: NON TUTTI A DESTRA SONO DEI SERVI DELLE LOBBY FINANZIARIE DEGLI INQUINATORI
A una prima occhiata potrebbe sembrare una foto dall’effetto straniante. Poi, però, se ci si pensa bene, la coppia Greta-Schwarzenegger non è così strana.
Cos’hanno in comune una sedicenne attivista per il clima e un attore 72enne, ex governatore della California?
La risposta è molto semplice: avvertono entrambi l’urgenza di dare una risposta ai cambiamenti climatici che stanno attraversando il nostro pianeta.
Oggi infatti, Greta Thunberg e Arnold Schwarzenegger hanno parlato a Vienna in un incontro per il clima: l’appuntamento era nell’Heldenplatz.
L’ex governatore della California, sin dai tempi del suo primissimo impegno in politica, ha sempre promosso una serie di iniziative in difesa dell’ambiente. Adesso, da quando non fa più parte dell’establishment repubblicano degli Stati Uniti, si è impegnato ancor di più in queste particolari tematiche.
Arnold Schwarzenegger è stato inserito per ben due volte, nel 2004 e nel 2007, dal Time nella lista di 100 persone maggiormente impegnate nella lotta in difesa del pianeta e nel 2015 è stato introdotto nella WWE Hall of Fame.
Le battaglie di Greta, invece, sono note a tutti: la ragazzina ha rappresentato un fattore decisivo in queste elezioni europee.
I suoi venerdì di sciopero dalla scuola per promuovere le battaglie contro i cambiamenti climatici, infatti, hanno contribuito decisamente all’ascesa, a livello europeo, dei Verdi diventati ora uno dei gruppi più nutriti (dopo Popolari europei, Socialisti Europei e Alde) del parlamento europeo che animerà i dibattiti politici a Bruxelles e a Strasburgo nei prossimi cinque anni.
(da agenzie)
argomento: Ambiente | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
INDOVINATE CHI CI GUADAGNA? CHI E’ SINGLE E CHI GUADAGNA DI PIU’… E LO STATO SPUTTANA ALTRI 17 MILIARDI… LO STUDIO DELL’ORDINE DEI COMMERCIALISTI
Un regalo fiscale alle persone che guadagnano più di 20mila euro lordi l’anno, con punte di risparmio che arrivano a sfiorare gli 8mila euro per quelli che veleggiano nella sfera più elevata della “classe media”.
Ma anche un meccanismo da tarare con estrema cautela, perchè rischia di far scattare delle distorsioni clamorose – con buona pace dell’equità fiscale – o addirittura incentivare i divorzi nel ceto medio per abbassare il conto con l’Erario.
Nell’ipotesi propugnata da Salvini, si arriva a stimare una spesa per lo Stato di 17 miliardi che – in vista dei 23 miliardi di clausole Iva da disattivare nel 2020 – scoraggia dal proseguire l’istruttoria. Ma sul piatto bisogna mettere l’altra gamba della proposta, ovvero il taglio delle detrazioni che dovrebbe contribuire a ribilanciare la partita per il conto dello Stato.
E nel bilancio delle famiglie, cosa cambierebbe?
L’ufficio studi del Consiglio nazionale dei Commercialisti aiuta a capire cosa cambierebbe con simulazioni concrete.
La base di partenza è una tassa piatta al 15% per i nuclei familiari che hanno reddito complessivo fino a 50.000 euro. La flat tax resta una opzione che i contribuenti possono scegliere in alternativa al regime ordinario, che prevede una “no tax area” fino a 8.174 euro e cinque successive aliquote crescenti dal 23% (fino a 15.000 euro) al 43% (oltre 75.000 euro) da applicare agli scaglioni di reddito.
Aderendo alla flat tax, i contribuenti rinuncerebbero ai meccanismi di deduzioni e detrazioni tradizionali.
In cambio, la tassa piatta prevederebbe una deduzione di 3mila euro per ogni componente del nucleo (per le famiglie con reddito entro 35.000 euro) e di 3.000 euro limitata però ai componenti del nucleo fiscalmente a carico (quando il reddito complessivo supera i 35.000 euro).
Qui c’è il primo fattore di valutazione importante: le famiglie che hanno detrazioni consistenti (per esempio legate alle spese mediche, o ai lavori di ristrutturazione di casa o agli ecobonus), dovrebbero considerare attentamente il passaggio alla flat tax perchè le perderebbero.
Fatta questa premessa, secondo i Commercialisti per un single con lavoro dipendente la flat tax conviene quando si superano i 20.299 euro annui di reddito.
Il beneficio rispetto al sistema tradizionale cresce ovviamente con l’aumentare del reddito: si va dai 969 euro a 25.000 euro annui fino a 7.639 euro a quota 50.000.
Quando si passa a un nucleo composto da due coniugi, di cui uno dipendente e l’altro a carico (quindi famiglia monoreddito), la proposta della Lega è peggiorativa fino a 21.750 euro.
Sopra, si inizia a guadagnare e anche in questo caso si superano i 7mila euro di beneficio. Sempre ricordandosi che le detrazioni tradizionali vengono perdute.
Il terzo esempio riguarda i nuclei monoreddito in cui al coniuge si sommano due figli a carico. La fascia di convenienza del sistema ordinario si amplia fino a 24.758 euro e il beneficio è tutto sommato limitato negli scaglioni successivi (motivo per cui è ancor più opportuno valutare la perdita delle detrazioni). Anche in questo caso, a 50mila euro il risparmio supera i 7mila euro
Se in famiglia ci sono due stipendi il calcolo si complica. In linea di massima, con la flat tax hanno da perdere le coppie che hanno reddito complessivo individuale sotto 21mila euro, salendo a 24mila euro in caso di due figli a carico.
Qualora uno o entrambi i coniugi superassero queste soglie, la convenienza sarebbe maggiore in caso di stipendi “polarizzati”: uno più vicino possibile a 50mila euro e l’altro allo zero. Tutto perchè la flat tax, per la sua stessa costituzione, premia i monoreddito che oggi sono, a parità di stipendio, più tassati.
Notano infine i Commercialisti che non mancano però gli effetti distorsivi.
Il primo è quello dello “scalone fiscale”, ovvero una distorsione tra chi sta subito sotto e subito sopra la soglia di 50mila euro.
Un esempio rende tutto più chiaro: un dipendente con coniuge e due figli a carico e stipendio lordo da 48mila euro, con la flat tax avrebbe un netto di 41.166. Lo stesso lavoratore a 52mila euro di stipendio lordo, con l’Irpef ordinaria scenderebbe a 37.513, oltre 3.500 euro sotto chi dovrebbe – in teoria – guadagnare meno di lui.
Altro effetto sociale distorsivo sarebbe quello di un “incentivo fiscale” al divorzio. Come già visto per il reddito di cittadinanza, anche questa misura – senza correttivi – la separazione di un nucleo bireddito (abbondantemente sopra la soglia di 50mila euro) in due distinte famiglie monoreddito (a quel punto sotto la soglia) farebbe risparmiare fino a 14mila euro.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
DOPO L’INVITO DELLA PROCURA A PRESENTARSI SPONTANEAMENTE, NESSUNO AGENTE HA RACCOLTO L’INVITO
La polizia, si dice, in uno Stato democratico è al servizio del cittadino. Il cittadino (e giornalista) Stefano Origone è stato pestato dalla polizia a Genova il 23 maggio 2019, sono passati cinque giorni e il vicequestore si è scusato ma ancora nessuno dei poliziotti che l’ha picchiato si è preso le sue responsabilità .
Spiega oggi Repubblica:
Ancora nessun agente del Reparto Mobile di Bolzaneto si è riconosciuto nelle immagini che mostrano sette uomini in divisa picchiare selvaggiamente il giornalista e mandarlo all’ospedale con dita e costole rotte, un trauma cranico e una prognosi, per ora, di trenta giorni.
Nonostante le indagini della Procura vadano avanti, e la prima lista di venti agenti coinvolti si sia ridotta a meno di dieci uomini, per ora vince il silenzio.
Tanto che il procuratore aggiunto Francesco Pinto ha ammesso: «Se gli agenti non dovessero essere identificati celermente, si rischierebbe di tornare a tempi bui, a episodi già vissuti».
E il riferimento è, ancora una volta, all’inchiesta sul G8. A quella pagina nerissima quando «si arrivò a proteggere l’anonimato a tal punto che non si riuscì nemmeno a identificare chi aveva sottoscritto un verbale».
Solo che oggi è diverso. Non soltanto perchè «si tratta di un’altra epoca e c’è la massima fiducia nella polizia», giurano in Procura.
(da “NextQuotidiano“)
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
FATTORI: “COLPA SUA”… RUOCCO: “VALUTI DIMISSIONI”… LOMBARDI: “RESPONSABILITA’ A UN SOLO UOMO E’ DELETERIA”… DE NICOLA SI DIMETTE DA VICE-PRESIDENTE DEL GRUPPO AL SENATO
Parte il processo a Luigi Di Maio e alla sua linea politica, a maggior ragione oggi, all’indomani della debacle elettorale.
“Nessuno ha chiesto le mie dimissioni, si vince insieme, si perde insieme” ha detto ieri il vice premier, con riferimento a Davide Casaleggio e Beppe Grillo.
Ma i primi esponenti si muovono: Elena Fattori, Carla Ruocco, Primo Di Nicola e Roberta Lombardi sono i primi a far sentire la loro voce e a puntare il dito contro il capo politico M5S.
La senatrice Elena Fattori si è spesso contraddistinta per la critica dall’interno e oggi afferma che “se riorganizzazione ci deve essere, deve partire dalla base. Non ci devono essere i gerarchi stile giglio magico che vengono sui territorio, perchè non li ascolta nessuno”…. “Io dissi in tempi non sospetti che Luigi non avrebbe dovuto ricoprire tutti quei ruoli, perchè non ne ha fatto bene nessuno”, dice la senatrice 5 stelle ai microfoni di “l’Italia s’è desta”, trasmissione di Radio Cusano Campus.
In un intervista al Corriere della Sera la senatrice annuncia infatti di voler chiedere “le sue dimissioni dai due ministeri. Non può fare tutto e male”.
La deputata Carla Ruocco, invece, ha avuto già in passato il coraggio di posizioni scomode, pur condividendo la linea del Movimento: oggi però attribuisce a Luigi Di Maio le colpe della sconfitta: “Voglio bene a Luigi con cui per anni abbiamo fatto crescere il Movimento, ma c’è una responsabilità politica di questo brutto risultato che non spunta dal nulla ma ha radici lontane: penso all’esperienza di Roma. Sarebbe giusta una riflessione e mi dispiace ma non ho ancora avuto segnali”…
“Il Governo non deve andare avanti a tutti i costi. Io penso che il M5S debba essere al servizio del Paese e ho la presunzione che le 5 stelle del nostro Movimento siano in grado di raggiungere questo obiettivo. Fino a quando sarà possibile farlo da una posizione di governo, ben venga, altrimenti sarà giusto farlo dall’opposizione, ricordando che la finanza è al servizio dell’economia che non ha confini nazionali: non è possibile evitare il confronto con l’Europa per ottenere nuove regole di bilancio e rischi condivisi”.
E Primo Di Nicola è passato dalle parole ai fatti: si è dimesso da vicepresidente del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle al Senato.
Lo annuncia il senatore M5S in un post su Facebook. “Una decisione che ritengo necessaria – scrive il giornalista – non solo alla luce del risultato elettorale ma anche e soprattutto delle cose che ci siamo detti in tanti incontri e assemblee. Mettere a disposizione del Movimento gli incarichi. È l’unico modo che conosco per favorire una discussione autenticamente democratica su quello che siamo e dove vogliamo andare”.
Anche Roberta Lombardi su Facebook parla di “lezione di imparare” dalla sconfitta: “Gli errori si distribuiscono, le responsabilità si assumono, i cambiamenti si mettono in conto. La responsabilità in capo ad un solo uomo è deleteria per il MoVimento, ed è un concetto da prima repubblica. Usato e abusato da Renzi & Co” scrive.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: governo | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
LA SUA LISTA E’ ARRIVATA ULTIMA
Anche la storia, diceva lo Hegel, ha la sua ironia. E così Diego Fusaro, alfiere del turbosovranismo antielitario nonchè candidato sindaco a Gioia Tauro con Risorgimento meridionale per l’Italia, non è riuscito a fare il risultato che tutti speravano per dare un segnale ai pecoroni fucsia del circo mediatico e del clero intellettuale.
A dirla tutta il turbofilosofo non è riuscito a fare nessuno risultato visto che è arrivato ultimo raccogliendo la bellezza di 281 preferenze, pari al 2,84%.
Forse il libero pensatore torinese, famoso per aver sdoganato nel dibattito politico televisivo lo stesso stile lessicale di Paolo Bonolis quando conduce Ciao Darwin, non è riuscito a far breccia nei cittadini di Gioia Tauro con le sue proposte.
Idee che — come è stato detto in un comizio due settimane fa — hanno fatto breccia nelle strutture partitiche della nostra Nazione ma anche nell’Est europeo e per fino in Sud America (forse anche in Polinesia).
Del resto un candidato che si presenta ai cittadini di un comune calabrese parlando di “capitalismo integrale” e filosofeggiando sull’Amleto di Shakespeare e sui bei tempi andati della società greca (quella di Platone che non era certo un democratico) probabilmente non è stato in grado di rispondere alle domande e alle esigenze degli abitanti di Gioia Tauro.
Di fatto quello che ha detto Fusaro nei suoi comizi, dove ha parlato dei problemi dei lavoratori dell’Expo a Milano o del perenne Erasmus cui sono costretti i giovani, poteva andare bene in qualsiasi comune del mondo cosmopolitico.
Paradossalmente proprio colui che ci spiega che i giovani sono condannati all’erranza dediti al godimento nelle sue forme più grette è l’esempio di questo sradicamento.
Lui, che ha la residenza a Spotorno (Savona) è costretto ad andare ramingo all’estremo opposto della Penisola per trovare qualcuno disposto a votarlo.
Il filosofo errante, perennemente giovane e in movimento. Ma quando Fusaro si rivolgeva ai cittadini di Gioia Tauro da quel palchetto 2 per 2 e parlava di giovani, di società totalmente mercificata in realtà diceva cose che avrebbe potuto dire (e di fatto ha detto) ovunque.
Un gesto rivoluzionario sarebbe potuto essere quello di parlare hic et nunc dei problemi della città che si candidava a guidare da primo cittadino. Ma Fusaro non ha soluzioni particolari, vittima egli stesso dello sradicamento dei giovani è vero cittadino del Mondo globalizzato e può allo stesso tempo essere candidato sindaco a Gioia Tauro, titillare l’idea di una candidatura (ahi-noi sfumata) a Firenze e accettare di essere nominato assessore in pectore per il M5S a Foligno.
Ma siccome, come diceva Carlo Marx, la Storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa dopo la tragica trombata a Gioia Tauro Fusaro non potrà nemmeno consolarsi in terra umbra, perchè a Foligno il M5S di Fantauzzi ha preso appena l’11%.
Ma ora che Fusaro è sceso in politica è giusto che venga trattato come tale. Nella fattispecie come colui che rappresenta 281 cittadini di Gioia Tauro e quindi quando andrà nei salotti televisivi gli si dovrà concedere un corrispondente tempo di parola.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
IL FRONTE REMAIN AVREBBE VINTO FACILMENTE SE CI FOSSE STATO UN REFERENDUM… QUELLO CHE FARAGE VUOLE EVITARE PERCHE’ SA CHE PERDEREBBE
Lunedì mattina, in occasione delle elezioni europee del Regno Unito, il laburista Jeremy Corbyn ha dichiarato: “Queste elezioni sono diventate un secondo referendum ‘per procura’. Nei prossimi giorni avremo conversazioni tra i nostri partiti e movimenti e rifletteremo su questi risultati su entrambi i fronti della divisione Brexit”.
Prendiamolo in parola. Se questo fosse stato davvero un secondo referendum sull’appartenenza della Gran Bretagna all’Unione europea, quali sarebbero stati i risultati?
Alcuni grafici mostrano che il fronte “Remain” avrebbe vinto, facilmente.
Il primo grafico mostra i totali dei voti per tutte i principali partiti. Li ho raggruppati in gruppi di elettori “Remain” sulla sinistra e di elettori “Leave” sulla destra.
Tutte i partiti, tranne Labor e Conservative, avevano posizioni nette se Rimanere o Lasciare.
Solo i conservatori e i laburisti hanno affrontato le elezioni con posizioni di compromesso, i conservatori hanno favorito l’accordo sul ritiro del primo ministro Theresa May e il partito laburista ha favorito una Brexit più tenue che mantenga la Gran Bretagna più strettamente legata al mercato unico dell’Unione europea.
Per tenere in conto queste posizioni di compromesso — e con l’assunto che la maggior parte degli elettori laburisti si oppongono alla Brexit e la maggior parte dei conservatori la sostengono — ho scomposto i totali di Remain-Leave con e senza i principali partiti
Non importa in che modo lo si guardi, una netta maggioranza di elettori in queste elezioni è andata per i partiti orientati al Remain:
Se i totali fossero presentati come una scelta binaria in un secondo referendum, il risultato sarebbe
Rimanere nella Ue: 55,3%
Lasciare (Brexit): 44,7%
Questa è una maggioranza di 10 punti a favore di Remain. In totale, il blocco Remain ha ottenuto 9,3 milioni di voti mentre quello dei Leave è arrivato a 7 milioni.
I risultati evidenziano la media mensile dei sondaggi tracciati da YouGov a partire dal referendum Brexit 2016. I sondaggi di YouGov mostrano che la maggioranza degli inglesi pensa che la Brexit sia stata la decisione sbagliata.
Che cosa significa tutto questo?
Due cose: il Brexit Party di Nigel Farage può essersi piazzato al primo posto nei risultati di domenica sera, ma la Gran Bretagna è un paese solidamente a favore del Remain.
Appare probabile ora che un secondo referendum invertirebbe la decisione sulla Brexit — quindi aspettatevi che Farage e gli estremisti Brexiters all’interno del Partito Conservatore si oppongano al “voto popolare” o al “voto di conferma” con le unghie e con i denti. Sanno che perderanno se quel voto ha luogo.
Per quanto riguarda Corbyn e il Labour, la posizione pro-Brexit del partito sta costando voti. È finito terzo nel voto della scorsa settimana dopo una forte dimostrazione dei Liberaldemocratici pro-Remain.
I suoi voti alle europee sono ormai quasi alla pari con il Partito dei Verdi: una situazione in precedenza impensabile.
Una svolta laburista per sostenere apertamente un secondo referendum potrebbe rafforzare il voto tra quelli del fronte Remain e — se viene fatto — assestare un duro colpo ai conservatori.
Da un punto di vista puramente strategico, quella prospettiva deve ora sembrare allettante.
(da “Business Insider”)
argomento: elezioni | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
CARLA RUOCCO CHIEDE LE DIMISSIONI DI DI MAIO (E NON E’ LA SOLA)… IL PESCE PUZZA DALLA TESTA E LA TESTA NON E’ QUELLA DI DI MAIO
Nel MoVimento 5 Stelle è partita la ricerca del capro espiatorio per i sei milioni di voti persi in un colpo solo alle elezioni europee.
E così c’è anche chi arriva a chiedere le dimissioni di Luigi Di Maio mentre si prepara un grande ritorno: quello di Alessandro Di Battista.
A mettere in discussione il ruolo del Capo Politico è l’intero M5S, a a esporsi con la propria faccia sono in pochi. Una è la deputata Carla Ruocco, che in un’intervista al Messaggero fa capire che le dimissioni sarebbero un buon modo per mettere un punto:
Carla Ruocco, presidente della commissione Finanze della Camera, Di Maio dovrebbe dimettersi da capo politico del M5S?
«Io ritengo che agli onori debbano seguire gli oneri; voglio bene a Luigi con cui per anni abbiamo fatto crescere il Movimento ma c’è una responsabilità politica di questo brutto risultato che non spunta dal nulla ma ha radici lontane: penso all’esperienza di Roma. Sarebbe giusta una riflessione e mi dispiace ma non ho ancora avuto segnali». Ma esiste una leadership alternativa a quella di Di Maio?
«Il Movimento è nato sulla condivisione dei valori, dei temi e dell’azione politica, e non su catene di comando».
Come al solito però sono le chat interne a fare la parte del leone nelle richieste di dimissioni nei confronti di Luigi Di Maio.
Alessandro Trocino sul Corriere della Sera scrive che l’assemblea dei parlamentari è stata rimandata a oggi e che lì voleranno Uccelli Paduli:
Non è un segreto che diversi parlamentari abbiano chiesto e chiederanno un passo indietro del leader. Troppo bruciante la sconfitta, troppo netto il divario con l’alleato. È sotto accusa la leadership di Di Maio, ma anche il settore della Comunicazione, che è considerato inadeguato e parte del problema.
Non ha funzionato la svolta combattiva, con un occhio a sinistra, impressa da Augusto Rubei. Ma insieme a lui sul banco degli imputati ci sono Rocco Casalino, Cristina Belotti e Pietro Dettori. Un pezzo di Comunicazione che, si dice, non ha saputo fronteggiare a dovere la forza della Lega (Elio Lannutti è tra i più critici).
C’è da segnalare che era stato proprio il Corriere della Sera nelle scorse settimane a magnificare la strategia di sinistra del M5S per vincere le elezioni, senza peraltro ricordare come era andata in altre occasioni (ad esempio con Roberta Lombardi in Regione Lazio).
In ogni caso, riferisce il quotidiano, ora in ogni caso le battute nei suoi confronti si sprecano: «Avrà pure parlato con tutte le anime – ironizza Paola Nugnes –ma non con lo spirito santo».
D’altro canto il Capo Politico del MoVimento 5 Stelle sa che la sua situazione personale è particolarmente difficile.
Annalisa Cuzzocrea e Tommaso Rodano su Repubblica ricordano che il leader non può ricandidarsi se cade il governo, per colpa del vincolo dei due mandati, che non ha più la forza di cambiare. E non solo:
Non può guidare un’altra campagna elettorale, dopo avere clamorosamente fallito. A essere prosciugata però non è solo la sua credibilità . A essersi svuotato è il Movimento, che ha perso la sua base, con sei milioni di voti andati in fumo. La prova più grande della debolezza del capo politico, è che dopo un vertice di tre ore con i dirigenti M5S è Di Battista a parlare.
L’ex deputato, che lo ha lasciato solo in campagna elettorale rifiutando di candidarsi, di fare comizi, di dare una mano, dice ora che «si vince e si perde tutti insieme», che la leadership del capo politico «non si tocca», che non è il momento di spararsi addosso. «È la più forte scoppola della nostra storia — ammette — ma bisogna ripartire. Frenando la Lega quando fa qualcosa che non ci piace».
Anche Elena Fattori chiede apertamente le dimissioni:
Di Maio deve lasciare?
«Io in assemblea chiederò le sue dimissioni dai due ministeri. Non può fare tutto e male».
E da leader M5S?
«Se qualcuno lo chiedesse,dovrebbe rimettere il mandato in mano agli iscritti. Con una disfatta del genere non si può far finta di niente».
Il clima è talmente infame che è ricomparso Alessandro Di Battista. Emanuele Buzzi annuncia che ora la leadership sarà condivisa: Davide Casaleggio si è sentito con Beppe Grillo che poi ha contattato proprio Di Battista per mettere sul tavolo la collegialità delle decisioni.
Tra le ipotesi, oltre alla segreteria politica, spunta quello di un direttorio bis e c’è chi immagina anche una sorta di triumvirato con Di Maio primus inter pares. Sembra prevalere però l’idea di un fronte allargato a una dozzina di referenti, in modo da rappresentare ogni anima del Movimento.
C’è chi ricorda la nascita del primo direttorio: l’idea prese forma proprio dopo la sconfitta alle Europee. Oggi come allora, la nuova struttura sarà ratificata da un voto online.
In questo clima infame, come direbbe Greta Thunber, Di Maio recita il ruolo del caprone espiatorio di una classe dirigente che non si è mai formata e che oggi pensa che sia un problema di nomi e non di filosofia politica: quello che stentano a capire è che il fidanzato di Virginia Saba è il leader dei grillini perchè è quello che meglio li rappresenta: perchè è il migliore a dire “facciamo questo” e poi “facciamo quest’altro” senza sapere bene cosa stia succedendo.
Il pesce puzza dalla testa. E la testa non è mai stata quella di Di Maio.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: governo | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
I SUOI PER ORA LO RICONFERMANO, POCA AUTOCRITICA, DI BATTISTA IN PRIMA LINEA… “CHE SI FA CON IL GOVERNO? ANDIAMO AVANTI O NO?”
La verità è che una strategia vera e propria ancora non c’è. Il ceffone subito dal Movimento 5 stelle alle europee, quell’asticella drammaticamente crollata sotto il 20%, è stato troppo violento e repentino perchè Luigi Di Maio e la sua cerchia più stretta abbiano ancora elaborato una risposta complessa.
La domanda provocatoria che ha rivolto a tutte le figure chiave con le quali ha interloquito, e con cui ha aperto una sorta di gabinetto di guerra riunito in fretta e furia oggi (“Che facciamo, andiamo avanti?”) testimonia il momento d’incertezza.
Una riunione tesa, nervosa. Nella quale la sorte dell’esecutivo è stata realmente messa sul piatto.
Al momento l’unica cosa certa è che una vera autocritica non c’è stata, e che alla domanda la gran parte delle risposte è stata un secco no. “Dobbiamo tornare a essere Movimento”, spiega il capo politico, “a recuperare i nostri temi e la nostra pelle, le nostre battaglie che sono quelle per cui ci hanno sempre premiato”.
In mattinata il vicepremier fa quattro telefonate: a Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Roberto Fico, Alessandro Di Battista. Quando convoca una conferenza stampa al ministero dello Sviluppo economico dopo il silenzio e la grande fuga della notte, li elenca tutti e quattro.
Perchè tutti e quattro, a loro modo, rappresentano un contropotere interno, tutti possibili collettori di un malumore interno che dopo il risultato più magro dai tempi del 2013 non può che essere fisiologico.
Da tutti, dicono i suoi, incassa parole di stima e di fiducia: la sua leadership non è in discussione. Il solo fatto che lo si debba sottolineare è un’ammissione che le pale del frullatore in cui si è immerso il Movimento sono ben lungi dal fermarsi.
Nel pomeriggio converge al ministero tutto lo stato maggiore. Ci sono Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro, Paola Taverna, Gianluigi Paragone, Carlo Sibilia, Stefano Buffagni, Vinecenzo Spadafora, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli.
Il conclave ne dura tre ore, Di Maio ne riesce papa. Alla fine fonti vicine al leader parlano di una fiducia confermata, e della necessità di continuare sulla falsariga delle ultime due barricadere settimane di campagna elettorale.
Ma c’è chi spiega che i dubbi se continuare o meno nell’esperienza gialloverde siano reali, e alberghino nella testa di più di uno fra i colonnelli pentastellati.
C’è anche Di Battista, l’unico a esporsi un po’ al termine: “Nessun processo a Luigi, il governo deve andare avanti, ci siamo ripresi da scoppole peggiori”.
Dall’interno dei 5 stelle filtra una novità : che “Dibba”, come lo chiamano tanti dei suoi, potrebbe tornare in prima linea. Aveva detto di no appena venerdì scorso, nella piazza semivuota della chiusura della campagna elettorale. Ma il mondo da allora è cambiato, il punto di fusione delle stelle è lì a un passo.
L’ex deputato globetrotter potrebbe così accettare un ruolo nella riorganizzazione incombente del Movimento. Perchè, oltre a un’assemblea prevista per la giornata di mercoledì con tutti i parlamentari, già questa settimana potrebbero esserci i primi passaggi sul blog per la costruzione di una vera e propria cabina di regia che affianchi il vicepremier.
La linea abbozzata è “tornare a fare il Movimento”. Non mettersi di traverso pretestuosamente alla volontà di Matteo Salvini di passare all’incasso del trionfo elettorale, ma non cedere i un millimetro sulle proprie battaglie storiche e sui vincoli del contratto di governo.
Un Movimento che non potrà “essere l’ago della bilancia in Europa” come detto in campagna elettorale per lo sgretolamento del gruppo, che vede un solo eletto fra i cinque partiti alleati.
Al punto che sta circolando in queste ore l’idea comunque di effettuare sondaggi con le famiglie politiche già esistenti, anche se la strada sembra stretta. Così come stretta sembra quella da percorrere in Italia, e complicato l’equilibrio da dover mantenere. Nei prossimi giorni il sottosegretario Edoardo Rixi, leghista, potrebbe essere condannato. Che si fa? Risponde un uomo vicino al leader: “Il contratto di governo parla chiaro: deve dimettersi”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: governo | Commenta »
Maggio 28th, 2019 Riccardo Fucile
“SE TIRI A CAMPARE TIRI LE CUOIA”
Stavolta a dare la linea sul Fatto quotidiano non è Marco Travaglio, ma il cofondatore del giornale, Antonio Padellaro, con un fondo senza equivoci, sostenuto da un titolo di apertura altrettanto lapidario: “Per i Cinque stelle una strada obbligata: l’opposizione”.
Scrive Antonio Padellaro: “Se i 5Stelle vogliono tentare di ritrovare se stessi e i propri elettori (sapendo che molti fuggitivi difficilmente saranno recuperati) devono tornare a essere opposizione”. Per Padellaro non c’è altra strada anche se “potrebbe sembrare fuori dal mondo”.
In sette punti, invece, Padellaro spiega perchè è una necessità , a partire dal fatto che farà ulteriormente male “restare al governo con chi, in poco più di un anno, ti ha succhiato il sangue ricavandone energia e vigore e lasciandoti sul terreno esanime”. Del resto, sottolinea Padellaro, “l’elettorato ha soronamente bocciato i %Stelle di governo, mentre aveva promosso a pieni voti i 5Stelle di opposizione. Perchè non prenderne atto?”.
Tav, Autonomie, tutti rospi che il movimento dovrà ingoiare per forza vista la forza ora della Lega. “Non sarebbe più razionale staccare la spina al governo su una questione identitaria per i grillini come per esempio il Tav?”.
E nel frattempo – suggerisce Padellaro – ritornare a una sana battaglia di opposizone contro Salvini e il salvinismo” evitando di lasciare tutto lo spazio di opposizone al Pd. “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia, diceva Giulio Andreotti – chiosa Padellaro-. Ma se restano paralizzati dalla sconfitta i 5Stelle rischiano entrambe le cose”.
(da agenzie)
argomento: governo | Commenta »