Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
DE FALCO RINCARA: “ORA BISOGNA AVVERTIRE I VARI LACCHE’ DI TERRA, DI MARE E DELL’ARIA CHE POSSONO TORNARE A USARE LA PROPRIA COSCIENZA” …OGGI ALTRO SBARCO DI 54 MIGRANTI A CROTONE
Ancora uno sbarco sulle coste italiane, il decimo in 48 ore.
Cinquantaquattro migranti, tutti uomini, e tutti di nazionalità pachistana, sono sbarcati nel porto di Crotone dopo essere stati soccorsi, la notte scorsa, da un pattugliatore della Guardia di Finanza al largo delle coste di Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese. Due cittadini russi, ritenuti gli scafisti dell’imbarcazione, sono stati arrestati.
I migranti, che erano a bordo di un veliero battente bandiera statunitense alla deriva, sono stati raggiunti da due unità navali dei Roan di Vibo Valentia e una del Roan di Taranto. L’equipaggio di uno dei pattugliatori ha prima avvicinato e poi trainato il veliero fino a portarlo nel porto della città calabrese.
Le 54 persone sono state condotte nel centro di accoglienza di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto. Dalle prime informazioni raccolte i migranti sarebbero salpati da Bodrum, in Turchia.
Gli arrivati in Italia nel 2019 salgono a 1482, la metà dei quali solo nel mese di maggio. Nella totale assenza di navi umanitarie nel Mediterraneo, gli scafisti hanno ripreso a far partire centinaia di migranti ogni giorno.
La notte scorsa due gommoni con circa 200 persone a bordo sono state soccorse dalla Guardia costiera maltese che le ha portate nel porto de La Valletta.
E il ministro Salvini, ieri ai microfoni di Sky, ha per la prima volta ammesso: ” La Libia è un porto insicuro e instabile”.
Esattamente quello che da mesi ripetono le agenzie dell’Onu, Unhcr e Oim, che sottolineano l’illegittimità dei respingimenti dei migranti in Libia.
E il senatore Gregorio De Falco commenta: “Persino Salvini ammette che la Libia non è un posto sicuro: bisogna avvertire i vari lacchè di terra, di mare e dell’aria che possono tornare ad usare la propria coscienza. Non si può consentire che i naufraghi siano riportati in Libia. Benvenuto nella realtà , ministro!”.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
IL GIOCO DELLE PARTI: FIORE RIESCE A FAR PARLARE DI SE’ E LA DIGOS FA BELLA FIGURA, REGIA PERFETTA, MISSIONE COMPIUTA
Roberto Fiore è candidato alle elezioni con Forza Nuova, che regolarmente si candida alle elezioni per prendere lo zero virgola niente. Alle ultime elezioni ha preso lo 0,38% dei voti alla Camera e lo 0,49% al Senato.
Fiore ama dedicarsi a iniziative che nelle sue intenzioni dovrebbero far parlare di sè, ma che spesso finiscono per essere dei clamorosi autogoal.
Come quando di recente ha annunciato un sit in a piazzale Aldo Moro per fermare Mimmo Lucano che doveva parlare in un convegno a La Sapienza e la storia è finita con un migliaio di antifascisti a piazzale Aldo Moro mentre lui e i suoi hanno girato, scortati dalla polizia, nei dintorni dell’università .
La notizia di oggi e che il leader di Forza Nuova è stato portato in Questura “per controlli” mentre con alcuni militanti del partito di estrema destra si muoveva verso l’ex palazzo del crac in via dei Lucani, a San Lorenzo, dove era prevista una manifestazione non autorizzata in ricordo di Desirèe Mariottini.
Alle 10 del mattino si era riunito a San Lorenzo un presidio antifascista, all’incrocio con via dei Lucani, dove doveva iniziare la manifestazione annunciata nei giorni scorsi dai militanti di Forza Nuova.
Come scrive l’AGI sul posto, controllato dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa, erano presenti al momento alcune centinaia di persone appartenenti a “Libera Repubblica di San Lorenzo”, “Non una di meno” e “Communia”.
Verso le 11, come ha scritto l’ANSA, Fiore è stato fermato dalla Digos e portato in Questura per controlli quando era a un paio di minuti a piedi da Largo Talamo, visto che si trovava in via dei Lucani.
Poi è cominciata la sceneggiata.
Nessuna denuncia per Fiore per la manifestazione non autorizzata, Digos incensata per “aver disinnescato” timore di scontri, antifascisti soddisfatti.
Spot assicurato con le regia del Viminale.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
“NON SI PUO’ FAR TORNARE IN LIBIA I MIGRANTI”… CROLLA QUALSIASI VELLEITA’ DI MULTARE LE ONG
Antonio Massari sul Fatto Quotidiano oggi racconta una sentenza del tribunale di Trapani che potrebbe rovinare la festa a Salvini e al suo decreto sicurezza bis.
I due “dirottatori ”della Vos Thalassa, il rimorchiatore che l’8 luglio 2018 soccorse 67 migranti, sono stati assolti e scarcerati perchè — come anticipato ieri dal Corriere della Sera— “il fatto non costituisce reato” in quanto è “scriminato dalla legittima difesa”. Tra i primi a chiedere l’arresto di Ibrahim Tijani Bushara e Ibrahim Amid fu proprio Matteo Salvini.
Secondo le accuse i due, quando il comandante della Vos Thalassa decise di indirizzare il rimorchiatore verso la Libia, si rivolsero a lui facendogli un segno che si poteva interpretare come una gola tagliata. Un segno che l’accusa interpretò come una minaccia di morte. E che innescò l’accusa di dirottamento del rimorchiatore. Secondo la difesa, invece, quel segno stava a significare ben altro: tornare in Libia equivaleva a morire.
Salvini in quei giorni dichiarò che erano “delinquenti”e dovevano “scendere in manette”e finire in “galera”. A Salvini si accodò il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che chiedeva la loro punizione “senza sconti”. Infatti sono stati in carcere dieci mesi. Ora però, secondo il Tribunale di Trapani, i due non commisero alcun reato. Anzi. Era “legittima difesa”.
E questo significa che, tornare in Libia, per il Tribunale di Trapani era pericoloso per la loro incolumità .
Un’argomentazione che da oggi in poi varrà per qualsiasi Ong decida di non riportare i migranti soccorsi sulle coste libiche.
E che disinnesca qualsiasi velleità di multare i volontari con multe che dissanguerebbero le casse delle Ong.
La sentenza del giudice Piero Grillo, che dopo aver assolto i due “dirottatori”ne ha ordinato la scarcerazione immediata, ha quindi un immediato riflesso sulla politica del governo gialloverde sull’immigrazione. E probabilmente non sarà l’unica.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
“OCCORRE UN CODICE IDENTIFICATIVO DEGLI AGENTI, ESISTE PERSINO IN TURCHIA”…”LO STATO USI LA FORZA, NON LA VIOLENZA”… “L’INCHIESTA NON DOVEVA ESSER AFFIDATA ALLA POLIZIA”
Con i fatti di Genova di giovedì 23 maggio si è tornato a parlare di violenza da parte della polizia Il sostituto procuratore Enrico Zucca, che in passato ha indagato sulle violenze delle forze dell’ordine durante il G8 del 2001, ci aiuta a comprendere meglio il clima che si respira in città , e più in generale oggi nel nostro paese,
Scontri violenti in città . Una lista di venti agenti di polizia, almeno 5 coinvolti. E un cronista picchiato malamente, ridotto peggio. Ci risiamo?
“Parliamoci chiaro: l’Italia, i suoi governi tutti e suoi ministri, si rifiutano di applicare quella misura elementare che è stata indicata dal primo codice etico per le forze di polizia, approvato dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa già all’indomani del G8 di Genoa, ossia il cosiddetto codice identificativo per gli agenti in divisa in servizio di ordine pubblico, la quale serve a identificare e a responsabilizzare, soprattutto, gli stessi agenti. Il parlamento europeo, ancor più di recente, ha adottato una risoluzione nel 2012 esortando gli stati ad adottare una misura di questo tipo. Amnesty International ne ha fatto oggetto di una campagna speciale, che mai poteva essere così attuale, dopo questi nuovi fatti di cronaca. Che altro? Anche la Corte europea dei diritto dell’uomo ritiene il codice identificativo uno strumento utile e indispensabile. E tuttavia in Italia non viene applicato”.
Ma perchè?
“Ah, bella domanda. Pensi al caso del suo collega, il giornalista Lorenzo Guadagnucci, torturato alla Diaz, a cui nessuno ha mai chiesto scusa. Aveva fatto scalpore, tempo fa, un suo intervento volto a chiedere l’introduzione dei codici identificativi, cui aveva anche allegato una fotografia che ritraeva poliziotti in Turchia con il codice identificativo sulla divisa. In quella foto il poliziotto ritratto aveva coperto il codice con un nastro, che però si era staccato. Il sotterfugio non era bastato… Quell’immagine serviva a dimostrare due cose. La prima che, anche in una nazione dove la tutela dei diritti umani è altamente problematica, la polizia ha accettato una simile disposizione e l’altra è che la necessità di coprire il codice dimostra che il poliziotto sa quando vuole eccedere i limiti. Ed è in quel numerino che sta la sua responsabilità .
Ma chi è che si oppone ai codici identificativi?
“Ogni corpo di polizia reagisce chiudendosi a riccio di fronte a misure che sembrano punitive. Ma questo atteggiamento non è altro che il rifiuto alla trasparenza di comportamenti devianti che sono di pochi, ma che contano sulla solidarietà e l’omertà di molti. Anche l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti non era riuscito a proporre che l’introduzione di un codice di reparto. Una dimostrazione di scarsa volontà politica e di impotenza, perchè il codice di reparto è — considerata la realtà dei casi, primi fra tutti quelli del G8 — una misura apparente e inutile oltre che di rinuncia al promuovimento di una immagine diversa della polizia e al suo rapporto con un’etica di responsabilità che avrebbe dovuto essere incoraggiata. Nessun poliziotto teme il codice se non quelli che lo coprirebbero alla bisogna.
La procura ha aperto un’indagine dopo gli scontri di Genova. Con la collaborazione della Questura …
“Questa domanda non ha alternative, nella risposta. Assegnare l’indagine allo stesso corpo di appartenenza degli agenti sospettati di abusi è in contrasto con i criteri che la CEDU ha stabilito per assicurare una indagine imparziale. La Corte di Strasburgo lo ha sostenuto specificamente anche in una condanna contro lo stato italiano, osservando che non basta nemmeno una sola istituzione di garanzia come il PM italiano, che certamente gode di uno statuto di indipendenza e autonomia, per garantire imparzialità di indagine (il caso Alikay contro Italia, 2011). In Italia lo stesso PM può compiere personalmente gli atti di indagine e può soprattutto avvalersi di una polizia giudiziaria distaccata presso la procura stessa”.
E allora?
“Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e i maltrattamenti in uno dei suoi periodici rapporti aveva già dal 2010 raccomandato l’istituzione di un servizio specializzato sotto la direzione della procura della Repubblica ‘per la trattazione di ogni denuncia di maltrattamento da parte delle forze dell’ordine’. Esortazione rimasta lettera morta ma che è la risposta all’esigenza di cui si discute. Tra l’altro ciò aiuterebbe anche il pubblico ministero a superare inevitabili situazioni di conflitto di interessi nel caso di indagini nei confronti della polizia con cui si collabora”.
Oggi però c’è un invito a presentarsi spontaneamente dai magistrati…
“Guardi: o qui cade il muro di omertà che non è mai caduto in precedenti occasioni, e la polizia stessa diviene artefice del proprio riscatto, oppure rimane così com’è: violenza impunita. C’è un evidente richiamo al G8 e i problemi sono sempre gli stessi”.
Quali?
“Il questore (di Genova, ndr) che parla di “ostaggi” ricorda il frasario della Diaz, in cui i funzionari parlavano di fare “prigionieri” riferendosi anche loro agli arrestati. Ebbene, cosa nasconde questa mentalità che ancora resiste all’interno della polizia? È la logica della contrapposizione e del nemico. E un confronto fisico, che invece è da evitare. La logica dello schieramento: quelli sono violenti, certo, è vero, ma lo stato usi la forza, non la violenza. La divisa fa la differenza”.
Giusto. Come si fa?
“Il vero eroismo è quello di non lasciarsi andare alla forza bruta ma dimostrare l’autorità , anche solo non reagendo ma contenendo. E per farlo, sì, è vero, bisogna essere un po’ eroi. E non vigliacchi, a manganellare persone ormai inermi e a terra. La vera svolta può venire dall’interno del corpo di polizia e dal sentirsi Stato anche quando non si reagisce allo stesso modo di chi manifesta la sua impotenza con la violenza senza senso”.
Anche la magistratura a volte è violenta…
“Non si tratta di bon ton istituzionale affidare o meno l’indagine alla polizia stessa. L’indagine contro gli abusi serve a garantire le istituzioni, e non a delegittimarle. Sarebbe l’ora che anche i magistrati smettessero di considerare le indicazioni della Corte Europea come inutili orpelli. Invece che parlare di convenzioni nei convegni e sulle riviste, sarebbe opportuno che le facessero vivere nella pratica, e con fatti concreti, anche a rischio di impopolarità . Così aiuterebbero la fermezza anche all’interno della forza di polizia”.
(da TPI)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELLA PRESIDENTE DEL TELEFONO ROSA: FERMI 20 MILIONI A BILANCIO DESTINATI ALLE CASE RIFUGIO … IL DIPARTIMENTO PARI OPPORTUNITA’ E’ INATTIVO
Dove sono i 20 milioni stanziati per creare nuovi centri antiviolenza o per finanziare quelli esistenti? Il governo avrebbe dovuto trasferirli fin dagli inizi del 2019 alle Regioni per finanziare i centri e le case rifugio, ma sta per terminare anche maggio e di quei fondi non c’è traccia nei versamenti effettuati.
Si tratta delle risorse previste nell’ultima legge di bilancio del 2018 del governo Gentiloni nel fondo antiviolenza. Sono state aumentate rispetto agli anni precedenti ma sono anche state accompagnate da molte polemiche per un uso non corretto.
La Corte dei Conti era intervenuta nel 2016 per denunciare la cattiva gestione da parte delle Regioni: si disse che il problema era creato dalla mancanza di un censimento dei centri e fu avviata un’attività di raccolta dei dati per creare la prima mappa nazionale.
«Ma da novembre si è fermato tutto», denuncia Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente del Telefono Rosa. «Non ci sono state più convocazioni di incontri che prima erano regolari, non si è andati avanti nel lavoro per la mappatura e non c’è stato più alcun segnale di attività ».
Fermi anche i fondi, denuncia Francesca Puglisi, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio dal 19 aprile 2017 al 22 marzo 2018.
«E il ritardo nel trasferimento da parte del governo si somma al ritardo con cui in genere le Regioni ripartiscono a loro volta i fondi ai comuni».
Chissà fra quanto tempo, insomma, i centri e le case- rifugio di tutta l’Italia vedranno arrivare i fondi necessari per la loro attività rendendo ancora più difficile e precaria la vita di istituzioni che già oggi appaiono inadeguati rispetto ai problemi.
Il caso più recente è quello di Monterotondo, per esempio. Un fallimento totale delle istituzioni, hanno denunciato i centri antiviolenza: nessuno degli enti competenti è riuscito a occuparsi di un uomo già arrestato per violenze mettendo la figlia in una situazione di difficoltà tale da costringerla a ucciderlo per difendersi durante l’ennesima aggressione.
La presidente del Telefono Rosa: «La sensazione è che si sia fermato tutto e che il dipartimento stia perdendo pezzi e quindi quell’importanza che ha avuto nel tempo. Ne ho parlato anche con il responsabile del Dipartimento Pari Opportunità Vincenzo Spadafora che mi ha rassicurato sulla buona volontà di andare avanti ma di concreto non c’è nulla. Forse è colpa delle elezioni? Ma la violenza che c’è contro le donne va avanti, non aspetta mica la fine della campagna elettorale».
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
UN VIDEO DRAMMATICO, COLPITO CON UN IGNOBILE CALCIO IN TESTA QUANDO ERA GIA’ A TERRA: ORA ESPORTIAMO SOGGETTI CHE DISONORANO IL NOSTRO PAESE
Una rissa sul retro di una discoteca, all’alba, nella zona della movida di Cadice, estremo sud-ovest della Spagna. Una violenza registrata in un video con un calcio alla testa che ha portato un 30enne del posto in coma e in prognosi riservata.
Per questo motivo la polizia della città spagnola ha arrestato quattro giovani italiani, studenti Erasmus, presunti responsabili del pestaggio.
Secondo quanto emerge finora i quattro sono campani di età compresa tra i 22 e i 30 anni e due di loro — incluso il ragazzo che ha sferrato il calcio alla testa — della provincia di Napoli.
I fatti sono avvenuti intorno alle 6.50 fuori da un locale. A ricostruire l’accaduto, che ha ancora molti aspetti da chiarire, è il quotidiano Diario de Cadiz che pubblica anche un video particolarmente scioccante: si vede il ragazzo cadere a terra dopo aver ricevuto un pugno in pieno volto e poi ricevere un calcio molto violento alla testa.
Il giovane a quel punto perde evidentemente i sensi tanto che tra le urla gli amici cercano di tirarlo in piedi ma lui resta privo di sensi.
Quello che non si sa, intanto, è il motivo che ha scatenato la rissa. I quattro italiani sono al commissariato di San Fernando in attesa di comparire davanti al giudice: come ha spiegato la polizia, sono detenuti in attesa di ricostruire tutto ciò che è accaduto, anche ascoltando i testimoni.
Secondo il giornale, la prognosi del ferito è ancora riservata e bisognerà aspettare le prossime 48 ore per capire se la vittima potrà riprendersi completamente.
Il giudice aspetterà il decorso per decidere se imputare al responsabile del calcio il reato di lesioni gravi o tentato omicidio.
La rissa è scoppiata sulla banchina del porto, per motivi ancora non chiariti, fra due gruppi di italiani e spagnoli. Nel video si vedono anche una ragazza che urla spaventata, mentre un’altra cerca successivamente di rianimare il ferito a terra privo di sensi.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
LA SHERNON HOLDING E’ STATA SCELTA DAL MINISTERO NOVE MESI FA… UN PIANO INDUSTRIALE MAI REALIZZATO E I MANCATI CONTROLLI
Shernon Holding, la società che gestiva i punti vendita di Mercatone Uno, è stata dichiarata fallita. Lo ha fatto sapere la Filcams-Cgil di Reggio Emilia con una nota nella quale si racconta che i lavoratori sono venuti a conoscenza del fallimento via Facebook nella notte. “Non c’è stata nessuna comunicazione ufficiale da parte dell’azienda”, ha spiegato Luca Chierici, segretario della Filcams di Reggio Emilia. Shernon Holding aveva acquisito i 55 punti vendita meno di un anno fa e circa un mese fa aveva presentato domanda di ammissione al concordato preventivo.
Sono oltre 1.800 i dipendenti in tutta Italia finiti in mezzo a una strada. ùù
Per il 30 maggio era stato convocato al ministero dello Sviluppo economico il tavolo di crisi su Shernon-Mercatone Uno. L’azienda aveva punti vendita tra gli altri a Bologna, Colle Val d’Elsa, Caltignaga, Trecate e Pombia (Novara), Gravellona Toce e Preglia di Crevoladossola (VCO), Reana (Udine) e Verdello (Bergamo).
Oltre 500 le aziende fornitrici coinvolte dalla vicenda della Mercatone Uno, che vantano crediti non riscossi per circa 250 milioni di euro.
Di fronte alla sentenza di fallimento, l’Associazione Fornitori Mercatone Uno rende noto di seguire attentamente “il percorso giuridico che si evolverà , soprattutto per capire le conseguenze tra questo fallimento e il procedimento di amministrazione straordinaria del Gruppo Mercatone, al fine di tutelare i crediti dei propri associati e i livelli occupazionali”.
I fornitori, ha dichiarato William Beozzo, direttore dell’Associazione, “hanno sempre manifestato a tutti gli organi competenti le proprie perplessità sull’operazione con Shernon Holding. Sono stati persi altri 8 mesi e ulteriori risorse finanziarie. Ricordiamo che in gioco non ci sono solo i 1.860 dipendenti del Gruppo, a cui mandiamo tutta la nostra solidarietà , ma anche tutti i dipendenti delle nostre aziende, un indotto che coinvolge in Italia quasi 10.000 persone”
“C’è un problema serio anche con la clientela: molta gente si è presentata stamattina nei punti vendita per ritirare merce sulla quale aveva già versato degli acconti nei giorni scorsi per migliaia di euro”, racconta Luca Chierici, segretario della Filcams-Cgil di Reggio Emilia, in presidio con i lavoratori della Mercatone Uno nel punto vendita di Rubiera. “Le persone, trovando il negozio chiuso, in alcuni casi se la prendono con i dipendenti che ovviamente non hanno alcuna responsabilità ”, spiega.
Scene analoghe si stanno ripetendo anche negli altri punti vendita in giro per l’Italia, dal momento che fino a ieri l’attività di vendita era proseguita senza problemi. “Al momento non sappiamo se domani o lunedì saranno in grado di riaprire, abbiamo provato a contattare il curatore fallimentare, ma invano”, ha aggiunto Chierici.
L’utente Marco Gherardi, attivista grillino dell’Emilia Romagna, scrive su Facebook:
D’altra parte i primi criminali sono stati proprio i vecchi commissari, che si sono fidati di una società che fa capo ad una holding con sede a MALTA (noto paradiso fiscale). Ma anche i sindacati hanno le loro colpe dato che dovevano controllarne la solidità , che non c’è mai stata dato che dei 40-50 milioni di euro in un anno ne erano stati versato 1/5. E il MISE? ahahahahahaha…. sapete cosa hanno detto alla riunione con i sindacati a Roma? Che la pratica era andata persa perchè avevano cambiato del personale. Loro che avrebbero dovuto CONTROLLARE.
Nel 2015 Mercatone Uno era sull’orlo del fallimento e venne salvata proprio dall’Amministrazione straordinaria speciale.
La stessa Shernon è stata costituita per acquisire la maggior parte dei punti vendita dall’Amministrazione straordinaria, operazione che ha consentito — si legge sul sito dell’Amministrazione straordinaria — “la salvaguardia occupazionale di 2.304 dipendenti pari a circa l’85% del totale degli occupati”.
E proprio nel maggio del 2018 il MoVimento 5 Stelle Sicilia aveva annunciato di aver chiesto l’apertura di un tavolo di crisi presso il MISE per discutere la chiusura dei punti vendita Mercatone Uno acquisiti da COSMO: «non possiamo non segnalare le preoccupazioni legate ai lavoratori che stando alle proposte da discutere ancora con le parti sindacali prevedono tagli pesanti al numero di occupati» aveva dichiarato il deputato dell’ARS Luciano Cantone. Poi dal M5S non è arrivato più nulla. Anche perchè da inizio di giugno al MISE si è insediato Luigi Di Maio. E forse non era il caso di sollevare il problema.
La senatrice PD Teresa Teresa Bellanova aveva accusato Di Maio di perdere tempo prezioso.
La CGIL se la prende con la proprietà e con il Ministero: «Questo imprenditore è stato scelto dal ministero: il suo piano industriale, le garanzie, e i partner sono stati vagliati e autorizzati dal ministero. Ci sta che il Governo, in quel dato momento, abbia valutato la proposta di Rigoni come la migliore, ma da quando abbiamo fatto l’accordo a giugno per la cessione del plesso aziendale sono passati nove mesi e in questi nove mesi un comitato di sorveglianza del ministero doveva vigilare, però non lo ha fatto» ha dichiarato all’agenzia DIRE Stefano Biosa, della Filcams-Cgil di Bologna.
Eppure di avvisaglie ce n’erano state diverse. A febbraio c’era stato un incontro con Shernon in cui era stata prospettata una ricapitalizzazione; se ne sarebbe dovuto capire di più in un altro summit il 5 aprile. Un altro tavolo era fissato per il 2 aprile a Roma ma è slittato. Al MISE a quanto pare la cosa non ha destato sospetti. Anche perchè — ricorda Biosa — «su questa azienda sono stati spesi milioni di euro di soldi pubblici in ammortizzatori sociali». Una ragione in più per vigilare, ma forse come dice la Bellanova il ministro era troppo impegnato ad andare in televisione.
Contro il governo si scaglia da Sinistra Nicola Fratoianni. “Sono allibito. 1.800 lavoratori dell’ex Mercatone Uno apprendono di notte e via Facebook del fallimento della Shernon Holding e della chiusura dei punti vendita in Italia. Dalla sera alla mattina ci si ritrova senza lavoro”, denuncia Fratoianni. “Da mesi c’erano avvisaglie sulla poca serietà della cordata – prosegue l’esponente della Sinistra – che aveva acquisito la catena dei negozi. Tanto che io stesso avevo visitato due punti vendita, uno in Toscana e uno in Abruzzo, con due interrogazioni al ministro Di Maio per avvertire dei rischi che i lavoratori mi avevano illustrato”. “Perchè non è intervenuto a quel tempo il governo? Adesso arrivano in batteria le dichiarazioni di ministri e sottosegretari, ma in questi 8 mesi – conclude Fratoianni – precisamente dov’erano?”.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
ECCO IL QUADRO GIURIDICO LA CUI VIOLAZIONE PORTA DRITTI DAVANTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA INTERNAZIONALE
“La guardia di frontiera e costiera europea garantisce la tutela dei diritti fondamentali nell’esecuzione dei suoi compiti a norma del presente regolamento in conformità del pertinente diritto dell’Unione, in particolare la Carta, il diritto internazionale pertinente, compresi la convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiati e il suo protocollo del 1967, così come degli obblighi inerenti all’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non respingimento”: così la Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, che l’Italia ha sottoscritto, garantisce che, nel portare a termine i suoi compiti di controllo e gestione dei confini dello spazio Schengen, l’agenzia Frontex tuteli i diritti umani come stabilito dal quadro giuridico di riferimento.
È proprio sulla base dei principi definiti anche da questa regolamentazione che le Nazioni Unite hanno chiesto all’Italia di ritirare, prima ancora che venisse approvato, il decreto sicurezza bis, la misura fortemente voluta dal ministero dell’Interno in cui veniva ulteriormente inasprita le normativa in materia di immigrazione.
“Il diritto alla vita e il principio di non respingimento dovrebbero sempre prevalere sulla legislazione nazionale o su altre misure presumibilmente adottate in nome della sicurezza nazionale”, scrive la nota, esortando le autorità italiane a “smettere di mettere in pericolo la vita dei migranti, compresi i richiedenti asilo e le vittime della tratta di persone, invocando la lotta contro i trafficanti. Questo approccio è fuorviante e non è in linea con il diritto internazionale generale e il diritto internazionale dei diritti umani”.
Ma vediamo con ordine la struttura giuridica sovranazionale con la quale si scontra il decreto di Matteo Salvini.
Il primo fra i diritti: il diritto alla vita
La Gazzetta ufficiale dell’Ue rimanda in primo luogo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, conosciuta anche come Carta di Nizza, un documento pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri, che si propone di definire i diritti essenziali che devono essere garantiti in modo imprescindibile in qualsiasi contesto.
Fra questi, vengono affermati il diritto alla vita, all’integrità degli individui e alle libertà della persona, la proibizione della tortura così come di trattamenti inumani e degradanti e il rifiuto della schiavitù; vengono poi sancite uguaglianza, solidarietà e il principio di non discriminazione.
La Carta riprende quindi l’orizzonte ideale della Dichiarazione universale dei diritti umani, redatta e approvata dai membri delle Nazioni Unite nel 1948, una linea con cui, secondo gli esperti dell’Onu, il decreto sicurezza cozza, “minacciando i diritti umani dei migranti, fra cui ci sono richiedenti asilo e vittime di tortura, di traffico di umani e di altri gravi abusi”.
Nessuna direttiva nazionale e nessuna azione politica del singolo Stato può in alcun modo negare o venire prima di questi diritti: non si tratta quindi semplicemente di una questione morale, ma di principi affermati dalla giurisdizione sovranazionale a cui l’Italia, come membro dell’Ue e dell’Onu, deve fare riferimento.
Infatti, la Costituzione italiana agli articoli 10, 11 e 117, afferma che le posizioni dell’autorità politica non possono in alcun modo derogare i trattati internazionali sottoscritti.
Ma ci sono anche altre clausole legislative più precise che mettono in discussione la direttiva del Viminale.
Per fare chiarezza, procediamo in ordine cronologico.
Il primo riferimento giuridico alla protezione delle vite in mare risale al 1914, quando l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), un istituto delle Nazioni Unite, ha deciso di redigere la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (Solas) in seguito al naufragio del Titanic.
Nel 1951 viene invece emanata la Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, un trattato dell’Onu che definisce chi sono i soggetti aventi diritto alla protezione internazionale e quali sono le responsabilità dei Paesi che si adoperano per garantire l’asilo agli stessi.
Anche il contenuto di questo documento fa riferimento alla Dichiarazione universale del 1948, specialmente all’articolo 14, e riconosce il diritto a chiedere asilo presso un Paese se in quello di origine vengono minacciate la vita e l’integrità della persona, ma anche la sua dignità e libertà .
L’articolo 33 della convenzione del 1951, ribadito anche nel Protocollo firmato a New York nel 1967 e in quello addizionale alla convenzione Ue, è particolarmente fondamentale quando si tratta di flussi migratori verso l’Ue: questo stabilisce il principio di non respingimento, per cui ad un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio, nè egli può esso essere deportato, espulso o trasferito verso luoghi in cui rischierebbe la persecuzione.
“Ciò si riferisce principalmente al paese dal quale l’individuo è fuggito, ma comprende anche ogni altro territorio dove l’interessato si trovi di fronte ad una simile minaccia”, ribadisce anche il rapporto redatto dall’IMO e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che si occupa di soccorso in mare.
Lo status di rifugiato non viene automaticamente attribuito a tutti i migranti, ma il quadro giuridico della Corte europea lo applica indipendentemente dal riconoscimento ufficiale o dal fatto che la domanda di asilo sia stata formalizzata
Cosa sono le zone Sar e come si determina un porto sicuro
Nel 1979 viene siglata ad Amburgo la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, elaborata dall’IMO. Questo è il documento a cui fanno riferimento i diversi ordini della Guardia costiera nazionali nel coordinare le operazioni di ricerca e soccorso (Sar) in mare.
Il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo italiano (Imrcc), in base al trattato, ha il compito di gestire le operazioni di soccorso nell’area di sua competenza, collaborando con gli omologhi internazionali.
La complessità nel definire le varie zone Sar è stata negli ultimi anni un motivo di scontro fra i governi europei, che si sono accusati a vicenda di non adempiere alle proprie responsabilità in materia di soccorso in mare.
Fanpage.it ha contattato l’avvocato Dario Belluccio, socio dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), per comprendere meglio cosa siano queste zone e gli obblighi concreti che comporta la loro istituzione per i vari Paesi.
L’avvocato ha sottolineato come in primis sia importante fare una distinzione: “La zona Sar non è una zona in cui lo stato esercita la sovranità , non fa parte dello Stato. Colui che esercita il controllo dovrà coordinare le attività di soccorso, ma ovviamente non si può impedire a terzi di navigare in una zona che non fa parte delle acque territoriali”. Queste zone, ha spiegato Belluccio, vengono dichiarate unilateralmente all’IMO, ma il riconoscimento ufficiale non è sufficiente: “Lo Stato deve anche avere gli strumenti per poter portare effettivamente a termine operazioni Sar e si deve adeguare sia alle convenzioni internazionali che tutelano la vita umana”.
In passato sono nate controversie sull’esistenza effettiva o meno di una zona Sar libica e sulla legittimità dei governi europei di collaborare con le autorità di Tripoli: “Indipendentemente dai dubbi riguardo all’effettiva esistenza dello Stato libico, stiamo parlando di soggetti che non hanno controllo sul proprio territorio nazionale e sicuramente non hanno la capacità di operare in ambito di convenzioni internazionali”, ha chiarito Belluccio.
Tuttavia, ha specificato l’avvocato, “la convenzione Sar è una convenzione che si rivolge innanzitutto ai natanti, prima ancora che agli Stati. Ogni natante è tenuto ad intervenire in caso di emergenza: il comandante di qualsiasi nave ha l’obbligo di effettuare operazioni di salvataggio nel momento in ci sia notizia di una situazione di pericolo in mare. Questi obblighi si concludono nel momento in cui le persone salvate vengono portare in un porto sicuro (place of safety, pos)”.
Anche l’individuazione di un porto sicuro è una questione che ha sollevato numerosi dubbi e controversie in materia di accoglienza di migranti.
Secondo la Convenzione di Dublino, qualsiasi richiedente asilo, entrando nello spazio Schengen, deve presentare la propria domanda nel Paese di primo approdo, indipendentemente da quale sia la sua destinazione finale.
Negli ultimi anni, questo ha costretto Paesi come l’Italia e Malta a farsi carico delle operazioni di prima accoglienza, per cui le autorità hanno iniziato a mostrare una certa riluttanza nell’offrire un proprio porto come luogo sicuro.
La recente retorica del ministero dell’Interno italiano ha spesso puntato il dito verso altri Stati costieri, spingendoli ad indicare un pos lungo le loro coste utilizzando l’argomento della vicinanza, quando si sono verificati episodi di naufragio di migranti nel Mediterraneo. “Il porto sicuro non è il porto più vicino. Su questo la normativa è chiarissima: il porto che viene definito sicuro è il luogo dove possono essere portate a termine le operazioni di salvataggio e le persone possono essere poste in sicurezza; inoltre devono avere la possibilità di esercitare i diritti fondamentali della persona umana”, ha precisato Belluccio.
“Il fatto che uno Stato non voglia o non possa garantire determinati diritti non costituisce in alcun modo una giustificazione per gli altri Stati, ciò è banale”, ha continuato l’avvocato, aggiungendo che nonostante sia “impossibile andare ad incidere su quelle che sono le determinazioni di altri Paesi, ciò non esclude che i Paesi dell’unione europea, l’Italia in primis, siano comunque tenuti e vincolati a rispettare tali obblighi”.
Determinare un porto sicuro è quindi un’azione che varia caso per caso, spesso dipendendo dalle contingenze del momento.
Quando la discrezione politica viola i diritti umani
“Il comandante ha delle prerogative. È l’unico che può dire, rispetto alle condizioni del mare, se sia opportuno o meno andare in una direzione, piuttosto che in un’altra. Inoltre è anche l’unico che conosce la situazione reale che si presenta sulla sua nave, per cui anche la condizione delle persone a bordo in termini di sanità e sicurezza o eventuali vulnerabilità . Sono valutazioni che può fare solo lui”, ha affermato Belluccio. Chiaramente il comandante deve consultarsi anche con le autorità competenti, che dovranno partecipare all’indicazione di un porto sicuro: “Ma se viene chiesto all’Italia di segnalare un porto sicuro, l’Italia non può indirizzare verso la Turchia, verso Malta o verso la Tunisia, perchè evidentemente ciò andrebbe al di là delle proprie competenze. Può indicare un luogo sicuro fra i porti del proprio territorio, ma il Viminale non ha potere di governare e amministrare i porti di altri stati sovrani”. Continuando a fare il punto della situazione su quella che è una tematica attualissima, visti anche i recenti casi che hanno coinvolto le navi Sea Watch e Mare Jonio, l’avvocato ha spiegato che, in caso non venga assegnato un porto sicuro, il comandante non ha il potere di far sbarcare le persone a bordo della sua nave, “ma questo si ricollega ad una responsabilità dello Stato che nega l’indicazione di un luogo sicuro”. Questo fatto, potrebbe rappresentare una seria infrazione dei diritti umani, perchè “se nella nave ci sono delle persone in pericolo di vita o le condizioni a bordo dovessero risultare umanamente degradanti, evidentemente lo Stato che nega l’attracco può essere sanzionato da parte anche della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione degli articoli 1 (diritto alla vita) e 2 (trattamenti umani degradanti) della convenzione Ue”.
Inoltre, ha precisato Belluccio, assumendosi la facoltà di determinare la chiusura di un porto, il ministero dell’Interno assumerebbe una competenza concorrente a quella del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Secondo un altro trattato fondamentale che regola la giurisdizione marittima, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), firmata a Montego Bay nel 1982, l’attracco ad un nave può essere negato solo in alcuni specifici casi, fra cui lo sbarco illegale di persone su territorio nazionale.
“Ma come fa un’autorità amministrativa, in questo caso appunto il ministero dell’Interno italiano, a sapere se su quella nave ci siano persone che stanno effettivamente compiendo una azione illegale? Se su quella nave ci sono delle persone che hanno intenzione di fare richiesta di asilo, di protezione internazionale, allora l’ingresso di quelle persone in Italia è consentito dalla legge, è consentito dall’articolo 10 comma 3 della Costituzione, ed è consentito dalla convenzione di Ginevra del 1951. Se su quella nave vi sono dei minori non accompagnati, il loro ingresso in Italia non determina alcuna irregolarità perchè per legge sono titolari di un permesso di soggiorno. Ad oggi si vuole forzare su questa indicazione di Montego Bay scollegandola però dalle convenzioni internazionali in materia”.
Una questione di priorità
Secondo Belluccio, è essenzialmente “pericoloso il fatto che, sulla base della normativa relativa al procedimento per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, cioè la legge 689 del 1981, si preveda che sia il Prefetto a poter stabilire determinate sanzioni nei confronti della nave che abbia trasgredito all’ordine dell’autorità amministrativa, e contestualmente sia lo stesso Prefetto, cioè un organo del ministero dell’Interno, a poter operare il sequestro cautelare della nave”.
In sostanza, questo significa che il governo ha la facoltà di ostacolare le operazioni Sar, un’attività stabilita da trattati che portano anche la firma italiana, come si è visto. “Si è arrivati ad una forma di criminalizzazione diretta e stabilita per legge delle navi che operano in attività Sar. Attraverso un apparato di sanzioni si ostacola ad operare. Ma non ci sono mai stati episodi di violazioni delle convenzioni internazionali e nemmeno della normativa nazionale in materia di salvataggio e soccorso dei naufraghi da parte della Marina militare italiana o di navi private italiane o straniere. Inoltre dobbiamo considerare che queste navi non si dirigono verso Paesi terzi per portare vie le persone e traendone una qualche forma di profitto. Queste sono imbarcazioni che salvano dei naufraghi in mezzo al mare”.
“Il punto fondamentale è che nell’ambito dei valori che vengono stabiliti dalle costituzioni e che vengono riconosciuti a livello internazionale, evidentemente il più alto e il più importante è il diritto alla vita. Chi opera per salvaguardare questo valore, che è il più grande di tutti quanti, non può essere sanzionato, non può avere ostacoli. Questo per un giurista è un fatto banale, ma dovrebbe esserlo per qualsiasi persona. Purtroppo oggi si sta verificando una progressiva inversione del paradigma analitico con cui siamo abituati a attribuire maggiore o minor valore a determinati diritti, e quello alla vita per le persone povere e straniere sembra ora soccombere rispetto ad altre questioni”, ha concluso l’avvocato.
(da “Fanpage“)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
SCARICABILI ANCHE DOCUMENTI D’IDENTITA’, COMUNICAZIONI E ACCREDITI
Più di 70mila email degli iscritti ai siti della Lega e del blog di Matteo Salvini sono stati hackerati da una divisione di Anonymous chiamata “CyberGuerrilla”.
Le mail — più di 23 gigabyte di dati — erano state sottratte nel febbraio del 2018, quando gli hacker di AnonPlus avevano preso il controllo del blog del vicepremier. All’interno, scrive l’Agi, c’è qualsiasi cosa: comunicazioni inviate dai sostenitori della Lega, richieste di accrediti stampa, documenti di identità .
Tutto scaricabile attraverso poche parole chiave, come su Google. Il sito dove trovare le mail è accessibile solo attraverso il dark web, ovvero la rete internet “sotterranea” e non direttamente accessibile usando i normali browser.
Nella pagina creata da CyberGuerrilla si vede un collage di foto del ministro dell’Interno sotto lo sguardo del presidente russo Vladimir Putin. E poi la scritta: “Leak Lega Nord and Minister of the Interior Matteo Salvini”, sia in inglese sia in russo.
Appena più in basso, c’è un vero e proprio motore di ricerca nel quale è possibile cercare tra i documenti allegati.
Tra gli allegati, segnala Agi, c’è anche il file utilizzato dal partito per gestire l’agenda di impegni del vicepremier, all’epoca impegnato nella campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 4 marzo 2018.
Nel febbraio 2018, il gruppo di pirati informatici AnonPlus pubblicò un comunicato contro il ministro dell’Interno, in cui lo accusavano di una serie di demeriti e avvertivano: “Salvini, vuoi diventare il premier della Nazione, ma a causa della tua incompetenza, nemmeno gli iscritti al tuo blog possono stare tranquilli”.
(da agenzie)
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