Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
GIORGETTI: “BILANCI CERTIFICATI DA MARONI”… LA REPLICA: “COLPA DI SALVINI CHE HA RITIRATO LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEI PROCESSI A BOSSI”
Chi comanda adesso fa il nome di chi comandava prima. Chi comandava prima non ci sta: e invita a rivolgersi a chi il potere lo tiene in mano adesso.
Che quella della Lega fosse la storia di un partito animato da feroci lotte intestine era noto.
Ed è anche comprensibile che gli scontri sotterranei diventino più violenti ed evidenti quando l’argomento è legato ai 49 milioni di fondi pubblici ottenuti con una truffa ai danni dello Stato.
Mai però il conflitto era arrivato a essere esplicitato sui giornali. E con la faccia di due pesi massimi del Carroccio di oggi e di ieri: Giancarlo Giorgetti e Roberto Maroni.
Che non corresse buon sangue tra l’ex governatore della Lombardia e il potente sottosegretario era cosa nota.
Basta andarsi a rileggere l’intervista rilasciata da Maroni a La Stampa nei giorni successivi all’indagine per corruzione sul sottosegretario Armando Siri.
“Il vero problema non è Siri, ma Giorgetti“, aveva detto a sorpresa l’ex ministro dell’Interno, focalizzando l’attenzione mediatica sul Richelieu di Matteo Salvini.
Che aveva replicato lapidario: “Maroni gufa un po’, sta cercando di rientrare in gioco“. “La verità è che più di Richelieu, Giorgetti somiglia a Mazzarino. È l’unico vero politico di tutta la storia della Lega, dopo Bossi”, dice un vecchio e importante esponente del Carroccio al fattoquotidiano.it.
Cresciuto all’ombra del senatùr, arrivato al vertice del partito già ai tempi della secessione della Padania, Giorgetti è rimasto in sella anche durante l’interregno di Maroni, quando riuscì a farsi nominare tra i saggi di Giorgio Napolitano.
“Poi ha capito che il leader del futuro era Salvini, che a tirare sarebbe stato il nazionalismo non la Padania. E si è riposizionato per tempo, eliminando uno a uno i nemici interni. Maroni lo odia per questo. Perchè ha fatto a lui quello che lui aveva fatto a Bossi”, continua la stessa fonte.
In questo senso è facile intravedere una serie di messaggi trasversali anche dall’ultimo botta e risposta a distanza tra i due.
Il solitamente riservato Giorgetti ha convocato una conferenza alla sala Stampa estera per rispondere — tra le altre cose — anche una domanda sugli ormai stranoti 49 milioni di euro. “Che fine hanno fatto quei soldi? Tutti i bilanci sono certificati e pubblici da quando divenne segretario Roberto Maroni, poi le inchieste possono andare avanti anche per decenni… finirà anche questa”, ha detto l’highlander del Caroccio.
Una dichiarazione che può suonare pacifica e minimalista a tutti, tranne che al diretto interessato.
Maroni, infatti, sa bene che il tesoretto lasciato nelle casse della Lega da Bossi è Francesco Belsito comincia a evaporare durante i suoi quindici mesi al vertice del partito di Alberto da Giussano: nel 2011 a bilancio era iscritto un patrimonio da 46 milioni, nel 2017 è sceso a 4,5 milioni.
Che fine hanno fatto quei soldi? Sono semplicemente stati spesi. E i bilanci — come dice Giorgetti — sono stati certificati dalla Pwc, società di revisione ingaggiata proprio da Maroni per diradare ogni ombra su via Bellerio.
Il problema, semmai — come segnalava l’ex revisore Stefano Aldovisi in un esposto alla procura depositato alla fine del 2017 — è capire come siano stati spesi. Come ha raccontato ilfattoquotidiano.it, proprio durante la gestione Maroni alcune voti nei bilanci — pubblici e certificati — esplodono: dai contributi alle associazioni, ai mai chiariti “oneri diversi di gestione“, fino alle spese legali.
Sarà anche per questo che a poche ore dalle dichiarazioni di Giorgetti, il settimanale l’Espresso anticipa i contenuti di un’intervista a Maroni.
Oggetto del colloquio? Ma ovviamente gli ormai notissimi 49 milioni di euro.
L’ex governatore, ovviamente, non fa cenno alle parole del sottosegretario ma si focalizza su un passaggio molto più tecnico: la mancata costituzione di parte civile del Carroccio nei processi a Bossi.
“Sulla storia della truffa da 49 milioni la Lega era parte lesa, perciò i giudici avevano accolto la costituzione di parte civile che avevo fatto io. Così facendo saremmo stati considerati parte offesa e avremmo tutelato la Lega da azioni risarcitorie. Poi avremmo dovuto chiedere noi i soldi ai condannati. Ovviamente non avrei mai obbligato Bossi a ridarci alcunchè, ma in questo modo avrei salvaguardato il partito”.
Maroni, che è tornato a fare l’avvocato nello studio del fidato Domenico Aiello, in pratica ricorda che di quella truffa ai danni dello Stato erano accusati Bossi e Belsito. Se la Lega fosse rimasta parte civile, nessuno oggi avrebbe chiesto al Carroccio quei 49 milioni, oggetto delle ricerche delle procure Genova, Milano e Bergamo. Solo che quella costituzione di parte civile “poi Salvini l’ha ritirata, e il partito oggi paga le conseguenze di questa scelta”, ricostruisce sempre l’ex governatore.
Tradotto: per colpa di Salvini ora il partito deve restituire quei soldi. Dunque chi chiede notizie dei 49 milioni è con l’attuale segretario che deve parlare, non con con quello passato.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
LA FUGA DI ARTISTI E INTELLETTUALI
Attori, intellettuali, cantanti. Erano in tanti ad aver fatto il proprio endorsement per il Moviemento 5 Stelle. Ma oggi in molti hanno iniziato a manifestare il proprio pentimento.
Si legge sulla Stampa:
In questi giorni se n’è accorta bene Fiorella Mannoia, cantautrice, di sinistra, che nel 2013 spiegava: «I 5 stelle sono davvero in gamba, hanno tutti contro. Io sono di sinistra, per questo non voto Pd». (…)
Acqua passata, adesso la Mannoia ha concesso l’uso di una sua canzone al leader democratico Nicola Zingaretti ed è una dei tanti intellettuali – tra i quali appunti diversi altri «pentiti» – che hanno firmato un appello di voto in favore della Sinistra, il partito di Nicola Fratoianni”
Ma non è la sola, si legge ancora sulla Stampa:
Nello stesso appello firmato da lei compaiono anche lo storico Aldo Giannuli, Franco «Bifo» Berardi, uno dei protagonisti della sinistra extraparlamentare degli anni ’70, l’urbanista comunista Paolo Berdini che per qualche mese è stato assessore della giunta Raggi, il vignettista Vauro. T
utti con una storia di sinistra e tutti recentemente «pentiti». (…)
Ma l’elenco è ancora lungo. Anche se non hanno sottoscritto l’appello in favore della Sinistra, negli ultimi mesi hanno mollato i 5 stelle anche gli attori Claudio Santamaria e Michele Riondino, Sabrina Ferilli e Sabina Guzzanti.
E i pentimenti non sono arrivati solo da sinistra, anche lo storico Ernesto Galli Della Loggia ha ammesso di avere «sbagliato», sia pure in buona fede per «provare a cambiare».
(da “NextQuoidiano”)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL “SECOLO XIX”: SCELTE LOGISTICHE SBAGLIATE, AGENTI DI FUORI CITTA’, SCONTRI CHE POTEVANO ESSERE EVITATI, QUALCUNO HA VOLUTO IL CONTATTO
Piazza Corvetto, se la si osserva al riparo della speculazione politica, è soprattutto la storia di un fallimento tattico e strategico da parte della forza pubblica.
Gli scontri tra la polizia e le frange violente, che si erano messe in testa alle centinaia di manifestanti pacifici contro il comizio di CasaPound in piazza Marsala, potevano essere evitati.
Se invece sono divampati e hanno coinvolto persone non violente è a causa di una lunga serie di errori. Visibili dal vivo a occhio nudo.
Il primo errore è stato quello di non capire che autorizzare quel comizio era una bomba a orologeria. Chi non ha posto il veto ha dimostrato di non conoscere la piazza genovese: era scontato che la presenza così ostentata di una formazione neofascista avrebbe calamitato quel tipo di contromanifestazione.
A questo si è aggiunto l’abbaglio di schierare contingenti di polizia in arrivo da fuori: la presenza di quei reparti ha portato in prima linea agenti che ignoravano la Piazza e le piazze.
Non avevano il polso della situazione su chi fosse a Corvetto (gente di mezza età , reduci dal G8, pacifisti, portuali, giovani, esponenti della sinistra e — certo — un gruppo di esagitati), nè avevano contezza di eventuali loro spostamenti sbagliati.
Così, quando il dirigente ha schierato un plotone tra le grate e la massa che pressava, lo scontro è diventato inevitabile. Il gioco poteva essere condotto ancora per un’ora come si era snodato fino a quel punto: la massa saliva verso le grate, si scontrava senza effetti sullo schieramento immobile di polizia, veniva allontanata con il lacrimogeno, si rialzava e rimetteva in moto il pendolo.
Dopo cinque o sei movimenti del genere, la piazza poteva essere sciolta dichiarando concluso il comizio neofascista e lasciando ai manifestanti l’impressione di aver vinto la contesa.
Invece, messa sul tavolo l’opzione del contatto, il contatto c’è stato.
Consentendo di speculare sull’intenzionalità di crearne le condizioni. Tanto più che le vie di fuga erano state tutte chiuse, tranne via Santi Giacomo e Filippo: quando la polizia ha dovuto scaricare proprio su quella strada, allontanando gli autonomi, ecco che l’equilibrio si è rotto.
Da un lato la manovra ha esposto al rischio di scontri tutti i manifestanti pacifici, che già erano stati travolti da un centinaio di lacrimogeni inspiegabilmente sparati a campanile (arrivati così fin sotto la Prefettura); dall’altro ha fatto correre a un contingente di carabinieri il rischio di essere colto alle spalle da gruppi fuggiti da via Serra e riparati su via XII Ottobre. La cosa avrebbe avuto conseguenze. Alcuni lacrimogeni che erano finiti oltre le camionette, infatti, sono stati rispediti da una manciata di ragazzi proprio in mezzo ai militari schierari e fermi.
In mezzo, alcuni errori spiccioli: la polizia non deve rispondere alle provocazioni, invece, provocata, l’ha fatto. Con contro-lanci di bottiglie e altri oggetti da parte degli agenti e con altri atteggiamenti di sfida in risposta ad atteggiamenti di sfida.
Anche in questo caso, a rischio sono finiti i manifestanti pacifici, a vantaggio dei pochi facinorosi incappucciati che potevano essere tranquillamente isolati (il servizio d’ordine dei portuali aveva già provveduto a contenere un paio di suoi ragazzi).
Arrivati allo scontro, per la resistenza al ripiegamento di una decina di uomini con il casco in testa e armati di bastoni, ecco la reazione più scomposta.
La carica è stata disorganica, generalizzata e brutale: prova ne è il fatto che a subirne le conseguenze tra la gente in fuga sulla collina dell’Acquasola, sia stato il giornalista Stefano Origone di Repubblica, colpevole solo di essere sul posto di lavoro. La veemenza con cui è stato picchiato svela la pressione cui sono stati sottoposti i poliziotti.
(da “il Secolo XIX“)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
“LA SITUAZIONE STA DEGENERANDO E POTREBBE ANCORA DEGENERARE”
Marco Doria, Genova blindata per il comizio di Casapound, gli scontri e i lacrimogeni e un giornalista di Repubblica manganellato dalla polizia. Cosa ne pensa?
«Mi sembra che la situazione sia grave, ci sono una molteplicità di segnali che dimostrano come al di là della felpa ci siano collegamenti di tipo politico tra la Lega di Salvini e le formazioni neofasciste».
La risposta della polizia è stata molto violenta. Una scelta voluta, secondo lei?
«È molto grave un uso della forza che diventa violenza da parte della polizia che si scatena in maniera assolutamente spropositata colpendo delle persone inermi che non possono in alcun modo essere considerate pericolose. È il caso del giornalista steso a terra e preso a bastonate, a cui va tutta la mia solidarietà , che mi ricorda l’immagine del ragazzo assolutamente disarmato preso a calci in faccia da un dirigente della polizia durante il G8. Devo registrare che sono arrivate subito le scuse sincere del Questore; però sono convinto che un comportamento non controllato e violento non sia solo il frutto della tensione che in certo momenti i poliziotti comprensibilmente sentono, ma ci sia una oggettiva legittimazione politica a quel tipo di comportamento. E, su un altro piano, fa il paio con i pompieri che muovono i loro mezzi per rimuovere uno striscione dal balcone o il provveditore che sospende la docente per un video degli studenti»
Pensa sia un’esasperazione legata al clima elettorale?
«No, non credo: è una deriva che non è iniziata con questo governo, ma sicuramente il ministro dell’Interno, con i messaggi che lancia, ha responsabilità pesantissime».
Ma aveva senso blindare così il centro di Genova per uno sparuto drappello di neofascisti
«Andiamo oltre, io voglio portare il mio impegno su come si contrastano questi fenomeni. L’obiettivo non è impedire un comizio con 20 persone, ma fare un’azione pacifica, valoriale, politica”
Ritiene che la giunta di Marco Bucci sia troppo disponibile verso queste formazioni?
«Gli spazi a questi neofascisti non li dà una giunta, ma una deriva incoraggiata dalla Lega di Salvini e dalle paure di una società invecchiata e in crisi. Se si afferma una posizione di neutralità , allora non accetto che si minacci un presidente di municipio che nella sua autonomia politica decide di dare un patrocinio, che è un atto politico, al Liguria Pride. Questa neutralità non è in tutte le direzioni, i moderati devono capire come la situazione stia degenerando e potrebbe ancora degenerare».
(da “La Repubblica”)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
PER SINCERARSI DELLE SUE CONDIZIONI HANNO CHIAMATO IN TANTI, TRA CUI MATTARELLA, FICO, PREFETTO, QUESTORE E TANTI AGENTI E CITTADINI…. IL VICEQUESTORE BOVE CHE LO HA SALVATO MERITEREBBE UN ENCOMIO, GLI AGENTI RESPONSABILI DELL’AGGRESSIONE SONO CINQUE
Stefano Origone, il giornalista di Repubblica colpito a manganellate giovedì da un gruppo di poliziotti durante i tafferugli di Genova, è stato operato alla mano ieri pomeriggio all’ospedale Galliera: il chirurgo ha ridotto le fratture, le ossa erano «sbriciolate». Respira a fatica per via della costola a pezzi.
E al suo giornale racconta che ha ricevuto tante chiamate di solidarietà , tranne quella del responsabile dell’ordine pubblico in Italia: Matteo Salvini.
Racconta delle forze dell’ordine, che in piazza Marsala dovevano proteggere tutti i genovesi e garantirne la sicurezza durante le proteste per il comizio di CasaPound. Parla degli agenti del reparto mobile, che abbandonata all’improvviso la “gabbia” sono partiti con una furibonda carica per motivi che devono ancora essere chiariti. Hanno cominciato a picchiare chiunque gli capitasse davanti.
Il cronista di Repubblica terrorizzato gridava: «Sono un giornalista». Ma quelli, niente. Gli ha salvato la vita un funzionario di polizia, che dopo averlo riconosciuto gli ha fatto scudo col proprio corpo. Però intanto, quante botte.
Ieri lo ha contattato il Quirinale: Mattarella ha chiesto notizie del suo stato di salute.
Anche Fico, presidente della Camera, lo ha cercato telefonicamente per sincerarsi delle sue condizioni. Il ministro dell’Interno Salvini, no.
Origone ha ricevuto in ospedale la visita e le scuse ufficiali del questore di Genova, Vincenzo Ciarambino, e del capo della squadra mobile Marco Calì. Una telefonata del prefetto del capoluogo ligure, Fiamma Spena: «Mi dispiace tanto».
Sul cellulare continuano ad arrivargli messaggi di solidarietà e richieste di perdono da parte di agenti e ufficiali. «Volevo rinnovarti le mie scuse ed auguranti una pronta guarigione», scrive via WhattsApp Giampiero Bove, il vicequestore che con ogni probabilità l’altro giorno gli ha salvato la vita. Invece
Salvini, da cui dipende la polizia, non si è proprio fatto sentire. Neppure il premier Conte, nemmeno Di Maio.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
IL PRIMO CITTADINO DI TRIESTE CHE MOSTRA IL DITO MEDIO AL CESTISTA NERO E LA PENOSA GIUSTIFICAZIONE: “VOLEVO FARE PRESSIONE PSICOLOGICA PER VINCERE LA PARTITA”
Un gestaccio del sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (Forza Italia), rivolto a Mangok Mathiang, giocatore sudanese della squadra avversaria, la Vanoli Cremona, durante un match decisivo contro l’Alma Trieste: è successo l’altra sera, mentre in casa si disputava la gara tre dei quarti di finale dei playoff.
Un atteggiamento che ha suscitato molte polemiche. Protesta il vicepresidente della Vanoli: “Gesto brutto”. La società di casa: “Non vogliamo che da questa città parta un messaggio sbagliato”
In un’intervista a una emittente locale, Dipiazza spiega qual era, secondo lui, l’atmosfera nel palazzetto: “C’era tensione, perchè se si perdeva si andava a casa. Ho cercato di fare pressione psicologica per cercare di vincere e abbiamo vinto”.
Questo sarebbe un sindaco che dovrebbe dare l’esempio ai propri concittadini?
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
SOLO IN ITALIA UN GOVERNO NON SEGUE LA VICENDA E NON INTERVIENE A TEMPO PER IMPEDIRE UN EPILOGO CHE GETTA NELLA DISPERAZIONE 12.000 FAMIGLIE TRA DIPENDENTI E INDOTTO
Fallimento scoperto via Facebook, negozi chiusi all’improvviso e 1.800 lavoratori sconvolti. La Filcams-Cgil di Reggio Emilia ha fatto sapere che Shernon Holding, la società che gestiva punti vendita di Mercatone Uno, è stata dichiarata fallita.
Secondo la ricostruzione data dal sindacato, i lavoratori sono giunti a conoscenza del fallimento attraverso il passaparola sul social network, soltanto nella notte: “Non c’è stata nessuna comunicazione ufficiale da parte dell’azienda”, ha spiegato Luca Chierici, segretario della Filcams di Reggio Emilia.
In una nota congiunta con Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, i sindacati hanno poi fatto sapere che “questa notte si è appreso che il tribunale di Milano ha dichiarato il fallimento della società e i direttori hanno comunicato ai lavoratori il divieto di accedere ai locali aziendali”.
Risultato: saracinesche chiuse, nessuno ha potuto raggiungere il suo posto.
“C’è un problema serio anche con la clientela – ha aggiunto Chierici – molta gente si è presentata stamattina nei punti vendita per ritirare merce sulla quale aveva già versato degli acconti nei giorni scorsi per migliaia di euro”.
Per le sigle si tratta dell’ennesima “disavventura che i lavoratori si trovano ad affrontare ed iniziata ormai 7 anni fa. Dopo anni di contratti di solidarietà , cassa integrazione, amministrazione straordinaria e un altro fallimento di cui, a distanza di 3 anni, sono ancora in attesa di poter ricevere le loro spettanze”.
Insomma, “è una vergogna e chiediamo chiarezza in quanto tutto quello successo negli ultimi 8 mesi con la gestione Shernoon Holding risulta inspiegabile”.
Per il momento, “non si sa cosa succederà ai dipendenti e se nei prossimi giorni potranno riaprire i punti vendita. Si chiede chiarezza e certezza”.
Shernon Holding aveva acquisito i 55 punti vendita dello storico marchio emiliano, dal Piemonte alla Puglia, nell’agosto del 2018, annunciando un piano di rilancio che prevedeva importanti ricavi già dal 2022.
Nello scorso aprile, però, aveva presentato domanda di ammissione al concordato preventivo in continuità , garantendo la tenuta occupazionale fino al 30 maggio. Proprio quel giorno, infatti, è programmato da tempo un incontro al Mise, per studiare un piano di salvataggio.
La chiusura scattata ora è l’effetto della sentenza di venerdì, con la quale il tribunale fallimentare di Milano ha decretato il fallimento della Shernon.
I sindacati hanno ricordato che già all’incontro al Mise del 18 marzo scorso era stato garantito che tutti i 1.800 dipendenti dei 55 punti vendita passati a Shernon sarebbero stati riassorbiti dall’amministrazione straordinaria. “Tuttavia non sappiamo cosa succederà successivamente – continuano dal sindacato – E’ perciò di massima urgenza convocare un tavolo imminente con il Mise, l’amministrazione straordinaria, il curatore fallimentare, per capire cosa succederà “.
In allarme anche le oltre 500 aziende fornitrici coinvolte dalla vicenda, che vantano crediti non riscossi per circa 250 milioni di euro. Riuniti in Associazione, le società fanno sapere in una nota di seguire attentamente “il percorso giuridico che si evolverà , soprattutto per capire le conseguenze tra questo fallimento e il procedimento di amministrazione straordinaria del Gruppo Mercatone, al fine di tutelare i crediti dei propri associati e i livelli occupazionali”.
William Beozzo, direttore dell’associazione, ha attaccato: “Sono stati persi altri 8 mesi e ulteriori risorse finanziarie. Ricordiamo che in gioco non ci sono solo i 1.860 dipendenti del Gruppo, a cui mandiamo tutta la nostra solidarietà , ma anche tutti i dipendenti delle nostre aziende, un indotto che coinvolge in Italia quasi 10.000 persone”
(da agenzie)
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