Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
DALL’ELEMOSINIERE DEL PAPA ALL’INTERVISTA DEL PRESIDENTE ALL’OSSERVATORE ROMANO: ESEMPI E PAROLE DI CIVILTA’ IN UN PAESE ALLA DERIVA MORALE
Leggetela, questa intervista di Mattarella, con accanto qualche dichiarazione, scelta a caso, in questa rumorosa campagna elettorale su sicurezza, migranti, difesa dei confini e degli egoismi nazionali, Europa come minaccia da cui proteggersi.
C’è, nelle parole che il capo dello Stato affida all’Osservatore romano, un’“altra” idea dell’Italia (e dell’Europa), profondamente diversa dalla narrazione di un paese rabbioso e incattivito.
E profondamente diversa dall’iconografia di una politica muscolare e cattivista, divisiva nei toni e negli atti, in cui l’altro più che una risorsa diventa una minaccia.
Sentite questo passaggio, in cui parla, degli “atteggiamenti di intolleranza, aggressività , di chiusura alle esigenze altrui”: “Sono fenomeni minoritari, sempre esistiti, ma sembrano attenuate le remore che prima ne frenavano la manifestazione. Appare così in tutta Europa e anche in altri continenti”.
In modo neanche tanto velato il riferimento è al filo nero che sembra legare l’Occidente, questo Sessantotto alla rovescia, dai muri di Trump ai porti chiusi di Salvini, ai bambini separati nelle mense di Lodi come accaduto qualche tempo fa: dalla società affluente, basata sulla dilatazione dei diritti, alla società della crisi, fondata sulla chiusura su di sè, in cui tutto ciò che è diverso fa paura.
Società in cui si sono create “periferie esistenziali, non solo esistenziali, ambiti di sofferenza e disagio, frutto di smarrimento”.
Paura, solitudine, disagio, rabbia, che minano il senso di una comunità , intesa come valori e destino comune.
È una narrazione, quella del capo dello Stato, che nei toni e nei principi è l’opposto del sovranismo e della sua gigantesca macchina della paura, alimentata a prescindere dai risultati.
Diciamo le cose come stanno: sarà anche stata fissata prima della campagna elettorale questa uscita, ma il timing della pubblicazione e la scelta dei “media” del Vaticano è un atto squisitamente politico.
Nessun Papa prima di Francesco, verso cui Mattarella manifesta una sintonia di fondo, aveva sentito rimbombare dentro di sè con tale crescente intensità , l’eco di un duello di civiltà , tra l’angelo dell’accoglienza e il demone dell’intolleranza, al punto da dedicare le meditazioni della via crucis ai migranti o a ricevere in Vaticano la famiglia rom di Casal Bruciato, vittima di una intolleranza artatamente aizzata, o difendere il meraviglioso gesto del suo Elemosiniere, figlio dell’insofferenza verso la cultura dell’odio che, in parecchi, anche nel governo italiano promuovono.
E nessun Papa che, come suo primo atto andò a Lampedusa rifiutando la presenza di politici accanto a sè, aveva “chiuso le porte”, a un ministro dell’Interno, ancora in attesa di essere ricevuto in udienza privata, lasciando chiaramente intendere che non è gradito chi persegue e alimenta la cultura della discriminazione.
C’è tutto il senso di una discesa in campo, ognuno nel suo ruolo ma in una battaglia valoriale comune, di due grandi autorità politiche e morali, Papa Francesco e Mattarella, alla vigilia di questa sorta di ’48 europeo, elezioni vissute come uno spartiacque storico.
E c’è tutto il senso di un idem sentire nell’europeismo non di maniera del capo dello Stato, che riconosce limiti nel processo di costruzione dell’Unione europea che “dà l’impressione di essersi fermato, come in ordinaria amministrazione, anche per il freno posto da parte di alcuni paesi”.
La risposta non è la rinuncia al disegno storico, ma una nuova riscoperta della tensione che lo ha animato: “Papa Francesco, con saggezza, indica il centro della questione. L’Europa deve recuperare lo spirito degli inizi. Deve curarsi di più della sorte delle persone. Deve garantire sempre maggior collaborazione, uguaglianza di condizioni, crescita economica, ma questo si realizza realmente soltanto con una crescita culturale civile, morale”.
Leggete ora le dichiarazioni di questi giorni, in una campagna elettorale che ha sdoganato i cattivi sentimenti, priva di un solo titolo contenente la parola “solidarietà ”, imprigionata nell’ossessione securitaria, priva di un confronto vero, di fondo, sull’orizzonte europeo che vada oltre la polemica su questo o quel numeretto di deficit. Non chiamatelo manifesto anti-sovranista questa sintonia valoriale tra il capo dello Stato e il capo della Chiesa e il reciproco riconoscimento nell’attenzione agli ultimi. Chiamatele, semplicemente, parole di civiltà .
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
DOMANI PROTESTA A MONTECITORIO CONTRO L’IMMOBILISMO DEL GOVERNO SULLA RICOSTRUZIONE: “CI HANNO TRADITO”
Su la testa. E’ un appello all’orgoglio, una sorta di “chiamata alle armi” (metaforica, si intende) quella lanciata dai terremotati del Centro Italia a 2 anni e nove mesi dal 24 agosto del 2016, quando la prima di una lunga serie di forti scosse di terremoto ha stravolto l’esistenza di decine di migliaia di persone in 140 comuni di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo.
Ebbene, dopo due anni e nove mesi la ricostruzione è ancora un miraggio, mentre le persone che hanno retto all’urto del sisma devono fare i conti con l’abbandono: Sae (casette d’emergenza) consegnate in ritardo e spesso difettose, perdita di migliaia di posti di lavoro, macerie ancora da recuperare e una burocrazia asfissiante.
Il governo Conte aveva promesso che avrebbe accelerato la ricostruzione ma ad oggi non si è ancora mosso nulla, mentre è sempre maggiore la sensazione che il dramma del sisma sia servito per raccattare voti, salvo poi abbandonare il “dossier terremoto” in fondo alle priorità . E’ per questo che domani, sabato 18 maggio, centinaia di terremotati raggiungeranno Roma da ogni angolo del cratere e manifesteranno la loro rabbia.
A due anni e nove mesi dalla prima scossa di terremoto qual è la situazione nelle aree del centro Italia colpite dal sisma? A che punto è la ricostruzione?
Quale ricostruzione? Siamo “congelati”, nonostante le roboanti rassicurazioni in campagna elettorale da parte di tutti i leader che sono venuti nel cratere. Oggi noi consideriamo quelle promesse tradite e quei comizi non degli impegni assunti, ma delle passerelle elettorali. La ricostruzione infatti è in altissimo mare: migliaia di domande presentate dai proprietari di immobili distrutti o danneggiati giacciono ancora negli uffici in attesa di essere valutate. Basti pensare alla provincia di Ascoli Piceno: al 30 aprile scorso, cioè a più di due anni e mezzo dal sisma, sono state presentate 945 domande di ricostruzione per “danni lievi” e 276 per “danni gravi”. Ebbene, a questa data in tutta la provincia è stato dato il via all’iter per i lavori a soli 435 progetti a danno lieve e a 36 progetti a danno grave. La situazione nel cratere maceratese, quello di gran lunga più colpito, è decisamente peggiore. Qui le pratiche presentate sono ben 3.370; poche decine di quelle con “danno grave” sono state approvate. Da questo governo ci aspettiamo una svolta, ma assistiamo a una continua rincorsa a slogan e propaganda. La ricostruzione dovrebbe essere in cima all’agenda politica.
Il 18 maggio avete deciso di indire una manifestazione di protesta a Piazza Montecitorio. Il vostro slogan è “stop passerelle e selfie, non abbiamo governi amici”. La contestazione cade una settimana prima delle elezioni europee e ha tutta l’aria di essere una critica al governo giallo-verde, come prima avete criticato le gestioni del PD. Cosa vi era stato promesso prima del 4 marzo 2018?
Prima delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 avevamo sottoposto a tutti i leader dieci domande su come intendessero affrontare la ricostruzione delle aree colpite dai terremoti. Tutti ci hanno assicurato che si sarebbe proceduto a una sburocratizzazione, ma al momento non è stato fatto niente. L’impianto normativo non è cambiato e continuano a prodursi norme che non semplificano la situazione. Il cosiddetto decreto Sblocca Cantieri in discussione non contiene nulla di risolutivo, anzi presenta elementi preoccupanti che possono incentivare lo spopolamento delle aree colpite dal sisma. Insomma, la fiducia è stata tradita e per questo manifestiamo a una settimana dalle elezioni europee: vogliamo che chi ci ha preso in giro paghi, anche in termini di consenso. E’ così che ci siamo comportati coi governi di centrosinistra; è quello che intendiamo fare anche con il governo giallo-verde. Non abbiamo governi amici.
In questi oltre due anni avete incontrato ministri, commissari straordinari, presidenti di regione, partecipato a tavoli istituzionali e più volte manifestato nel cratere. Quali sono state le proposte che avete elaborato per il rilancio delle aree colpite dalla sequenza sismica del 2016/2017?
E’ vero, abbiamo partecipato a decine di tavoli istituzionali con i tre governi e presentato decine di proposte, tutte di buon senso, sostenibili. In sintesi ci siamo mossi su tre elementi: la semplificazione burocratica e un quadro di regole certe, perchè oggi assistiamo a norme straordinarie che sovente confliggono con quelle ordinarie; il sostegno al lavoro e al reddito; la partecipazione democratica.
Potete entrare nello specifico?
Gli uffici tecnici devono lavorare migliaia di domande di ricostruzione, necessitano di personale qualificato, motivato e stabile. Occorre poi differenziare il cratere per aree di danno. Proponiamo l’istituzione di un’area rossa, gialla e verde e la consequenziale redistribuzione delle risorse e degli strumenti assistenziali tenendo conto delle priorità . Oggi una città completamente rasa al suolo come ad esempio Arquata del Tronto e una solo lievemente danneggiata sono identiche per chi deve coordinare la ricostruzione.
Occorre poi sostenere reddito e lavoro, oppure si rischia di ricostruire case che rimarranno vuote. Per questo abbiamo chiesto che venga istituita una vera zona franca di medio-lungo periodo per chi lavora nel cratere, in particolare a sostegno delle imprese agricole, degli artigiani e in generale di tutta la filiera agroalimentare. Abbiamo poi chiesto l’approvazione di un “reddito di cratere” che rappresenti un’evoluzione del reddito di cittadinanza e che venga erogato su base proporzionale in base all’Isee, giacchè è evidente che un disoccupato non può percepire la stessa somma di un notaio come, invece, sta accadendo adesso con il CAS (Contributo di autonoma sistemazione). Infine è necessario potenziare i meccanismi di partecipazione democratica: per questo abbiamo chiesto che una delegazione di terremotati partecipi costantemente ai tavoli istituzionali. Quello della ricostruzione sarà il cantiere pubblico più grande d’Europa e la partecipazione può essere l’unico elemento a garantire controllo e trasparenza.
Avete condotto una battaglia sulla gestione dei fondi europei — e di quelli derivati dagli sms solidali — erogati per la ricostruzione. Cosa è accaduto? Come volete che vengano impiegati?
Quella degli sms solidali è stata una nostra battaglia vinta: la regione Marche in particolare, che rappresenta da sola oltre il 60 per cento del cratere, aveva deciso di dirottare quei soldi donati dagli italiani per scopi che evidentemente non avevano molto a che vedere con l’emergenza terremoto, pur essendo pienamente legali. La Regione aveva deciso di destinare quel denaro, ad esempio, alla realizzazione di piste ciclabili; niente di illegale, ma noi abbiamo chiesto che venissero invece dirottati per sostenere le vittime dei terremoti e le famiglie che avevano perso i loro cari sotto le macerie.
Per quanto invece riguarda i fondi europei per lo sviluppo economico regionale abbiamo condotto una battaglia affinchè quei 240 milioni di euro (in aggiunta ai 300 milioni ordinari) venissero investiti nelle aree maggiormente colpite dal terremoto e non in zone marginali o addirittura, come accaduto in troppi casi, fuori dal cratere. Vogliamo inoltre che quel denaro venga investito in progetti concordati con le popolazioni e non in grandi opere calate dall’alto. Vogliamo infine che quei fondi contribuiscano a rilanciare progetti legati alla vocazione del territorio, quindi pienamente ecosostenibili
Inchieste sindacali e giornalistiche hanno portato alla luce gravi irregolarità nella costruzione delle SAE, spesso difettose e affidate a lavoratori in nero. Nel frattempo è emerso lo spettro di ditte legate alla criminalità organizzata interessate agli appalti in quello che è stato definito il cantiere più grande d’Europa….
Il coordinamento dei Comitati Terremoto Centro Italia ha contribuito a denunciare le condizioni indecenti di molte soluzioni abitative emergenziali consegnate dalla Protezione Civile: quelle case avrebbero dovuto dare sollievo temporaneo a migliaia di terremotati, ma sovente sono state realizzate così male da essere marcite dopo pochi mesi. Abbiamo anche seguito le inchieste sul lavoro nero e quelle sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nella ricostruzione. In tal senso la risposta può essere una soltanto: far lavorare le aziende del territorio evitando i mega appalti e facilitare la partecipazione e quindi il controllo diretto dei terremotati.
(da “Fanpage”)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
AFFARI MILIONARI PER LE AZIENDE DEL SETTORE SECURITARIO CON I SOLDI DEGLI ITALIANI… L’ITALIA FINANZIA PERSINO L’ACCADEMIA DI POLIZIA DEL CAIRO, UN INSULTO ALLA MEMORIA DI GIULIO REGENI
Altro che gestione dell’accoglienza. Il nuovo grande business dell’immigrazione si chiama esternalizzazione del controllo delle frontiere nei paesi di origine e di transito dei migranti.
I flussi verso l’Europa non sono mai stati così bassi come quest’anno ma i Paesi europei, l’Italia in primis, aumentano i budget per le politiche securitarie.
Sistemi biometrici, meccanismi di interoperabilità dei sistemi di identificazione, strumenti di sorveglianza sempre più sofisticati.
I congressi e i saloni espositivi dedicate all’industria della sicurezza si moltiplicano. E’ un settore che fa sempre più gola. Al Border security tenutosi a febbraio a Roma la Leonardo Spa ha presentato l’ultima generazione di sistemi di intercettazione marittima e radar e i nuovi sistemi biometrici per le frontiere aeree e terrestri.
Si muove un mare di denaro, con l’istituzione di fondi ad hoc. Il Fondo fiduciario per l’Africa ha raggiunto un ammontare di 4,3 miliardi di euro e dei 500 milioni provenienti dal Fondo europeo per lo sviluppo l’Italia, con 128 milioni, risulta essere il primo contributore.
Ma — ed è questa la denuncia contenuta nel documento di analisi “Sicurezza e migrazione.
Tra interessi economici e violazioni dei diritti fondamentali” redatto dall’Arci e sostenuto da Open Society Foundations che viene presentato oggi al Festival Sabir — i progetti per “presunti aiuti ai paesi d’origine e di transito dei flussi migratori rappresentano nuovi affari per aziende private europee, per grandi gruppi internazionali e per l’industria della guerra che sostengono e consolidano il potere di dittature e finte democrazie”.
Il rapporto punta l’indice sui fondi che il governo italiano, in continuità con quello precedente, impiega in progetti che riguardano tre paesi, Libia, Niger ed Egitto dove il rispetto dei diritti umani non è affatto garantito e dove, dunque, il business dell’esternalizzazione delle frontiere che mira di fatto a respingere i migranti si giochi sulla loro pelle.
Particolarmente imbarazzante per l’Italia, dopo l’omicidio di Giulio Regeni, è il progetto che il governo continua a finanziare con i fondi alla sicurezza interna (un milione e 800.000 euro) per l’apertura presso l’Accademia egiziana de Il Cairo di un centro di formazione internazionale sui temi migratori per 360 ufficiali di frontiera di 22 paesi africani.
L’accordo è stato firmato a settembre 2017 ma a luglio 2018 il progetto è stato presentato ufficialmente con tanto di visita all’Accademia di polizia.
“L’Italia quindi — denuncia il rapporto Arci — nel contesto autoritario dell’Egitto di oggi e con la tensione bilaterale che ci dovrebbe essere tra i due paesi dopo l’omicidio di Giulio Regeni, finanzia invece la formazione sulle frontiere a Il Cairo per poliziotti di paesi, dall’Eritrea al Sudan che violano sistematicamente i diritti umani e perseguitano i loro cittadini”
C’è poi tutto il capitolo dei fondi che arrivano nelle casse del Niger perchè assicuri il controllo dei suoi 5.000 chilometri di frontiera, quelli riservati alla missione italiana di supporto finalizzata al rafforzamento dell’apparato militare nigerino, e quello, ancora più delicato, dei fondi per la Libia che finanziano di fatto quella che il rapporto definisce “un’operazione di respingimento per procura”.
Con 125 milioni di euro dal 2017 l’Italia ha sostanzialmente costruito, con uomini e mezzi, la formazione della Guardia costiera libica che dovrebbe intervenire, e naturalmente riportare indietro i migranti intercettati in quella zona Sar libica che — secondo le più recenti risultanze investigative di alcune inchieste italiane — sarebbe di fatto gestita dalla Marina italiana.
“I regali europei ai libici — conclude il rapporto — sono strumenti per una violazione costante delle convenzioni internazionali, marittime e dei diritti umani”.
Una politica sempre più securitaria in cui si iscrive il decreto sicurezza bis che secondo Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci nazionale, “contiene elementi eversivi. Infastidito dall’azione di Mediterranea e dall’opposizione sociale che incontra nel Paese nella sua perenne campagna elettorale emana un decreto per avocare a sè competenze di altri ministeri e aggirare i poteri della magistratura. Si usano fondi per la cooperazione per favorire i rimpatri rafforzando in questo modo le politiche di esternalizzazione. Il decreto è un vero manifesto per la criminalizzazione del salvataggio in mare e dell’opposizione sociale”.
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI E’ QUELLO CHE HA SPESO DI PIU’ IN ITALIA
Prima di spiegarvi come è stato reperito questo dato, bisogna presentarvi Ad Library.
Si tratta del primo strumento messo a disposizione da Facebook — anche off line, non bisogna per forza essere iscritti al social network per consultarlo — che traccia tutte le inserzioni dei politici su temi di interesse nel corso dell’ultimo periodo.
Avete presente quando nella vostra timeline del social network di Zuckerberg vi compare la dicitura “post sponsorizzato”? Bene, stiamo parlando esattamente di questo.
Da qualche tempo, infatti, Facebook — per evitare di incorrere in quegli spiacevoli inconvenienti di influenze esterne sulle elezioni che si svolgono in una determinata area geografica — ha deciso di rendere pubblici tutti i dati della sponsorizzazione dei post.
La libreria del social network, da qualche giorno, contiene i dati su ogni inserzione attiva e non attiva relativa a contenuti di natura politica o temi di interesse pubblico all’interno dell’Unione europea pubblicata da marzo 2019. In passato era stato fatto anche in altri Paesi del mondo, Stati Uniti compresi. Tutti questi dati verranno collezionati per ben sette anni.
Immediata è scattata la corsa a capire quanto i nostri politici, specialmente quelli più attivi sui social network, abbiano speso per le sponsorizzazioni su Facebook.
Il primo nome che viene in mente? Ovviamente Matteo Salvini.
Quest’ultimo, da marzo al 15 maggio 2019 ha speso la cifra di 77.418 euro. La maggior parte di questi soldi sono stati utilizzati nell’ultima settimana, quella più calda per l’approssimarsi della data del voto, il prossimo 26 maggio: 43.562 euro, infatti, sono stati spesi soltanto nell’ultima settimana.
Chi ha pagato la campagna elettorale su Facebook di Matteo Salvini?
Stando ai dati riportati da Facebook, le inserzioni provengono in gran parte da Lega-Salvini Premier.
Invece, 1600 euro di inserzioni sono state pubblicate senza esclusione di responsabilità . Matteo Salvini ha speso da solo quasi esattamente la stessa cifra impiegata dal Partito Democratico, che in questi due mesi e mezzo ha speso 73.006 euro: quasi la metà di questa cifra è catalogata sotto l’etichetta «pubblicata senza esclusione di responsabilità ».
Il Movimento 5 Stelle, invece, sembra aver scelto una strategia diversa.
Per imporre i suoi messaggi pubblicitari all’attenzione degli utenti di Facebook ha scelto di non distribuire le sue sponsorizzazioni sui suoi account principali (la pagina Facebook del partito o quella di Luigi Di Maio per intenderci).
Eppure, M5S rientra tra le parole più cercate e che hanno avuto maggiore diffusione su Facebook: per far questo, i messaggi sono stati pubblicati a pioggia su pagine minori di gruppi locali del Movimento 5 Stelle.
L’altro fenomeno social in queste elezioni europee è Giorgia Meloni. Direttamente sulla sua pagina sono state pubblicate sponsorizzazioni per 7888 euro, 6965 dei quali nell’ultima settimana. Fratelli d’Italia, invece, ha speso 17.896 euro.
Numeri, in ogni caso, molto lontani da quelli dei big della politica mondiale. Un termine di paragone? Donald Trump ha speso, soltanto nell’ultima settimana, 111.575 dollari.
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
SONO I DUE RAGAZZINI SEQUESTRATI DALL’AUTISTA DEL BUS CHE ERANO RIUSCITI A DARE L’ALLARME … “SIETE COME MIEI FIGLI” E POI SALVINI E’ SPARITO SENZA ONORARE L’IMPEGNO
Matteo Salvini ha fregato Rami e Adam. I due ragazzini protagonisti del sequestro da parte dell’autista di un bus raccontano oggi a Repubblica che dopo le foto di rito e la pubblicità elettorale il ministro dell’Interno e Luigi Di Maio hanno “dimenticato” la questione della cittadinanza:
Adam El Hamami ha 12 anni, sta seduto impaziente sulla sedia del Barber Shop di piazza Duomo, mentre il papà Khalid, cittadino marocchino residente in Italia, si fa tagliare i capelli dall’amico Iead, parrucchiere palestinese-cremasco che taglia anche Salah, e tutta la nazionale egiziana. §
Ma la scuola, come va? «Bene». E il resto, va tutto bene? «Non tanto. Di notte ho gli incubi». E che fai, allora. «Mi alzo e vado nel lettone con la mamma, così mi riaddormento». Il padre invece è paziente: «Io dormo sempre sul divano, lo faccio perchè Adam ha bisogno di riposare, deve studiare, andare bene a scuola».
La settimana scorsa la sindaca di Crema, Stefania Bonaldi, ha chiamato la prefettura di Cremona, un’altra volta: «Ci sono novità sulla cittadinanza a Rami e Adam?». «Non sappiamo ancora niente».
Bonaldi: «Capisco la delusione dei ragazzi. Purtroppo non ci sono notizie certe, io stessa non ne ho. Più che chiamare…».
«Non si sono più fatti sentire…, io non so niente», così dice Rami Shehata, 13 anni, che in questi giorni è nella città della sua famiglia, Mansura, Egitto, e l’altra sera è stato ospite della televisione egiziana, «mi hanno anche dato un premio, una stella con il mio nome e i ringraziamenti», adesso aspetta che lo chiami il presidente, «sappiamo che mi riceverà , sono molto contento, è il presidente dell’Egitto!», l’altro suo Paese.
Ogni tanto sogna fuoco e urla, «anche la settimana scorsa, e mi sento male». Un giorno «Salvini mi ha detto “sei come mio figlio”, poi ha cambiato idea, ha detto che la legge non si tocca».
Non pensa che sia giusto, bisogna mantenere le promesse fatte, e ai ragazzi, poi. «Tutto il mondo pensa che ormai siano cittadini italiani, ma non è vero!», dice suo padre Khaled, «logico che siano arrabbiati».
(da “NextQuotidiano“)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
L’INDAGINE IPSOS DEMOLISCE I LUOGHI COMUNI, SPADAFORA DEMOLISCE LA LEGA
“Io sono virtuoso, è la società che è malvagia”. Se ci interroghiamo su chi siamo davvero, noi italiani, ecco una possibile formula che può aiutarci nella risposta. Possiamo applicarla indifferentemente all’evasione fiscale, ai furbetti del cartellino, a frequentare prostitute o a mettere le corna al partner.
O all’atteggiamento verso gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer, asessuali, intersessuali.
In quale paese viviamo e come la pensiamo davvero?
Il 57 % degli italiani manifesta “paura”, “chiusura” e “distanza” nei confronti delle persone LGBT.
Ma allo stesso tempo, stupefacentemente, il 66 % degli italiani ritiene “pienamente accettabili” i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso e il 54% altrettanto accettabile vestire e comportarsi come se si appartenesse all’altro sesso.
Ma eccone un’altra: il 54% per cento pensa che in Italia sia “impossibile” vivere liberamente le proprie tendenze sessuali, mentre il 44% pensa l’esatto opposto, cioè che questo diritto non sia rispettato.
Cioè il 100% circa degli italiani invoca una totale libertà sessuale. Più che spaccata in opposte fazioni, quella italiana è una società contraddittoria, ambivalente, vittima di una vera e propria sindrome di dissociazione.
Questa almeno è Italia che esce dall’indagine dell’IPSOS sulle opinioni degli italiani nei confronti delle persone LGBT, presentata nel corso della celebrazione ufficiale, con i sigilli del Governo e nella sua gremita sala Polifunzionale a un passo da palazzo Chigi, della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia a la transfobia.
Dice Nando Pagnoncelli, presidente dell’istituto di ricerca mobilitato dal sottosegretario Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità da cui dipende anche l’Unar (l’Unione nazionale Antidiscriminazioni Razziali), che “questo paese riserva molte sorprese in cui la stessa persona pensa tutto e il contrario di tutto e presumibilmente non ha consapevolezza di questa fortissima ambivalenza”. Il che “è anche una via d’uscita perchè contiene una componente di apertura che va colta e valorizzata. Che cresce nel tempo”.
Così del resto confermano i dati: l’apertura e l’accettazione verso gli LGBT aumentano con il passare degli anni, rivendicate dal 44% della popolazione italiana dai 18 ai 34 anni e sono fortissime tra i giovani della fascia 18-24 anni che considerano “compagni di viaggio” gli LGBT.
Spadafora, sottosegretario di M5S, guarda con ottimismo al bicchiere mezzo pieno e alla lenta marcia del pensiero aperto, che corrode pregiudizi e ottusità .
Cogliendo l’occasione per sferrare una robusta zampata all’alleato competitor Salvini: “Lanciamo un appello a tutte le forze politiche, a cominciare dai nostri alleati di governo sapendo che abbiamo sensibilità diverse, ad abbassare i toni e ad essere, anche negli atteggiamenti e nelle dichiarazioni anzitutto di chi rappresenta le istituzioni, più rispettosi delle persone LGBT e di tutti”.
Fuor dalla polemica, anche elettorale, resta sul campo l’imponente la mole di dati della ricerca sulla discriminazione e sulla percezione della discriminazione: partenza dal campo largo e atterraggio nell’analisi minuziosa di atteggiamenti e comportamenti che impattano sulle persone LGBT e sull’idea che noi tutti abbiamo dell’accettazione sociale nei loro confronti.
Molti di questi dati sono sorprendenti, inediti, mai mappati prima: in negativo e in positivo.
Sapevate che il 12 % degli italiani non vorrebbe avere come vicino di casa una persona transgender, il 6% un gay o una lesbica, single o in famiglia?
Immaginavate, probabilmente, che il 63% degli italiani non vorrebbe vivere accanto ad una famiglia zingara Rom: ma non il raccapricciante dato secondo cui 4 italiani su cento non vorrebbero avere un ebreo come vicino di casa.
In questa massa di evidenze emerse una, tra le tante, spicca tra le pieghe della ricerca per la delicatezza del tema, prudentemente poco indagato nei sondaggi: oggi, grazie ad IPSOS, apprendiamo con sollievo che un granitico 42% degli italiani ritiene “inaccettabile” la pena di morte, insieme ad un 21% di altri “contrari”, che sbarrano il passo ad un 11% di favorevoli alla forca e ad un altro 21% che strizza l’occhio al cappio.
Nell’elenco di specifici gruppi presi in esame nella ricerca, gli italiani considerano i più discriminati gli zingari, i Rom (51%) seguiti da immigrati (33%), persone transgender (27%), i musulmani (22%), gay, lesbiche e bisessuali (20%), i disabili (12%), le donne (10%): percentuali che si allargano se aggiungiamo a quanti considerano “molto diffuse” queste discriminazioni gli italiani che le considerano “abbastanza diffuse”.
In campo LGBT, il 52% ritiene che gay e lesbiche dovrebbero essere liberi di vivere liberamente la loro sessualità , il 40 e il 18% che i matrimoni omosessuali dovrebbero essere consentiti sempre e dovunque, ma solo il 33 e il 37% che le coppie gay e le coppie lesbiche dovrebbero avere lo stesso diritto di adottare un figlio delle coppie eterosessuali.
In ambito LGBT le persone transgender si confermano ancora le più discriminate: se il 65% di intervistati dice che il governo dovrebbe proteggerle dalla discriminazione, il 60% è contrario a consentir loro l’adozione di bambini.
Sul versante delle vittime dei crimini d’odio, il 51% pensa che le principali vittime siano le donne, seguite dagli immigrati (24%), i ragazzi e le ragazze bullizzate (10%) le persone LGBT (8%) e i disabili (7%).
Dall’indagine sugli stereotipi resta saldissima la cosumata ma sempre imbattibile opinione, centenaria o millenaria chissà , del 52% degli italiani secondo cui “i gay sono molto sensibili”, del 48% secondo cui “i gay sono molto portati per alcuni ambiti creativi”, dalla moda all’arte, del 42% secondo cui “gli uomini gay hanno ottimo gusto nel vestire e nell’arredamento”.
Chissà che ne penserebbero i circa 48mila militari gay e lesbiche americani in servizio, dal grado di generale al soldato semplice, operativi nei principali teatri di guerra (William Institute, Rapporto 2010).
Ma questo, per il bene dei cari, vecchi e spesso innocui stereotipi, spudoratamente e spensieratamente falsi, è meglio non dirlo.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
OMICIDI IN COSTANTE CALO DA 10 ANNI, NESSUNA EMERGENZA E NESSUN MERITO DI SALVINI… MORTI SUL LAVORO IN AUMENTO E DI MAIO HA TAGLIATO 410 MILIONI SULLA SICUREZZA SUL LAVORO
«Sono aumentati i morti sul lavoro, ma sono sicuro che il ministro del Lavoro se si occuperà anche di questo quando avrà finito di insultare coloro che governano con lui».
Così Matteo Salvini durante un comizio a Foggia ha deciso di usare i morti per fare campagna elettorale.
Da una parte le vittime di omicidio dall’altra le morti bianche. I primi ricadono negli ambiti di competenza del Ministero degli Interni i secondi invece in quello del Lavoro retto da Luigi Di Maio.
Certo ci vuole del pelo sullo stomaco per usare i morti come argomento per prendere voti. Ma Salvini ci ha abituato a questo ed altro.
A Salvini ha subito risposto il vicepremier pentastellato: «trovo inumano che si arrivi a fare campagna elettorale su un tema come i morti sul lavoro. Fermo restando che i numeri diffusi da qualcuno sono sbagliati e che sono stato io a potenziare l’ispettorato del Lavoro».
Salvini però fa anche dell’altro, ovvero continua ad alimentare il sentimento di preoccupazione nei confronti di un reato, quello degli omicidi, che — nel nostro Paese — fa registrare numeri molto bassi.
L’ultimo rapporto ISTAT, pubblicato a novembre 2018 e relativo al 2017, parla di 357 omicidi pari a 0,59 omicidi per 100mila abitanti.
Il tasso registrato per l’Italia — fa sapere l’Istituto nazionale di statistica — è più basso di quello medio dell’Unione europea (pari nel 2016 a uno per 100mila abitanti contro lo 0,7 in Italia).
Più in generale il numero di omicidi in Italia è in caldo da oltre un decennio.
Da parte sua Di Maio ha risposto con un’ulteriore precisazione pubblicando sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali un comunicato dove «con rammarico precisa che, come evidenziato nel comunicato stampa dell’INAIL, l’aumento registrato nel 2018 dei morti sul lavoro è da imputarsi a eventi di morti plurime come il crollo del ponte Morandi e la strage dei braccianti di Foggia».
Non è molto chiaro se secondo il Ministero il fatto che 15 dei 43 morti del Ponte Morandi siano morti sul lavoro e i 16 della strage dei braccianti di Foggia contino meno visto che sono avvenuti in due singoli eventi seppure “plurimi”.
La verità però è un’altra. L’INAIL fa sapere che le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate nel 2018 sono state 1.133, 104 in più rispetto alle 1.029 denunciate tra gennaio e dicembre del 2017 (+10,1%).
Insomma anche volendo essere “generosi” nel 2018 si sono registrati più decessi sul lavoro (da gennaio a marzo 2019 i casi sono stati 212, un dato che conferma quello del primo trimestre 2018).
La giustificazione del Ministero che si è trattato di incidenti plurimi lascia il tempo che trova e non rende meno gravi quelle morti. Anche perchè con lo stesso criterio si dovrebbe “togliere” dal bilancio dei caduti sul lavoro del 2017 gli 11 morti di Rigopiano o i 5 di Campofelice.
Un’assurdità : perchè quei morti sono morti sul lavoro come tutti gli altri.
L’INAIL del resto precisa che nel corso del 2018 si sono verificati 24 incidenti plurimi, che sono costati la vita a 82 lavoratori, rispetto ai 15 incidenti plurimi del 2017, che hanno causato 42 morti.
Al di là di questa macabra guerra di cifre tra Ministeri e alleati di governo rimane un dato di fatto: le morti sul lavoro sono una questione che spesso fa poca notizia rispetto agli omicidi, per i quali si versano fiumi d’inchiostro e sui quali si raccolgono voti.
Last but not least come dimenticare che mentre Di Maio rivendica di aver messo in campo 370 milioni di euro per la sicurezza sul lavoro il governo del Cambiamento con la legge di bilancio 2019 ha tagliato 410 milioni di euro, nel triennio 2019-2021, dalle risorse che avrebbero dovute essere destinate ai piani di investimento per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (150 milioni solo per il 2019).
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
NEL SELFIE DEL COMIZIO DI SCHIO TRA IL PUBBLICO UN PAIO DI PERSONE ESPONGONO IL DITO MEDIO AL LEGHISTA
Erika Stefani, la ministra agli Affari Regionali in quota Lega qualche giorno fa ha pubblicato sulla sua pagina Facebook alcune foto con il vicepremier Matteo Salvini.
Le immagini secondo le intenzioni della Stefani avrebbero dovuto testimoniare l’affetto e la partecipazione di chi era in piazza per assistere al comizio del ministro dell’Interno: “Che emozioni ieri. Tra #Schio e #Bassano piazze piene per #Salvini. Votare la #Lega il 26 Maggio significa buona amministrazione del territorio e rispetto degli interessi degli italiani in Europa”, scriveva la ministra.
Ma alla leghista, o al suo social media manager è sfuggito un particolare. Per una volta avrebbe dovuto guardare al dito e non alla luna.
Perchè proprio un dito, specificatamente quello medio, compariva in una delle foto pubblicate. E il significato di quel dito è ben chiaro a tutti.
Anzi a guardare bene di dita medie che mandano un bacione a Salvini ce ne sono due, vicine.
Piazze piene quindi ma non sempre di supporter del Capitano.
Dopo la protesta dei selfie e quella degli striscioni sta per scoppiare la rivolta del photobombing?
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 17th, 2019 Riccardo Fucile
DA “NAVE DEGLI SCAFISTI” E DALLA DIFFIDA A ENTRARE NELLE ACQUE ITALIANE AL TIMORE CHE SE CI SCAPPA IL MORTO NON LO SALVA NEANCHE IL DIO DEL PO
È arrivata l’autorizzazione allo sbarco di 18 delle 65 persone a bordo della Sea Watch 3, la nave della ong tedesca che due giorni fa ha soccorso un gruppo di migranti al largo delle coste libiche e che aveva ricevuto una diffida ufficiale dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a entrare nelle acque territoriali italiane.
Nel pomeriggio, l’equipaggio aveva comunque deciso di puntare verso Lampedusa a causa delle preoccupanti condizioni di alcuni migranti e del maltempo.
Intorno alle 19, l’annuncio da parte di fonti del Viminale: lo sbarco è autorizzato “solo ai bambini accompagnati e ad un uomo in precarie condizioni di salute“.
A bordo delle motovedette della Guardia Costiera saliranno dunque sette bambini con i genitori, sette madri e tre padri, più il migrante con gravi problemi di salute.
La vicenda della Sea Watch 3 era diventata sempre più calda intorno all’ora di pranzo, quando la nave, che per un giorno è rimasta a compiere manovre di attesa al confine con le acque territoriali italiane, ha deciso di puntare verso Lampedusa: “Siamo a 15 miglia da Lampedusa, a bordo abbiamo 65 persone, alcune disidratate, e alcuni bambini piccoli. Le condizioni meteo sono cattive“, aveva detto all’Ansa il comandante Arturo Centore.
Ma per imbarcazione ed equipaggio, che mercoledì hanno soccorso 65 persone in acque libiche, tra cui due neonati, un disabile e diversi con ustioni gravi, lo sbarco sull’isola si era annunciato complicato.
L’imbarcazione era stata raggiunta già in mattinata dalla Guardia di finanza e dalla Capitaneria di porto che avevano notificato all’equipaggio la diffida firmata dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ad entrare in acque territoriali italiane.
Ora la retromarcia prima che scappasse il morto.
(da agenzie)
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