Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA AD ALESSANDRO AZZONI, PORTAVOCE DEI PARENTI: “PRETENDIAMO RISPOSTE E DATI UFFICIALI”
“Il nostro è un grido di aiuto, dateci una mano affinchè arrivi alle orecchie delle istituzioni, perchè nessuno finora ci ha dato una risposta. I nostri anziani sono la nostra storia e la nostra memoria, non delle righe del bilancio regionale. Sono uomini e donne che ci hanno dato la vita. Vogliamo essere sicuri che ricevano le cure di cui hanno bisogno, vogliamo un commissario che prenda in mano la situazione del Pio Albergo Trivulzio e consenta di garantire la salute di tutti gli ospiti, perchè abbiamo paura che la situazione sia fuori controllo”.
Sono decisamente toccanti i contenuti dell’intervista con Alessandro Azzoni, portavoce del Comitato “Giustizia e Verità per le vittime del Trivulzio”.
Imprenditore di 45 anni, Azzoni era da tempo impegnato nel sociale, ma certamente avrebbe fatto a meno del suo più oneroso ruolo pubblico, che gli è cascato sulla testa all’improvviso.
“Mia madre soffre di Alzheimer. Due anni fa l’ho ricoverata al Pio Albergo Trivulzio nella convinzione che fosse il posto più adatto per lei”, racconta a TPI. “Volevo che avesse le migliori cure del caso, anche pagando una retta piuttosto onerosa, cioè 2.600 al mese”.
Aveva mai avuto problemi con la struttura, prima dell’esplosione del Coronavirus?
Qualche volta abbiamo osservato una cura della persona magari non impeccabile, ma dal punto di vista dall’assistenza sanitaria non c’è mai stato nulla da ridire
Quando sono cominciati i problemi?
Lo scorso 25 marzo ho ricevuto una telefonata nella quale venivo informato del fatto che mia madre aveva 38° di febbre. Contestualmente mi si chiedeva l’autorizzazione a legarla, in modo che non potesse deambulare per il reparto e quindi infettare il resto del reparto
Legarla?
Sì. Oltretutto a chiedermelo era un medico che non conoscevo, invece della dottoressa che da due anni la seguiva in reparto. Allarmato dalla situazione, ho chiesto se la febbre dipendesse dal Coronavirus, ma non avendo eseguito i tamponi non mi hanno saputo rispondere. Oltretutto ho fatto presente che mia madre era in una camera doppia, per cui era necessario sapere se la sua compagna di stanza fosse positiva o meno, altrimenti anche legarla non sarebbe servito a molto. Si sarebbe dovuto spostarla in un’altra stanza e isolarla, ma mi hanno risposto che non era possibile. Io non sono un medico, ma a buon senso credo che si possa dire che l’isolamento è fondamentale
Cosa le hanno risposto?
Che questo non era previsto. E io ho negato l’autorizzazione, dicendo al medico che mia madre non doveva assolutamente essere legata. Oltretutto, trattandosi di una paziente con Alzheimer, subire un trattamento del genere senza capire cosa stesse succedendo avrebbe certamente fatto montare in lei un pericoloso senso di angoscia
Cosa è successo dopo?
I giorni successivi sono stati molto difficili. Continuavo a chiamare in reparto, ma non mi rispondevano, oppure suonava occupato. E quando mi rispondevano, spesso era un infermiere sconosciuto, che non era al corrente della situazione di mia madre e quindi mi invitava a richiamare in un altro momento. Però, dopo qualche tempo, mi è arrivata un’informazione tranquillizzante: mi hanno detto che mia mamma presentava solo la febbre e nessun sintomo respiratorio, quindi sembrava una forma lieve di Coronavirus e che l’avrebbero curata con la Tachipirina
Quindi in quel momento le hanno ufficializzato che si trattava di Coronavirus?
No, perchè i tamponi non erano stati eseguiti. Me lo hanno detto in modo ufficioso, dopo circa una settimana, basandosi sul quadro generale. Tuttavia, le loro parole mi avevano tranquillizzato: mi dicevano che era una delle persone che stavano meglio e che girava allegramente per il reparto, quindi sono stato sereno fino a Pasqua
Poi cos’è successo?
Il lunedì di Pasquetta ho telefonato in reparto e mi hanno descritto uno scenario completamente diverso. Altro che andare tutto bene! Mi hanno detto che tutti i pazienti erano gravissimi, che sei di loro erano già morti e che mia madre da una settimana giaceva annichilita in un letto, senza mangiare, bere e parlare. A quel punto, mi è crollato il mondo addosso
Capisco. Come ha reagito?
Ho dato immediatamente una testimonianza ai giornali perchè rendessero noto il mio grido di aiuto. Questo ha fatto sì che mi contattassero numerosi parenti di persone ricoverate, tutti con storie simili alla mia. Dai loro racconti, ho ricavato un quadro tragico della situazione del Trivulzio, cosa che ha ulteriormente aumentato la mia preoccupazione
Che cosa le è stato raccontato?
All’interno del PAT ci sono mille ospiti e dovrebbero esserci più o meno altrettanti operatori, per un totale di circa duemila persone. Un piccolo paese. Da quanto mi hanno raccontato e dalle cronache dei giornali, sappiamo però che lo staff è decimato dalla malattia e che sta facendo i salti mortali per tenere in piedi la struttura. Anzi, mi lasci dire che a tutti i medici e infermieri che si stanno prodigando per la salute dei nostri familiari, va la nostra massima riconoscenza e solidarietà . Però, se a questo quadro difficile aggiungiamo che è in corso un’inchiesta, temiamo che la dirigenza non abbia la serenità necessaria per poter garantire la salute dei nostri cari in questo momento di emergenza. Il nostro è un grido di allarme, affinchè si faccia in modo che vengano seguiti i protocolli necessari a garantire la salute degli ospiti e degli operatori. Ma se non fanno i tamponi, come fanno a dividere gli ospiti contagiati da quelli sani? Si stanno facendo queste verifiche?
Chi è il vostro interlocutore? A chi ponete queste domande?
Purtroppo, non abbiamo nessun interlocutore. Ne’ nel PAT, dove al massimo possiamo telefonare in reparto, ne’ nelle istituzioni, il cui silenzio è assordante. Stiamo cercando il modo per ottenere risposte
Se aveste davanti la Regione Lombardia, responsabile della gestione sanitaria, che cosa vorreste chiederle?
Noi vogliamo sapere i dati reali, perchè li stiamo ricavando da una stima fatta dalle testimonianze ricevute! Abbiamo diritto a sapere i numeri ufficialmente, dall’Assessore Gallera. Ci deve dire se ad oggi la situazione è sotto controllo, se va tutto bene. Noi non aspettiamo altro che ci dia i dati: quanti sono i tamponi eseguiti? Quanti sono gli ospiti deceduti? Gli ospiti sani sono separati da quelli contagiati?
Purtroppo si sono verificati molti decessi anche in altre RSA, non solo lombarde…
Sappiamo che non è un caso isolato, tuttavia il Trivulzio è una situazione del tutto particolare, anche per il numero di persone coinvolte. Certo, con i dati del contagio che tutti conoscono, appare ancora lontana una data nella quale la Lombardia possa tornare normalità , soprattutto se non si intraprendono tutte le azioni necessarie per contenere l’epidemia in corso
Nei giorni scorsi lei si è rivolto direttamente alla magistratura, che oggi ha iniziato le audizioni…
Si, come altri parenti di ospiti del Trivulzio ho depositato un’istanza per raccontare i fatti di cui sono a conoscenza, al fine di per contribuire all’inchiesta, e per richiedere che il Trivulzio venga commissariato, per garantire il normale svolgimento delle attività sanitarie e di cura.
(da TPI)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
TUTTO PER RISOLVERE IL PROBLEMA DI IMMAGINE DI UN OSPEDALE DESOLATAMENTE VUOTO, INUTILE, COSTOSO E MESSO IN PIEDI FUORI TEMPO MASSIMO
Michele Usuelli è medico — l’unico tra gli eletti nel Consiglio regionale della Lombardia — e fino a due
anni fa era il responsabile del servizio trasporti neonatali d’emergenza dell’ospedale Mangiagalli, dove nascono i bambini di Milano.
Radicale, appassionato di politica, si è poi candidato nel gruppo +Europa e Radicali del Pirellone. Su Facebook un paio di giorni fa ha scritto di aver ricevuto più di una segnalazioni da medici che gli dicono che su richiesta politica regionale, e non per saturazione posti letto nei reparti, vengono fatti trasferimenti di pazienti verso l’ospedale alla Fiera di Milano
“Cari primari e direttori di ospedali: non è più il momento di assecondare supinamente i desideri della Giunta se questi non hanno un razionale clinico. Non siate complici! Martedì uno degli emendamenti che presenterò in aula chiede di rendere trasparente il criterio di trasferimento dei pazienti intubati.”
Usuelli, interpellato dal Fatto quotidiano, conferma i fatti e rincara la dose: “Ho ricevuto più d’una confidenza, da medici che conosco, appartenenti a più strutture ospedaliere. Tutti mi hanno detto di aver ricevuto richieste, inviti, pressioni, a mandare loro pazienti all’ospedale della Fiera. Io alla Mangiagalli mi occupavo di trasporti d’urgenzadi neonati. So che si può fare, che si possono trasportare anche pazienti gravi intubati. Ma è rischioso e si deve fare soltanto quando è proprio necessario”. E non per risolvere i problemi d’immagine d’un ospedale desolatamente vuoto, arrivato clamorosamente fuori tempo massimo, in settimane in cui (per fortuna —e per ora) le terapie intensive degli ospedali si stanno lentamente svuotando.
“Alcuni medici erano terrorizzati”, continua Usuelli. “Dopo la pubblicazione del mio post, mi hanno chiesto di rimuovere alcuni commenti da cui temevano si potesse risalire ai loro nomi. Avevano paura di perdere il posto. Ma è mai possibile che succedano queste cose nella sanità lombarda?”.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA-DENUNCIA DI UN BERGAMASCO
“Sono un cittadino che come molti altri in questo momento è in cassa integrazione, i miei datori di lavoro, come molti altri, stanno rispettando le regole imposte dal governo e hanno chiuso la ditta in attesa di nuove disposizioni ministeriali.
Purtroppo però ne sto sentendo di tutti i colori. Non sempre funziona così tanti amici e conoscenti hanno ripreso a lavorare, o non hanno mai smesso. Fanno parte di filiere essenziali? Direi di no. Ti informi e scopri che un sacco di ditte, con vari stratagemmi, hanno aperto senza nessun problema. Come fare? Semplice, mandi una lettera al Prefetto, e con la deroga si ricomincia. Oppure meglio ancora! Una volta l’anno si fa una commessa per un azienda farmaceutica, alimentare? Bene, si mettono sui banchi di lavoro disegni tali commesse e poi via a produrre tutto altro!
Oggi ne ho sentita un’altra: un amico scrive in un gruppo che ha ricominciato da quattro giorni a lavorare e per il quarto giorno consecutivo indossa la stessa mascherina. Ne chiede una nuova e non le hanno! Chiedo a lui se almeno la mattina provano la febbre o altro… nulla!
Adesso, io capisco l’importanza dell’ economia e di riprendere a lavorare, anche io spero vivamente di tornare presto al lavoro, ma farlo senza le adeguate protezioni e/o con scuse e stratagemmi palesemente falsi, è un insulto a chi in questo momento tiene la fabbrica chiusa perchè rispetta i decreti, è un insulto a chi non apre perchè non ha i dpi, perchè rispetta le disposizioni. E’ un insulto per tutti quelli che in questo momento stanno cercando di salvare vite in ospedale. Ed è un insulto per tutti quelli che hanno perso i loro cari. Soprattutto qua a Bergamo.
A me tutto questo non sembra per niente normale, ingiusto ed immorale. Grazie per l’ attenzione e complimenti per quello che fate”.
(da “Valseriana.net”)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
SALITO A 22 IL NUMERO DELLE STRUTTURE FINITE NELL’INCHIESTA
Si allarga l’inchiesta sulle Rsa in territorio Lombardo. Dopo le perquisizioni al Pio Albergo Trivulzio,
che ha fatto partire l’indagine, e nella Regione Lombardia, gli agenti della guardia di finanza sono entrati anche nell’Istituto Don Carlo Gnocchi di Milano.
Nell’indagine sul Don Gnocchi sono indagati per epidemia e omicidio colposi il direttore generale Antonio Dennis Troisi, il direttore sanitario Federica Tartarone e Fabrizio Giunco, direttore dei servizi medici socio-sanitari. Indagato anche Papa Wall Ndiaye, presidente della Ampast, cooperativa di cui fanno parte i lavoratori della struttura, alcuni dei quali sono stati sospesi proprio per aver portato alla luce presunte inadempienze.
Intanto sale a 22 il numero delle strutture finite nell’inchiesta sulle Rsa. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, i pm stanno indagando anche «sulla violazione delle norme per la tutela della salute dei lavoratori», in quanto ammalarsi sul posto di lavoro rappresenta un infortunio che doveva essere evitato. Ieri, invece, sono stati sentiti in videoconferenza i primi testimoni, lavoratori di Rsa e familiari di pazienti deceduti.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2020 Riccardo Fucile
PERCORRE 1.500 KM PER RIPORTARE A CASA UNA STUDENTESSA ERASMUS BLOCCATA IN SPAGNA… LA GIOVANE: “HO INSISTITO PER PAGARLO, MA NON HA VOLUTO, MI HA DETTO “NON MI APPROFITTO DELLE PERSONE IN DIFFICOLTA’, NON PREOCCUPARTI DEI SOLDI”
Le aveva provate tutte per tornare a casa, il tassista 22enne è stato la risposta ai suoi problemi: «Ho
insistito per pagarlo ma lui ha detto: “Non voglio approfittare di te, ho visto che eri in difficoltà , non preoccuparti dei soldi”»
Ha percorso oltre 1500 chilometri per permetterle di fare rientro a casa. Il tutto intascando neanche un centesimo, solo gratitudine. Protagonisti di questa storia che sta facendo il giro del mondo sono un giovane tassista di 22 anni, Kepa Amantegi, e una studentessa in Erasmus in Spagna, Giada Collalto.
La ragazza, anche lei 22enne, era uno dei tanti casi di persone bloccate in un altro Paese a causa delle restrizioni agli spostamenti imposti dall’emergenza Coronavirus. Ma grazie al gesto del giovane taxi driver è riuscita a lasciare Bilbao, dove era arrivata lo scorso febbraio per seguire le lezioni, e tornare a casa dalla sua famiglia a Montebello, Comune in provincia di Vicenza.
«Quando è iniziata la pandemia da Coronavirus ho deciso di rimanere in Spagna e di vedere come sarebbero andate le cose», ha raccontato Giada Collalto alla Cnn che ha raccontato la storia di questi due coetanei. «Ma quando a metà marzo l’università è stata chiusa e le lezioni e gli esami sono stati trasferiti online — ha spiegato — ho capito che rimanere a Bilbao non aveva più senso».
La giovane aveva dunque provato varie strade per riuscire a tornare in Italia. Ore su internet, telefonate con l’ambasciata italiana, tentativi di salire su un volo che da Madrid la portasse a Parigi e da Parigi a Roma fino a casa sua. Ma nessuna di queste strade era poi andata in porto. «Ero disperata e arrabbiata, i miei genitori erano preoccupati ma non potevano fare nulla per aiutarmi». La risposta ai suoi problemi era dietro l’angolo.
Un suo amico conosceva un tassista a Bilbao che avrebbe potuto recuperarla dall’aeroporto di Madrid — dove non era riuscita a imbarcarsi — per riaccompagnarla a Bilbao.
Una volta contattato, il giovane Amantegi si è reso disponibile ad andarla a prendere a Madrid per riportarla indietro a Bilbao, guidando per circa 9 ore, ha raccontato la studentessa. Ma una volta arrivati davanti all’appartamento, la giovane ha scoperto che non era più disponibile.
È a questo punto che il tassista si è offerto di risolverle tutti i problemi facendosi carico di accompagnarla fino a casa in Italia dove avrebbe potuto passare la notte al sicuro, con la sua famiglia. Il tutto senza chiedere nulla in cambio. «Ho insistito per pagarlo — ha raccontato la ragazza — ma lui ha detto: “Non voglio approfittare di te, ho visto che eri in difficoltà , non preoccuparti dei soldi”
(da agenzie)
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