Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
I PRIMI CONTATTI CON CIAVARDINI NEL 2010 E IL TENTATIVO DI ELIMINARE LE TRACCE DAL WEB
Ha provato a fare pulizia la neoeletta presidente della
Commissione antimafia Chiara Colosimo, mettendo il sito personale «in aggiornamento» e cancellando dalla sua bacheca Facebook ogni minima traccia dei contatti con l’ex Nar Luigi Ciavardini.
La rete, però, è in grado di restituire le impronte digitali che meno ti aspetti. Chiara Colosimo, romana, originaria della Balduina, in politica dal 2003 – sempre con la destra – difficilmente può negare quei rapporti stretti con l’associazione fondata dal terrorista nero condannato in via definitiva per la strage di Bologna, per l’omicidio del magistrato Mario Amato e per l’agguato davanti al liceo Giulio Cesare costato la vita al poliziotto Francesco Evangelista.
Tutto è iniziato nel 2010, quando l’allora più giovane consigliera della Regione Lazio si avvicina a Luigi Ciavardini e alla associazione che aveva fondato un anno prima dentro il carcere di Rebibbia.
Le iniziative comuni
Per almeno cinque anni – probabilmente di più – tra Colosimo e il giro dell’ex Nar ci sono legami stretti. Un rapporto passato anche attraverso iniziative comuni, realizzate all’interno del Consiglio regionale del Lazio, come si legge sul sito della sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti, che il 13 marzo 2011 ha pubblicizzato una tavola rotonda, con il logo dell’associazione di Ciavardini.
Gli ospiti? «Oltre alla Consigliera Rauti, alla Tavola rotonda prenderanno parte la consigliera regionale del Pdl Chiara Colosimo, l’assessore regionale alla Sicurezza Giuseppe Cangemi», altro nome di politico vicino all’associazione.
Per l’occasione il Consiglio regionale dell’epoca mise mano al portafogli, offrendo un contributo per l’iniziativa. Soldi che l’assemblea della Regione Lazio ha continuato ad elargire per tanti anni. Che dietro l’iniziativa ci fosse il gruppo di Luigi Ciavardini era ben chiaro a tutti: «Devo ringraziare il gruppo Idee che ha organizzato questo incontro», furono le parole di apertura di Isabella Rauti.
Il 5 gennaio 2014 è la stessa Chiara Colosimo a pubblicare le foto su Facebook che la ritraggono sorridente accanto a Ciavardini, insieme a Federico Vespa, storico direttore del giornale del Gruppo Idee.
Scrive la deputata di Fratelli d’Italia: «Un plauso e un abbraccio ai ragazzi del Gruppo idee che non si arrendono mai». Sotto il post – rimosso lo scorso aprile – la foto di gruppo, davanti ad un vassoio di dolci. Altre immagini sono state poi pubblicate dallo stesso Gruppo Idee, nella galleria fotografica di Facebook. E nei corridoi del consiglio regionale del Lazio c’è chi assicura di averla vista insieme a Ciavardini, anche se oggi, dopo il clamore, i testimoni chiedono l’assoluto anonimato.
Luigi Ciavardini non è solo un simbolo di quel mondo della destra romana anni ’70 e ’80 che conviveva con il Movimento sociale italiano. Stesse sezioni, stesse piazze, spesso gli stessi slogan. Per il mondo di Fratelli d’Italia – erede del partito di Giorgio Almirante – quella «colpa» delle stragi che pesa sull’area della destra postfascista deve essere allontanata, costi quel che costi.
Con la futura premie
Quando era una giovane dirigente dell’organizzazione giovanile di Alleanza nazionale, era la stessa Giorgia Meloni a difendere l’ex Nar dall’accusa di stragismo, per la quale poco dopo verrà condannato in via definitiva: «Vogliamo che sia fatta chiarezza sulle stragi, da piazza Fontana, a Ustica, alla stazione di Bologna; vogliamo che si sappia la verità sulle pagine strappate della nostra storia che qualcuno non ha il coraggio di riportare alla luce», scriveva in un comunicato nel 2004 la premier. All’epoca, però, erano già stati condannati in via definitiva Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, con una pronuncia – favorevole alla sentenza – anche della Corte europea dei diritti dell’uomo. E per rendere ancora più chiara la posizione, Giorgia Meloni organizzò anche un evento pubblico a Catania, come si legge in un volantino conservato sul sistema archive.org, che fotografa le istantanee dei siti web, compreso quello di Azione giovani. In quell’evento accanto a Giorgia Meloni intervenne l’ex terrorista dei Nar Luigi Ciavardini, all’epoca imputato per strage e già condannato per l’omicidio di Mario Amato.
Luigi Ciavardini non è solo il volto di questo passato di Roma in black. È uscito dal carcere in semilibertà nel 2009, grazie ad un contratto di lavoro firmato dall’attuale sottosegretario all’Ambiente Claudio Barbaro, all’epoca a capo dell’ASI, l’associazione vicina a FdI che riunisce diversi gruppi sportivi. Dopo pochi mesi, l’ex Nar entrò nei radar degli investigatori dei Carabinieri del gruppo provinciale di Roma. Fu notato da una pattuglia insieme a due esponenti del mondo della destra eversiva romana, che verranno poi coinvolti nei giri criminali della capitale, Carlo Gentile e Matteo Costacurta. Da quella informativa nacque l’indagine Mondo di mezzo, che nel 2014 – con l’arresto di Massimo Carminati – creerà una bufera su Roma. Il 6 ottobre 2010 il Ros, reparto anticrimine di Roma, invia alla Procura una dettagliata informativa sui contatti di Luigi Ciavardini, emersi grazie ad alcune intercettazioni telefoniche, realizzate proprio sulle utenze del Gruppo Idee. L’ex terrorista condannato per strage da alcuni mesi aveva stretto rapporti molto confidenziali con Massimiliano Colagrande, imprenditore romano recentemente condannato con l’accusa di essere l’uomo di fiducia del capoclan Domenico Pagnozzi, detto “Occhi di ghiaccio”, attivo nella capitale e alleato con i Senese. Il 14 settembre 2010 – lo stesso anno dei primi contatti di Chiara Colosimo con il Gruppo Idee, documentati da un’intervista rilasciata a Radio Radicale il 27 dicembre di quell’anno – Colagrande chiama Ciavardini: «Vorrei là una riunione con tutti quelli che dovremmo fa ’sti favori insieme cosi ci coordiniamo in modo tale che cerchiamo di farli il più possibile…in maniera che è meglio per tutti… cominciamo a ottimizza’ le energie perché cominciamo a fa’ girà qualcosa di meglio perché sennò così semo destinati a morì…». L’ex Nar risponde dando la sua disponibilità: «Ho capito… infatti per questo ti ho detto… controlliamo questa cosa… non vorrei morire adesso… ho altre cose a cui pensare».
Con il proseguire delle indagini il Ros e la Procura di Roma si concentrano su Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, archiviando la posizione di Luigi Ciavardini. Nessuno pensa, però, a rivalutare il provvedimento di semilibertà, che esplicitamente vieta ai detenuti beneficiari il contatto con pregiudicati o con ambienti criminali. Un legame, questo, rimasto agli atti.
Il lavoro nelle carceri
Il Gruppo Idee fondato da Luigi Ciavardini ha proseguito nel frattempo la sua ascesa nel mondo delle carceri laziali, anche grazie agli sponsor politici che è riuscito ad attirare. Attorno all’associazione sono state create anche alcune cooperative che offrono occasioni di lavoro esterno ai detenuti. L’attività principale riguarda la manutenzione del verde pubblico, grazie ad alcune commesse ottenute con affidamenti diretti, ovvero senza gara, dal comune di Frosinone, città tradizionalmente guidata dalla destra. Una delle cooperative vicine al Gruppo Idee, la AGM, è stata fondata da Andrea Ciavardini, il figlio dell’ex Nar, e da Manuel Cartella, presidente della polisportiva omonima dall’associazione, nominato nel 2021 vice garante regionale delle carceri. Nessun conflitto di interesse, assicurano dalla Pisana.
I rapporti con la Regione
I contatti stretti tra il mondo di Ciavardini e la Regione Lazio a guida Rocca oggi sono ancora più evidenti. Germana De Angelis – moglie dell’ex terrorista nero e dirigente del Gruppo Idee fin dall’inizio – è la sorella di Marcello De Angelis, l’ex esponente di Terza Posizione, per anni latitante in Gran Bretagna, e nominato nei giorni scorsi a capo dell’ufficio stampa della Regione Lazio. Nell’area della destra è noto soprattutto come vocalist dei “270bis” – ovvero l’articolo del codice penale che punisce le associazioni terroristiche – che hanno come hit la canzone “Claretta e Ben”, dedicata alla Petacci e a Mussolini. Un gruppo che Chiara Colosimo metteva tra i suoi preferiti nella biografia del suo sito, qualche anno fa.
(da La Stampa)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
CI SONO PIANTEDOSI E SCHIFANI, VIETATO RICORDARE FALCONE
Una donna scaraventata a terra da un agente in borghese, mentre una volante della polizia per poco non investe una disabile. È la peggior fotografia del trentunesimo anniversario della strage di Capaci a Palermo. Il tutto perché al corteo studentesco, formato anche da Cgil, Anpi, Agende Rosse e Associazione Peppino Impastato, è stato bloccato l’accesso all’albero dedicato a Giovanni Falcone, per il consueto omaggio del minuto di silenzio.
L’ordinanza firmata dal questore di Palermo, dopo la decisione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, prevedeva il passaggio solo del corteo organizzato dalla fondazione Falcone, guidata da Maria, sorella del giudice.
Il motivo, spiegano fonti della questura, è quello di ridurre il rischio di una possibile contestazione. Presenti infatti il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il presidente forzista della Sicilia, Renato Schifani, e il sindaco, anche lui di centrodestra, Roberto Lagalla. Questi ultimi sono stati bersaglio degli studenti con ripetuti cori per i loro rapporti politici con figure opache. Chiaro riferimento all’ex governatore Totò Cuffaro e all’ex senatore Marcello Dell’Utri, entrambi condannati in via definitiva per vicende di mafia.
“È una manifestazione per una città pulita, contro la mafia e chi con essa fa affari. Non ci può essere una zona grigia in chi rappresenta le istituzioni, amministrare la città e la Regione, avendo rapporti consolidati con ambienti mafiosi”, dice il segretario Cgil Palermo, Mario Ridulfo.Il corteo poliedrico è composto da tantissimi studenti, giovani, adulti, anziani e persino molti bambini. Al cielo sventolano bandiere con simboli dell’antimafia e dell’antifascismo. C’è addirittura il manifesto con la rivisitazione goliardica del quadro della Madonna con il bambino: sul trono c’è la premier Giorgia Meloni con in braccio il “piccolo” ministro Lollobrigida; al suo fianco, a sinistra, Dell’Utri; a destra Berlusconi e in ginocchio, sorridenti, Lagalla e Schifani.
“Fuori la mafia dallo Stato” è ripetuto come un mantra dal corteo. “Forse diamo fastidio, perché negli ultimi anni la commemorazione è diventata una passerella e quest’anno ha superato se stessa, è una campagna pubblicitaria non decente. Piantedosi, Lagalla e Schifani fermano il corteo per evitare le contestazioni allo Stato che si gira dall’altra parte e finge di non sapere”, ci spiega Armando Sorrentino, vice presidente Anpi Palermo.
Un dispiegamento di forze armate blocca il passaggio del corteo a poche centinaia di metri dall’albero di Falcone, facendolo defluire in un’altra piazza. In tanti però cercano pacificamente di oltrepassare il blocco. La prima maglia degli uomini in divisa si allenta, e fa passare la folla, ma poi c’è un secondo muro. Due furgoni impediscono il passaggio, mentre una macchina della polizia tenta di chiuderne un altro e quasi investe una persona disabile. Sono attimi di forte tensione. “Falcone, Falcone”, grida la folla che vuole passare. Tutti applaudono.
Alla fine, con un po’ di buonsenso, le autorità decidono di lasciare libero il passaggio al corteo. Dal palco vengono pronunciati i nomi delle vittime delle stragi, l’applauso dei presenti è fortissimo. Poi inizia il consueto minuto di silenzio. Al momento dei saluti, però, il corteo grida ancora: “Fuori la mafia dallo Stato!”. Sul palco il sindaco Lagalla sorride e applaude.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
DALLA DIVISA NAZISTA ALLA TENUTA DA VOLONTARIO ANTI-FANGO
Galeazzo Bignami è fedelissimo di Meloni e l’organizzatore del suo giro nella città alluvionata. Meloni si fida di lui al punto da mantenere con lui un filo diretto: Bignami è uno dei pochi a poterla chiamare o vedere anche scavalcando il filtro del potente sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. FdI sta pensando a lui come futuro candidato per le regionali del 2025. Bignami, infatti, in Emilia ha un forte consenso elettorale, ereditato dal padre e coltivato anche dal ministero.
La fotografia mentre sorride vestito da SS al suo addio al celibato lo perseguita ad ogni passo politico, dal 2005 ad oggi. E c’è da star certi che rispunterà se Galeazzo Bignami, avvocato bolognese dal puro pedigree e viceministro alle Infrastrutture, sarà il candidato presidente di centrodestra alle regionali in Emilia Romagna del 2025. O del 2024, se il governatore dem Stefano Bonaccini prenderà il volo per il parlamento europeo.
A imporre l’attenzione su di lui e a far aumentare le voci di una candidatura è stata la vicinanza anche fisica di questi giorni alla leader Giorgia Meloni. Bignami, infatti, è stato il più fotografato accanto alla premier, con gli stivali di gomma nei comuni alluvionati della Romagna: 47 anni e un volto da ragazzino, era sempre a pochi passi in tenuta da volontario.
Non solo, proprio Bignami si sarebbe incaricato di pianificare con precisione la cittadina in cui andare, ben attento a scegliere quella non ancora visitata da altri esponenti politici. Un successo di comunicazione per Meloni e di accreditamento politico per l’ambizioso viceministro, che è anche stato invitato a intervenire al cdm di ieri per relazionare sull’alluvione.
Nel gruppo di FdI è considerato nella schiatta dei «fedelissimi di Giorgia», accanto al duo Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli: tutti più o meno della stessa età, tutti provenienti dalla comune militanza nel Fronte della Gioventù, la giovanile del Movimento sociale italiano. Non a caso, al pari di Delmastro alla Giustizia per tallonare il ministro Carlo Nordio, anche Bignami è stato imposto dalla premier con la stessa finalità nel ruolo di viceministro alle Infrastrutture. Con deleghe minori, il vero il mandato di Bignami è stato da subito soprattutto quello di marcare stretto Matteo Salvini.
Tra i due, però, si sarebbe instaurata una buona sintonia: merito anche del fatto che non cerchi spazio mediatico rubando la scena al ministro, ma preferisca la vita ritirata e l’attività sul territorio.
LA FAMIGLIA
Meloni si fida di lui al punto da mantenere con lui un filo diretto: Bignami è uno dei pochi a poterla chiamare o vedere anche scavalcando il filtro del potente sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Tutti, però, ricordano e marcano una differenza peculiare tra la storia politica di Bignami e quella del resto dell’inner circle. La sua fedeltà a FdI è una scelta politicamente recente: la tessera con il suo nome sopra, infatti, è stata staccata solo nel 2019.
Ambizioso Bignami lo è stato sempre e nel 2012, al momento dello scioglimento del partito delle Libertà, decise di seguire chi allora era più forte, entrando nella rifondata Forza Italia di Silvio Berlusconi e diventandone coordinatore regionale, consigliere regionale e poi deputato nel 2018. Corsi e ricorsi politici, a fargli da mentore è stata colei che oggi di Meloni è diventata ministra: Anna Maria Bernini, anche lei avvocata bolognese e legata alla galassia di Alleanza nazionale. Accanto a lei, un altro riferimento costante è stato Maurizio Gasparri, che lo scoprì nelle giovanili e lo convinse a rimanere in FI.
Eppure proprio la sua candidatura nel collegio Emilia Romagna scatenò una mezza rivolta nel partito: in una regione di radicato antifascismo, su di lui pesava non solo la militanza giovanile nell’Msi, ma anche il retaggio familiare. Il padre Marcello, infatti, è stato volto notissimo della politica del capoluogo: esponente storico della destra e componente della direzione nazionale dell’Msi, nel 1974 subì un attentato da parte di militanti dell’estrema sinistra, fu consigliere comunale e consigliere regionale fino alla morte prematura nel 2006. Sull’onda del padre, Galeazzo – che con il fratello Alessio ha militato fin da giovane – divenne consigliere comunale e capogruppo di An nel 1999, appena diciottenne, nell’anno della storica vittoria a Bologna di Giorgio Guazzaloca.
IL CONSENSO ELETTORALE
Chi lo conosce racconta che il suo vero sogno sia quello di rientrare in Emilia: «Se potesse, a Roma non si fermerebbe nemmeno a dormire». La sua ambizione è la riconquista del comune di Bologna. Quella più raggiungibile, la Regione. La sua forza, invece, è il radicamento territoriale. Già nel 2005, infatti, si occupò della campagna elettorale del padre da 8000 preferenze per il consiglio regionale.
Proprio il consenso trentennale del genitore è stato ereditato e addirittura accresciuto dal figlio: alto a Bologna ma anche nei paesini dell’appennino, dove ha sapientemente coltivato il suo bacino di voti e anche i legami con gli altri parlamentari, molti dei quali devono a lui almeno parte del loro successo. Per selezionare chi sostenere, però, il test d’ingresso sarebbe senza appello: nessun appoggio senza un passato di militanza giovanile.
Anche dal ministero delle Infrastrutture, il suo riferimento rimane l’Emilia. Si sarebbe infatti diviso i fronti con l’altro viceministro, il ligure Edoardo Rixi: a Rixi la dorsale tirrenica, a lui l’adriatica. Tradotto in pratica: sotto l’occhio attento di Bignami passerebbero i lavori stradali e ferroviari che toccano la sua regione e pesano nel ritorno elettorale e che proseguono lungo Marche e Abruzzo, controllati da governatori meloniani
Sulla carta, tutti i tasselli sembrano al posto giusto in vista delle regionali. Unica pecca: gli alleati, che proprio sul passato troppo “nero” di Bignami avrebbero già iniziato a mugugnare, ritirando fuori la sciagurata foto nazista e i suoi eccessi passati soprattutto in chiave anti-immigrati, visto che il viceministro ha nel curriculum anche un pestaggio subito nel 2015 nel campo rom di Casalecchio. «Meglio un civico di centrodestra antifascista» si spinge a dire qualcuno. Dopo la debacle della leghista Lucia Borgonzoni, però, è difficile che FdI non rivendichi il proprio turno.
(da editorialedomani.it)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
IL RIFERIMENTO DEI SOVRANISTI NON E’ ALESSANDRO MANZONI MA MARIO GIORDANO
Io avevo capito, da quel liceale svogliato che fui, che Manzoni era un cattolico liberale. In quel giochino un po’ scemo che consiste nel collezionare, come le figurine Panini, dei padri immaginari, non mi sognerei mai di intestare don Lisander alla sinistra.
C’è, nel suo formidabile librone, quel tanto di paternalismo nei confronti degli oppressi che ancora oggi, a quattro secoli dai fatti narrati, e a quasi due dalla scrittura del romanzo, lascia qualche perplessità: quando avevo vent’anni pensavo che Renzo Tramaglino fosse un cacasotto e che avrebbe dovuto farsi giustizia da solo, e don Rodrigo farlo fuori a sberle prima che provvedesse la peste. Si sa, a vent’anni si va per le spicce e non si valuta la famosa complessità delle cose.
Ma vedi come cambiano i tempi, e come sono sorprendenti: per come è diventata la destra, il conservatore Manzoni diventa un boccone indigeribile, una vetta inaffrontabile.
Oggi che il Griso è vicepresidente del Consiglio, l’universalismo cattolico – il rispetto degli esseri umani come comprova della fede in Gesù Cristo – appare quasi rivoluzionario.
Cerca disperatamente Manzoni, la destra, perché intuisce che la sua radice borghese, cattolica, liberale e democratica è vizza, ammuffita, soffocata dall’humus rabbioso e antidemocratico del populismo
La psicologia della folla, nei Promessi Sposi, è raccontata con una spietatezza micidiale: dagli all’untore! Ottimamente espressa, oggi, proprio dai titoli dei giornali di destra. Intellettuale di riferimento della destra di governo non è Manzoni, è Mario Giordano.
E non crediate che non ci dispiaccia dirlo: per questa povera destra e per noi tutti.
(da La Repubblica)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
“IN QUEI MOMENTI NON SENTI LA FATICA PERCHE’ C’E’ CHI STA SOFFRENDO”
Simone Baldini è la persona ritratta in una foto che ha raccontato l’alluvione in Emilia-Romagna e diventata virale. Residente a San Marino, ha vinto nel 2015 il titolo europeo di triathlon e ha gareggiato in handbike con Alex Zanardi. Nello scatto spala fango in sedia a rotelle a Forlì. «Io non sapevo proprio nulla di quella foto», dice oggi al Corriere della Sera. «Domenica sono tornato a casa tardi e ho cominciato a ricevere messaggi, emoticon, complimenti. Poi mi hanno girato pure la foto. Che posso fare? Volevo solo dare una mano». Ad Alfio Sciacca Baldini racconta che è andato in anonimato: «Neanche i miei genitori sapevano nulla. C’era la sorella della mia compagna che si stava organizzando su Instagram per fare qualcosa in favore degli alluvionati dell’Emilia-Romagna. Ci ha detto che, se volevamo, potevamo aggregarci anche noi e siamo andati. Ho avuto tante manifestazioni di affetto. Vedermi in carrozzina spingeva molti ad avvicinarsi, darmi una pacca sulla spalla dicendomi che il mio gesto dava loro molta carica. Hanno perso tutto nel giro di una notte e forse si sono sentiti meno soli». Dice che non ha sentito la fatica: «In quei momenti non senti niente perché sai che c’è chi sta soffrendo più di te. Comunque è stato più faticoso di una gara di triathlon». Suo padre, racconta, è vigile del fuoco: «Anche io sognavo che un giorno avrei fatto il pompiere. Poi mi è successa questa cosa alle gambe e ho fatto altro. Ora è capitata l’occasione e non mi sono tirato indietro».
(da Open)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
UNA LOBBY DI EVASORI PROTETTA DAI SOVRANISTI
Sconti per chi paga in contanti, un utilizzo calendarizzato delle carte di credito, viaggi fuori città giustificati con motivi personali. Oppure la classica scusa che il Pos «non funziona » . Sono questi i principali trucchetti dei tassisti per impedire ai propri clienti di saldare la corsa con un pagamento elettronico, in favore del cash. Contanti non tracciabili.
Poco importa che ci sia una legge che impone ai commercianti di accettare carte di credito e bancomat per qualsiasi importo e non solo per le spese superiori a 60 euro, la soglia che il governo Meloni inizialmente avrebbe voluto stabilire.
Ieri sera, poi, a denunciare le abitudini di alcuni tassisti sono state Le Iene. «Con la carta sono 45 euro, contanti invece 40», dice un uomo a un turista, che invogliato dallo sconto senza pensarci apre il portafoglio e prende le banconote
I clienti ideali sono le famiglie in arrivo dall’estero a Roma. Con loro si può giocare la carta del mal funzionamento del Pos senza problemi. « Eh glielo dici alla gente, specialmente agli stranieri. Gli spieghi “no battery, only cash, sorry”. Tanto se sono famiglie stai tranquillo che montano in macchina e ti pagano con i soldi » , racconta un tassista nel servizio.
Il motivo per preferire i contanti alla carta di credito è noto: i pagamenti con il Pos sono tracciabili e dunque vanno dichiarati. Il guadagno in banconote e quindi potenzialmente in nero, invece, è netto. Inoltre non ci sono nemmeno le commissioni alle banche. Qui si gioca la partita. «Quando tu stai verso il 20 del mese, stacchi il Pos. Avvisi che non funziona e che ti devono pagare in contanti. Glielo spieghi prima di salire in macchina che non funziona il bancomat, se gli va bene montano. Altrimenti se ne cercano un altro»
(da La Repubblica)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
TUTTO SI GIOCA SUL POS: “QUANDO STAI VERSO IL 20 DEL MESE, LO STACCHI. AVVISI CHE NON FUNZIONA E PRENDI CONTANTI”; “IO FACCIO ALMENO 200 EURO AL GIORNO”
I tassisti con partita Iva dichiarano solo una piccolissima parte del loro vero incasso. Un fenomeno esteso in tutta Italia, ma soprattutto a Roma, dove in media — secondo dati governativi diffusi ieri sera da Le Iene — nel 2021 hanno guadagnato 6.240 euro lordi all’anno: ovvero 520 euro al mese, comprese le tasse. La metà di Milano ( 11.411) e Napoli (19.890), molto meno dei colleghi di Bologna (9.642). Meglio solo di quelli di Firenze (5.238).
Perché allora, se gli stipendi sono questi, le licenze dei taxi costano più o meno 140 mila euro? E quanto pagano davvero di tasse i tassisti? Con questo doppio interrogativo si è aperto il servizio di ieri sera. Al centro c’è sempre lui, il Pos, che rende tracciabili tutti i pagamenti ricevuti.
Dunque se per 30 giorni al mese si effettuano transazioni con la carta di credito, mentire allo Stato è impossibile. Ma se si evita di usare, a quel punto diventa facile dribblare le tasse. A confessarlo sono gli stessi conducenti intercettati da Le Iene.
«Pensa che sto mese a dicembre arriverò a guadagnare sui 9 mila euro, ma ho sempre una busta paga di 1.500 » , esordisce un tassista.
«A Roma io in 42 anni non ho mai avuto accertamenti da parte dell’Agenzia delle entrate. Io dichiaro sempre una busta paga di 1.500- 1.300 euro. Poi tutti gli altri soldi che hai incassato sono tuoi, non te li tocca nessuno i contanti. Non si tracciano, capito?».
La strategia è chiara. «Bisogna tenere un conto mentale o scritto, fai come ti pare, ma devi arrivare a incassare con il Pos massimo sugli 800-1000 euro al mese», spiega un terzo tassista. Altro che stipendi da fame o rimborsi spese, l’attività può essere molto redditizia.
«Adesso ho fatto una corsetta di 8 euro e me li ha dati in contanti, 200 euro al giorno li faccio. C’è gente che si compra casa così eh», puntualizza un’altra persona.
Per questo ha destato scalpore la decisione di un tassista di Bologna, Redsox ( Roberto Mantovani), di pubblicare su Twitter ogni giorno i suoi guadagni. In totale in due settimane, con 3 giornate di riposo, i suoi incassi trasparenti ammonterebbero già a 5.638 euro: ovvero la metà di quanto in media i suoi colleghi con partita Iva hanno dichiarato per tutto il 2021.
Il tema del Pos si affianca a un altro problema, segnalato più volte dall’Amministrazione: le truffe. Ovvero la richiesta di prezzi più alti rispetto al dovuto, magari ai turisti. Una possibile soluzione l’aveva proposta Alessandro Onorato, assessore allo Sport, turismo, moda e grandi eventi: dei totem agli arrivi o al ritiro bagagli a Fiumicino e Ciampino, su cui digitare la destinazione da raggiungere in taxi, per ricevere un voucher da presentare fuori l’aeroporto a tassista, che non potrà così chiedere una cifra diversa.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
“IL MIO LETTO? E’ SUL SUPPALCO”… “IL BAGNO? E’ NELLA DOCCIA”
Alessandro Cerioni è uno studente marchigiano al primo anno di dottorato al Politecnico di Milano. E racconta a La Stampa che lui attualmente vive in un monolocale di 9 metri quadrati. Per il quale paga un affitto di 650 euro al mese più le bollette (altri 100 circa ogni due mesi).
Ma il monolocale è vicino a Porta Venezia e tutto sommato gli conviene: «Si, è un po’ basso. Ma ora forse ho trovato un’altra casa». Cerioni ha una borsa di studio ma non riesce lo stesso a mantenersi autonomamente. «I miei mi aiutano, anche se vorrei essere indipendente», dice. La stanza singola che ha trovato ha lo stesso prezzo del monolocale. Ma sono 15 metri quadrati. «E anche una cucina e un bagno a parte», aggiunge. «L’ultimo anno di studi l’ho fatto in Svezia. Anche lì i costi erano alti. Se mi fossi fermato lì per il dottorato, avrei avuto un costo analogo di casa, a fronte di una borsa di studio di 30 mila euro all’anno: un po’ diverso da qui». Infine, un ultimo dubbio: il bagno c’è? «Certo che c’è, è nella doccia».
(da Open)
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Maggio 24th, 2023 Riccardo Fucile
MOSCA COSTRETTA A RIVEDERE I PIANI… IL CAPO DELLA WAGNER: “LE FORZE RUSSE NON SONO PRONTE A RESISTERE ALLE INCURSIONI”
«Ci saranno dei passi avanti in altre regioni di confine della Russia finché il regime criminale di Putin non porrà fine alla sua guerra contro l’Ucraina». Lo ha detto durante un’intervista televisiva il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa di Kiev, Oleksiy Danilov, sottolineando come «i russi non si sentiranno al sicuro in nessun angolo della Federazione».
Per il funzionario ucraino, Bryansk, Kursk, Voronezh e altre regioni «non possono essere sicure, dato il numero di cittadini russi che sono contro il regime», ha concluso Danilov. Nel frattempo, a Belgorod – stando alle parole del governatore della regione – ci sono stati nella notte numerosi attacchi con droni.
Il gasdotto
«Un gasdotto è stato danneggiato nel distretto di Grayvoron, è in corso incendio. Si stanno ripristinando le reti elettriche, danneggiate durante l’ingresso del gruppo di sabotaggio lunedì scorso. Tutti i lavori di ripristino dell’alimentazione elettrica nel distretto di Grayvoron saranno completati oggi. Successivamente saranno ripristinati l’approvvigionamento idrico e le comunicazioni cellulari», ha detto Vyacheslav Gladkov, spiegando inoltre come al momento nella regione le forniture di servizi continuano a essere interrotte e oltre 500 persone sono sfollate. «Ho anche ricevuto ulteriori informazioni dal distretto di Yakovlevsky. Di notte, ordigni esplosivi sono stati sganciati due volte dai droni nel villaggio di Tomarovka su due edifici amministrativi. Non ci sono stati incendi, morti o feriti», ha scritto su Telegram.
Mosca rivede i piani
I raid a Belgorod «da parte di militanti russi che combattono al fianco dell’Ucraina potrebbero costringere Mosca a schierare un maggior numero di forze lungo il confine invece che in prima linea, dove è attesa la grande controffensiva di Kiev». Lo ha detto Andriy Zagorodnyuk, un ex ministro della Difesa ucraino, oggi consulente del governo di Kiev, come riporta il New York Times. Secondo il funzionario ucraino – che definisce le operazioni nella regione russa una «una pietra miliare» della guerra – «i russi vedranno che ci sono problemi tra i loro stessi cittadini, quindi l’idea di una Russia unificata sarà seriamente danneggiata».
Sullo stesso tono anche il commento del capo politico dei militari russi della legione “Libertà della Russia”, l’ex deputato Ilya Ponomarev, secondo cui ora si dovrà «riconsiderare la situazione e dispiegare più forze lungo il confine ucraino», ha detto in un’intervista al Nyt, aggiungendo che il gruppo ha catturato una decina di guardie di frontiera russe
Il capo della Wagner
Anche per il capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, in un’intervista al blogger filo-Cremlino, Konstantin Dolgov, citata dal Kyiv Independent, «le forze di Mosca non sono pronte a resistere alle incursioni nella regione russa di Belgorod da parte di gruppi anti-governativi che combattono al fianco dell’Ucraina». Prigozhin ritiene inoltre che l’Ucraina abbia attualmente uno degli eserciti più forti del mondo. Gli ucraini, ha spiegato, sono «altamente organizzati, altamente addestrati, la loro intelligence è ai massimi livelli e possono operare con uguale successo con qualsiasi sistema militare, compresi quelli sovietici e della Nato».
Putin: «Cresce l’instabilità»
Con gli attacchi nella regione russa di Belgorod «cresce l’instabilità globale», ha detto il presidente russo, Vladimir Putin, citato dalla Tass, secondo il quale «i vecchi focolai di tensione si espandono e ne emergono di nuovi in varie regioni». Il leader del Cremlino ha poi accusato (nuovamente) Stati Uniti e Paesi occidentali di aver provocato «la crisi energetica». Intanto, a chiudere a una soluzione pacifica del conflitto è Dmitry Peskov che all’agenzia di stampa russa ha ribadito che «non esistono i presupposti per un processo di pace, evidentemente», aggiungendo che «l’operazione militare speciale continua». Rispondendo poi alla domanda se il Cremlino è pronto a negoziare con qualcuno del governo in carica a Kiev, Peskov ha risposto: «Questo è difficilmente possibile, perché qualsiasi trattativa con la Russia è vietata (in Ucraina, ndr)».
(da Open)
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