Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
LE ZONE APPENNINICHE FALCIDIATE DALLE FRANE, QUELLE IN PIANURA INVASE DA ACQUA E FANGO… E APPENA RICOMINCIA A PIOVERE TUTTO COME PRIMA
“Quasi 9 miliardi di danni”: a un mese esatto dall’alluvione che ha messo in ginocchio l’Emilia-Romagna, la Regione di Stefano Bonaccini ha stilato una stima del disastro, ancora provvisoria, e l’ha messa di fronte al governo. Perché i soldi servono e ne servono subito: entro l’autunno vanno messi in sicurezza gli argini dei fiumi, e ripristinare le strade divelte dall’acqua. Opere urgenti per cui servono quasi 2 miliardi. Il minimo per riportare la serenità tra i cittadini che ancora oggi guardano con terrore al cielo ogni volta che piove.
Trenta giorni dopo l’alluvione ancora il commissario per le ricostruzione non c’è: e senza il commissario dal governo non arriveranno fondi. “Questo non è un bancomat” ha spiegato il ministro della Protezione Civile Nello Musumeci. Il tema è tutto lì: va gatto un piano per evitare che possa succedere ancora. Ma sul quando e soprattutto sul chi lo dovrà coordinare resta lo stallo. Gli enti locali premono per un nome con cui interloquire, da Roma si fa melina spiegando che va capito prima cosa c’è da fare per scegliere chi dovrà poi farlo.
Intanto nelle province colpite la conta dei danni non è ancora finita: se le città sono ormai sgombre dal fango, le esondazioni hanno reso acquitrini terreni agricoli. Il fango ha distrutto interi raccolti: 12mila le aziende agricole danneggiate che si aggiungono agli oltre 70.300 edifici coinvolti dal maltempo e 14.200 imprese danneggiate. Otto miliardi di danni a cui andranno aggiunti auto e mezzi persi, il mancato fatturato e la ricostituzione delle scorte delle aziende.
Già finiti i soldi per l’emergenza
Intanto i 200 milioni arrivati per le emergenze già erogati sono già finiti tanto che i sindaci sono costretti a fermare le ruspe perché non hanno copertura finanziaria. Così gli enti locali si caricano di debito fuori bilancio per incaricare aziende edili per aprire a volte anche solo una strada per portare medicinali, alimenti a chi vive in territori ancora isolati.
E proprio dalle province arrivano ancora impellenti richieste d’aiuto. Ad un mese dall’alluvione, molte attività sono ancora inagibili per la gran quantità di fango e detriti come succede a una attività turistica a Castenaso
“Io tutto ciò che avevo l’ho investito in quell’attività e ora non ho più niente” racconta Patrizia Passatempi, titolare del ristorante I Laghetti a Gianluca Notari di BolognaToday. “Ho cercato tra i volontari un elettricista e un imbianchino perché è tutto da rifare. L’allagamento è arrivato un metro e ottanta centimetri di fango e quindi dovuto buttare tutto: ora tutti i macchinari, tutta l’attrezzatura e tutto l’allestimento sono in giardino. Io altri soldi da investire non ne ho, ripeto: tutto ciò che avevo l’ho investito in quella attività”. Qui come altrove è ancora incessante l’opera dei volontari. “In molti vengono, anche fuori da Bologna, specialmente il fine settimana – spiega ancora la titolare del ristorante – io gli faccio da mangiare e mi sembra il minimo, ma è tutto ciò che posso fare”.
I volontari ancora al lavoro
Si attendono in rimborsi ma come raccontano altri ristoratori gli aiuti sono sempre troppo pochi: “Sono arrivati i moduli della Regione per la richiesta del rimborso ma sinceramente io con 5mila euro mi ci pulisco un dente” spiega Laura Cavallini di Sasso Marconi.
La terra all’esterno dello stabile che ospita la Trattoria Ganzole è ancora tutta lì e nelle cantine ci sono ancora due metri e venti di fango. “Sono stati portati via tanti camion di detriti, ma appena ricomincia a piovere ritorna tutto come prima. Siamo a un mese dall’alluvione, ma sembra ancora il secondo giorno. Tutti vengono a stringere mani, a parlare, a brigare, ma alla fine dovrò fare tutto io” spiegano a Bolognatoday.
“L’acqua continua ad uscire anche dal fiume Idice” conferma Sandra Rambaldi dal Centro Ippico Montefano di Budrio “Piano piano, ma esce. La situazione è identica ad un mese fa, con il dubbio però che se anche iniziassimo a ripulire i fabbricati l’acqua e il fango potrebbero rientrare”.
“La rottura dell’argine è ancora tutta lì. Ci hanno detto che l’acqua dovrebbe rientrare nel letto del fiume entro fine giugno, ma ci crederò solo quando l’avrò visto. Il punto è che per entrare nei fabbricati e pulire con il fango bisogna creare una via d’accesso che, ci hanno detto, dovrebbe essere a spese nostre. Ora io dico: noi avevamo speso soldi per l’attività, paghiamo le tasse, spendiamo per mantenere i nostri cavalli in un altro centro e ora dobbiamo anche pagare per questo? Mi sembra assurdo. I rimborsi della Regione vanno dai 3mila ai 5mila euro, ma naturalmente non sono ancora stati dati. Le domande vanno inviate entro il 30 giugno e magari qualche domanda verrà anche rifiutata. Che poi io dico: 3mila euro per chi ha avuto una casa distrutta mi sembra davvero una presa in giro”.
In tutta la regione, come comunicato dalla Protezione Civile, finora i cantieri di “somma urgenza” attivati sono 74, per una spesa totale di 93 milioni di euro. A Forlì sono ancora duemila le persone sfollate, 930 le famiglie con danni in casa e 300 quelle che devono ricorrere agli aiuti anche per mangiare. Tra i danni alle famiglie anche quelle alle autovetture. Solo a Forlì sono 350 i “veicoli alluvionati” rimossi a spese del Comune all’inizio dell’emergenza e raccolti nel grande parcheggio della fiera. I veicoli sono nella piena disponibilità dei proprietari e circa un centinaio di mezzi sono stati ritirati per tentare una riparazione. Sono circa 250 quelli ancora presenti nel deposito comunale. Situazione simile nel cesenate dove sono circa 600 gli sfollati dell’alluvione mentre ogni giorno la struttura di volontariato delle “Cucine Popolari” distribuiscono circa 120 pasti agli alluvionati. Ottocento le famiglie che hanno chiesto il rimborso aiuti.
Nell’anniversario della tragedia non si può dimenticare che questa tragedia ha portato via per sempre 14 persone, la metà delle quali nella provincia di Ravenna. Il 79enne Giordano Feletti. Il 73enne Delio Foschini e la moglie 71enne Dorotea Dalle Fabbriche. L’89enne Giovanni Sella. Il 75enne Giamberto Pavani. Il 68enne Fiorenzo Sangiorgi, trovato dopo una settimana. La 92enne Neride Pollini. Ma anche l’86enne Remo Bianconcini, morto nella “prima ondata” di maltempo, quella del 2 maggio. Morti per i quali la Procura di Ravenna ha aperto un fascicolo per l’ipotesi di reato di disastro colposo a carico di ignoti.
A Forlì perse la vita Vittorio Tozzi, 67 anni, morto la sera di martedì 16 in via Firenze 45 mentre cercava di recuperare i suoi animali al piano terra della sua casa, mentre la moglie lo attendeva al piano superiore. È stata la donna a gridare aiuto dal balcone di casa, attirando le attenzioni dei soccorritori che si sono precipitati sul posto. Ma per l’uomo non c’era stato nulla da fare, travolto dall’ondata di acqua. Sono stati rinvenuti il giorno dopo, sempre a Forlì, Franco Prati, 64 anni, e di Adriana Mazzoli, 53 anni. I cadaveri di marito e moglietrovati all’interno della loro casa di via Padulli 26, probabilmente allagata in pochi istanti dalla grande massa d’acqua che si riversava dal Montone, il cui argine è lì vicino, in una strada che è un poco più bassa rispetto alla via Emilia, di cui è traversa.
Era ancora al lavoro nella loro azienda a Ronta Marinella Palma Maraldi, 69 anni, e il marito Sauro Manuzzi, 73 anni. In via Masiera II producevano e confezionavano le erbe officinali e fiori per la pasticceria. Avvisati dalla figlia della rottura degli argini a Cesena non hanno fatto in tempo a mettersi in salvo. Marinella è scivolata ed è caduta nell’acqua e la corrente, che era molto forte l’ha trascinata via. Il suo corpo è stato poi ritrovato a circa 20 chilometri di distanza, sulla spiaggia di Zadina di Cesenatico. Sauro ha provato nella disperazione a cercarla, annaspando nell’acqua ma non ce l’ha fatta e dallo sforzo ha perso il fiato. Si è accasciato su un piccolo promontorio. A Calisese aveva perso la vita Riccardo Soldati: era in casa con la moglie ed era uscito nel giardino proprio quando detriti e fango sono scesi dal monte, investendolo e uccidendolo sotto il peso dello smottamento.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
PREZZOLINI I CORI PRO-BERLUSCONI SUL SAGRATO DEL DUOMO LI AVREBBE SCHIFATI
Prezzolini, Soffici, Papini, La Voce, i futuristi, Longanesi. “Da
riscoprire”, dicono i capi vecchi e nuovi della destra di potere. Dev’essere un problema loro. Devono essere sfuggite, a questo comitatone di riscopritori, le decine di mostre sul futurismo e le opere di futuristi appese, da sempre, in ogni spazio espositivo italiano che si occupi del Novecento.
O vogliono raccontarci che i quadri di Balla, Depero, Boccioni debbano essere sortiti dagli scantinati e ripuliti dalle ragnatele?
Devono avere biblioteche molto povere. Soffici, Longanesi e Papini nella mia ci sono, e i libri di Prezzolini sono uno sproposito, almeno cinquanta – ma questo non è mio merito, è un lascito: mia madre era una sua accanita lettrice.
La mia biblioteca “di sinistra” pullula di autori “di destra”, volendo adottare questo schemino anti-culturale già in partenza. Niente e nessuno ha mai impedito di leggerli: difatti li ho letti. Niente e nessuno ha mai impedito di conoscere Balla, Depero e Boccioni: difatti li conosco. Era il fascismo che vietava. Non la democrazia.
È dunque legittimo il sospetto che siano i “riscopritori” a non avere mai conosciuto i loro intellettuali, dal momento che ne parlano come di una salma da riesumare.
Ed è un vero peccato: perché se leggessero, per esempio, il severo, impassibile, laico Prezzolini, amaramente antitaliano, o il cinico Longanesi, si accorgerebbero che la presente destra populista, e specialmente il berlusconismo con tutta la sua demagogia e le sue clientele, sono precisamente l’opposto di quell’antico pensiero conservatore.
Sarebbero indotti a prendere le distanze, se non da se stessi, dalle loro poltrone di ministro, conquistate sulla scia dei cori ultras che echeggiano perfino sul sagrato del Duomo.
Prezzolini, quei cori, li avrebbe schifati.
(da La Repubblica)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
DESTRA E’ SEMPRE STATA DIFESA DELLA LEGALITA’, L’EMBLEMA E’ IL SACRIFICIO DI PAOLO BORSELLINO… ORA UNA SEDICENTE DESTRA ECONOMICA VOTA L’IMPUNITA’ PER I CORROTTI
E sì che fino a pochi mesi fa la vulgata dei meloniani si reggeva almeno sull’equivoco: che era Forza Italia a spingere per cancellare l’abuso d’ufficio, stringere i bulloni sulle intercettazioni, insomma usare la leva del garantismo che fa rima con impunità. Mentre Fratelli d’Italia giammai!
E che Carlo Nordio, benché voluto da Giorgia Meloni in persona in Via Arenula, aveva preso a fare di testa sua – “più berlusconiano di Berlusconi” –, andava per questo ridimensionato, silenziato, se non costretto al passo indietro: morto B. (quello delle infinite leggi ad personam che, sempre secondo la leggenda, è riuscito a far digerire obtorto collo per un ventennio all’intero centrodestra e già che c’era pure che Ruby Rubacuori era davvero la nipotina di Mubarak), Meloni&C. hanno varato la riforma della giustizia a sua immagine e somiglianza. Una sorta di rito di passaggio all’età adulta nella stanza dei bottoni, ma più che altro il trasferimento di poteri e rappresentanza da Forza Italia a Fratelli d’Italia.
Che, come Berlusconi, è intanto riuscita a mandare in testacoda gli avversari, agitandoli ben bene prima dell’uso. La riforma del governo squassa infatti il Pd e crea quella che un ex di lusso come Andrea Marcucci chiama “la maggioranza del buonsenso” sotto le cui insegne militano e si iscrivono nei fatti non solo Renzi e Calenda, ma pure tantissimi sindaci, da Ricci a Sala a Decaro e pure il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che ieri ha promosso il governo tuonando contro “i trasformisti e gli opportunisti riciclati con la Schlein”.
Ma con la riforma della giustizia che elimina con un tratto di penna l’articolo 323 del codice penale, svuota il reato di traffico di influenze, affievolisce le misure cautelari per i corrotti, Fratelli d’Italia raccoglie soprattutto il testimone del berlusconismo.
Compresa la mordacchia alla stampa sulle intercettazioni che un tempo non molto lontano erano ancora gradite: ricordate il Qatargate? Con la svolta della destra a Palazzo Chigi ha però anche l’occasione di seppellire per sempre i suoi fantasmi. Tra tutti Gianfranco Fini, che nel 2010 aveva minacciato la crisi di governo sul ddl sulle intercettazioni voluto da Berlusconi (tramite il delfino senza quid Alfano), definito da Italo Bocchino, oggi tornato in auge, “ad alto rischio di incostituzionalità”.
Lo stesso Fini che, l’anno successivo, a rottura ormai consumata e imbarcatosi in Futuro e Libertà, si era tolto (in ritardo) i sassolini dalle scarpe. “La legge sulle intercettazioni non è la migliore legge per l’interesse nazionale, ma forse per l’interesse personale di qualcuno” per tacere del resto, sempre all’indirizzo dell’ex Cav: “Un giorno serve il processo breve e un giorno il processo lungo a seconda di quello che gli conviene”.
Ma ormai non è nemmeno più il tempo della destra legalitaria di Alleanza Nazionale, che nel 2000 aveva spinto l’allora deputato Alfredo Mantovano, oggi uomo forte di Palazzo Chigi, a chiedere che lo Stato si costituisse “parte civile nei procedimenti penali a carico del sindaco di Gallipoli” condannato proprio per abuso d’ufficio, epperò a suo dire ancora spalleggiato dal partito di Massimo D’Alema (allora presidente del Consiglio) con “grave delegittimazione dell’operato della magistratura inquirente e giudicante, tanto che alcuni esponenti della magistratura associata salentina hanno pubblicamente protestato”.
Meno che mai della destra d’antan che il 17 ottobre 1992, aveva portato in piazza l’Italia onesta al grido “Tangentocrazia , ti spazzeremo via” sfilando in guanti bianchi a difesa dei magistrati di Mani Pulite.
O che il 1º aprile 1993, mentre da giorni i missini mostravano in aula manette e tiravano finte banconote e spugne gialle, portava i giovani del Movimento sociale italiano a cingere d’assedio Montecitorio al grido di “Arrendetevi, siete circondati!” applauditi e incitati da Teodoro Buontempo, ma pure Alessio Butti, oggi sottosegretario a Palazzo Chigi. E Maurizio Gasparri per il quale Antonio Di Pietro era “un mito”.
La destra che era per l’abolizione dell’immunità parlamentare che per Fini, Ignazio La Russa e ancora Gasparri erano “un privilegio medievale” e uno “strumento per sottrarsi al corso necessario della Giustizia” Ma che era servita a Bettino Craxi a salvarsi dalle misure cautelari sulle quali oggi il governo fa un favorone ai corrotti. Errori di gioventù, tutto dimenticato. In nome dell’eredità di B.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
IL WEB E’ DIVENTATO UN FAR WEST DOVE SI PERMETTE A DEGLI IMBECILLI DI FARE PURE QUATTRINI
Immaginate se sul Corriere apparisse ogni giorno una pagina che
inneggia a sfide estreme e potenzialmente pericolose, sponsorizzata da aziende grandi e piccole, queste ultime incaricate di fornire agli sfidanti la materia prima per le loro mirabolanti imprese: si scatenerebbe un putiferio.
Invece nel far west della Rete accade che un canale di YouTube, dove degli svalvolati viaggiano per 50 ore di fila su un bolide messo a disposizione da un autonoleggio debitamente reclamizzato, possa accumulare centinaia di migliaia di «follower» senza che nessuno intervenga.
Poi ci scappa l’incidente, muore un bambino e improvvisamente si scopre che bisognava fare qualcosa. Parliamo di un mondo, Internet, in cui sempre più spesso si viene censurati per avere espresso un’opinione politicamente scorretta, mentre chiunque può impunemente fornire modelli artigianali di distruzione a legioni di emulatori.
Non credo che il web ci abbia peggiorati. Non ci ha neanche migliorati, però. Nelle caverne dell’età della pietra ci sarà stato più di un cretino che roteava la clava davanti a una tigre addormentata per fare colpo sui «follower» della sua tribù, ma prima o poi qualcuno lo avrà disarmato, altrimenti ci saremmo già estinti.
Poiché il web è una clava più potente, richiederebbe di essere maneggiata da esseri più evoluti.
Nell’attesa (piuttosto lunga, temo) che ciò accada e soprattutto di capire come togliere la clava ai cretini, mi accontenterei che le aziende, grandi e piccole, smettessero di finanziarli.
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
IN OTTO ARTICOLI I RISCHI DI AUMENTARE L’IMPUNITA’
Una legge salvacorrotti. Firmata Carlo Nordio. Che mette in subbuglio la magistratura italiana, seppure con qualche divisione al suo interno. Che produce soprattutto l’entusiasmo dei sindaci d’Italia d’ogni colore perché è stato abolito l’abuso d’ufficio. Che conferma la conflittualità permanente tra le toghe e il Guardasigilli, ex toga pure lui. Colpiti i giornalisti, il cane da guardia della democrazie, che perdono il diritto di raccontare le intercettazioni. E ora le opposizioni annunciano battaglia in Parlamento.
Abuso d’ufficio, l’abolizione cancella 3.623 condanne
L’odiato, dai sindaci d’ogni colore politico, abuso d’ufficio, grazie al Guardasigilli Carlo Nordio, non ci sarà più. Via l’articolo 323 del codice penale. Che fa parte dei delitti contro la Pubblica amministrazione. I magistrati più autorevoli d’Italia, dal procuratore nazionale antimafia Gianni Melillo all’ex presidente dell’Anac Raffaele Cantone oggi procuratore a Perugia, nonché i capi delle più importanti procure come quello di Roma Franco Lo Voi, lo considerano un reato “spia” dal quale partire per scoprire altre possibili corruzioni.
Nordio non la pensa affatto così. E può vantare una personale vittoria, alla fine di una battaglia durata assai a lungo, cominciata nel palazzo della politica già otto anni fa quando all’allora ministro degli Affari regionali Enrico Costa mise in mano una relazione in cui dimostrava che l’abuso d’ufficio era un reato inutile. Costa è stato il paladino della cancellazione, tant’è che per primo in questa legislatura ha presentato la proposta di legge per sopprimerlo, e ora inneggia a Nordio.
Da ieri i sindaci d’Italia d’ogni colore, checché ne dica la sinistra, plaudono alla “morte” del reato più odiato dai pubblici amministratori. Perché ne sarebbero state vittime, pure con la loro famiglia, come dice a Repubblica il vice presidente dell’Anci Roberto Pella, forzista, da ben vent’anni sindaco di Valdengo, comune di 2.600 anime in provincia di Biella. Lui racconta che in queste ore arrivano da tutti gli amministratori valanghe di consensi, sono tutti entusiasti, hanno vinto la battaglia della loro vita. Si sentono finalmente liberi.
Ma lo sono effettivamente? Certo, una conquista l’hanno fatta, perché quando l’abuso d’ufficio sarà cancellato dal codice, come dice il giurista della Statale di Milano Gian Luigi Gatta, ben 3.623 condanne definitive presenti nel casellario giudiziale, emesse tra il 1997 e il 2022, evaporeranno. Anche se dall’Europa arriva la linea opposta, non solo l’abuso d’ufficio esiste in 22 paesi, ma Bruxelles sta per emanare una direttiva per renderlo obbligatorio in tutti Stati dell’Unione. L’Italia va in contro tendenza.
Cosa accadrà ai sindaci che firmano documenti e delibere con macchie di opacità? Finiranno lo stesso sotto le mani del giudice perché l’ampio catalogo dei reati anticorruzione consente di contestare ben altri delitti agli amministratori pubblici che con discrezionalità, nelle migliori intenzioni, e con dolo, nelle peggiori, commettono reati. Il loro prossimo obiettivo è già nelle mani di Nordio: cancellare la legge Severino che fa dimettere chi viene condannato in primo grado. Loro vogliono la condanna dopo la sentenza definitiva come i parlamentari. Sicuramente Nordio, da sostenitore del referendum radical leghista per abrogare la Severino, li accontenterà pure in questo.
Solo per fare qualche esempio, Beppe Grillo probabilmente non finirà mai a processo per i suoi rapporti con l’armatore Vincenzo Onorato. Luca Palamara, l’ex magistrato che ha patteggiato a un anno la sua pena, potrà invece chiedere che la sua condanna venga annullata: non esiste più il reato per come era stato configurato, nessuna pena. E ancora: tutti i politici, tutti quei pubblici ufficiali che in questi dieci anni – da quando la norma Severino l’ha introdotta – sono stati condannati e processati per “il traffico di influenze” è possibile che non lo saranno più. Perché, dicono i tecnici, così com’è scritta la nuova fattispecie della norma è praticamente inutile se non per colpire casi davvero limite, che non si verificano quasi mai.
Secondo alcuni il vero punto attorno a cui ruota la riforma Meloni della giustizia è proprio il nuovo “traffico di influenze” previsto dalla legge: “È l’obiettivo vero – si spinge a dire uno dei più importanti magistrati italiani – perché il resto è quasi contorno: si strizza l’occhio ai sindaci con l’abuso di ufficio, qualcosa sulle intercettazioni, il tema gravissimo della sostituzione del giudice unico delle indagini preliminari però rimandato di due anni. Ma la vera questione è quella del traffico di influenze che, così com’è stato scritto, è di fatto inapplicabile”.
Il traffico di influenze è un reato che è stato introdotto con la Severino ed era considerato dai giuristi “inattaccabile” perché nato su una specifica richiesta da parte dell’Unione europea. Seppur possa sembrare vago nella formulazione – “chiunque fuori dai casi di corruzione, sfruttando o vantando relazioni con un pubblico ufficiale, fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione illecita” – in realtà colpisce una figura specifica della fattispecie della corruzione: quella del facilitatore. Lo dimostrano le decine di indagini in materia di pubblica amministrazione in cui è stato contestato. O per esempio l’indagine sul Qatargate che spiega, meglio di qualsiasi altra, cosa si intende per traffico di influenze.
Con la nuova norma non sarà più così: la riforma prevede infatti che, per essere punibile, il facilitatore dovrà sfruttare “intenzionalmente” il rapporto con il pubblico ufficiale. Che il rapporto dovrà essere “esistente” e non più anche immaginato, facendo di fatto sparire il vecchio “millantato credito”. Ma c’è di più: l’utilità oggetto dell’indagine deve essere “economica”, cioè serve lo scambio di denaro e non di altro genere. E il pubblico ufficiale deve ricevere i soldi “in relazione all’esercizio della sua funzione”, non basta cioè pagare il facilitatore. Ma deve esserci la prova che il denaro arrivi all’utilizzatore finale. Per usare un’espressione cara a questa maggioranza di governo.
La riforma della giustizia prevede l’interrogatorio “preventivo rispetto alla eventuale applicazione della misura cautelare”, solo per alcuni reati, fra questi a quanto pare quelli che riguardano reati come la corruzione o la concussione. Quelli cioè in cui incappano i “colletti bianchi”. L’indagato viene convocato dal giudice il quale gli comunica che il pm ha chiesto il suo arresto e quindi, secondo Nordio, viene anticipato l’interrogatorio che farà valutare al magistrato se vi sono o meno le esigenze cautelari e quindi l’arresto. E nel frattempo ha tutto lo spazio e il tempo di distruggere prove, procurarsi alibi e sviare le indagini a proprio favore. In buona sostanza, dal testo sommario che è stato diffuso di questa riforma, l’indagato accompagnato dal proprio difensore si presenterà nell’ufficio del giudice e farà fatica ad avvalersi della facoltà di non rispondere sapendo che il suo silenzio può pregiudicare la posizione giudiziaria. Chi è sottoposto a indagini o è imputato in un processo penale deve essere sempre espressamente avvertito del diritto di non rispondere alle domande relative alle proprie condizioni personali, come ha stabilito di recente la Corte costituzionale. In questo caso dunque cosa accade? Si ribalta ciò che avveniva durante Tangentopoli? Se durante il periodo di “Mani pulite” la politica che oggi critica il modo in cui sono state condotte alcune inchieste che hanno portato all’arresto di politici e professionisti, sostenendo che i magistrati facevano sentire il tintinnio delle manette per farli parlare, adesso questa riforma potrebbe essere peggiore? C’è già chi ha battezzato questa norma: “si salvi chi può”. In via Arenula con questo testo parlano di tutelare chi è sotto inchiesta, ma se così fosse, agli indagati potrebbero venir meno le garanzie che il codice prevede.
E c’è anche chi fa emergere tra i togati la creazione di strade giudiziarie differenti per le indagini. Lo spiega il segretario generale di Magistratura Indipendente, Angelo Piraino: “Con la previsione dell’obbligo di interrogatorio preventivo rispetto all’irrogazione della misura, che viene escluso per tutti i reati commessi con armi o violenza, si rischia concretamente di creare binari molto differenti per le varie tipologie di reato, differenziando i procedimenti in modo significativo e rendendo oltremodo difficile l’organizzazione del lavoro”.
Un disegno di legge che segna “un pericoloso indebolimento dei presidi anticorruzione faticosamente istituiti nell’arco dell’ultimo decennio”, fa notare l’associazione Libera di don Ciotti, che aggiunge: “Se l’obiettivo è un’accelerazione forzosa dei processi decisionali per spendere in tempo gli ingenti fondi Pnrr, simili provvedimenti rischiano seriamente di generare un contesto politico-amministrativo criminogeno, nel quale la spesa pubblica andrà in misura significativa a soddisfare non gli interessi collettivi, bensì gli appetiti di organizzazioni criminali, corrotti e corruttori”.
Un bavaglio ai giornalisti, ma anche una stretta che rischia di creare un danno irreparabile a indagini e processi. La riforma scritta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio introduce dei limiti sul fronte delle intercettazioni, vietandone la lettura e la pubblicazione ai giornalisti. Ma introduce anche dei vincoli all’utilizzo delle intercettazioni ai magistrati e perfino alla polizia giudiziaria in fase di trascrizione dopo aver ascoltato gli audio: e qui si rischia l’affidamento di un potere discrezionale enorme alla polizia giudiziaria (togliendolo ai magistrati) e di compromettere del tutto lo sviluppo delle indagini cancellando sul nascere elementi indiziari utili sia al fascicolo oggetto dell’indagine sia ad altre inchieste e processi che vedono gli stessi personaggi coinvolti.
Il testo approvato dal Consiglio dei ministri “afferma il divieto per la polizia giudiziaria di riportare nei verbali di intercettazione i dati relativi a soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini”. In sintesi, l’inquirente che ascolta l’intercettazione dell’indagato con una terza persona dovrà stabilire, al momento di trascriverla, se mettere o meno il nome della persona terza citata prima di consegnare il verbale al magistrato: che quindi si troverà davanti un documento con testi già in parte selezionati alla fonte. La riforma toglie quindi al magistrato il potere di stabilire se un elemento è utile o meno ai fini dell’indagine per darlo alla polizia giudiziaria
Inoltre lo stesso magistrato non potrà “acquisire (nel cosiddetto stralcio) le registrazioni e i verbali di intercettazione che riguardino soggetti diversi dalle parti, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza”. Ma se poi durante il processo dovessero emergere argomenti che rendano improvvisamente utile l’intercettazione? Questo elemento indiziario rischia di venire perso del tutto.
Comunque l’obiettivo principale della riforma resta quello di mettere il bavaglio ai giornalisti, che non potranno mai leggere delle intercettazioni se non piccole parti che finiranno in una ordinanza di custodia cautelare o in una richiesta di sequestro: quindi atti vagliati e scritti da un giudice terzo. Nulla si potrà scrivere sui giornali sulla richiesta di rinvio a giudizio, che spesso è molto più completa rispetto ai contenuti che poi utilizza il giudice per autorizzare misure cautelari. Si legge nel testo di riforma: “Si amplia il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, che viene consentita solo se il contenuto è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o è utilizzato nel corso del dibattimento”. La riforma limita quindi qualsiasi lavoro giornalistico, non solo sulla verifica e il controllo degli atti, ma anche in generale su quello che spesso emerge da indagini giudiziarie e che va ben oltre i singoli reati.
(da La Repubblica)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
PER MELONI E’ IL PASSAPORTO PER L’EUROPA E LUI SOGNA IL QUIRINALE
E’il primo inviato speciale dall’ al di là: Antonio Tajani, il medium. Parla
con lui, con l’anima di Silvio, come Paolo Conte, nella canzone parlava con Gong-Oh, lo spirito lontano, “guarda, cade una matita/ lo sento che lui è già qui”.
Ma Antonio, il dolce Antonio, parla anche con Marina Berlusconi, l’altro al di là di Forza Italia, che “mi ha autorizzato a rendere pubblica la nostra telefonata”. Solo un giornalista, come è stato Tajani, poteva raccogliere il testimone di Berlusconi, perché Tajani è il testimone “che Silvio resta vivo”. Antonio è l’evangelista.
Giorgia Meloni dice ora di lui: “E’ il giudice di Forza Italia. La Cassazione”. Non c’è dell’ironia. Tajani ha davvero amato, e voluto bene (ricambiato) a Berlusconi e, ieri, davvero avrebbe voluto essere inviato all’estero, altrove, come diceva alla fine della conferenza stampa, tenuta in piazza San Lorenzo in Lucina: “Credetemi, avremmo voluto fuggire da un’altra parte piuttosto che essere qui. Credetemi”.
Pochi mesi fa, raccontava, felice, di aver avuto tanto dalla vita, lavorato con Montanelli, conosciuto Berlusconi, “ho girato il mondo. Mi sento sempre un inviato”. Quando è stato indicato ministro degli Esteri, ha voluto chiamare al suo fianco, come portavoce, Vincenzo Nigro, che è stato il mappamondo del quotidiano la Repubblica, e che lui, Tajani, definisce “uno dei più grandi inviati italiani”.
Tajani si capisce solo attraverso questa figura, la figura dell’inviato. Sono i giornalisti che vivono fuori dalle redazioni e che maturano la serenità del distacco. Tajani è stato per anni l’investimento di Berlusconi in Europa, l’inviato a Bruxelles. A Roma si ubriacavano di gaffe, mentre lui cenava alle otto di sera. E’ stato Tajani a fare eleggere Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, e oggi, non appena Antonio chiama, lei, Metsola, prende il primo aereo: “Antonio, dimmi, che ti serve?”. Tajani conosce da quasi vent’anni il Ppe, meglio della sua bocciofila. Chi è che ha bisogno? E’ Tajani o è Meloni? E’ Tajani che deve trattare l’integrazione, per conto di Meloni, tra conservatori e popolari. Ed è sempre lui che accompagna, a Palazzo Chigi, Elon Musk, insieme a Nicola Porro. Era sempre lui, che Marina e Pier Silvio chiamavano per mettere una pezza alle parole del padre su Putin, “che non aiutano le nostre aziende”.
E infatti, come diceva ieri il ministro Paolo Zangrillo, scendendo le scale, “nessuno italiano e nessuno, nel centrodestra, può vantare le relazioni di Antonio. Al futuro congresso di Forza Italia mi auguro l’ampia convergenza su Antonio”.
Prima della nascita del governo, Tajani ha sopportato i morsi di Marta Fascina perché, gli diceva, “Antonio, il presidente non è stato coinvolto nella scelta dei ministri. Non va bene, Antonio. Non va bene”. Adesso Fascina la pensa come Tajani. Berlusconi, solo per Antonio, si è inventato la figura del coordinatore del partito, che in quel mondo vale come la promozione, l’unica possibile, prima della sua morte: da inviato a vicedirettore. E’ una carica che, a secondo di chi la ricopre, può fare la fortuna del capo o anticiparne la disgrazia. I vice possono farne la fortuna, se amministrano il potere con la tenerezza, ma possono anticiparne la disgrazia, quando cominciano ad amministrare con la severità del comando. Tajani era per Berlusconi, “il ci pensa Antonio”. Come il capitano Vere di Billy Bud, Tajani ha provato a zuccherare gli ordini, anche spietati, per non permettere che i “cuori caldi, tradiscano i cervelli, che devono rimanere freddi”.
Meloni chiedeva ad Antonio di contenere il potere di Ronzulli e Tajani le diceva: “Dammi tempo. Con Licia serve tempo”. Con Meloni (e Gianni Letta, vicedirettore vicario), Tajani ha trattato direttamente i dicasteri. Quando una parte di Forza Italia lo ha saputo, mancava poco che lo sbranasse. E lui chiedeva scusa. In FI cominciano a chiamarlo “il palafreniere” di Giorgia, ma, per Meloni, Antonio è in realtà l’irrinunciabile, “perché come dice Antonio, la Tunisia sta sfuggendo di mano. Come dice Antonio, è necessario ricostruire un ponte con l’Egitto”. Alla stessa maniera degli inviati, Tajani ha studiato la mappa Meloni e ha compreso quale fosse il suo posto nella capitale di governo: “Cosa si può dire di una donna che ha trascinato un partito dal 4 al 26 per cento?”. Lei, la premier, parlando ai suoi: “Tutti sottovalutano Antonio, ma guardate di cosa è stato capace”. Tajani aveva promesso al suo Barelli, estromesso dal governo, di attendere, perché la giustizia sarebbe stata ripristinata. E lo è stata.
Ogni settimana, Tajani spediva almeno un inviato da Berlusconi. Erano ex ministri, grandi e antichi imprenditori, che avvisavano il capo: “Stai sbagliando con Meloni”. Quando Forza Italia ha smesso di attaccare FdI, Meloni ha esclamato: “Questo è Antonio!”. Ma Antonio è lo stesso, che ieri, dopo la conferenza, ha pranzato con Ronzulli, promesso collegialità. E’ della stessa pasta dei Giancarlo Giorgetti. C’è chi scommette che si contenderanno, un giorno, il Quirinale. Sono vasi di coccio. E’ vero. Lo sono. Ma è nella terracotta che crescono le piante ed è lì che l’acqua rimane fresca. E’ sui vasi di terracotta che le civiltà tramandano gli amori e i loro inconsolabili lutti.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
SI E’ PRESENTATO A SORPRESA IN UN CELEBRE RISTORANTE DI MIAMI MA SE N’E’ ANDATO SENZA SALDARE IL CONTO DEI SUOI SOSTENITORI
«Cibo gratis per tutti, offro io!». Anzi no.
L’ex presidente statunitense Donald Trump poco dopo essersi dichiarato «non colpevole» di fronte a tutti i capi d’accusa che gli sono stati contestati dalla Corte federale di Miami in Florida, ha deciso di fermarsi per alcuni di minuti nel celebre ristorante cubano Versailles di Miami.
Il tycoon è stato accolto da una folla di sostenitori che l’hanno ricoperto di applausi e gli han fatto gli auguri di compleanno – il 77esimo – con un giorno d’anticipo.
Attraversando il ristorante, preso dall’entusiasmo, l’ex presidente Usa ha annunciato: «Cibo gratis per tutti, offro io!». E così i sostenitori e le persone presenti nel locale han deciso di fare incetta di ordinazioni. Peccato che Trump, come riportato dal Miami News Times, abbia abbandonato poi il locale senza pagare nulla, lasciando così una brutta sorpresa – e un conto abbastanza salato – agli ospiti e ai titolari del locale.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
“LA CHALLENGE E’ SINTOMO DI UN DISAGIO PROFONDO, SPIEGA LA GIUDICE CALTABELLOTTA”
L’autolesionismo torna a preoccupare sui social. In questo caso è la
procura per i minorenni di Palermo a indagare sul fenomeno – self cutting in inglese – che in diversi gruppi online dell’area del capoluogo siciliano avrebbe persuaso almeno una decina di minori, soprattutto ragazzine tra i 12 e i 14 anni a procurarsi tagli profondi sulle braccia e altre parti del corpo. Sono stati genitori e insegnanti, con le loro segnalazioni a portare alla luce il problema. Sui promotori, attualmente ignoti, pende l’ipotesi di reato per istigazione al suicidio. Al momento la procura lavora con le immagini acquisite nei gruppi e prosegue gli accertamenti avvalendosi anche di diversi telefoni sequestrati, negli stessi giorni in cui l’Italia resta sconvolta dall‘incidente di Casal Palocco in cui un bambino di 5 anni è morto nello scontro tra una Smart e un Suv Lamborghini guidato da due youtuber intenti in una challenge.
Le cause
«Il self cutting è un fenomeno di recente emersione», sostiene la sostituta procuratrice per i minorenni Paoletta Caltabellotta nel corso del convegno sul disagio giovanile nel periodo post pandemia, organizzato ieri mattina al tribunale per i minorenni. «Un fenomeno in cui i partecipanti si riconoscono e si aggregano attorno ad un adolescente leader, la cui finalità è appunto quella di tagliarsi», ha aggiunto. Sulle piattaforme social, la costante condivisione delle prove fotografiche del proprio autolesionismo avviene «instaurando una sorta di competizione», continua il magistrato. La ragione? «Con quegli atti — tagli, abrasioni alla pelle delle braccia o di altre parti del corpo — i ragazzi provano a coprire un altro dolore», continua Cartabellotta a La Repubblica di Palermo.
L’inchiesta
Il sintomo di un disagio che sembra essere particolarmente forte tra i giovani palermitani, dato che qualche ragazzina ha rischiato anche la vita. «L’adesione a quei gruppi — dice ancora la dottoressa Caltabellotta — scaturisce proprio dal tentativo di superare le difficoltà collegate al disagio nella relazione con i pari, con i genitori, nella scuola». «Non è facile intercettare queste situazioni — spiega e Jessica Barattin, del nucleo Investigativo dei carabinieri — ma l’impegno dei carabinieri e di tutte le forze dell’ordine è massimo per cercare di cogliere situazioni di disagio che corrono sul Web».
(da Open)
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Giugno 17th, 2023 Riccardo Fucile
“OFFRE BENESSERE E SICUREZZA”
Da Casteller alla Romania. Questo è il percorso che potrebbe seguire l’orsa Jj4, attualmente in cattività nella struttura trentini che molti animalisti considerano una alla stregua di prigione con l’accusa di aver ucciso il 26enne Andrea Papi, trovato morto in un bosco nei primi giorni dello scorso aprile.
L’animale, oggetto di diverse ordinanze di abbattimento, tutte sospese, dovrà attendere il 13 luglio per conoscere il proprio destino. E potrebbe farlo nel Libearty Sanctuary di Zarnesti, nella Romania centrale.
Si tratta di un centro specializzato, il più grande al mondo per gli orsi. Ad effettuare un’ispezione per verificarne l’idoneità è stato Rainer Schneider, veterinario e direttore sanitario del Cras «Stella del Nord» della Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, che ha trasmesso la sua opinione all’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente presieduto dall’onorevole Michela Vittoria Brambilla.
Il santuario per orsi di Zarnesti
«Per due giorni ho avuto l’occasione, emozionante, di visitare l’area di 80 mila quadrati, che ospita 120 orsi, salvati da una vita di terribili abusi e cattività», racconta Schneider citato dal Corriere della Sera. Si tratta di una struttura visitabile, ma non di un zoo, dato che ad ammettere curiosi umani sono solo il 30% degli spazi del centro gestito da Cristina Lapis e dal marito fin dalla sua fondazione nel 2008. La coppia ha già un proposta per il nuovo nome di Jj4: «Speranza».
L’orsa avrebbe a disposizione un proprio recinto, ubicato nella sezione anagrafica adatta. Da lì sarebbe libera di muoversi nell’area principale, dove la maggior parte degli orsi convive in armonia, videosorvegliata 24 ore su 24. Il perimetro della struttura è elettrificato, i maschi sono sterilizzati per evitare conflitti durante la stagione degli amori. La dieta è principalmente a base di frutta e sono presenti piscine dove gli animali possono giocare e rinfrescarsi. «Non ho osservato episodi di aggressività», aggiunge il veterinario.
Un centro anche in Italia?
L’ipotesi del trasferimento è stata portata sul tavolo dalle associazioni animaliste Oipa, Enpa, e Leidaa. In caso si acconsentisse, Jj4 sarebbe prima portata in un’area per l’ambientamento e poi rilasciata nella zona principale. Un camion attrezzato del centro romeno si occuperebbe del trasporto fisico. Ma si tratterebbe quasi di uno studio, con l’obiettivo di replicare il centro anche in Italia . «Sono contraria ai trasferimenti degli orsi.
Il Libearty — spiega l’onorevole Brambilla — è un luogo adatto, ma altri orsi del Trentino inviati all’estero non vivono in condizioni ottimali. Da amanti degli animali vorremmo rimanessero dove sono nati, sotto il controllo di nostri esperti, protetti dalle nostre leggi e dalle norme internazionali di cui l’Italia garantisce il rispetto». Intanto il santurio romeno potrebbe offrire il santuario «adeguate condizioni di benessere e sicurezza».
(da Open)
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