Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO RINNEGA L’INTUIZIONE DI FALCONE E BORSELLINO
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha una ricetta semplice per
migliorare la sicurezza dei cittadini: eliminare i reati.
Se non li puoi perseguire, se non puoi garantire un tempo giusto per celebrare il processo, se non puoi trasformare il funzionamento della macchina giudiziaria in quella di un paese civile, allora azzera direttamente il reato garantendo piena impunità a chi delinque.
Un’idea geniale che ha una sola platea di beneficiari: i colletti bianchi. Per i poveri Cristi, invece, le galere devono aumentare e anche i reati, per loro solo carcere buttando la chiave.
Nordio è partito con l’eliminazione dell’abuso d’ufficio, con buona pace di chi subisce le angherie dei potenti, e ora vuole tentare il colpo grosso: abbattere il concorso esterno in associazione mafiosa. Per essere precisi, vuole completamente rimodularlo perché «evanescente».
Per concorso esterno sono stati condannati politici che hanno contribuito agli scopi delle organizzazioni criminali, quelle che in questo paese hanno ammazzato i servitori dello stato a colpi di pistola o con cariche di tritolo. Un annuncio che arriva a pochi giorni dal trentunesimo anniversario dalla strage di via D’Amelio quando mafia e non solo uccisero il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta a distanza di neanche due mesi dalla strage di Capaci che uccise Giovanni Falcone e i suoi agenti.
Proprio Borsellino e Falcone hanno posto le basi del concorso esterno nell’ordinanza dello storico maxiprocesso, da lì l’incrocio di due articoli del codice penale, il 110 che prevede il concorso di un soggetto nel reato, e il 416 bis, l’associazione mafiosa. L’idea era semplice, c’è chi non fa parte direttamente dell’organizzazione criminale, ma fornisce ad essa un contributo esterno.
Le sezioni unite della corte di Cassazione, a partire dal 1994, hanno stabilito l’esistenza e l’applicabilità di questa fattispecie così come contenuto in numerosi pronunciamenti successivi. Se si fa parte dell’organizzazione mafiosa si applica il 416 bis, se non si fa parte, ma si fornisce un contributo non occasionale alla realizzazione degli scopi delle mafie allora si sostanzia il concorso nel reato, norma generale che non può essere esclusa per l’associazione mafiosa.
Ma per il ministro il reato è evanescente, in realtà sul contrasto alle mafie Nordio non ne ha azzeccata una.
A partire dalla frase «i mafiosi non parlano al telefono», pronunciata pochi giorni prima dell’arresto di Matteo Messina Denaro che utilizzava due telefonini fino alla frase pronunciata davanti alla camera dei Deputati: «L’Italia non è fatta solo di pubblici ministeri antimafia. Il Parlamento non può essere supino o acquiescente alle affermazioni dei pm».
Ora tocca rivedere l’odioso concorso esterno in associazione mafiosa, un reato che ha portato alla condanna dell’ex sottosegretario al ministero dell’Interno, il forzista Antonio D’Alì, attualmente in carcere perché si è messo a disposizione della famiglia Messina Denaro; un altro ex sottosegretario azzurro, Nicola Cosentino, condannato perché referente nazionale del clan dei Casalesi, Marcello Dell’Utri, l’ex senatore che aveva garantito il patto tra mafia e Berlusconi, protezione in cambio di soldi e finanziamenti a Cosa nostra. Rimodulazione o revisione del reato che potrebbe portare alla cancellazione di queste condanne, un sogno che si realizza per i politici camerieri delle mafie.
(da editorialedomani.it)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
SEGNALAZIONE DI OPERAZIONE SOSPETTA DA PARTE DI BANKITALIA
La Guardia di Finanza indaga sulla villa comprata e venduta in un’ora dal compagno di Daniela Santanchè e dalla moglie di Ignazio La Russa. Una segnalazione di operazione sospetta da parte di Bankitalia è alla base dell’inchiesta. A
ssegnata alla pubblica ministera Laura Pedio a Milano. Lei, insieme al procuratore Marcello Viola, coordina il pool dei pm che gestiscono i fascicoli su Visibilia e Ki Group.
E ora dovranno lavorare anche sulla villa a Forte dei Marmi. Dimitri Kunz d’Asburgo e Laura De Cicco il 12 gennaio scorso firmano l’atto di vendita di una villa a Forte dei Marmi. Ad acquistare è l’imprenditore Antonio Rapisarda. Che acquista i 350 metri quadrati su tre livelli con giardino e piscina per 3,45 milioni di euro. Un’ora prima avevano acquistato lo stesso immobile dal sociologo Francesco Alberoni. Per un milione circa in meno.
Lo sconto
Lo sconto è oggi al vaglio dei pm di Milano. Che, scrive La Stampa, in primo luogo dovranno stabilire il valore di mercato dell’immobile. Anche per valutare possibili ipotesi di reato. Quello contestato in seguito alle segnalazioni di Bankitalia di solito è il riciclaggio. Ma in questo caso non sembrano esserci passaggi precedenti di denaro segnalati. Alberoni, dice chi ci ha parlato, è tranquillo e sereno. «Ho ottenuto il prezzo che ritenevo congruo», ha fatto sapere il sociologo. «Non provo fastidi o disagi», ha aggiunto. Nell’entourage del professore tutti sapevano dell’ex casa colonica. Dopo la morte della moglie Rosa Giannetta Alberoni era difficile anche salire le scale della casa. «Per un signore della sua età non aveva senso tenerla», confermano gli amici. La casa era in vendita già da un anno. Le offerte erano arrivate, ma erano troppo basse. L’affare è stato gestito senza intermediari. Alberoni era assente il giorno della stipula perché aveva presenziato al preliminare di luglio. Dopo ha visitato un’ultima volta la casa per portare via alcuni libri. In seguito ha delegato la sua avvocata.
L’acquirente
L’acquirente Antonio Rapisarda, raggiunto da Domani, ha spiegato ieri che era alla ricerca di una villa in zona da molto tempo. E che Kunz non voleva venderla: «Ha accettato perché ho insistito». Ma poi ha aggiunto anche che «gli ho fatto un favore, certamente. Ma non è altro che una classica compravendita. La loro fortuna è stata avere un affare del genere tra le mani». All’epoca, ha sostenuto, non sapeva nulla della crisi di liquidità di Visibilia: «Se hanno usato i soldi per sanare non vedo il problema. Per me Dimitri è un amico. Lo conosco da molto prima del rapporto con Santanchè». Domani oggi scrive che all’epoca Kunz vedeva avvicinarsi la crisi dell’azienda. A giugno 2022 i revisori si erano rifiutati di firmare il bilancio della società. Lui e la sua compagna erano chiamati a fare fronte a impegni finanziari importanti.
L’altra villa
Santanchè ha messo in pegno anche un’altra villa per salvare Visibilia. La ministra ha vincolato l’immobile milanese per garantire i debitori di Visibilia srl. Il vincolo si trova nel piano di ristrutturazione del debito presentato per evitare il fallimento. La casa è stata acquistata nel 2004 dagli eredi di Giuseppe Poggi Longostrevi. Per 12 milioni di euro. Ma attualmente è valutata 6 milioni in un perizia in cui è disposto il vincolo. È grande 642 metri quadri.
(da Open)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL VERBALE DELL’ASSEMBLEA DEL 27 MARZO SMENTISCE LA MINISTRA
La ministra del Turismo Daniela Santanchè sapeva già dallo scorso
marzo dell’indagine su di lei e Visibilia? E ha quindi mentito in Senato durante la sua risposta all’interrogazione?
Il Fatto Quotidiano oggi parla di un atto pubblico e depositato che smentisce l’esponente del governo Meloni. Ovvero il verbale dell’assemblea di Visibilia srl del 27 marzo. Santanchè nell’occasione approva il bilancio 2021. E nell’occasione si parla dell’esistenza di «informazioni di garanzia» comunicate addirittura il 2 marzo.
In Senato Santanchè aveva detto: «sul mio onore non sono stata raggiunta da avvisi di garanzia. Per escluderlo ho chiesto ai miei avvocati di verificare che non ci fossero dubbi».
L’assemblea
Santanchè ha gestito Visibilia come amministratrice dal 23 gennaio 2012 sino al 7 agosto 2019. Oggi la gestione è dell’azionista di minoranza Antonino Schemoz. Ma lei rimane azionista di riferimento con il 95%. All’assemblea del 18 marzo la ministra partecipa di persona. In tre pagine, la 6 la 20 e la 21, del verbale, si descrive precisamente quanto sta accadendo.
Il paragrafo “Ordine di esibizione di atti e documenti e decreto di perquisizione locale, ispezione e sequestro” del bilancio 2021 di Visibilia Srl, dice: «In data 9 novembre 2022 il Nucleo di Polizia Economico-finanziaria di Milano ha notificato alla società i seguenti provvedimenti: Decreto di perquisizione locale, ispezione e sequestro, artt. 247, comma 1-bis, e 250 cod. proc. pen.; Ordine di esibizione di atti e documenti art. 256 cod. proc. pen.».
L’avviso di garanzia a Santanchè
Il tutto avviene «a seguito di un ricorso ex art. 2409 del codice civile presentato in data 10 giugno 2022 da alcuni azionisti di minoranza della Visibilia Editore SpA. In tale contesto, al fine delle operazioni di verifica sono state acquisite anche le scritture contabili della società a far data dall’esercizio 2014». C’è dell’altro. Chi verbalizza scrive anche che «in data 2 marzo 2023 il Nucleo di Polizia Economico-finanziaria di Milano, in esecuzione del ‘decreto di sequestro’ e ‘informazione di garanzia’ emesso nell’ambito del procedimento penale sopra richiamato, si è recato presso i locali della società al fine di acquisire dettagli relativi agli stanziamenti per fatture da emettere e note credito da ricevere effettuati dalla società negli esercizi dal 2014 al 2019».
La richiesta sbagliata
Si tratta di sei esercizi in cui Santanchè era amministratrice unica dell’azienda. Il quotidiano ricorda anche che il 2 e il 3 novembre il Corriere della Sera aveva già scritto delle indagini. I suoi legali hanno chiesto l’estratto del casellario giudiziale dopo il 2 novembre, quando gli atti erano già stati secretati per 90 giorni. Non lo hanno fatto successivamente. Nemmeno a gennaio. Quando la secretazione stava per scadere o era già scaduta. Ieri la ministra è stata difesa dalla premier Giorgia Meloni. Nei giorni scorsi è emerso che Santanchè aveva un contratto di collaborazione con la sua azienda e che all’epoca ha incassato 5 mila euro. Una ex dipendente ha confermato di aver lavorato durante la cassa integrazione Covid per Visibilia.
(da Open)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’IMPUTAZIONE COATTA DEL SOTTOSEGRETARIO DELMASTRO RIENTRA NELLA NORMALITA’, MAGARI UNA RIPASSITINA AL CODICE GIOVEREBBE ALLA MELONI
“Nel caso del sottosegretario di stato Delmastro non si è trattato di una sostituzione del giudice al pm, ma del doveroso controllo che il giudice esercita sul suo operato. Un giudice che valuta gli elementi di prova e si orienta autonomamente non si sostituisce al pm, ma fa solo il suo mestiere di giudice, con la terzietà che lo contraddistingue”.
Le parole di Giuseppe Casciaro, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, fanno capire che le toghe non hanno gradito le dichiarazioni di Giorgia Meloni al termine del vertice della Nato a Vilnius.
Secondo la premier, infatti, l’imputazione coatta del sottosegretario alla Giustizia per rivelazione di segreto d’ufficio sul caso Cospito sarebbe “un caso politico, una scelta che suscita stupore”. Questo perché, sostiene, “il processo di parti e la terzietà del giudice significa che il giudice non dovrebbe sostituirsi al pm. È una cosa che guardo con stupore: di fronte una richiesta di archiviazione, c’è una scelta – lecita giuridicamente – ma che non avviene quasi mai”.
Ma l’Anm attacca anche rispetto a quanto dichiarato dalla presidente del Consiglio sulla separazione delle carriere prevista dalla riforma della Giustizia di Nordio: “I giudici applicano quotidianamente e indistintamente per tutti i cittadini la legge processuale, ed è uno stato di cose che non vedo come potrebbe essere destinato a mutare nell’ipotesi di separazione delle carriere”.
E il presidente Casciaro ribadisce: “I magistrati sono sempre pronti a fornire in spirito di servizio il proprio contributo tecnico e d’esperienza, oggi come in passato, per riforme che auspichiamo siano veramente all’insegna di processi più celeri per un effettivo miglioramento del servizio”.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
LA ROTTURA DEL TERZO POLO, LA MANCANZA DI PROSPETTIVE: BONETTI VERSO CALENDA E ROSATO VERSO ITALIA ITALIA
Una è stata indicata da lui come ministra. L’altro, invece, è stato il
presidente del partito da lui fondato. All’apice delle loro carriere politiche c’è stato quasi sempre un lui e un loro. Quel “lui” è Matteo Renzi, leader accentratore che ha spesso personalizzato i partiti e le battaglie che ha condotto. E poi ci sono loro, gli altri, che nel corso degli ultimi anni hanno gravitato nella sua orbita. Con alterne fortune, chi si è trovato nelle grazie di Renzi ha potuto godere della sua raffinata strategia politica, ricoprendo ruoli apicali nelle istituzioni. «Renzi vive di innamoramenti fugaci, a parte il suo strettissismo giglio magico, gli altri personaggi passano e vengono sostituiti da altri», ci racconta chi ha lavorato con il senatore sin dai tempi di Palazzo Chigi. «Adesso è la fase Raffaella Paita. Per carità, bravissima. Ma anche questa è solo una fase». Per la capogruppo del Senato in auge nelle gerarchie renziane, c’è chi invece avrebbe cominciato a soffrire il raffreddamento del rapporto con il capo. Non oggi, 12 luglio, quando l’ufficio stampa di Italia Viva smentisce il possibile addio di due big del partito. Da mesi, oramai, loro hanno iniziato a guardarsi altrove. Quei “loro” sono Elena Bonetti ed Ettore Rosato.
L’elaborazione dell’addio di Bonetti
Fonti autorevoli confermano: l’ex ministra, da diverse settimane, sarebbe tentata dalla fuoriuscita da Italia Viva. I motivi sono essenzialmente due: per un verso Bonetti avrebbe cominciato a patire il disinteresse di Renzi verso la sua azione politica, per l’altro nutrirebbe il timore che il suo partito attuale possa proseguire nella deriva verso il centrodestra. Sono mesi, ormai, che Bonetti ha stretto un rapporto con la classe dirigente di Azione, con particolare vicinanza agli esponenti lombardi. E infatti, a differenza di quanto ventilato in Transatlantico da alcuni parlamentari, a Open risulta che l’ex ministra non starebbe pensando a un passaggio in Forza Italia, ma nel partito di Carlo Calenda. I due si sono avvicinati molto nella fase in cui Bonetti ricopriva il ruolo di vicepresidente del Terzo polo. In seguito alla frattura tra Azione e Italia Viva, il rapporto con Calenda non si è affatto compromesso. Lui, tra l’altro, non ha mai fatto mistero della profonda stima nei confronti di Bonetti. Ma sono altri gli anelli di congiunzione tra l’ex ministra e la galassia di Calenda. Il primo è individuato in Fabrizio Benzoni. Il deputato bresciano di Azione, sui social, ha pubblicato diverse foto insieme a Bonetti, scattate sia in occasione di iniziative politiche congiunte sia, ad esempio, in visita a musei.
In bilico anche Marattin?
Inoltre, pare che Benzoni e Bonetti, insieme, abbiano costituito, o sarebbero in procinto di farlo, un’associazione culturale. Varie volte sono stati visti a cena, nel cuore della settimana parlamentare, nei ristoranti del centro di Roma. Ci raccontano che spesso con loro, al tavolo, c’è stato anche il capogruppo alla Camera del Terzo polo, Matteo Richetti, e un altro esponente di Italia Viva che, recentemente, ha pubblicato delle critiche verso la gestione del partito di Renzi: Luigi Marattin. È il terzo personaggio coinvolto nei rumor sui possibili addii a Italia Viva. Ma Open, sull’uscita dell’esperto economico, ha raccolto per ora soltanto del chiacchiericcio. Sembrerebbe invece acclarato che un altro anello di congiunzione per l’eventuale passaggio di Bonetti in Azione è rintracciabile nell’intesa con Mariastella Gelmini: le due, dicono fonti a loro vicine, «si sono sentite di frequente negli ultimi mesi». La trama “azionista” di Bonetti appare più credibile rispetto a un passaggio nel centrodestra. Lo schema attuale è questo: Italia Viva si starebbe muovendo verso posizioni governiste, Azione vorrebbe mantenere un dialogo con il Partito democratico. Dato che Bonetti avrebbe scelto di intervenire, il prossimo fine settimana, all’iniziativa del Pd contro l’Autonomia differenziata, appare inverosimile che partecipi a una manifestazione che attacca una delle riforme simbolo di questa maggioranza, per poi confluire in essa.
La traiettoria di Rosato
A rallentare l’addio di Bonetti che, secondo le nostre fonti, è nell’aria da molto tempo, sarebbe anche la preoccupazione delle ritorsioni renziane. L’ex ministra avrebbe confidato di temere che possa essere azionata a sue spese una macchina del fango, con tanto di articoli a mezzo stampa e flotte di hater movimentate sui social. Anche per rendere meno fragorosa la rottura, è probabile che Bonetti faccia un passaggio prima nel gruppo Misto a Montecitorio e, solo in un secondo momento, si iscriva a un altro partito. La stessa transizione mediata da un periodo nel purgatorio del Misto è stata affibbiata, dalle nostre fonti, a Rosato. Per lui, però, il ragionamento che si fa è diverso: disallineato da Renzi sulla gestione del partito, vorrebbe che i liberal democratici tornassero a incidere nelle politiche del Paese. L’ex presidente di Italia Viva, considerando la forza del centrodestra in questo periodo storico e constatata, contestualmente, la debolezza delle opposizioni, riterrebbe inevitabile spostarsi nel campo del centrodestra. I più maligni gli attribuiscono riflessioni anche sull’influenza mediatica che, in questo momento, è in mano alla maggioranza, con le recenti nomine Rai e l’impero Mediaset che resta saldo nelle mani della famiglia Berlusconi. Ma la verità è che, secondo fonti appartenenti a schieramenti politici diversi, Rosato abbia già avviato una serie di interlocuzioni per sondare il suo approdo in Forza Italia.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL VICESEGRETARIO CRIPPA NON CONDIVIDE LO SCONTRO TRA GOVERNO E TOGHE
«La Russa è la seconda carica dello Stato. Per questo» sarebbe stato «più opportuno il silenzio nei confronti di una ragazza che sta denunciando una violenza». Lo ha detto all’HuffPost il vicesegretario leghista Andrea Crippa. «Quando c’è una ragazza di vent’anni che trova il coraggio di denunciare una violenza – aggiunge – io sarei molto più cauto. Penso che bisogna affidarsi anche qui alla giustizia. Non credo che se il figlio di La Russa è innocente ci sia una macchinazione contro di lui per colpire il padre o il governo. Anche perché le ipotetiche o potenziali colpe di un figlio non possono ricadere sul padre, sul presidente del Senato. Per questo, a maggior ragione, consiglierei il silenzio e mi affiderei al lavoro dei magistrati».
La Lega e l’irritazione nell’attacco alla toghe
Il nervosismo leghista nello scontro che si è acceso tra Palazzo Chigi e le toghe trapela nelle parole del vicesegretario del Carroccio. «Uno scontro tra politica e giudici rischia di condurre a un immobilismo bloccando le modifiche attese da decenni. E è per la stessa ragione che la Lega chiede di abbassare i toni. Basta scontri e polemiche. Tanto più che non vedo un complotto dei magistrati contro il governo», dichiara.
Su Daniela Santanchè: «Siamo garantisti ma…»
«La Lega – spiega nell’intervista – è un alleato leale di questo governo e il nostro obiettivo è di lavorare assieme per i prossimi cinque anni, speriamo dieci. Ciò detto, sono emersi problemi giudiziari sulla ministra del Turismo Daniela Santanchè. Siamo certi che la premier Meloni abbia una conoscenza approfondita di questa vicenda, avendo un rapporto profondo con Santanchè e avendo deciso di farla entrare nel governo. Dunque confidiamo che la nostra fiducia sulla ministra sia fondata su valutazioni e approfondimenti della presidente del Consiglio». Precisa che i leghisti sono garantisti ma «nel momento in cui dovessero emergere da parte della magistratura delle evidenze» è chiaro che «mi aspetto che la diretta interessata se ne assuma la responsabilità». Dimissioni? «Si è innocenti fino a sentenza di terzo grado. Se però si dovesse valutare da parte del presidente del Consiglio l’inopportunità della permanenza della Santanchè nel governo, ne prenderemo atto».
(da Huffingtonpost)
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Luglio 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL DISTINGUO (IO NON AVREI PARLATO) COME NECESSARIA CONCESSIONE
La verità, come insegnavano i vecchi politici avvezzi a coniugare
pensiero e azione, ragione e controllo dei nervi, ruolo istituzionale e parole, eccetera eccetera, è che, quando l’errore è nel manico, poi, come si dice in gergo, “è difficile riacchiapparlo” o quantomeno è assai complicato.
La conferenza stampa di Giorgia Meloni al termine del vertice Nato di Vilnius ne è un icastico caso di scuola, a partire dal fatto – prima sgrammaticatura – che l’appuntamento al termine di un rilevante vertice internazionale è stato in parte occupato dalla vicenda degli scandali italiani.
Insomma, una vertigine: da Jens Stoltenberg sull’Ucraina a Daniela Santanchè, Andrea Delmastro e Ignazio La Russa, padre e figlio. Non proprio un bel vedere determinato dal fatto che, per giorni, la premier ha scelto di fuggire da domande e chiarimenti, affidando tutto a una nota anonima in cui accusava un potere dello Stato di complotto ai danni di un altro.
Però, devono aver pensato i suoi solerti spin doctor, in Italia sarebbe stato peggio: invece che due, si sarebbe beccata almeno una decina di domande e, come noto, quando sono dieci la premier non può cavarsela con due risposte e non dà il meglio di sé in termini di aplomb.
E qui (sulla nota), il secondo corno del caso di scuola, perché quella velina, per la gravità di affermazioni, rappresenta un punto di non ritorno che rende pressoché impossibile il tentativo di abbassare i toni. C’è poco da fare: se prima dici che la magistratura è in campagna elettorale per far vincere la sinistra, o ti smentisci, e ci vuole fantasia a trovare una spiegazione plausibile, a meno che i comunicati di Palazzo Chigi non siano vergati all’insaputa del premier (roba da cambiare mestiere), oppure ti arrabatti malamente.
Ecco, e infatti è andata in scena una gigantesca e scomposta supercazzola, iniziata col tentativo di smussare (“Non c’è intento di aprire un conflitto”, “non vogliamo fare la riforma contro i magistrati”) e finita con un “mi riconosco in quelle parole” (della velina) e la difesa, a corpo nudo, di Santanchè, con tanto di lodi per come sta svolgendo l’operato da ministro.
In mezzo, il distinguo su La Russa, il cui sproloquio inopportuno è stato stigmatizzato, sia pur tra un “comprendo da madre” e un “vedremo il merito”. Sia come sia, la “solidarietà a una ragazza che denuncia” è l’osso, che comunque fa titolo, dato in pasto a un’opinione pubblica esigente sul tema, e ancor più esigente, come ha spiegato Alessandra Ghisleri sulla Stampa verso un premier donna.
Diciamo così: è troppo dire che lo scarica, perché Giorgia Meloni non è nelle condizioni e non può permettersi di farlo, però deve essere stato un sacrificio non a costo zero perché non si era mai visto un capo del governo dire a un presidente del Senato che era meglio se taceva. Ma era l’unico modo per uscire dall’angolo e preservare il suo racconto di madre, donna e cristiana.
E tuttavia, nella sostanza, i fondamenti del conflitto con i giudici, le cui dichiarazioni vengono bollate come “apocalittiche” restano immutati rispetto alle reazioni a caldo, nell’ambito di un discorso in cui i singoli fatti scompaiono.
Per Giorgia Meloni è anomalo, anzi “è un caso politico” che un gip proceda all’imputazione coatta di un sottosegretario, cioè applichi la legge, ed è anomalo che a un ministro venga contestato di violarla.
E, nell’ambito di uno slittamento tutto politico in cui tutte le vacche sono nere, il problema non è l’indagine e neppure i reati contestati, ma che la notizia sia comparsa sulla stampa. E – udite udite – la gravità di questa violazione sarebbe tale da giustificare che l’avviso di garanzia, in questo contesto, non determini le dimissioni di un ministro. E, dato che ci siamo, pure l’accelerazione sulla separazione delle carriere, anche se il caso Delmastro, con ogni evidenza, rivela che almeno stavolta pm e gip sono piuttosto separati.
Assedio, è parola chiave per spiegare questa sindrome e questa costruzione illogica di casi diversi racchiusi in un unico “fascio” che magari si spiega con la difficoltà politica più generale e la ricerca di un nemico esterno. Ma forse l’aspetto più rilevante nell’esercizio della leadership, che si misura anche in una narrazione da cui è scomparso tutto l’armamentario della “legalità” e di “Borsellino”, è nel rapporto tra libertà e vincoli.
Colei che diceva “io non sono ricattabile” diventa colei che amplifica, politicizzandolo, ciò che sta avvenendo, perché non ha la libertà di dirsi estranea alla logica della sua tribù, che impedisce il sacrificio degli accoliti. E impone la difesa a testuggine dell’indifendibile.
(da Huffingotnpost)
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