Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
DOPO LE EUROPEE, MEDITA CAMBIAMENTI RADICALI NEL SUO PARTITO E NEL GOVERNO… VIA LA FIAMMA DAL SIMBOLO DI FRATELLI D’ITALIA (SAREBBE ORA DI NON CONFONDERE UN PARTITO ASOCIALE E REAZIONARIO CON QUELLO CHE FU IL VECCHIO MSI)… UNA MOSSA PER RASSICURARE IL PPE E RIMPASTO DI GOVERNO, SE NON ADDIRITTURA UN “MELONI BIS”
Il caso, che gratta gratta tale non è, si chiude con una telefonata di prima mattina: Giorgia Meloni chiama Marina Berlusconi. Antefatto: la dichiarazione a Palermo sulla figlia del Cav. “che non è un soggetto politico”. Frase su cui inzuppare il biscotto della polemica. Le due ci scherzano sopra e d’accordo, come raccontano a Mediaset, decidono che sia la primogenita dell’ex leader di Forza Italia a uscire con una nota nel “nome del massimo rispetto e della massima stima” per la premier.
Secchiate di acqua gelida sulle interpretazioni della lettera inviata da Marina Berlusconi al Giornale contro “chi perseguita il padre da defunto” e in particolare sui magistrati della Procura di Firenze che indagano sulle stragi del ‘93.
Anche se Meloni con una battuta delle sue commenta che non “è lei ad avere un problema con Marina, ma forse è Forza Italia ad avere un problema” (vedi Tajani e Ronzulli). Bazzecole, o quasi.
Le vere faccende sono più profonde. La leader si sente poco sostenuta dal suo partito (in preda, specie alla Camera, a piccole ripicche dei capicorrente). Poi ci sono i ministri, che quando parlano le fanno drizzare i capelli. E infine c’è la vicenda di Ignazio La Russa, della quale ha parlato anche con il Capo dello stato. Rientra sotto il titolo: grane giudiziarie e affini.
Su Daniela Santanchè la premier ha rassicurato il Quirinale che “non si immolerà per lei”, in attesa certo che spuntino novità sostanziali dalla procura. Diverso il destino della seconda carica dello stato. Per il momento è stato “imbavagliato”, dicono con rudezza in Via della Scrofa, ma l’idea che possa essere testimone di un processo per violenza sessuale non fa star tranquilli. Né a Palazzo Chigi, dove si guarda al consenso, né sul Colle, dove si custodisce l’architettura istituzionale.
Ecco perché, complici le europee, Meloni sogna e progetta “un grande reset”: nel partito, ma anche nel governo. Non c’è solo la voglia di candidarsi di Francesco Lollobrigida, rivelata dal Foglio, c’è molto di più. Innanzitutto Atreju, la festa del partito, è stata rinviata: da settembre, doveva tenersi al Galoppatoio di Villa Borghese, slitterà a dicembre.
Se ne riparlerà invece dopo le europee del congresso di Fratelli d’Italia (l’ultimo si celebrò a Trieste nel 2017) e della conferenza programmatica. Sarà l’incrocio di questi due appuntamenti a sancire una svolta che ormai non è più un tabù. Anzi, se ne discute quasi pubblicamente: la “musealizzazione” della Fiamma che uscirà dal simbolo, “ma rimarrà sempre nei cuori dei patrioti”.
E sarà questa svolta, una sorta di Fiuggi bis, il viatico per lanciare il grande partito dei Conservatori italiani che spesso accarezza la premier, già leader di quello europeo, d’altronde.
Meloni oscilla tra cattivi pensieri e un’agenda fittissima di appuntamenti internazionali rispetto ai quali “vuole stare sempre sul pezzo”. Ma sono le beghe interne a farle scuotere la testa, a consumare sigarette come caramelle, a spingerla a esclamare che a volte si sente come chi “scava a mani nude la roccia”.
Soprattutto Meloni pensa a un grande reset se l’andazzo non dovesse cambiare. Non si tratta solo di sostituire semmai Lollobrigida (inviato a Bruxelles a gestire una nuova fase e magari un appoggio esterno a un’Ursula bis in cambio di un posto da commissario) e nemmeno di cambiare la pedina del Turismo, dopo l’uscita di Santanchè che viene data da tutti come acquisita (questione di pochi mesi). La premier con l’occasione del voto di giugno ha in mente una scossa alla sua squadra di governo con un rimpasto importante o addirittura un Meloni bis, se gli alleati, vedi la Lega, dovessero mettersi di traverso dopo i risultati deludenti delle urne.
E’ una tentazione che chi la conosce da sempre non esclude (nella lista dei ministri nel mirino ci sono anche Gilberto Pichetto Fratin di FI e la leghista Alessandra Locatelli).
Poi c’è tutto il capitolo La Russa, quello più delicato. La seconda carica dello stato è stata silenziata: fortuna per lui che la cerimonia del Ventaglio con la stampa parlamentare, nel giorno della sfiducia a Santanchè, da protocollo non prevederà domande, ma solo un intervento del padrone di casa.
E però, chi è vicinissimo a Meloni sa che potrebbe perfino consigliare, magari senza fortuna, un passo indietro al fratello maggiore Ignazio se la situazione processuale del figlio dovesse trascinarlo nei tribunali.
(da Dagoreport)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
FDI 27,2%, PD 21%, M5S 16,5%, LEGA 10,1%, FORZA ITALIA 7,1%
Il Partito Democratico si avvicina, anche se a piccoli passi. Certo, così potrebbe volerci un’eternità, ed è troppo presto per mettere in discussione seriamente il dominio di Fratelli d’Italia nei sondaggi politici.
Secondo l’ultima rilevazione di Euromedia Research, però, il trend del Pd è ancora in crescita, mentre quello di Giorgia Meloni e i suoi ancora in calo. Il sondaggio firmato da Alessandra Ghisleri, pubblicato oggi su La Stampa, registra anche il ritorno della Lega in doppia cifra (non si vedeva sopra i dieci punti da circa un anno) e il segno positivo per Movimento 5 Stelle e Forza Italia.
Nell’ex Terzo Polo è battaglia punto su punto tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, che ancora non si è ben capito che rapporto politico intendano avere in futuro. Il gruppi parlamentari, nel frattempo, restano uniti in un clima abbastanza surreale.
Il primo partito nelle intenzioni di voto, secondo il sondaggio di Euromedia Research, è sempre Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che però perde un altro 0,2% in due settimane e scende al 27,2%. Non è ancora tempo di guardarsi le spalle per la presidente del Consiglio e i suoi, ma il Partito Democratico di Elly Schlein continua ad avvicinarsi, anche se molto lentamente: i dem registrano un più 0,2% e salgono al 21,0%. Tra i primi due partiti, al momento, ci sono poco più di sei punti di distacco. Erano mesi che la distanza non appariva così corta.
Nel frattempo cresce anche la seconda forza d’opposizione: il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte porta a casa un più 0,2% che vale il 16,5%.
Dopo quasi un anno, la Lega di Matteo Salvini torna in doppia cifra: grazie a un più 0,3%, il Carroccio passa al 10,1%.
A seguire c’è sempre Forza Italia di Antonio Tajani, che registra un più 0,1% e sale al 7,1%.
In casa ex Terzo Polo, invece, è battaglia di zero punto in zero punto: Azione di Carlo Calenda cala dello 0,1% e si ferma al 4,1%, mentre Italia Viva di Matteo Renzi guadagna proprio lo 0,1% e sale al 4,0%. L’alleanza Verdi e Sinistra perde lo 0,2% e scivola al 2,3%, con +Europa che segue stabile al 2,0%. Chiudono le intenzioni di voto Per l’Italia con Paragone all’1,7% (meno 0,3%) e Noi Moderati stabile allo 0,5%.
(da Fanpage)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
I NUMERI SUI MIGRANTI ARRIVATI IN ITALIA MOSTRANO IL FALLIMENTO SOVRANISTA
Circa tremila ospiti nell’hotspot di Lampedusa, una struttura che può contenere in teoria massimo 400 migranti. Qualcosa nella gestione dell’immigrazione non sta funzionando, e il governo Meloni lo sa bene, anche se la premier si ostina a ripetere che il suo esecutivo sta inanellando una serie di successi.
Ultimo in ordine di tempo il memorandum siglato con la Tunisia: secondo la narrazione del governo, e in particolare del ministro dell’Interno Piantedosi, l’accordo sui migranti equivale a un blocco navale. In realtà le cose non stanno affatto così.
Perché il presidente tunisino Kais Saied si è impegnato soltanto a riammettere i suoi connazionali che arrivano in Italia, non i migranti di altre nazionalità.
Come del resto Tunisi faceva già, sulla base di un accordo bilaterale di riammissione in vigore da tempo. Un dettaglio non da poco che smonta totalmente i toni trionfalistici di Meloni, dal momento che degli oltre 80mila migranti sbarcati in Italia nel 2023, ben 43mila provengono dalla Tunisia, ma non sono in maggioranza tunisini: si tratta sì di persone partite dalle coste tunisine, ma provenienti da altri Paesi africani. Come si vede dalla tabella delle nazionalità dichiarate al momento dello sbarco, relativa al 2023, il gruppo più grande è quello della Costa d’Avorio (9.732 migranti), seguito da Guinea (9.566) ed Egitto (7.751). Hanno invece detto di essere tunisini 5.681 migranti.
Ora, è chiaro che il memorandum è stato firmato da pochi giorni, ma viste le premesse è difficile che possa ribaltare la situazione. La verità, come spesso succede, sta nei numeri, non nelle chiacchiere: proprio in questi giorni è stata ampiamente superata la soglia di 80mila arrivi da inizio anno, contro i 105mila dell’intero 2022.
Secondo i dati da poco divulgati dal Dipartimento della Pubblica sicurezza, con il cruscotto statistico che mette a confronto il numero dei migranti sbarcati dal 1 gennaio 2023 al 21 luglio 2023, con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2021 e 2022, la situazione è allarmante: nel 2021 infatti, nel periodo compreso tra gennaio e luglio, erano approdati nelle nostre coste 25.149 migranti; negli stessi mesi del 2022 se ne contavano 33.972. E quest’anno, al 21 luglio, sono già 83.439 i migranti sbarcati da noi.
Secondo i dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza, nel mese di luglio si è registrato il picco: se nel luglio 2021 si erano registrati 8.609 arrivi, l’anno dopo si contavano 13.802 migranti sbarcati. Quest’anno il numero è schizzato: siamo già a 17.924 persone giunte nel nostro Paese.
Dati questi che cozzano vistosamente con i messaggi veicolati da Meloni e dal governo, che sembra non vedere quello che sta succedendo in queste ore a Lampedusa: nella struttura di contrada Imbriacola ieri c’erano oltre 3.300 persone, e sebbene siano in programma trasferimenti, il sovraffollamento del centro non si risolverà nel giro di poche ore. Sull’isola si contano già 18 sbarchi dalla mezzanotte di ieri.
Il governo Meloni però dimentica che nell’estate del 2021 utilizzava gli stessi argomenti per attaccare il governo e l’allora ministra dell’Interno Lamorgese, accusandola di “fallimento” nella gestione dell’emergenza immigrazione. Francesco Lollobrigida, che in quel momento era capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, chiedeva le dimissioni di Lamorgese e tuonava così: “Centinaia di immigrati arrivati a Lampedusa e trasferiti in un hotspot già stracolmo. Altri giunti a Messina, di cui alcuni già espulsi dall’Italia. Da gennaio ad agosto oltre 35mila arrivi illegali rispetto ai circa 5mila dello stesso periodo del 2019. Numeri che certificano l’inadeguatezza di Lamorgese e la sua incapacità nel fermare gli sbarchi. Oltre alle dimissioni del ministro dell’Interno, la soluzione era e resta il blocco navale immediato”.
Adesso che Fratelli d’Italia non si trova più all’opposizione, ma a Palazzo Chigi, nessuno del governo sembra badare più alle cifre, e di quel ‘blocco navale immediato’, che tanto era stato promesso e invocato da Giorgia Meloni in campagna elettorale, non c’è neanche l’ombra.
Quello che rimane alla premier per coprire l’imbarazzo è solo tanta retorica. Se non avesse dei risvolti drammatici, oggi farebbe sorridere quell’impegno dichiarato in conferenza stampa a Cutro, all’indomani del naufragio in cui hanno perso la vita 94 persone, (il numero preciso dei dispersi non è stato mai accertato): “Cercheremo gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo”. Frasi altisonanti che evidentemente hanno prodotto fino a dora ben pochi risultati.
(da Fanpage)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LE MISURE PROPOSTE RISCHINO DI PEGGIORARE LA SITUAZIONE IN ITALIA: L’ABOLIZIONE DELL’ABUSO D’UFFICIO È LA MISURA MENO CONDIVISA
Il funzionamento della giustizia si conferma tema sensibile e centrale nel dibattito politico. Lo è stato da tempo, d’altronde, e ha segnato l’ultimo trentennio. La scomparsa di Silvio Berlusconi faceva ipotizzare che ci sarebbe stato un raffreddamento del tema, che ha accompagnato tutta la carriera politica del Cavaliere.
Al contrario, in queste ultime settimane, assistiamo a un re-infiammarsi della questione. Dalla separazione delle carriere alle intercettazioni, dal concorso esterno in associazione mafiosa alla revisione della prescrizione, il dibattito politico si è spesso arroventato.
Proprio negli ultimi giorni, il presidente Mattarella ha apposto la propria firma al ddl Nordio autorizzandone l’invio alle Camere (qui: cosa prevede la riforma).
Abbiamo quindi interpellato gli italiani su questi aspetti. In primo luogo, abbiamo testato le quattro principali modifiche previste dalla riforma verificando se i nostri intervistati le ritenessero positive o meno.
Rispetto all’eliminazione del reato di abuso di ufficio (che ha visto tra l’altro un ampio consenso tra i sindaci del centrosinistra), prevale l’idea che sia un errore. Lo sostiene il 47% degli intervistati, con punte elevatissime tra gli elettori di Partito democratico e Movimento 5 Stelle, mentre il consenso espresso dagli elettori di centrodestra non è corale: arriva al 51% tra gli elettori di Lega e Forza Italia, rimane al 48% tra gli elettori di Fratelli d’Italia.
Anche sulle limitazioni delle imputazioni per il traffico di influenze e sul divieto di ricorso da parte dei pm dopo l’assoluzione di primo grado prevale, sia pur di misura, l’opinione negativa. Con la classica divisione tra le aree elettorali (centrodestra più d’accordo, centrosinistra critico) ma con apprezzabili perplessità in entrambi gli schieramenti. Solo sulla stretta alla pubblicazione delle intercettazioni prevale, di strettissima misura, l’idea che sia una scelta giusta.
E nel suo insieme la riforma proposta vede il prevalere delle perplessità: il 40% infatti ritiene che alla fine le misure proposte rischino di peggiorare la condizione della giustizia in Italia, mentre il 27% pensa che al contrario migliorerà almeno in parte le cose. Se guardiamo agli orientamenti politici, gli elettori di centrodestra la approvano, ma con meno convinzione di quanto la respingano gli elettori di Pd e M5S. Più di un quarto degli elettori di centrodestra non esprime un’opinione, percentuale che scende rispettivamente all’11% e al 17% tra gli elettori di Pd e M5S.
Ma questa difficoltà a esprimersi è davvero diffusa e riguarda tra un quarto e un terzo degli intervistati a seconda del tema proposto (33% per la valutazione complessiva della riforma). Si tratta di un tema ostico e difficile. È un dato che si massimizza tra i meno politicizzati, incerti o astensionisti, dove oltre il 50% non sa dare un giudizio generale sulla riforma. E vale la pena di sottolineare che, tra questi ultimi elettori, chi si esprime evidenzia una posizione negativa sulla riforma in generale e nei suoi singoli aspetti. È un elemento che può indurre ad ulteriori cautele proprio nel centrodestra, nell’ipotesi di produrre resistenze tra elettori potenziali.
Abbiamo poi parlato della politicizzazione della magistratura. Nell’ambito della maggioranza si è infatti ipotizzato che, di fronte a diverse vicende (dal caso di Delmastro a quello di Santanchè, sino a La Russa), vi fosse un accanimento politico dei magistrati, posizione poi rientrata. Gli italiani fanno fatica a valutare questo aspetto: 43% non sa esprimersi, 29% ritiene che i magistrati stiano esercitando un ruolo politico di opposizione al governo, 28% è in disaccordo.
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL “CUOCO” HA UN RUOLO CHIAVE NELLE TENSIONI CON LA POLONIA, MENTRE LA RUSSIA DIVENTA “UN PAESE WAGNERIZZATO”
Uno il golpe contro Putin l’ha fatto, seppure a metà. Eppure è libero, può viaggiare, ha mantenuto il suo patrimonio e si trova in Bielorussia da dove insieme ai suoi mercenari promette futuri sfracelli.
L’altro il golpe l’aveva solo evocato, ma l’hanno messo in galera per “estremismo”.
Le vicende di Yevgeny Prigozhin e di Igor Girkin, nom de guerre Strelkov, si intersecano e si dividono nel gioco di specchi della realtà russa. Il Cremlino ha inaugurato la purga degli ultra-nazionalisti critici del regime. Ma ne tiene fuori l’uomo in teoria più pericoloso.
Perché Prigozhin può ancora far comodo, in un Paese ormai assuefatto all’illegalità e alla violenza. E che per la sua politica e le sue guerre ha bisogno di persone fuori dall’ordinario, se non di veri criminali — spiegano alcuni osservatori. Lo dimostra il ruolo della Wagner nel contrasto che lo zar sta alimentando con la Polonia. La purga riguarda gli strombazzatori divenuti inutili. I servizi del “cuoco” e della sua Wagner, invece, potrebbero ancora essere produttivi per Putin.
“Nessuno è intoccabile”
“C’è sempre meno spazio per i super-patrioti che creano problemi, il Cremlino ha smesso di tollerarli”, dice a Fanpage.it Anna Arutunyan, ricercatrice del Kennan Institute, autrice di ”Hybrid Warriors” e “The Putin Mystique”. «L’ammutinamento di Prigozhin è nato dall’opposizione all’inquadramento della Wagner sotto il ministero della Difesa, ma le sue sparate contro l’apparato militare hanno finito per dar voce a molti ‘falchi’ che hanno propagato l’idea del fallimento della guerra e della necessità di concluderla in qualche modo”. I patrioti disfattisti non saranno più sopportati, spiega l’analista russa.
Eppure Igor Girkin è stato sopportato a lungo. L’ex ufficiale dell’Fsb che — parole sue — nel 2014 “tirò il grilletto” dell’intervento russo nel Donbasss, per poi diventare “ministro della Difesa” dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, fin dall’autunno di quell’anno iniziò a dirne di tutti i colori contro i leader di Mosca che non si decidevano a invadere in grande stile l’Ucraina. Quando poi, nel 2022, l’invasione c’è stata davvero, non ha smesso di inveire: “è una scelta sbagliata e comunque pianificata male”, ha scritto a ripetizione nei suoi blog. Ma nessuno lo ha mai toccato.
Strelkov, che significa grosso modo “tiratore”, è un criminale di guerra condannato all’ergastolo da un tribunale olandese, che lo ha ritenuto tra i diretti responsabili della strage del volo MH17. Lui riconosce una responsabilità morale ma dice di non aver premuto il bottone. La Russia lo ha tenuto bene al sicuro. E il Cremlino ha sempre digerito le sue invettive senza reagire. “Aveva protezioni nell’Fsb”, hanno detto ad Anna Arutunyan fonti moscovite. Chi pensa che l’arresto sia dovuto al fatto che ultimamente abbia esagerato, definendo Putin “una nullità e un codardo” probabilmente si sbaglia. Il suo arresto indica piuttosto un cambiamento di linea del regime: “nessuno è intoccabile”, è il messaggio.
Le purghe degli inaffidabili
La repressione non riguarda più solo gli oppositori liberali del presidente ma anche i cosiddetti “patrioti” di destra diventati inaffidabili. Paradossalmente, l’accusa di “estremismo” contro Strelkov è la stessa con la quale un procuratore ha appena chiesto altri 20 anni di galera per Alexei Navalny. Per tacer del paradosso che la Russia ha protetto Strelkov dall’ergastolo per la morte di 298 persone (tante furono le vittime sul volo MH17) e lo persegue ora per aver parlato male di Putin. Non c’è niente di paradossale, invece, nelle purghe del regime contro i suoi stessi ultras: è già successo ai tempi dell’Unione Sovietica. Il Leviatano è cannibale e non esita a mordere i figli un tempo prediletti.
Gli ultra-nazionalisti sono spaventati. Anche perché, come sempre in tempi di torbidi, alle purghe si sovrappongono i regolamenti di conti. L’arresto di Strelkov è avvenuto — almeno ufficialmente — sulla base della denuncia di un medico militare della Wagner. Tra “il cuoco” e “il tiratore” non correva buon sangue. È immediatamente seguito l’arresto di un altro protagonista dell’intervento russo di nove anni fa in Donbass, Pavel Gubarev, ex miliziano di un gruppo paramilitare nazi-fascista fattosi “governatore” del Donetsk. Erano giorni confusi in cui, all’ombra dei proclami politici, nei territori ucraini improvvisamente diventati irredentisti si incontrarono e si scontrarono ambizioni personali e interessi economici.
In alcuni casi si tratta probabilmente di faide, ma in generale il regime ha approfittato della crisi creata con la interrotta “marcia su Mosca” della Wagner per creare terrore e colpire chi considera infedele. E non si tratta solo di persone in qualche modo legate a Prigozhin, come il generale Sergei Surovikin che secondo più fonti tra cui il giornale russo Verstka è agli arresti domiciliari. Non era un uomo del “cuoco”, per esempio, il generale Ivan Popov, rimosso dall’incarico per aver detto ai suoi superiori che sul campo di battaglia le cose stanno andando male.
L’utilità di Prigozhin
Intanto, chi probabilmente sarà contento dell’arresto di Strelkov è proprio Prigozhin. Che con “il tiratore” aveva litigato di brutto. Si è parlato molto di smembramento della Wagner, di esproprio di attività e della possibilità che Prigozhin venga presto fatto fuori fisicamente. Ma al momento il protagonista dell’abortito ammutinamento sembra uscire da questa vicenda come un vincitore. A Mosca circola una storiella: ”Prigozhin non è arrivato al Cremlino il giorno del suo ‘mezzo golpe’ ma ci è entrato cinque giorni dopo, e disarmato: non ha avuto bisogno di armi per raggiungere il suo obiettivo”. Il riferimento è al colloquio di tre ore tra Putin, il “cuoco” e i capi di Wagner avvenuto il 29 giugno. Quali accordi siano stati presi non lo sappiamo. Fatto sta che a Prigozhin sono stati restituiti i soldi sequestrati, che ha potuto viaggiare liberamente tra San Pietroburgo, Mosca e la Bielorussia e che ora si trova nello stato vassallo del Cremlino a capo di quel che rimane del suo esercito privato. E Strelkov è in prigione.
Secondo il direttore di Novaya Gazeta Europe, Kirill Martynov, “Prigozhin ha ancora qualcosa da offrire al Cremlino, e per questo il caso della sua ribellione è stato così rapidamente e misteriosamente chiuso”. Putin “ritiene ancora che, come capo di Wagner, come sicario, come colonialista africano e come media manager, Prigozhin sia in grado di fornirgli servizi unici”, ha detto Martynov in un’intervista con Current Time. ”Prigozhin potrà essere molto utile in futuro a questo regime per i suoi interessi in Africa”, dove può esercitare sia forza militare sia ‘soft power’, spiega Anna Arutunyan. “Naturalmente, quanto avvenuto alla fine di giugno comporterà un maggior grado di controllo su Wagner, e Prigozhin resta sotto osservazione”.
In realtà, la presenza dei mercenari Wagner e del loro capo in Bielorussia viene già utilizzata da Putin. In Europa. Il leader del Cremlino ha accusato pubblicamente la Polonia di voler invadere la Bielorussia. Non ha fornito prove ma ha aggiunto che Mosca “si servirà di tutti i mezzi a sua disposizione” per difendere il Paese di Lukashenko. Compresa la Wagner, ovviamente. Che per ora non combatte ma è già diventata un mezzo per far pressione e agitare le acque nel campo Nato.
Una Russia “wagnerizzata”
“La Federazione Russa ha aderito a Prigozhin, ai suoi metodi, ai suoi affari. Perché non può esser più governata con metodi normali”, dice Kirill Martynov. “Questa guerra non può esser condotta con l’aiuto di una normale burocrazia e di un normale esercito, vista la quantità di crimini che si prefigge”. Il Paese di Putin si è abituato alla violenza e il suo governo non sembra volerne fare a meno. O forse non può.
“La violenza è diventata una cosa normale in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina”, è la riflessione del sociologo Greg Yudin. “È stata presente fin dagli anni Novanta, quando il Paese era nel caos dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma oggi la violenza è vissuta allo scoperto, inculcata nelle menti dei ragazzini fin dalla scuola, con le nuove leggi sull’indottrinamento anche militare e le lezioni obbligatorie di ideologia. La guerra, le armi e la demagogia bellicista sono state normalizzate”, commenta a Fanpage.it l’accademico moscovita. “In questo senso si può forse dire che la Russia si è ‘wagnerizzata’. E non è una cosa che ha in alcun modo a che vedere con la mentalità o la memoria storica dei russi: è solo quanto imposto dal regime per far funzionare il Paese a suo piacimento”.
Sembra una visione esagerata e sconfortante. Ma basta guardare per un po’ la tivù di stato per capire quanto sia realistica. “I russi devono imparare a uccidere, per il futuro dei loro figli”, dice sul primo canale il professore della prestigiosa università Hse di Mosca Dmitry Evstafiev imboccato dal presentatore Vladimir Solovyov — che fino a poco tempo fa veniva invitato come “giornalista russo” anche nei talk show italiani. Poco dopo, immagini dello stesso Solovyov sul fronte ucraino, dove il “giornalista” spara al nemico con un pezzo di artiglieria e poi sghignazza felice. Sulla stessa rete, la propagandista Olga Skabeeva si augura “la distruzione di ogni cosa vivente nella regione di Karkhiv”, in Ucraina. E un bel bombardamento nucleare su qualche capitale europea. Un Paese così può anche disfarsi degli Strelkov ma continua ad aver bisogno dei Prigozhin.
(da Fanpage)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
IL NUOVO DIKTAT È: “BISOGNA PARLARE MENO”: NEL MIRINO, OLTRE A NORDIO, CI SONO ANCHE ADOLFO URSO E GIUSEPPE VALDITARA
L’imbarazzo per le esternazioni di Nordio, dopo il caso Santanchè. L’insofferenza per le sortite pre-elettorali di Matteo Salvini e le frizioni con Urso, Casellati, Valditara. Le grane, per Giorgia Meloni che governa con un consenso che i sondaggi continuano a rilevare alto, arrivano dai ministri. Mai la premier si era trovata con tanti problemi interni. E con dubbi così corposi su alcuni compagni di viaggio.
Che la personalità ingombrante di Nordio non fosse facile da gestire si sapeva dall’inizio. Ma di certo il giudizio del Guardasigilli sulla necessità di abolire il concorso esterno in associazione mafiosa, ha costretto la presidente del Consiglio a una reprimenda che voleva evitare: «Le cose che si voglio fare si fanno e del resto si può evitare di parlare», ha detto Meloni, consigliando al giurista Nordio «di essere più politico»
Ora, con la prospettiva di una riforma della giustizia arrivata in Parlamento carica dei dubbi di Sergio Mattarella, ma con Nordio abbarbicato all’abolizione dell’ abuso d’ufficio, i rapporti rischiano di diventare ancora più difficili. Bisogna parlare meno, è il messaggio della premier.
Un appello che alcuni fedelissimi, come Francesco Lollobrigida, il cognato della premier al centro delle polemiche per le sue affermazioni sulla sostituzione etnica, sembrano aver recepito […].
Quella di Santanchè è una vicenda di certo più delicata. L’indagine su Visibilia ha lasciato il segno. La Lega si è allontanata, la premier non è intervenuta ma è tutt’altro che contenta […] . E non è sfuggito ai più che lunedì, dopo il via libera in Cdm alla riforma della disciplina delle guide turistiche, Santanchè si sia venduta il risultato con enfasi: «Stiamo lavorando alla rivoluzione industriale del settore».
Silenzio assoluto, invece, da Meloni. Il feeling, da tempo, è difficile con altri ministri. La premier non ha gradito la gestione dello sciopero dei benzinai e nemmeno altre mosse di Adolfo Urso, ad esempio sul caso Lukoil e il via libera per la gestione dell’impianto di Siracusa a Goi, la società cipriota con molti legami con i russi. In casa Fratelli d’Italia molti hanno notato lo sgarbo istituzionale di Meloni che ha lanciato il progetto del liceo del Made in Italy senza citare il ministro, che aveva lavorato a questa proposta.
Chi si aspettava di più, dalla propria esperienza di governo, è la ministra delle Riforme Elisabetta Casellati, messa ai margini dai tavoli di confronto con l’opposizione […] sulle riforme. E certamente non protagonista del lavoro che ha portato alla proposta di premierato. L’ex presidente del Senato […] è finita in un cono d’ombra. E lo soffre.
Meloni ha confidato ai suoi di non aver gradito più di un’uscita del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: in particolare la gestione della polemica per la maestra sospesa per aver fatto recitare l’Ave Maria in classe. FdI con note ufficiali si è schierata al fianco della maestra contro la sospensione di 20 giorni dal servizio, invece il ministro ha difeso la linea del provvedimento disciplinare.
Diverso il discorso di Salvini: i rapporti con il vicepremier, che è anche il leader del secondo partito della coalizione, sono da sempre travagliati. Basti ricordare che i due non si parlarono per due mesi dopo il voto per il Quirinale. Da qualche tempo l’atteggiamento della Lega […] indispettisce la presidente del Consiglio. Le critiche del Carroccio per i ritardi nei provvedimenti dopo l’alluvione in Emilia Romagna, gli affondi sul Mes e infine il rilancio sul condono fiscale: mosse che, a giudizio della premier, nascondono anche una ricerca di visibilità. E che necessitano di un chiarimento con Salvini.
Di certo, la strategia finora adottata è stata quella di silenziare i malumori, e di far decantare le polemiche che esplodono “in chiaro”, come quella sul sottosegretario Delmastro e sulla stessa Santanchè. Ora si attende il generale agosto. Se non ci saranno traumi parlamentari, se ne riparlerà a settembre. Ma non è da escludere che poi Meloni faccia un check-up dell’azione del suo esecutivo. Disponendo qualche ritocco.
(da La Repubblica)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LOIACONO HA PUBBLICATO UN POST NEL QUALE CANTA, SORRIDE E SCHERZA CON LA SUA FIDANZATA
Poco più di un mese fa si diceva distrutto Er Motosega. Ieri è tornato sorridente e “canterino” sui social Vito Lo Iacono, uno degli youtuber coinvolto nell’incidente a Casalpalocco lo scorso 14 giugno in cui è morto il piccolo Manuel Proietti. Il creator noto come “Er motosega” si definitiva sui social un collaboratore dei TheBordeline e si trovava a bordo della Lamborghini Urus guidata dal leader del gruppo, Matteo Di Pietro, indagato per omicidio stradale
Attorno a Lo Iacono si sviluppava un canale satellite dei TheBordeline, The House, con milioni di visualizzazioni accumulate dal 2021. Nel suo ritorno sui social, Lo Iacono sembra essere riuscito a buttarsi la tragica vicenda alle spalle. Lo Iacono canta e sorride in compagnia della sua fidanzata sotto le note di “Sorriso” di Calcutta. Proprio lui subito dopo l’incidente era stato tra i primi a prendere le distanze dal resto del gruppo.
Uno dei suoi ultimi commenti a poche ore dall’incidente era stato: «Il trauma che sto provando è indescrivibile, ci tengo solo a dire che io non mi sono mai messo al volante e che sto vicinissimo alla famiglia della vittima».
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
LA DICITURA RIAPPARE DOPO QUATTRO ANNI SULLA MONTAGNA A VILLA SANTA MARIA NEL CHIETINO
La scritta “Dux” con calce bianca sulla roccia, è riapparsa a Villa Santa Maria (Chieti). Era stata cancellata nel 2019 dopo una polemica finita in Parlamento, ma il comune ha di nuovo dato il via libera alla scritta che campeggia accanto al sacrario dei partigiani.
Nei giorni scorsi sono stati eseguiti lavori per ‘ripulire’ la scritta ‘Dux’: due pittori legati a delle corde con dei pennelli e vernice grigia, ricalcano la scritta di 4 metri d’altezza, prodotta nel 1940. I lavori rientrano negli interventi per i percorsi di arrampicata sulla punta di roccia ‘penna’ che sovrasta il paese di Villa Santa Maria.
“Nel luglio del 2019 il sindaco fece la stessa cosa, lo stesso sindaco. Ciò provocò una grande eco nazionale sollevando polemiche arrivate in Parlamento e nelle cronache nazionali”, ha denunciato l’ex deputato Camillo D’Alessandro, oggi coordinatore regionale di Italia Viva. Quattro anni fa, il caso fu qualificato come effetto collaterale dei lavori di pulizia del costone di roccia per la realizzazione di alcuni percorsi di arrampicata.
“Stiamo completando i lavori dei percorsi di arrampicata e abbiamo deciso di far ripulire la scritta” ha dichiarato il sindaco Pino Finamore meravigliato del ritorno delle polemiche: “Non c’è alcun intento nostalgico”.
“Non vorrei che per farlo siano addirittura stati impiegati fondi pubblici – incalza l’esponente di Iv D’Alessandro
(da agenzie)
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Luglio 22nd, 2023 Riccardo Fucile
SAREBBE LA PRIMA DONNA IN QUEL RUOLO
La scelta del presidente Usa, nonostante le indicazioni diverse dal Pentagono, sarebbe caduta sull’ufficiale con una grande esperienza anche con incarichi politici e amministrativi di alto livello
Joe Biden avrebbe intenzione di nominare l’ammiraglio Lisa Franchetti, 59 anni, a capo della Marina militare statunitense. Se venisse confermata l’indiscrezione rivelata ai media americani, tra cui il Time, da un alto funzionario della Casa Bianca, si tratterebbe della prima donna nominata in un ruolo di primo piano nel servizio militare statunitense.
Franchetti è un ufficiale con un’ampia esperienza di comando e attualmente è vice capo delle operazioni della Marina militare. Biden avrebbe fatto una scelta diversa da quella suggerita il mese scorso dal segretario della Difesa Lloyd Austin, che aveva indicato come miglior candidato l’ammiraglio Samuel Paparo, oggi comandante della flotta del Pacifico della Marina. Per quest’ultimo però Biden avrebbe in mente la guida del comando indo-pacifico degli Stati Unit.
La scelta di Biden su Franchetti si sarebbe basa sulla solida esperienza militare dell’ufficiale anche con incarichi politici e amministrativi in carriera di alto profilo. Caratteristiche che per il presidente Usa sono stati elementi determinanti per considerarla un elemento più che affidabile per la gestione del dipartimento e sotto il profilo della gestione del bilancio. Secondo il funzionario citato dai media statunitensi, la scelta di nominare la prima donna nel Joint Chiefs of Staff avrebbe una natura fortemente politica, con l’obiettivo di essere di ispirazione per tutti i componenti della Marina, uomini e donne
Franchetti ha svolto ruoli di comando a tutti i livelli, guidando la Sesta flotta statunitense e le forze navali in Corea. È stata la seconda donna in assoluto a diventare ammiraglio a quattro stelle e ha svolto diversi incarichi, tra cui comandante di un cacciatorpediniere navale e per due volte comandante del gruppo d’attacco delle portaerei.
(da agenzie)
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