Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile
CATANIA, CAPITALE DEL CENTRODESTRA, E’ BLOCCATA E IRRAGGIUNGIBILE
Hanno risolto il problema: insieme ai voli hanno dirottato la lingua italiana. In Sicilia non si dice ho “preso” il treno o l’aereo. Qui, aerei e treni, si “trovano”.
Seduta sopra un bus, sul traghetto Caronte, tra Villa San Giovanni e Messina, la professoressa Mara Conte riconosce che “siamo stati fortunati. Abbiamo trovato un treno. Almeno uno”. Almeno. E’ il treno veloce 8191, Italo, Roma Termini-Reggio Calabria, con successivo collegamento navetta fino a Catania.
Sono otto ore e venticinque minuti di viaggio. Saranno nove alla fine. Al momento, questa, è la modalità più veloce, e sicura, per raggiungere la Sicilia. Il compagno di Mara, Salvo, anche lui professore, dice che “abbiamo il climatizzatore. Almeno. E c’è pure il cavo per ricaricare il telefono”. Almeno.
Dal 17 luglio, dopo un incendio all’aeroporto di Catania Fontanarossa, una scintilla di una stampante Canon, che ha provocato la chiusura dello scalo e una riapertura, parziale, da guerra, come se fossimo a Saigon, sui tetti, esiste un’isola Montecristo e una città che sembra la gemella di Tripoli.
Si fa bagarinaggio di biglietti. Si traffica con gli autisti come i migranti in Libia. Si prega per avere l’elettricità. Il 26 luglio 2023, in Sicilia, a Palermo, la corrente elettrica è mancata per 18 ore. Ovviamente è stato chiuso anche l’aeroporto di Punta Raisi. Si atterra a Catania, a diopiaccennu, ma le possibilità concrete di arrivarci sono solo il 10 per cento. Al trenta per cento vi dirottano su Trapani, al trenta su Palermo (con la variabile del black out), al trenta per cento il volo viene cancellato, mentre siete al gate di partenza. Rimane un dieci per cento. Dieci. Almeno.
Il Terminal aereo di Catania è di fatto composto da tende assemblate dalla Protezione Civile e Aeronautica militare. L’orario dei pochi arrivi e delle poche partenze è segnalato dai tabelloni, ma i tabelloni nessuno li può consultare perché la struttura è a ingresso contingentato, causa caldo: fino a 48 gradi. Mara, ancora, mentre Samir, studente di ingegneria, dorme, ci mostra video di cavi elettrici che prendono fuoco: “Guarda, da soli. Il caldo. E poi c’è la cenere, l’Etna”. Se volete giustamente sapere, come mamma Simona, “mi perdoni, solo sapere se mio figlio è atterrato in qualche aeroporto”, dovete rivolgervi ai dipendenti che con un foglio di carta, impastato e sudato, gestiscono il triage. Pochi giorni fa è saltato il sito web dell’aeroporto, il server, in concomitanza con quello dell’aeroporto di Palermo. Si sono spenti in coppia. Almeno lo hanno fatto abbracciati.
A Catania si sta sperimentando un aeroporto ambulatorio. Il prossimo passo sarà allungare la camicia bianca dei dipendenti e saranno medici a tutti gli effetti: “Signora, suo figlio è atterrato a Trapani. Tutto bene”. E’ atterrato. Almeno. Ed è vero. Tutto bene. Non ci sono risse. Tutto composto, rassegnato. Almeno. Trapani è dall’altra parte dell’isola e per arrivarci servono cinque ore di auto. E’ la parte di Sicilia dove stanno girando mazzette di contanti come nelle scene della Casa di Carta. Gli sceneggiatori, che ci avevano visto lungo, hanno dato come nome, a uno dei personaggi, quello di Palermo.
Il tocco d’artista sarebbe stato chiamare l’attore Trapani. Trapani-Catania, e viceversa, in taxi, costa fino 500 euro, tariffa media. Gli autisti, quelli “liberali” si fermano a 420 euro, come precisa Francesco M., che è liberale abusivo. Pure lui dirotta la lingua. Si definisce un privato. Esibisce un blocchetto di ricevute da cartoleria: “Mbare, compare, io faccio le ricevute. Chiaro, diverse, ma tu la utilizzi. Ti rimborsano, scientifico. Io non me ne approfitto, mbare”.
In quale paese sviluppato una scintilla di una stampante, di una società di autonoleggi, riesce a far chiudere un aeroporto, il Terminal A, che si definisce internazionale?
Oltre 11 milioni di passeggeri, 540 dipendenti, 9 milioni di utili, 112 destinazioni, di cui 88 internazionali (c’è perfino il Catania-Abu Dhabi). Il 26 luglio, sul portale di Ita, il volo Roma-Catania non è acquistabile. Il primo disponibile è per sabato e costa 525.99 euro. Solo andata. Si è tornati al treno che è semiveloce. Almeno.
E’ velocissimo fino a Salerno, semi da Salerno a Reggio Calabria. Trenitalia e Italo, già dal 18 luglio, il giorno dopo la chiusura di Fontanarossa, offrono treni che si possono chiamare costituzionali, gli unici che garantiscono il diritto di movimento. L’ autista liberale che si raccomanda, “anonimo, mbare, altrimenti ti tagghiu ‘a facci”, non ha alcun dubbio che questa “speculazione èèèè. Sicuuuro. Le agenzie di viaggi s’accattarù i biglietti e i rivinninunu a peso d’oro. Garantito. Robe da pazzi”. Vero. Da pazzi.
Il numero, sulla ruota “grazie al cielo”, il nostro, è 8191, ma c’è pure il 9 che si può giocare. E’ il numero del binario di Roma Termini. Alle sei di mattina, Termini, è così pulita e profumata da non sembrare neppure Termini. Se ci fosse un vero scrittore, con la stilografica, noterebbe che i bermuda sono la spia dell’avanzata lanzichenecca. Peli, tatuaggi, un vero ovrore. Leggere Proust, a quest’ora, in treno, significa desiderio di morte. Ci si addormenta tutti, al punto che i controllori di Italo, già alle 6 e quattro minuti, vi chiedono il codice del biglietto e ci tengono a fare sapere che è “per non disturbarla successivamente”.
Non si legge e non si pensa. Pensare a cosa? Pensare alla Sicilia? A Catania? Il giornale principe, La Sicilia, che ha redazione in viale Odorico da Pordenone, il giornale di Alfio Russo, Candidò Cannavò, Pippo Fava, non paga gli stipendi ai giornalisti da più di 58 giorni.
In prima pagina, ogni giorno, c’è il contatore. Il suo editore Mario Ciancio è l’ultimo vecchio caduto in quel pozzo nero della mafia dell’antimafia che non è mafia ma che è sempre una mafia, cos’è? Sembra una filastrocca. Ciancio non è riuscito ancora a risalire. Gli avevano confiscato i beni. In Cassazione gli sono stati restituiti. Non avrebbe liquidità, la motivazione. I figli di Giobbe, Mannino, Mori, Subranni, Contrada, tra gli ottanta e i novant’anni, si sono tirati fuori da questo pozzo, dopo decenni. Ciancio ha 91 anni ed è ancora sotto processo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Da due mesi una comunità di giornalisti lavora senza essere pagata, ma continua. Loro sono rimasti. Loro. Almeno. Viaggiando veloci superiamo la stazione di Napoli Gianturco. E poi, come fosse un cinematografo che gira: sole, palme e occhi chiusi. In ordine: le stazioni di Sapri, Paola, Lamezia, Rosarno. … Vagoni merci e insegne scrostate. Il mare, gli ombrelloni, il cocomero alle 10. Forse era un cocomero. Forse.
Sulla carrozza numero sei, Emanuele, di Giarre, torna da Roma e legge Vita e destino di Grossman. Sorridendo, scherza e dice: “Pensa. Otto ore di viaggio. Almeno puoi leggere”.
Scendiamo a Reggio Calabria, a Villa San Giovanni, carichi di bagagli e si corre sotto la stazione, altrimenti, il bus, “lo perdiamo, lo perdiamo”. Se l’aeroporto di Catania ha chiuso per un incendio, che è circoscritto, non si capisce come possa restare aperta questa stazione ferroviaria con i cavi dell’alta tensione scoperti, i calcinacci, le transenne dei lavori in corso, un sottoscala che sarà largo non più di due metri e mezzo, dove, alle ore 11,30, si concentrano migliaia di passeggeri: “Corri, corri”.
Fuori dalla stazione il bus di Italo aspetta. Ce ne sono in realtà due ed è chiaro perché gli autisti urlano come al mercato del pesce: “Catania, Catania. Fozza, fozza”, e l’altro: “Palemmu, Palemmu”. Il conducente del Villa San Giovanni-Catania, con fermata intermedia a Giardini Naxos, conta i passeggeri uno per uno, come faceva la maestra quando si andava in gita a Tindari e, infatti, come la maestra, avverte che sul traghetto “potete scendere dal busse, ma veloci. Vi dovete fare trovare sul busse cinque minuti prima di traghettare a Messina. Il lettore di Vita e Destino garantisce che alle 15 saremo a Catania e sul bus c’è pure il bagno: “Non ci manca nulla”. Si dorme, ancora, tra miasmi, profumi spruzzati, deodoranti esauriti. Il passeggero vicino, con il suo Ipad, guarda una serie Netflix.
Dal 17 luglio, in Sicilia, va però in onda la serie “La scintilla”, che è come lo sparo di Sarajevo che provocò il finimondo: “Cominciò tutta con una scintilla al Terminal A”. L’aeroporto di Catania ha tre terminal. Uno è chiuso da oltre dieci anni. E’ il terminal B. Lo hanno riconvertito durante il Covid a padiglione vaccini. In passato, nel 2015, l’allora ad della società che gestiva l’aeroporto, e che si chiama Sac, lo aveva utilizzato come “area polivalente, scuola di alta cucina”. Ospitavano perfino uno chef stellato al mese. Gli aerei no, ma le pentole sono cromate, professionali. Almeno. Il terminal B dovevano modernizzarlo e c’erano scatole di progetti, ma sono passati tanti anni e il piano è stato superato dal tempo. Si sono accorti che ne serviva un altro. Nuovo. Si ricomincia. La scintilla, come avviene nei racconti, era prima la scintilla di un climatizzatore, poi di una stampante. La maggioranza oggi concorda che è di una stampante. In auto, dalla stazione ferroviaria di Catania fino all’aeroporto, l’autista liberale è convinto: “C’è qualcosa sotto. E’ scientifico. E secondo lei, la scintilla parte da sola? Dottore, eh. C’è in ballo un miliardo di euro. Un miliardooo. Vogliono privatizzare l’aeroporto. Un miliardooo”. Il miliardo, a Catania, deve essere un’ossessione. A Franco Battiato, raccontano, prima di morire, venne proposto di girare uno spot. Battiato che era amico di Manlio Sgalambro, il filosofo, chiese: “Manlio? Accettiamo? Quanto gli chiediamo?”. E Sgalambro: “Un miliardo, almeno”. Almeno.
Catania la chiamavano Milano del sud, e ancora la chiamano così. Le uniche vere realtà economiche, di scala, sono la St Microelectronics, multinazionale italo-francese che assembla semiconduttori e componenti elettronici (ha appena annunciato 700 assunzioni) e infine questo aeroporto che ha una natura particolare. I proprietari sono le Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa. Tutte e tre sono state raggruppate in un’unica Camera di commercio, quella del Sud-est. Il commissario di questa Camera è Andrea Belcuore, un leale di Schifani, il governatore siciliano. La Camera del Sud est detiene il 61 per cento della Sac, società che oltre all’aeroporto di Catania gestisce pure quello di Comiso. Il resto delle quote è spartito tra Consorzio Asi di Catania, Provincia di Catania e Siracusa. L’unico obiettivo di chi fa industria, in Sicilia orientale, non è fare industria ma farla per stare nella Camera di Commercio e controllare quindi l’aeroporto di Catania. Che è industria. Quasi tutte le famiglie della provincia hanno un parente, almeno uno, che ci lavora. E’ come se fosse la Fiat dei bei tempi. Al posto degli sportelli i femori dei passeggeri. Fontanarossa è sempre stato fondaco di destra. Forza Italia, negli anni Novanta, poi l’Mpa di Raffaele Lombardo hanno avuto, direbbero a destra, l’egemonia. Chi guidava la regione controllava a sua volta l’aeroporto. Qui si dice “ognuno ci vuole bagnare ‘u pizzo”, come le oche che beccano. Oggi è tornata a bagnarsi Forza Italia, il partito di Schifani, presidente di regione, ex presidente del Senato. Si è presentato all’aeroporto dopo nove giorni dall’incendio perché a Palermo dicono che sia troppo occupato a organizzare cerimonie. Crede ancora di abitare a Palazzo Giustiniani dove conosceva, a memoria, il regolamento del Senato. Gli era sufficiente. Il suo controllore di volo, all’aeroporto di Catania, è il deputato regionale Nicola D’Agostino che ha cominciato con l’Mpa di Lombardo, poi renziano, Udc, Misto, oggi Forza Italia. Per un’intera città è D’Agostino che ha le mani sull’aeroporto.
L’amministratore delegato si chiama Nico Torrisi e possiede la famosa Baia Verde, l’albergo incanto della costa catanese. Torrisi è pure presidente della Federalberghi siciliana. L’incendio, la scintilla, ha sprigionato ogni tipo di fumo tossico. Non ci sono solo quelli veri (la bonifica dell’area è affidata agli americani di Belfor, la stessa società che si è occupata della bonifica di Fiumicino). Ci sono i fumi di una guerra che va avanti da dieci anni. Almeno. Non appena arrivate a Catania, se siete giornalisti di un quotidiano nazionale, vi riversano ogni tipo di dossier, documento. Esistono due tribù. La tribù che fa capo a Schifani-D’Agostino-Torrisi e Belcuore e un’altra vastissima che ha perfino un giornale di battaglia. Per raccontare l’aeroporto, le reti, le ramificazioni, è nato un giornale online che da anni lotta contro i vertici di Sac e i vertici di Sac lottano contro questo giornale. Si chiama Sudpress. Se chiamate la tribù A vi dirà che tutte le inchieste giornalistiche, finora uscite, sono al vaglio dei magistrati. L’altra tribù, la B, vi porta tutte le parcelle, tutte le consulenze che la Sac ha affidato agli avvocati di Catania. L’autista liberale, che si staglia gigante in questo scenario, lettore appassionato di Sudpress dice: “Ma lei lo sa chi è Chico Merlino? E’ l’avvocato amico di Torrisi e D’Agostino che ha ricevuto un miliooneee!”. Non è un miliardo. Almeno. Se si va sul sito di Sudpress ci sono titoli come questi: “1.328 affidamenti per 80 milioni di euro”. Se provate a parlarne con l’altra tribù vi diranno ovviamente “spazzatura”, “abbiamo querelato”. In Sicilia c’è sempre la doppia lettura, il doppio fondo. Solitamente quello che veramente ha il doppio fondo è il citrullo. Il citrullo tipo ha proposto infatti di fare atterrare a Sigonella, la base americana, ma a Sigonella manca il terminal. Non si può fare. A Palermo, che si sta facendo carico, per quanto può, dei voli di Catania, Vito Riggio, presidente di Gesap, la società che corrisponde alla Sac catanese, per anni presidente di Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) democristiano e allievo di Franco Marini, fa notare che ormai, ovunque, in Italia, gli aeroporti sono un mestiere per privati. Non il biliardino dei politici.
In Sicilia, dice Riggio, si ragiona così: “La situazione è tragica ma è meglio che la gestiamo noi”. Sono i deputaticchi che in questo aeroporto hanno piazzato umanità che si traduce in voti, sottomissione. Altri cinque anni di legislatura. Almeno. A Napoli, Roma, Venezia gli aeroporti sono gestiti da fondi, manager. A Milano hanno appena inaugurato la metropolitana che collega Linate a San Babila. Qui il tassista, con la licenza, chiede 31 euro per fare un pugno di chilometri e se provate a dire che è uno furto vi risponde: “In regola, sono. Potete chiedere ai miei colleghi”. La regolarità, l’agibilità dell’aeroporto, passata e futura, è un enigma. I dipendenti che ci lavorano, e che si fanno incontrare, ma lontano, a Piazza Stesicoro, in città, dicono che i soffitti non sarebbero impermeabili e che l’Ecac, che è la super Enac europea, avrebbe riscontrato criticità già nei mesi scorsi: “Un terminal che è tarato per cinque milioni di passeggeri ne gestisce dieci. E’ normale?”. Se chiedete all’altra tribù vi dicono che sono calunnie. Si vuole la testa di Torrisi, l’ad che si lascia incontrare e formulare la domanda più stupida che si possa fare: una stampante a fuoco? Un estintore, in un aeroporto, uno, almeno, non c’era? Per spegnere il rogo, che si è propagato di notte, sono intervenuti i vigili del fuoco di Catania, quelli del comando di via Cesare Beccaria. E’ possibile che nessun interno o addetto alla sicurezza, riuscisse a intervenire tempestivamente? E’ iniziata la caccia al colpevole, fermo restando che la situazione è eccezionale e che “il caldo africano…”. Il caldo non si può certo difendere e non ha avvocato. Ergastolo al caldo. A Palermo, causa caldo, a Borgo Nuovo, le fiamme, hanno avvolto una casa dove era in corso una veglia funebre. Sono scappati i parenti. La bara è bruciata. In Sicilia si può morire due volte. La squadra dei vigili del fuoco dell’aeroporto di Catania, quella interna, che lavora sulla pista, sarebbe intervenuta ma il fuoco lo avrebbe spento il comando di Catania. Si dice. Se una stampante fa chiudere un aeroporto, un reattore che esplode sterminerebbe la Sicilia.
Dal 16 luglio si discute sulla “competenza”, su chi doveva spegnere le vampe. E, anche qui, ancora due tribù. C’è chi pensa che non era competenza dei vigili in pista, mentre per Torrisi, e il suo accountable manager, Giancarlo Guerrera, che vi sciorinerebbe inglese e manuali di sicurezza fino alla riapertura dell’aeroporto, “si deve intervenire secondo quanto dispone il Piano di emergenza aeroportuale perché qualsiasi incendio ha influenza sui livelli di sicurezza del volo”. I vostri vigili sono intervenuti? “C’è un’inchiesta. Lo verificherà l’autorità giudiziaria”. In aeroporto, girando, fra gli addetti alla sicurezza, vi fanno capire, a mezzabocca, qui si dice aumaum, che era un cambio turno e che forse, “sai come va, la stanchezza …”.
A Catania accusano Torrisi di aver pasticciato, di aver detto, “riapriremo subito”. Lui: “Infatti abbiamo riaperto utilizzando il Terminal C”. E’ vero che non riaprirete mai più perché si sono scoperte altre criticità? “Non rispondo al sentito dire”. Perché il Terminal B rimane chiuso da quasi vent’anni? “Abbiamo presentato il masterplan nel 2016, dal 2020 attendiamo una valutazione di impatto ambientale da parte del ministero”. Perché non si dimette? “Perché non sono Schettino”. Ha distribuito consulenze? “Chi ci accusa è perché mi chiedeva ben altro”. Fratelli d’Italia e il ministro Adolfo Urso vogliono che Torrisi vada via, ma Torrisi è difeso da Schifani che avrebbe litigato con Urso. Il vicepresidente di Schifani in regione è Luca Sammartino, della Lega. Torrisi può quindi contare su Matteo Salvini, ma anche sul ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in FdI è di una tribù diversa da quella di Urso, e che, dice, Torrisi, “non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno”. Il cielo di Catania è sempre stato nero Msi. Urso è cresciuto ad Acireale, ed è di Catania Nello Musumeci, ministro con delega alla protezione civile, ed ex presidente di Regione. Il nuovo sindaco della città è il figlio di Enzo Trantino, l’avvocato simbolo della Fiamma. E’ di Catania il vicecapogruppo di FdI, alla Camera, Manlio Messina. Ignazio La Russa, il presidente del Senato, è nato a Paternò ed è stato La Russa che ha voluto Schifani. L’incendio di Catania basta piegarlo e prende un significato, politico, nazionale. La destra di governo è quella che ha amministrato la Sicilia. Amministrato? Almeno.
I cinque voli da Londra cancellati, i passeggeri scoppiati al sole, stravaccati sulla banchina dell’aeroporto (a Catania vi rispondono che ci sono sempre stati) non sono nulla. Che l’aeroporto riapra, o meno, è marginale rispetto alla possibilità del rimpasto. In 150 stanno lavorando alla bonifica e la data di consegna è il 2 agosto. Il quotidiano La Sicilia, di ieri, apriva il giornale su una flotta di droni acquistati dalla Regione per monitorare il territorio (è costata 250 mila euro). La flotta si aggiunge a ulteriori 36 mila occhi (18 mila lavoratori forestali in totale di cui 12 mila addetti alla prevenzione, 6 mila impiegati per il servizio antincendio). In Sicilia ci tengono al titolo: sono esperti antincendio. Chiaro? Esperti. Dalla notte del 16 luglio, il giorno del rogo all’aeroporto di Catania, è rimasto sul tappeto bagagli un passeggino. Il tappeto è stato spento. Almeno. E’ andata a fuoco una sala che sarà grande quanto una stanza di un albergo, ma con il fumo è venuto fuori il tanfo. A chi dovrà bollinare le autorizzazioni forse tremerà la mano. O forse no. E’ probabile che si riapra e che si continui a viaggiare, a singhiozzo, con i tendoni da campo, che si vada avanti trascinandosi come zombie, in questa isola almeno.
In una pagina di Nero su Nero, Leonardo Sciascia scrive che “il contadino diretto ad Agrigento, sale sul treno e chiede, per tre volte, a tre persone diverse, se il treno va ad Agrigento e per tre volte ottiene la stessa risposta: “Almeno”. Il contadino si rassegna al dubbio. Nessuno è certo che il treno vada ad Agrigento: pare che ci vada. Così credono i viaggiatori e coloro che lo muovono, ma può anche finire a Trapani, a Messina, all’inferno”. Da Roma parte un treno fino a Reggio Calabria, e poi il bus, qualche volo, con fortuna, si trova. Qui le sciagure sono perfino benedette. Sono i veri motivi per ritrovarsi, per toccarsi. Per alcuni, l’unica ragione per tornare. La morte, la vergogna hanno sempre avvicinato. Non importa come arrivi. “Sei tornato. Almeno”.
(da il Fatto Quotidiano)
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Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile
IN 20.000 NELLE COLTIVAZIONI DEL PONTINO: “IN SERRA NON SI RESPIRA E IL CALDO PUO’ UCCIDERE”
Sfrecciano le auto dei villeggianti con dentro ombrellini e giochi per i bambini. E poi c’è Yamir che alle sei del pomeriggio, quando molti lasciano la spiaggia, ha da poco finito di lavorare. Con il turbante in testa, sulla sua bicicletta arrugginita, è fermo a un semaforo di questa lunga via, la Pontina, da un lato c’è il mare e dall’altro distese di campi coltivati: «Ho lavorato dieci ore, dalle cinque del mattino con due ore di pausa. Ho raccolto angurie e poi, nelle ore più calde, le barbabietole e poi di nuovo angurie». La paga? «Cinque euro l’ora».
Da queste parti, nella provincia di Latina, risultano 20 mila operai agricoli regolari, di questi 13 mila sono di origine straniera, in prevalenza indiana. «Abbiamo un contratto di lavoro, certo. In azienda vengono anche a fare i controlli», racconta uno di loro davanti a un enorme campo di cocomeri non ancora raccolti: «Il problema è che lavoriamo molte più ore e molti più giorni di quelli scritti nel contratto. E la paga è la stessa». Sono quelli che in gergo sindacale vengono chiamati contratti grigi. In pratica viene truccata la busta paga. Risultano quindici giorni di lavoro e invece in un mese possono essere anche ventisei le giornate trascorse con la schiena piegata sotto il sole a picco, come avviene nell’immenso campo che si vede nella frazione di San Donato.
Stefano Morea, segretario regionale della Flai Cgil, la federazione dei lavoratori agricoli, il 7 luglio scorso ha scritto una lettera al presidente della Regione, Francesco Rocca, per chiedere attraverso un provvedimento la sospensione del lavoro nelle ore più calde della giornata e nei giorni a rischio. Il sindacato non ha mai ricevuto risposta. «Piuttosto è stato convocato un tavolo sul fungo che sta colpendo il kiwi», dice Morea, che raccoglie ogni giorno la fatica dei braccianti: «Esiste ancora la contrattazione individuale della paga e si arriva anche ai quattro euro l’ora. Il caporale che fa da intermediario tra il proprietario dell’azienda e il lavoratore indiano. C’è il lavoro nero e lo sfruttamento minorile».
Lungo la Pontina è un via vai di biciclette. Si vede una croce, ricorda un bracciante investito mentre tornava a casa. Qui non si muore solo nei campi: si muore per strada e si muore dopo il lavoro se il cuore e la mente non reggono più.
Non un sorriso, lo sguardo di questi braccianti è basso e cupo, tramortiti dal caldo e dalla stanchezza: «Ho lavorato dalle cinque a mezzogiorno. Sette ore, ho raccolto angurie. Perché rischio la vita sotto il sole? Per mandare i soldi alla mia famiglia in India». Ed è così un po’ per tutti. Vivono nelle casette della frazione Bella Farnia, con i letti uno attacco all’altro. Altri in condizioni ben peggiori, in luoghi di fortuna vicino ai campi.
Lungo la strada, ci sono anche le serre con le loro temperature ancora più alte di quelle percepite all’esterno. È qui che lavorano molti braccianti, in questi grandi tendoni bianchi, dove manca il respiro e il sudore delle persone si mischia alla terra. Come succede nelle fungaie, considerate il posto peggiore fra tutti perché il tasso di umidità deve essere elevato per far crescere i funghi. Crescono le verdure, muoiono le persone.
E nei campi vengono sfruttati anche i 12enni: “Sono invisibili alle anagrafi, vanno salvati”
Già dai dodici e tredici anni, con paghe che si aggirano intorno ai 20-30 euro al giorno, nella provincia di Latina i figli dei braccianti vanno a lavorare nei campi lasciando la scuola. Emerge dal rapporto Piccoli schiavi invisibili diffuso da Save the Children, che accende un faro sulla condizione dei minori che vivono in alcuni territori caratterizzati dallo sfruttamento del lavoro agricolo. Si può trattare di un lavoro a tempo pieno o, più spesso, limitato al tempo extra-scolastico quotidiano o estivo, o di un impegno che può iniziare già a 10 anni per, così viene detto, «dare una mano» nel periodo di raccolta, quindi in estate, nei giorni più caldi dell’anno.
Per molti studenti, nel periodo del Covid, la scuola è stata completamente sostituita dal lavoro, poi si è tornati tra i banchi ma il pomeriggio si continua ad aiutare nelle serre, con una grossa difficoltà nel fare i compiti e il conseguente deficit nel rendimento scolastico che porta a bocciature nelle scuole medie, e a un ingresso ritardato alle superiori (16 o 17 anni), come confermano alcune testimonianze raccolte. L’associazione umanitaria infatti dedica un focus proprio all’Agro Pontino, dove vi è uno dei mercati ortofrutticoli più importanti del Paese, il Mof – Centro agroalimentare all’ingrosso di Fondi.
Dunque, in vista della Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani che si celebra domani, Save the Children pubblica i dati, secondo cui in Italia una vittima su tre di tratta e sfruttamento lavorativo è minorenne. Nel 2021 le vittime di tratta e sfruttamento sono state 757, in più di un caso su tre (35%) si tratta di minori, con una prevalenza di femmine (168 casi) rispetto a maschi (96). Le vittime prese in carico dal sistema anti-tratta nel 2022 sono state 850, di cui il 59% donne e l’1,6% minori.
A Latina, come anche in provincia di Ragusa, territorio anch’esso studiato da Save the Children, i minori spesso trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna nei terreni agricoli, in condizioni di forte isolamento, con un difficile accesso alla scuola e ai servizi sanitari e sociali. Sono tantissimi e, nonostante alcuni sforzi messi in campo, sono per lo più ‘invisibili’ per le istituzioni, non censiti all’anagrafe, ed è quindi difficile anche riuscire ad avere un quadro completo della loro presenza sul territorio.
«È fondamentale innanzitutto riconoscere l’esistenza di questi bambini, assicurare ad ognuno di loro la residenza anagrafica, l’iscrizione al servizio sanitario e alla scuola e i servizi di sostegno indispensabili per la crescita», spiega Raffaela Milano, Direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children, nel fare appello al ministero del Lavoro affinché intervenga per mettere fine allo sfruttamento minorile fatto di lavori dannosi per lo sviluppo educativo e per il benessere psicofisico.
(da La Repubblica)
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Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile
LO SCALO E’ CENTRALE PER IL MERCATO DELLA DROGA DA (E PER) NEW YORK
Non servono i followers, che pure sono tanti (37 mila), per raccontare la cifra (e la genesi) dell’omicidio di Claudia Iacono, madre di due figli, uccisa a 39 anni a Montreal alle 16,28 del 18 maggio scorso. Sei colpi di pistola esplosi mentre la donna sta parcheggiando il Suv nella zona commerciale “Il Triangolo”. Agguato mafioso. Dubbi? Zero.
Perché più dei social fanno le parentele: Claudia era la moglie di Anthony Gallo, nuora di Moreno Gallo boss di Cosa Nostra canadese, in passato storicamente legato al clan Rizzuto (poi da lui tradito) ucciso il 10 novembre 2013 ad Acapulco con nove colpi di pistola da un killer vestito di nero che lo sorprese a tavola (a cena) nel ristorante “Forza Italia”.
Tre mesi fa, Leonardo Rizzuto, figlio del boss Vito scampa a un agguato sull’autostrada provinciale 440 nella giurisdizione della Sûreté du Québec. In due gli sparano contro 6 colpi di calibro 9, la fiancata della Mercedes GLE 53 diventa groviera, lo feriscono alla spalla e al torace, lui riesce a proseguire la sua corsa nascondendosi nel parcheggio di un’agenzia di pompe funebri. Miracolosamente vivo.
Corsi e ricorsi. Pallottole che rimbalzano da un campo all’altro. Sangue che chiama sangue. Occhio alle date: il 10 novembre 2010 – stesso giorno e mese di Gallo – era stato ammazzato Nick Rizzuto. Stava pranzando in casa a Montreal, un cecchino gli ha sparato con un puntatore di precisione. Uno sniper. Morì a 86 anni. Scambio di scortesi anniversari, verrebbe da dire.
Per gli investigatori canadesi la pista affonda in questa guerra mai sopita tra criminali calabresi e siciliani, un “botta e risposta” durato decenni, intervallato da fragili pax mafiose che radica in tempi nel momento in cui – cioè – i Rizzuto organizzarono “l’acquisizione siciliana” nel 1978, della mafia di Montreal dall’organizzazione Cotroni, gente dalla Calabria. Una faida con perdite (decine di morti) per entrambi i gruppi: boss, galoppini, trafficanti e spacciatori uomini d’affari e mezze calzette: il piombo non fa questioni di origine e grado.
Ma basta questo? Basta il richiamo ancestrale della vendetta, il Dna di rivalsa dei gruppi mafiosi e paramafiosi per spiegare la lunga scia di sangue che colora la cartina di delitti in Nord America? Pare proprio d no. In ballo ci sarebbe il controllo del porto di Montreal uno scalo «centrale per il mercato della droga da (e per) New York
Spazi immensi, business sconfinati che forse raccontano anche perché – da queste parti – tra il 2017 e il 2019 sette narcos siano stati uccisi. Dettaglio: in base a organici e investimenti nello scalo in questione venivano controllati soltanto 20/25 container al giorno: meno dell’1% di quelli sbarcati sulle banchine da tutto il mondo. E poi c’è il ventre molle dei territori al confine: le riserve indiane dove non c’è sovranità nazionale. Non a caso la rotta canadese è considerata una delle più opportune per attribuire ai container la cosiddetta «patente di verginità» rispetto ai parametri di rischio utilizzati dalla polizia delle frontiere nelle indagini degli invii legati anche ai porti di transito.
«Ancora – aggiunge Nicaso – c’è il tema delle droghe sintetiche nelle cui sperimentazioni il Canada è il paese leader nel mondo». Un altro business planetario. «Ormai in Nord America, il Fentanyl ha soppiantato completamente la cocaina. Sono droghe molto forti e costano di meno – spiega il docente, hanno sintetizzato l’eroina, stanno sintetizzando la cocaina con la cocaina rosa, hanno sintetizzato i cannabinoidi con un thc molto più alto e un costo più basso rispetto, per esempio, a quello garantito in paesi dove la marijuana è stata legalizzata».
A contendersi questo mondo non c’è la ‘ndrangheta. C’è invece un “melting pot” criminale che registra «componenti calabresi, siciliane, pugliesi e addirittura franco-canadesi» dice Nicaso.
(da La Stampa)
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Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile
ANTI-USA, FILO RUSSO, VICINO ALLA LEGA, CRITICO DELLA MELONI E AMICO DI NO VAX… FIANCHEGGIATORE DELLA LEGA CON LA SPERANZA DI UNA CANDIDATURA NEL CARROCCIO
Tornare a Itaca. Questa è l’immagine tante volte usata in questi anni dalla destra italiana per descrivere il lento approdo verso Fratelli d’Italia dopo la diaspora politica seguita alla fine di Alleanza Nazionale.
C’è uno solo che dopo essere tornato a Itaca è ripartito: Gianni Alemanno. L’ex sindaco di Roma e ex ministro dell’Agricoltura, voleva prendere il ruolo di capo della minoranza dentro Fratelli d’Italia. Ma Giorgia Meloni gli ha fatto ben presto capire che il “suo” partito non è Alleanza Nazionale, non c’è posto per colonnelli e correnti: comanda solo lei. Chi si adegua avrà il suo spazio anche se dovrà ingoiare magari qualche rospo, come hanno fatto Fabio Rampelli e i suoi Gabbiani, per tutti gli altri “quella è la porta”.
Così Alemanno, dopo aver lavorato per portare preferenze e voti a Italexit di Gianluigi Paragone, si è guardato in giro per capire cosa mancasse nell’offerto politica a destra per trovare un suo spazio, e ha deciso di rispolverare un vecchio cavallo di battaglia della destra: l’anti americanismo.
Con uno stipendio garantito dall’ASI (gestisce per l’ente sportivo le relazioni istituzionali) si è messo così a lavoro e tra manifestazioni, la raccolta di firme per il referendum e convegni, ha messo su il Comitato fermiamo la guerra. Ora il tentativo è quello di costruire un vero soggetto politico.
L’appuntamento è a Orvieto sabato 29 e domenica 30 luglio per una due giorni di incontri e dibattiti dal titolo “Forum per l’indipendenza italiana. Un movimento per l’Italia”.
Ad aderire una selva di piccole sigle per lo più locali, mini partiti personali come Exit Sovranità dell’ex leader di Casapound Simone Di Stefano, o gruppi di estrema destra come Magnitudo Italia. L’idea di Alemanno è aggregare quello che a destra si muove in maniera confusa, e di pescare anche nel cosiddetto “mondo del dissenso” che si è aggregato attorno alle piazze no vax e no green pass, e che oggi decisamente simpatizza per la Russia nel conflitto in corso.
Tra i relatori troviamo non a caso due punti di riferimento sia della raccolta firma del referendum contro la guerra che delle battaglia contro l’obbligo vaccinale e il passaporto sanitario, come Andrea Zhok e Ugo Mattei, e una delle voci più mainstream del “dissenso” ovvero Diego Fusaro .
Interlocutore privilegiato del costituendosi movimento è evidentemente la Lega, più tiepida sulla guerra in Ucraina e storicamente amica della Russia.
A Orvieto interverrà Simone Pillon, ormai ex senatore, ma soprattutto ci saranno a discutere di Europa due europarlamentari di assoluto peso del Carroccio: Antonio Rinaldi e Marco Zanni, capogruppo di Identità e Democrazia.
Alemanno tenterà la corsa con la Lega alle prossime europee portando in dote il suo nuovo movimento? È presto per dirlo ma le manovre di avvicinamento sono già evidentemente in corso.
Qua e là poi qualche eletto Gianni Alemanno già lo ha piazzato negli ultimi anni, utilizzando le liste civiche di centrodestra. È il caso Luciano Crea, consigliere regionale nel Lazio, Marco Mastacchi eletto in regione Emilia Romagna e di un altro consigliere regionale, questa volta nelle Marche Giacomo Rossi. C’è poi qualche consigliere comunale e interlocutori significativi come il presidente dello Svimez Adriano Giannola, Felice Coppolino vicepresidente di Unicoop e Veronica Barbati presidente di Coldiretti Giovani.
(da Fanpage)
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Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile
IL PUTINIANO MARCELLO FOA, EX PRESIDENTE RAI, ALTRO TASSELLO DELLA TV DI REGIME ORBANIANO
Con il ritorno di Marcello Foa in Rai, stavolta nella veste di conduttore radiofonico, compie un deciso passo in avanti nel processo di radicale sostituzione inaugurato a Viale Mazzini tra anchor progressisti e volti (in questo caso voci) di provata fede sovranista.
Un repulisti partito dalle trasmissioni in video – Fabio Fazio, Lucia Annunziata, Massimo Gramellini che nessuno ha provato a trattenere; Roberto Saviano, buttato fuori senza neppure una telefonata – ora allargato alle frequenze in onde medie. Un’occupazione scientifica di tutti gli spazi informativi, trasformati come mai prima in megafono della propaganda di destra. Con buona pace del pluralismo, brutalmente cancellato.
Manca giusto la firma sul contratto, ma la scheda programma è pronta e la collocazione già definita. L’ex presidente della Rai di rito salviniano – l’uomo che insultò il presidente Mattarella e che sui social nega l’emergenza climatica, pubblica articoli contro il figlio di Biden, strizza l’occhio a Putin e attacca la preside di Firenze che aveva difeso i suoi studenti dalle aggressioni squadriste – conquista una delle vetrine più pregiate di Radio1.
Prenderà il posto di Forrest, la fortunatissima trasmissione condotta la scorsa stagione da Luca Bottura e Marianna Aprile, che i vertici del servizio pubblico hanno di fatto chiuso senza dare spiegazioni né comunicazione alcuna: né a chi ne teneva le redini, né soprattutto al pubblico che tutte le mattine si sintonizzava per ascoltare “un programma che regala benessere all’umore”. Elogio, quest’ultimo, pubblicato non su una gazzetta di sinistra, bensì dal Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi: lo stesso su cui Foa ha scritto a lungo.
Dalla seconda metà di settembre sarà dunque lui – dal lunedì al venerdì per un’ora – a intrattenere gli ascoltatori, a decidere i temi, a selezionare gli ospiti: il direttore di Radio1, Francesco Pionati, folgorato sulla via della Lega, gli ha dato carta bianca. Certo che il nuovo “illustre” conduttore riproporrà tutti i cavalli di battaglia cari a Salvini. Dal no al Mes alle campagne antivacciniste, fino all’ostilità contro migranti e comunità Lgbtq. D’altronde basta andare a rileggere qualche intervista di Foa, o scorrere i suoi tweet, per capire che programma sarà.
(da agenzie)
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Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile
LO SPAZIO DEL PD E’ APPENA L’8%, DEL M5S IL 5%… IN ALTRI TEMPI LE OPPOSIZIONI AVREBBERO OCCUPATO GLI STUDI DELLA RAI FINO AL RIPRISTINO DELLA LEGALITA’
Al Tg1 la Meloni compare in dosi massicce per la dieta estiva degli italiani, ai quali a pranzo e a cena invece di un menu vario il telegiornale propone sempre lo stesso piatto. Lo cucina il nuovo direttore del Tg1, Gian Marco Chiocci, meloniano doc, un ruolo annunciato, il suo, come non accadeva da tempo.
Insediatosi a fine maggio, già a giugno ha fatto mostra delle strategie di cui vuole dotare il principale telegiornale del paese: molta Meloni, che parla (dati Agcom) per 204 minuti, quasi tre ore e mezza: più di Schlein, Conte e Mattarella messi insieme; molto governo e molta maggioranza (che si prendono i due terzi del parlato); pochissima opposizione (il Pd all’8% del parlato, M5S al 5%, con Renzi che ha più spazio dei grillini). E poi, tra i primi 20 soggetti microfonati dal Tg1 a giugno, largo ai governativi e a quelli di maggioranza che, pur escludendo Berlusconi che con la sua morte viene ampiamente rimandato in onda, fanno più di 77 minuti di parlato. Pensate: Schlein e Conte non arrivano nemmeno a undici.
Ma è a luglio, con l’arrivo dei primi guai per il governo, che Chiocci si mostra quanto mai affidabile per il potere. Un po’ come Minzolini, il cronista che pedinava i politici e poi da direttore del Tg1 occultava le ‘cene eleganti’ per non dispiacere B., che in seguito lo fece senatore.
È bastato dare un’occhiata al Tg1 per una decina di giorni, nel periodo più acceso dello scontro con i giudici e dell’esplosione dei vari ‘casi’ (Santanchè, Delmastro, La Russa, Nordio), per capire che il Chiocci watch-dog che svergognava D’Alema e sbugiardava Fini è diventato un docile lap-dog, un cagnolino da salotto.
Il conflitto con la magistratura non solo è collocato molto in là nel notiziario del Tg1 anche quando è la notizia di giornata (l’8 luglio l’edizione delle 20, la più seguita, ne parla solo dopo 15 minuti), ma viene trattato tutto a favore di governo; dei ‘casi’ invece si tace, si minimizza oppure si sposta l’attenzione, come per La Russa dove la ragazza, presunta vittima, è il solo soggetto di cui si parla, presentata come dedita ad hashish, cocaina e tranquillanti.
Pur di mettere la sordina agli scandali nel governo e allo scontro con l’Anm, che pure occupano le prime pagine della stampa, il Tg1 (13:30 del 9 luglio) utilizza ampiamente guerra e calura, notizie brutte e presunti scoop (Amadeus che presenta nientemeno che il regolamento di Sanremo 2024!), cui dedica titoli e ampia parte del giornale.
La natura compiacente dell’informazione chiocciana si disvela ancora con il caso Facci: il 10 luglio il Tg3 ci apre il giornale mentre il Tg1 (13:30) non ne fa parola, nonostante le dichiarazioni molto forti delle opposizioni; sempre il Tg1 ridimensiona il tema del giorno (giudici, Santanchè, Delmastro), trattato di sguincio con quattro dichiarazioni filogovernative e due contro, ma menziona l’assoluzione del governatore Fontana.
In seguito il quadro non muta: il 12 luglio i treni, la tragica morte di due bambini in Puglia, l’incendio della ‘Venere degli stracci’ e il trigesimo di Berlusconi (!) fanno gioco per silenziare i problemi della premier, mentre si tace della condanna del leghista Di Rupa (ma non era stato così dell’assoluzione di Fontana e nemmeno di quella dei genitori di Renzi).
Il 13 luglio lo scontro con i giudici, prima mascherato, balza in apertura di tg (13:30), il perché è presto detto: la Meloni invita l’Anm ad abbassare i toni (ma se era stata lei ad accusare i giudici di fare politica!). La successiva intervista a Salvini sulla precettazione dei ferrovieri è seguita dal silenzio sulle ragioni dei sindacati, mentre la notizia del voto europeo sul clima che vede le destre sconfitte è trattata con il commento ‘contro’ di Lollobrigida. Cosa che non è la più grave, visto che nella stessa edizione del tg manca qualsiasi riferimento al ministro Nordio che vuole abolire il concorso esterno per mafia: nemmeno le vivaci reazioni di Salvatore Borsellino e di Maria Falcone scuotono il Tg1 dal sonno filogovernativo. E quando non ci sono la guerra, il caldo, gli incendi o gli incidenti per dribblare le notizie scomode per la premier, ecco che tornano utili le bollette in calo (apertura del 14 luglio) o l’inflazione che a giugno è scesa (apertura del 17 luglio).
Microfoni silenziati i temi delle opposizioni
Infine, come da mandato, nel giornale di Chiocci l’opposizione non esiste (ma era così anche prima), se non in qualche strapuntino. Intanto non compare mai nei titoli, nemmeno il 15 luglio quando c’è la convention del Pd a Napoli: qui aerei, caldo, Tajani presidente, incidenti stradali, Bonucci fuori dalla Juve sono notizie più meritevoli. Alla Schlein che parla di sanità e autonomia un solo minuto a metà notiziario. Gli spazi non si allargano nemmeno per raccontare lo scontro sul salario minimo, la battaglia delle opposizioni: se ne parla poco, microfonando come al solito (19 luglio) più le voci contro che quelle a favore.
La Meloni, che voleva Chiocci portavoce, ringrazia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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