Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
LE TESTIMONIANZE RESE OGGI IN CONFERENZA STAMPA AL SENATO… CONTE AFFONDA: “LA SANTANCHE’ HA MENTITO IN SENATO”
Dicono di non aver ricevuto il tfr. Ma anche di aver lavorato alle dirette dipendenze di Daniela Santanchè. Smentendo quanto sostenuto dalla ministra nell’aula del Senato. Dopo l’intervento dell’esponente di Fratelli d’Italia a Palazzo Madama, i 5 stelle sono comparsi in conferenza stampa con alcuni ex dipendenti della Ki Group, una delle aziende al centro del caso che ha portato Santanchè a riferire al Senato. “Non ho nulla contro il ministro Santanchè, per me può fare quello che vuole nella vita. Ho lavorato in quell’azienda per 30 anni. Ho dato le dimissioni a settembre 2022 e a novembre avrei dovuto incassare 44mila euro come ultima parte del tfr. Mi è arrivata la busta ma il bonifico non è mai arrivato”, ha raccontato Monica Lasagna, che lavorava in amministrazione.
“Per me, lavorare per un senatore era sinonimo di garanzia. Per cui è stato un doppio smacco il fatto di ritrovarmi al 5 di luglio con il bonifico non ancora arrivato. Nel non sentire più nessuno e nel non vedere i soldi mi sono sentita presa in giro”, spiega l’ex dipendente. “Ho sentito il ministro durante il suo intervento che con Ki Group non c’entrava niente. Non entro nel merito ma so che, per quanto mi riguarda, avevo contatti non dico quotidiani ma quasi con la dottoressa e che buona parte delle cose che andavo a fare erano sotto sue direttive. Avevamo riunioni quindicinali con la forza vendite: ci riunivamo in delle video call e lei ci dava istruzioni”, spiega Lasagna.
La smentita degli ex dipendenti
E in effetti durante il suo intervento in aula Santanchè ha negato di aver “avuto partecipazioni nel settore dell’alimentare biologico, come molti media hanno raccontato, la mia partecipazione in Ki Group non ha mai superato il 5%”. La ministra ha inoltre sostenuto di non aver avuto niente a che fare con la società del biologico, che era gestita dall’ex compagno Canio Mazzaro e dal figlio Lorenzo.
“Per noi in amministrazione il riferimento era il figlio di Santanchè, Lorenzo Mazzaro, che per qualsiasi cosa chiamava la mamma per chiedere l’autorizzazione. Noi dovevamo seguire i suoi ordini”, ha raccontato invece Raffaella Caputo, altra ex dipendente della Ki Group comparsa alla conferenza stampa organizzata dal Movimento 5 stelle. “Ho lavorato per Ki Group per 22 anni – ha raccontato Caputo – Anche io aspetto un tfr pari a circa 38mila euro lordi. Noi pensavamo di essere salvate dalla senatrice quando è subentrata nell’azienda, invece c’è stato solo un declino giorno per giorno. La Ki Group purtroppo ha fatto questa fine, era un’azienda leader nel biologico. Una parte di dipendenti è riuscita a recuperare il tfr, mentre a noi, facendo parte dell’amministrazione, prima hanno fatto fare la cassa integrazione, poi ad agosto ci hanno fatto rientrare e ci hanno consegnato la lettera di licenziamento”.
Ennio Cecchinato, invece, per la società del biologico faceva l’agente di commercio fin dal 1998: “Avanzo 64mila euro circa – racconta – Noi agenti ci siamo trovati di fronte a un buco: facevamo gli ordini e non arrivava la merce, e l’azienda andava giù. Nelle ultime riunioni, soprattutto, la dottoressa Santanchè era presente, noi dovevamo riferire a lei. Queste sono cifre che ci spettano, per il nostro sostentamento. Chiediamo alla dottoressa Santanchè di onorare i suoi doveri”.
Durante la conferenza stampa con Conte, Stefano Patuanelli e Alessandra Maiorino, è intervenuto anche l’avvocato Davide Carbone, che assiste gli ex dipendenti di Ki Group: “Fa piacere che la dottoressa Santanchè si sia assunta l’impegno di saldare qualsiasi debito, siamo contentissimi – ha detto il legale – La speranza è che mantenga le promesse. Ci diamo il tempo della giustizia, a settembre scadono i termini del suo concordato e staremo a vedere se alle parole seguiranno i fatti”.
Conte: “Santanchè mente?”
A quel punto è stato Conte a prendere la parola per attaccare Santanchè: “La ministra – ha detto l’ex premier – si è descritta come una vittima in Aula. La questione dell’avviso di garanzia è anche secondaria ma dal punto di vista politico la responsabilità c’è tutta, lei non è vittima sono vittime persone che hanno lavorato in una società che ha preso fondi pubblici e i cui dipendenti non sono stati pagati“, ha detto Giuseppe Conte. “Oggi – ha aggiunto l’ex premier – la ministra in Parlamento si scherma dietro un ruolo assolutamente marginale sul piano formale nella società Ki Group. Però abbiamo sentito i dipendenti, ce n’erano anche altri, che hanno dichiarato che invece lei aveva ruoli operativi, partecipava periodicamente a riunioni, dava indicazioni e istruzioni e a loro appariva come la referente, la titolare della società. Quindi Santanchè avrebbe mentito in Parlamento, stando a quello che hanno riferito i dipendenti. E questo sarebbe molto grave. E sarebbe un ulteriore motivo che giustifica la richiesta di dimissioni”.
La nota della ministra
Sulla questione la ministra ha controreplicato. Il suo ufficio stampa, infatti, ha diffuso una nota in cui si legge: “In merito alla presenza in Aula e in conferenza stampa di alcuni dipendenti della società Ki Group – di cui il Ministro Santanchè detiene solo il 5% delle azioni e non ha avuto negli ultimi anni la gestione diretta né alcun incarico – si evidenzia che per quanto sia a conoscenza del Ministro del Turismo, la loro situazione verrà a breve definita e la società stessa provvederà alla liquidazione secondo i termini stabiliti nel concordato”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DI UNA GUIDA: “C’È CHI DAVANTI AI FORI ESCLAMA ‘MA SONO TUTTI ROTTI, PERCHÉ NON LI AGGIUSTANO?’. CHI È CONVINTO CHE IL FIUME DI ROMA SIA IL TIGRI. NELLA CAPPELLA SISTINA UN TURISTA MI CHIESE SE È LÌ DENTRO CHE DURANTE I CONCLAVI VENGONO BRUCIATI I PAPI ”
L’esempio più lontano nel tempo lo racconta Stendhal, nelle sue “Passeggiate romane”. Nel primo Ottocento, un inglese a cavallo fa il suo ingresso nel Colosseo, vede degli operai che restaurano un muro e dice: «Mi piace questo edificio, sarà magnifico quando sarà finito». Sono passati due secoli, Roma non si gira più a cavallo, semmai in monopattino, ma i commenti di chi visita per la prima volta la città più bella del mondo non sono cambiati. «Fanno domande incredibili» testimonia Roberta Bernabei, esperta di storia dell’arte che da anni lavora come guida turistica e tutti i giorni accompagna i turisti per Roma.
«I peggiori sono gli americani, e gli australiani. C’è chi davanti ai Fori esclama “ma sono tutti rotti, perché non li aggiustano?”. C’è chi è convinto che il fiume di Roma sia il Tigri. Nella Cappella Sistina un turista mi chiese se è lì dentro che durante i conclavi vengono bruciati i papi». Gli stranieri che arrivano qui hanno una visione approssimativa, distorta, anacronistica di Roma e dell’Italia in generale.
«Più di una volta – continua la Bernabei – mi è capitato che volessero sapere dove teniamo gli etruschi, o gli antichi romani, in quale riserva: nella loro testa se li immaginano come gli indiani d’America, relegati in qualche area isolata del Paese. E non parlo solo di gente ignorante».
La guida ricorda quando accompagnò ai Musei vaticani una signora che si era presentata come artista e studiosa di storia dell’arte. «La portai a vedere le Stanze di Raffaello, e lei mi chiese: Raffaello chi? Più di recente, davanti alla Basilica di San Pietro, mentre indicavo le statue dei santi sul colonnato del Bernini, un cliente voleva che gli mostrassi la sezione con i santi recenti, quelli fatti da poco».
(da il Messaggero)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
L’ELOGIO DELLA FAMIGLIA TRADIZIONALE E LO SLOGAN MENO IMMIGRATI, PIÙ FIGLI…. MA IL VANTAGGIO DEI LABURISTI NEI SONDAGGI APPARE INCOLMABILE
È una donna, è cristiana, è una madre: ma è Miriam. L’astro nascente della politica britannica sembra la clone di Giorgia (Meloni) e molti nelle file dei conservatori già vedono in lei il futuro del partito. A 40 anni Miriam Cates, evangelica con tre figli, laureata a Cambridge, deputata dal 2019, ha la strada spianata per diventare la leader della nuova destra che nascerà dalle ceneri di 13 anni di governo Tory.
Il vantaggio dei laburisti nei sondaggi appare incolmabile e i conservatori sembrano ormai rassegnati a una catastrofica sconfitta alle elezioni dell’anno prossimo.
Ma se questa prospettiva da un lato ha fatto scattare un fuggi fuggi, con deputati e ministri che non si ricandidano e passano ad altre e più lucrose carriere che non la politica, dall’altro lato ha scatenato una furiosa competizione per il cuore e l’anima del partito, che a questo punto ha bisogno di una vera rifondazione, dopo aver sperimentato il liberalismo sociale di David Cameron, l’interventismo di Boris Johnson, l’ultraliberismo kamikaze di Liz Truss e l’insipido managerialismo di Sunak.
Ad avere il vento in poppa in questo momento sono i «nazional-conservatori», la fazione che si rifà esplicitamente alle destre europee, da Meloni a Viktor Orbán, e la cui star indiscussa è Miriam Cates.
Lunedì il gruppo parlamentare a loro ispirato — battezzato «Nuovi conservatori» — ha pubblicato un manifesto sull’immigrazione in cui suggerisce un taglio del 60% degli arrivi (legali) in Gran Bretagna, che l’anno scorso hanno toccato il milione e 200 mila: come ha sostenuto Miriam, l’attuale livello di immigrazione mette a rischio «la sicurezza economica e culturale» del Paese.
E l’accento va sul «culturale»: perché quella di Cates è una crociata sui valori. Il suo era stato l’intervento più applaudito alla conferenza di metà maggio, a Londra, che ha tenuto a battesimo i nazional-conservatori: lì Miriam ha tessuto l’elogio della famiglia tradizionale, del matrimonio a vita, dell’importanza per le donne di stare a casa e fare figli, ha lamentato che troppe persone vanno all’università a scapito di famiglia e lavori tecnico manuali, che finiscono appannaggio degli immigrati.
E quella che Miriam Cates sta guidando è una vera mutazione genetica dei conservatori, la più antica formazione politica d’Occidente e «partito naturale di governo» grazie al suo pragmatismo e alla sua flessibilità ideologica: che con lei potrebbe invece diventare un movimento nazional-populista più a suo agio con le risorgenti destre europee (e con i repubblicani di Trump-DeSantis) che non con l’eredità di Churchill e Thatcher. Ma l’esempio di Giorgia mostra che è una strada percorribile: una madre cristiana anche a Londra?
(da il Corriere della Sera)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
SU TELEGRAM CIRCOLANO MEME RAZZISTI, CON I MANIFESTANTI PARAGONATI A SCIMMIE E TAGLIE SULLA TESTA DEL RAGAZZO UCCISO DA UN POLIZIOTTO… IL CANALE “HITLERISME & JOVIALITÉ”
Un cartello con la scritta Wanted , ricercato, e sotto il volto sorridente di Nahel. La taglia è di un milione di euro e chi lo pubblica scrive «Missione compiuta». Circolava ieri nei canali Telegram di ultradestra, alludendo al raggiungimento della raccolta fondi per il poliziotto che ha sparato al 17enne di oltre un milione di euro. Cifra impressionante che a molti francesi suona come una pericolosa anteprima dei sondaggi che verranno.
In questi giorni in Francia c’è molta Marine Le Pen nell’aria, ci sono le ronde nazifasciste che si sono viste in varie città negli ultimi giorni di scontri e ci sono i miliziani anti-casseur apparsi a Lorient, in Bretagna, al fianco della polizia che spiegano: «Non vi possiamo dire chi siamo ma siamo dal lato dei buoni».
Ma soprattutto, nell’ombra dei canali Telegram, ci sono decine di utenti dai soprannomi inequivocabili — El nationaliste , Gallicum lupus , Rat noir , Soldat de France — che si organizzano per combattere quella che definiscono racaille , feccia.
Questa feccia per loro è composta da stranieri, immigrati, in particolare maghrebini, governo, gauchos (borghesi di sinistra), ebrei, comunità Lgbt+. Le sfumature di nero della Francia si muovono su più livelli e su più fronti, in Aula, in strada e online, e per avere un’idea della loro grammatica basta entrare in alcuni di questi canali Telegram […].
Fr Deter Discussion è nato sulle ceneri di Fr Deter, francesi determinati, un canale che era riuscito a riunire oltre 7mila iscritti prima di venire chiuso lo scorso aprile su impulso del ministero dell’Interno.
Allora fonti della polizia ne parlarono come di una delle anime di una nebulosa di gruppi estremisti sorvegliati già dal 2022, dei quali alcuni già noti ai servizi segreti. Gruppi creati per favorire «lo scambio di idee sull’identità e per consentire ai sostenitori di queste ideologie di incontrarsi nelle varie regioni».
E questo è lo spirito che si percepisce anche nella sua nuova versione: ovvero una rete operativa per l’intervento e la formazione di nuove leve dove mappare e comunicare con i gruppi nazionalisti. Qui si segnalano persone di interesse si condividono gli orari e i luoghi di manifestazioni di sinistra dove andare ad agire o a prendere nomi e indirizzi dei partecipanti utilizzando anche le segnalazioni del servizio Balance ton gauchiste (denuncia il tuo sinistroide).
Ci sono poi altri gruppi più o meno estremi — da Ffi a Canal Nation — basati sullo scambio di meme xenofobi, come quello su Nahel ricercato. Appare su Hitlerisme & Jovialité , dove c’è anche chi chiede dove comprare un copricollo con il teschio Totenkopf (caro all’immaginario nazista) e riceve subito il link per l’acquisto su Amazon (due costano 6 euro)
Non mancano le barzellette razziste. Un utente scrive: «C’è un tedesco che gioca al gratta e vinci da un milione ma guadagna 100 euro. Subito dopo una tempesta su Berlino fa 100 morti. Poi c’è italiano che gioca e vince 3mila euro, subito dopo a Roma un terremoto fa 3mila morti. Infine c’è un arabo che entra in un tabaccaio e tutti gridano «un milione, un milione».
(da la Repubblica)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO IL 15% NELLE LISTE DEI CANDIDATI E’ SOTTO I 40 ANNI
Disinteresse, indifferenza, scarsa voglia di impegnarsi: sono queste le parole che vengono in mente quando si parla per luoghi comuni del rapporto tra giovani e politica. Spesso è più comodo scaricare le responsabilità su di noi, su una generazione sempre attaccata al proprio smartphone, piuttosto che su una classe politica, guardando ai parlamentari nostrani dell’attuale legislatura, che si attesta su un’età media di 51,2 anni.
Per farci un’idea basti pensare che tra i banchi di Montecitorio sono presenti solamente quattro under 30 mentre gli under 40 sono appena 65 su 400: il 16,2%.
Numeri che sicuramente non riflettono i tanti ragazzi e ragazze che, a discapito del pensare comune, cercano di fare politica non solo attraverso il loro attivismo sui social ma anche attraverso quello nei territori fatto di volantinaggio e, per i più fortunati, anche di fumose riunioni di partito dove si parla di tutto e di niente allo stesso tempo.
Se i giovani sono buoni per attaccare manifesti forse però non sono degni di esseri candidati a causa della loro scarsa esperienza che, paradossalmente, fin quando non li si candiderà non potranno mai accumulare: nelle elezioni nazionali dello scorso 25 settembre, secondo i dati di Openpolis, sui quasi cinquemila candidati e candidate solo il 15% aveva meno di 40 anni e addirittura meno del 3% era un under 30.
Buoni per riempiere scuole politiche e giovanili, la nostra classe politica si accontenterebbe di trasformare i giovani, che vorrebbero più incarichi di responsabilità all’interno dei propri partiti, in ragazzi immagine da sbandierare un selfie dopo l’altro sui social. Il trattamento non migliora per ragazzi e ragazze distanti dalla politica trasformati solamente in un target da raggiungere, anche a prezzo di fare gli imbecilli su TikTok, con l’illusione che basti questo per stappare loro un voto senza curarsi affatto di proporre politiche pensate per loro.
E l’esempio lampante a conferma di questo è arrivato qualche settimana fa, quando il Governo ha posto la questione di fiducia sul decreto Pubblica Amministrazione dove, come riportato dal Segretariato Italiano Giovani Medici, è stato inserito un comma che prevede la possibilità per tutti i dirigenti pubblici di mantenere, nonostante siano giunti all’età pensionabile, il proprio incarico sino al 31 dicembre 2026. Dimostrazione di un ricambio generazionale che, letteralmente, va a farsi benedire
Nonostante la scarsa considerazione della politica nei confronti dei giovani c’è però qualche esempio di buona pratica, ed è il caso dell’associazione 20e30: nata da un hashtag sui social durante la campagna elettorale del 2022, è riuscita a raccogliere oltre cinquemila istanze programmatiche provenienti direttamente dai diretti interessati. Attività che è continuata dopo le elezioni con l’obiettivo di dimostrare come ai giovani tutt’ora interessa la politica di cui però non apprezzano i modi.
Questo, in sintesi, è anche il messaggio del loro primo report Le Richieste dei giovani alla politica: stato dell’arte dopo i primi sei mesi di Legislatura, che sarà presentato il 7 luglio alla Camera dei Deputati e all’interno del quale si sottolinea l’esistenza di forme alternative di partecipazione alla vita politica incentrate non sull’ossessiva ricerca di consenso ma sulla pianificazione di strategie per garantire un futuro sostenibile alle nuove generazioni. Chissà se, almeno questa volta, la politica si fermerà ad ascoltare o preferirà fare orecchie da mercante in modo da continuare ad addossare colpe senza prendersi nessun tipo di responsabilità.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
QUATTRO DIMISSIONI, ANCHE AMATO: “NON CI SONO PIU’ LE CONDIZIONI PER PARTECIPARE”
A neanche tre mesi dall’inizio dei lavori, il Comitato che deve definire gli standard minimi di servizio pubblico indispensabili per garantire i “diritti civili e sociali” in vista dell’Autonomia differenziata va già in frantumi. Lo strappo interno ai “saggi” – sull’argomento più delicato della riforma bandiera della Lega – è a opera degli ex presidenti della Corte Costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, insieme all’ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e all’ex ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini.
I quattro “big”, scelti insieme ad altri 57 direttamente dal ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, hanno deciso di fare un passo indietro con una lettera indirizzata al presidente del Comitato, Sabino Cassese, e allo stesso ministro leghista. Nella missiva, anticipata da Il Sole 24 Ore, scrivono che “non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione ai lavori del Comitato”.
Tradotto: la ragione principale della loro decisione è legata ai dubbi sollevati sui costi dei Livelli essenziali di prestazione, cioè gli standard minimi di servizio pubblico indispensabili per garantire in tutto il territorio nazionale i “diritti civili e sociali” tutelati dalla Costituzione.
I quattro spiegano al ministro che “restano irrisolti alcuni problemi di fondo”, sottolineando “la evidente contraddizione” tra le norme scritte in legge di Bilancio per arrivare a definire i Lep: da un lato si parla di “pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni”, fissando la determinazione delle soglie minime come primo step, ma nei commi successivi – notano – non si indica la necessità di costruire l’intero complesso dei Lep prima di iniziare a trasferire le funzioni alle Regioni. Il rischio implicito, sottolineano, è che gli ultimi servizi che passeranno di competenza dallo Stato alle Regioni non avranno fondi a disposizione perché già impegnati nelle precedenti funzioni. Amato, Bassanini, Gallo e Pajno sostengono nella lettera di aver inviato a Calderoli dei possibili correttivi, ottenendo un “niet” sia dallo stesso ministro che da Cassese, al quale sono seguite le dimissioni.
Il Comitato perde dunque pezzi anche se i quattro dimissionari spiegano che il passo indietro non è un atto ostile all’idea di autonomia differenziata, “perché – scrivono – restiamo pienamente consapevoli dell’importanza che avrebbe per il Paese una completa e corretta attuazione” delle previsioni costituzionali.
Nessuna replica, per il momento, arriva da parte del ministro Calderoli, da sempre strenuo sostenitore dell’autonomia e ora al centro delle polemiche alimentate dai partiti di opposizione.
Secondo l’ex ministro per gli Affari Regionali, e presidente dei senatori Pd, Francesco Boccia, le dimissioni rappresentano la “pietra tombale” sul disegno di legge Calderoli.
“Il buon senso imporrebbe a governo e maggioranza di fermarsi e approfondire”, gli fa eco il collega di partito Andrea Martella. Parla di uno “schiaffo all’autonomia differenziata” la presidente di Azione, Mara Carfagna, aggiungendo che le dimissioni sono “il colpo del ko a una riforma iniqua e sbagliata”.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni “metta davvero l’interesse della nazione davanti ai suoi sogni di gloria legati al premierato, e fermi questo sconsiderato progetto finché è in tempo”, è l’appello da parte della capogruppo M5S in commissione Affari costituzionali, Alessandra Maiorino.
A chiedere “ulteriori approfondimenti da parte della Commissione Affari Costituzionali del Senato” è anche l’Alleanza Verdi-Sinistra. Anche l’Anpi, da sempre tra le associazioni più critiche nei confronti del disegno di legge, chiede al governo di ritirare il provvedimento, mentre il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, è tornato a ribadire che l’autonomia differenziata “spacca il Paese e penalizza il Sud”.
(da Il fatto Quotidiano)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
“LE FERIE COSTANO 800 EURO IN PIU’ A SETTIMANA”
Per gli italiani in vacanza sarà un’estate bollente. Più per i prezzi che per il meteo. Ai rialzi record dello scorso anno fanno seguito quelli di oggi. Sia che si tratti di alberghi che di ristoranti, bar, spiagge, traghetti, aerei o treni. Aumenti che coinvolgono anche Torino, dove il biglietto integrato per i trasporti pubblici sale a 2 euro.
Volare costerà in media un 45% in più, una vacanza al mare un bel 17%, in crociera il rincaro è del 21%, mentre salgono del 23,3% i pacchetti vacanza. Va meglio in montagna, dove i listini salgono comunque del 9%. «Colpa dell’inflazione e del caro energia», mettono le mani avanti gli operatori del settore turistico, ma anche il governo sta pensando se agire per non costringere gli italiani a ridurre i giorni di vacanza non potendo tagliare i prezzi. In crescita ben oltre il carovita che ha invece iniziato già da mesi a frenare. Federconsumatori ha calcolato che per una famiglia di 4 persone una settimana al mare o in montagna costerà in media 800 euro in più rispetto al 2022.
Gli aumenti non sembrano però spaventare gli italiani visto che sono 74,4 milioni le presenze attese per luglio nelle strutture recettive della Penisola, 4,9 milioni in più dello scorso anno. Anche se a trainare la crescita sono i turisti stranieri. Quelli con redditi più alti dei nostri e che al caro vacanze non sembrano far caso.
Gli alberghi
Aumenti medi del 18% in Italia, Firenze e Milano da record
I prezzi di alberghi e hotel quest’estate diventano roventi, con aumenti medi del 18% rispetto allo scorso anno, con un più 15,2% fatto segnare tutto nel mese scorso, a stagione di vacanze ancora agli esordi. A stilare la classifica delle città più care in quanto a strutture recettive è Assoutenti che ha elaborato i dati Istat. Al primo posto con un rialzo del 43,2% c’è Firenze, al secondo Milano con il 38%. A sorpresa al terzo posto Campobasso (+28,9%). Seguono Venezia (+25,7%), Palermo (+25,3%) e Ferrara (+24,6%). Tra le località balneari, i rincari maggiori si registrano in Sardegna con il +20,3% della zona Olbia-Tempio, ma anche in Puglia e in Emilia Romagna si registrano aumenti dal +15% al +17%. Più contenuti in media i rialzi nei villaggi vacanza e in campeggio, che costano l’11,1% in più rispetto allo scorso anno, mentre si impennano i prezzi degli affitti brevi, in crescita record del 25-30%, secondo le rilevazioni di Federconsumatori. Ma l’estate è appena cominciata e i listini di alberghi e hotel sembrano destinati a salire ancora: «Temiamo che questo sia solo un assaggio», afferma il presidente di Assoutenti Furio Treuzzi. Che prevede vacanze brevi per compensare gli aumenti.
I trasporti
Su i prezzi di noleggi, treni e traghetti: ora spostarsi costa sempre di più
Muoversi per raggiungere le località di vacanza sarà un salasso, nonostante gli aumenti già stratosferici dell’estate scorsa. Se non bisogna raggiungere mete troppo lontane, il mezzo più economico risulta alla fine essere la propria auto, visto che fare il pieno quest’estate costerà il 9% in meno rispetto a quella del 2022. Attenzione però al caro noleggio. “Web pricing monitor” ha passato sotto la lente d’ingrandimento ben 65mila offerte di autonoleggio ed ha rilevato un aumento medio dei costi del 6,4%. Pioggia che cade sul bagnato, visto che lo scorso anno a giugno l’impennata era stata del 67%.
Il costo del treno è in crescita del 6% secondo le ultime rilevazioni dell’Istat, mentre in media scendono del 50% i prezzi dei traghetti, che restano però proibitivi per le mete di vacanza più gettonate. Per una famiglia con due bambini e auto al seguito si raggiungono i 1.462 euro per la tratta Genova-Palermo, 1.331 euro per il collegamento Civitavecchia-Olbia e 1.030 euro da Livorno sempre ad Olbia. Servono 1.251 euro da Genova a Porto Torres, 715 euro da Napoli a Stromboli. Non va meglio l’aereo, visto che le tariffe dei voli nazionali sono salite in un anno del 40%, quelle per l’estero del 45%.
La villeggiatura
Mare più salato del 17 per cento, in spiaggia 100 euro non bastan
Mare più salato del solito quest’anno, con aumenti medi del 17%. Ma spiaggia che vai listini che trovi. I conti per una famiglia con due bambini per un soggiorno di una settimana in agosto li ha fatti Assoutenti. In Emilia-Romagna si parte dai 1.218 euro di Milano Marittima e si arriva ai 19.656 euro di Riccione. In Toscana a Viareggio si spendono qualcosa come 15.572 euro. Tariffe altissime sulla costiera amalfitana: si spendono dai 4.000 agli 11.920 euro a Positano e fino a 8.358 euro a Sorrento.
I rincari più consistenti sono quelli per lettini, ombrelloni e sdraio, che salgono del 10-15% come media nazionale, ma con picchi del 25%, come rilevato da Federconsumatori. Si parte dai 20-25 euro per una postazione composta da ombrellone e due lettini in una località del litorale romano per salire ai 40 di media a Riccione e Viareggio, 60 euro in Sardegna. Per non parlare di Gallipoli dove la media è di 80 euro al giorno o dei mille euro per un gazebo in una spiaggia top.
In media per una giornata al mare, considerando anche parcheggio, panini, bibite e caffè, tutti rincarati del 5-10%, una famiglia media arriva a spendere tra i 100 e i 110 euro. Prezzi meno bollenti in montagna dove gli aumenti sono “solo” del 9%.
La ristorazione
Due miliardi in più per la cena fuori, su anche le tariffe del food delivery
Mangiare fuori quando si è in vacanza quest’estate costerà ancora più caro di quella giù record dello scorso anno. Gli aumenti li ha rilevati il Codacons che all’inizio della bella stagione è andato a confrontare menù e prezzi vari a distanza di un anno. Ne è uscito fuori che nell’insieme i listini del comparto ristorazione salgono mediamente del 6,8% su base annua.
I menù dei ristoranti son rincarati del 6,1%, anche se il salasso maggiore si ha in pizzeria, dove gli aumenti sono in media del 7,6%. Una consumazione al bar costa mediamente un 4,8% in più.
I numeri non cambiano di molto per gelaterie e pasticcerie che hanno ritoccato all’insù i prezzi del 5,9%, mentre i fast food si sono lasciati prendere un po’ più la mano con ritocchi verso l’alto del 6,6%. Inutile dire che si tratta di medie del pollo perché anche i prezzi di bar e ristoranti seguono il vento della domanda. Quello che accade appunto nelle località più gettonate per le vacanze, dove gli aumenti sono spesso a doppia cifra percentuale.
E nemmeno a dire di voler risparmiare ordinando la cena a casa, perché i prezzi del “food delivery” sono saliti di un ancor più robusto 13%. Così, fatti i conti, gli italiani spenderanno quest’anno quasi due miliardi di euro in più per mangiare fuori.
(da La Stampa)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
5 MILIONI DI ITALIANI RIMARRANNO ESCLUSI DAL VOTO
Una legge utile a poter affermare di aver fatto qualcosa, ma che di fatto continuerà a negare il diritto di voto a quasi cinque milioni di italiani durante l’appuntamento elettorale più atteso, quello delle elezioni politiche.
Ieri 4 luglio, infatti, la Camera dei Deputati ha approvato la legge delega “in materia di esercizio del diritto di voto per i fuori sede”. In caso di conferma da parte del Senato, il governo avrà a disposizione 18 mesi per formulare uno o più decreti legislativi. Ma la maggioranza ha bocciato la proposta di estendere il voto ai fuorisede anche alle elezioni politiche, una decisione la cui logica andrà spiegata.
Con la nuova legge, quindi, un siciliano che studia o lavora a Milano (o viceversa), potrà votare nella città nella quale vive per le elezioni europee o per i referendum, ma continuerà a dover fare oltre mille chilometri per tornare nella città di residenza se vorrà votare per la composizione del Parlamento italiano. Quella dei fuorisede è una condizione che interessa circa 4,9 milioni di elettori, oltre il 10% del corpo elettorale complessivo.
Il muro eretto dalla maggioranza a Montecitorio ha fatto discutere sia per l’incoerenza nei confronti di promesse più o meno recenti sia per l’urgenza del tema, che così “disciplinato” non rispetta le disposizioni della Costituzione, in particolare gli articoli 48 e 3.
Quest’ultimo cita uno dei cardini dell’ordinamento italiano: il concetto di uguaglianza sostanziale, non rispettata al momento del voto. Sono infatti 4,9 milioni gli italiani fuori sede che per esercitare un proprio diritto devono affrontare una spesa in più (parzialmente rimborsata) rispetto ai connazionali che studiano o lavorano nei pressi del comune di residenza. A ciò si aggiunge l’incongruenza con il trattamento riservato agli italiani all’estero, come evidenziato in Aula da Filippo Zaratti di Sinistra Italiana: «Non si capisce perché il voto per corrispondenza sia possibile per chi vive a Buenos Aires e a Montevideo ma non per chi vive a Milano».
La questione del voto dei fuori sede rappresenta uno degli elefanti nella stanza della Repubblica italiana, sin dalla sua nascita nel 1946. In vista delle elezioni dello scorso settembre ne ricordavamo l’importanza e l’urgenza, dal momento che gli elettori fuori sede in Italia sono 4,9 milioni, circa tre volte la popolazione di Malta e Cipro messi insieme, gli unici due Paesi europei che – oltre a Roma – non consentono il voto al di fuori del comune di residenza.
La legge approvata ieri dalla Camera, che delega il governo a creare delle norme sulla materia (i cosiddetti decreti legislativi), non dovrebbe essere stravolta in Senato, il quale si esprimerà nei prossimi giorni. Così, entro 18 mesi l’Italia dovrebbe avere la propria legge sui fuori sede, tutelandoli a metà. Vista la mancata copertura alle elezioni politiche, la prima applicazione della norma dovrebbe avvenire nel 2029, in occasioni del rinnovo del Parlamento europeo.
(da lindipendente.online)
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Luglio 5th, 2023 Riccardo Fucile
PARLA VERA POLITKOVSKAJA, LA FIGLIA DELLA REPORTER UCCISA NEL 2006
“Rivedo la storia di mia madre chi critica il potere di Kadyrov viene messo a tacere”. Così Vera Politkovskaja, figlia della reporter russa uccisa nel 2006 Anna Politkovskaja, scrive sulle pagine di Repubblica per commentare la vicenda della cronista della Novaya Gazeta, Elena Milashina, e dell’avvocato Aleksandr Nemov, aggrediti ieri in Cecenia da un gruppo di uomini col volto coperto e ora tornati a Mosca dove sono stati ricoverati in ospedale.
La reporter, considerata l’erede di Anna Politkovskaya, è stata brutalmente picchiata nella mattina di ieri al suo arrivo a Grozny. Gli aggressori, secondo l’avvocato Nemov, hanno minacciato di sparargli, puntando loro una pistola alla tempia. Milashina – a cui come forma di umiliazione sono stati rasati i capelli ed è stata cosparsa di antisettico verde – ha riportato diverse dita rotte, ed è svenuta ripetutamente. I due erano volati a Grozny per assistere al verdetto della madre di due attivisti ceceni perseguitati dal regime di Ramzan Kadyrov: Zarema Musayeva è stata rapita dalle forze di sicurezza cecene a Nizhny Novgorod nel gennaio 2022, come ostaggio in cambio dei figli. In Cecenia, però, è stato istruito un processo a suo carico per aggressione contro un agente di polizia locale. Musaeva è stata condannata ieri a cinque anni e mezzo di carcere.
A proposito del processo, Vera Politkovskaja scrive:
“Va da sé che è stato montato a scopi politici: non troppo tempo fa lo stesso Kadyrov aveva definito terroristi sia la donna che i restanti membri della sua famiglia. ‘Il futuro di quella famigliola sarà finire in carcere o sotto terra’, aveva sentenziato Kadyrov, parlando dei parenti dell’incriminata.
«Finché sarà vivo anche solo un ceceno, la sua famiglia non potrà godersi la vita in pace, da quanto è infangato l’onore di ogni singolo membro del nostro popolo». Lo stesso trattamento lo aveva riservato a Milashina, arrivando a definirla ‘subumana’. Elena si occupa di Cecenia ormai da molto tempo e, di fatto, è l’unica giornalista in Russia che, in seguito alla morte di mia madre Anna Politkovskaja, aveva deciso di lavorare in quella zona, malgrado gli enormi rischi”.
La figlia della giornalista uccisa parla di “ennesimo caso di rappresaglia nei confronti di chi si permette di criticare l’autorità di Kadyrov fosse diventato l’oggetto del suo lavoro di giornalista. Va anche ricordato che in Cecenia, al fine di esercitare pressione sugli oppositori, è pratica comune rifarsi sui loro parenti. Soprattutto muovendo accuse penali totalmente inventate”. Poi afferma che l’episodio che ha coinvolto Elena Milashina e Aleksandr Nemov “ha inaspettatamente causato una reazione deflagrante sui media russi”.
“Alcuni deputati della Duma, funzionari e altri colletti bianchi hanno cominciato a inondare la rete di commenti sull’accaduto usando toni estremamente accusatori. Il portavoce del presidente russo Dmitrij Peskov è intervenuto immediatamente per comunicare che Putin era stato subito informato dei fatti. Quando hanno chiesto al Cremlino di commentare l’episodio, Peskov ha affermato che si tratta di ‘una gravissima aggressione, a cui occorre rispondere con provvedimenti decisi e su cui bisogna indagare’.
Nel frattempo l’ombudsman ceceno Mansur Soltaev, invece, ha preferito parlare di ‘atti diversivi e provocatori ai danni della Repubblica cecena’. Non è una novità. I colpevoli sono, come sempre, i nemici della Cecenia. E, di conseguenza, i nemici di tutta la Russia”.
Kadyrov, spiega la giornalista per ora ha preferito tacere e non rilasciare dichiarazioni mentre il capo del Comitato investigativo della Russia, Aleksandr Bastrykin, ha dato incarico al suo omologo ceceno di appurare i fatti di Grozny e di stilare un rapporto, ma non di promuovere una causa penale.
Vera Politkovskaja specifica: “Bisogna comunque ricordare che la Cecenia oggi è uno Stato nello Stato, che continua a osservare costumi medievali e in cui le leggi della Russia, di cui la Cecenia fa parte, semplicemente non vengono applicate. Può essere considerato normale il fatto che una delle regioni di un Paese enorme possa vivere secondo leggi e regole proprie? Così stanno le cose ormai da tanti anni. Inoltre la Cecenia e il suo capo, Ramzan Kadyrov, ricevono regolari e cospicui finanziamenti provenienti dal bilancio federale. Ma nessuno che si lamenti. Mentre l’esercito regolare russo distrugge l’Ucraina e bombarda la sua popolazione, i rappresentanti dell’’amichevole’ popolo ceceno picchiano le donne per strada, umiliandole. Perché è di questo che si tratta: il capo rasato è sinonimo di enorme umiliazione per la cultura cecena”.
Elena Milashina da anni scrive di Cecenia per la prestigiosa rivista Novaya Gazeta, la stessa per la quale scriveva Anna Politkovskaya, la giornalista assassinata nel 2006 che sulle pagine del periodico denunciava la deriva autoritaria del governo di Putin e gli abusi delle forze russe in Cecenia. Milashina denuncia i soprusi commessi dal regime di Ramzan Kadyrov, il luogotenente di Putin in questo angolo del Caucaso russo. Fu proprio lei qualche anno fa ad accusare la polizia cecena di arrestare in massa, detenere illegalmente, torturare e in alcuni casi persino uccidere persone che ritenevano omosessuali. Il Cremlino ha definito l’attacco di ieri “molto grave” e ha promesso “risposte energiche”. “Ho dato istruzioni ai servizi competenti di fare ogni sforzo per identificare gli aggressori”, ha detto Kadyrov, già accusato di gravissime violazioni dei diritti umani. Nel febbraio dell’anno scorso però Novaya Gazeta mandò Milashina all’estero per motivi di sicurezza dopo che proprio Kadyrov definì “terroristi” lei e un attivista aggiungendo una chiara minaccia: “Abbiamo sempre eliminato i terroristi e i loro complici”. La reporter inoltre tre anni fa fu picchiata nella hall di un albergo di Grozny da un gruppo di 15 persone tra uomini e donne. A rendere ancora più grave questo nuovo terribile attacco è una frase che, secondo l’ong per la difesa dei diritti umani Memorial, gli assalitori avrebbero urlato a Milashina e Nemov mentre li picchiavano brutalmente: “Siete stati avvisati. Uscite di qua e non scrivete niente”.
(da Huffingtonpost)
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