Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
LA SCRITTRICE CATERINA SOFFICI RACCONTA L’ODISSEA DI SUO FIGLIO ALLA RICERCA DI UN LAVORO: “UNA SOCIETÀ PROPONE LA STESSA POSIZIONE IN INGHILTERRA, OLANDA E IN ITALIA. MA ALL’ESTERO OFFRE UNA PAGA DI 24MILA STERLINE L’ANNO. IN ITALIA OFFRE UNA “INTERNSHIP” DI SEI MESI GRATIS”
Questa potrebbe essere una storia molto bella. Inizia con un ragazzo che studia ingegneria. È uno di quei nerd nati nel nuovo millennio, nativi digitali dunque, che cercano di capire come funziona il mondo attraverso i numeri. Per questo ragazzo ogni cosa può essere ricondotta a un algoritmo, così come ogni fenomeno naturale e usa la tecnologia di conseguenza
Quando era all’università ha passato le notti a contendersi le stampanti in 3D con agguerriti cinesi, per stampare modellini di non so quale turbina. Ha scelto un corso di studi difficile e complicato perché per lui è una passione. Ce ne sono tanti, come questo ragazzo. Sono la meglio gioventù dei nostri giorni.
Questo ragazzo dalle belle speranze ha rifiutato la richiesta di un professore che gli ha offerto di fare un Phd perché adesso vuole lavorare. È stufo di passare le sue giornate in laboratorio e a inseguire teorie, vuole mettersi alla prova e fa a domande di lavoro, nel campo che lo appassiona: le energie alternative.
Questo tipo di nerd sono molto richiesti ovunque, potrebbe lavorare con gli algoritmi nel campo della finanza, per esempio. E farebbe molti soldi. Potrebbe lavorare nelle consulenze. Anche lì servono nerd che sanno maneggiare i numeri e anche lì farebbe molti soldi.
E qui inizia la seconda parte della storia, che è triste e che fa anche molta rabbia. Perché questo ragazzo, che nella fattispecie è uno dei miei figli (la cosa è sicuramente secondaria, ma è il motivo per cui sono venuta a conoscenza della storia e per cui la racconto) dopo anni di vita in Inghilterra vorrebbe provare a tornare in Italia.
Non potremmo neppure definirlo un “cervello in fuga”, come di diceva qualche tempo fa, perché non è fuggito da nessuna parte.
Non è uno dei tanti laureati in Italia che poi sono costretti a scappare all’estero. Semplicemente lui è cresciuto in Inghilterra e ha studiato lì perché ce lo abbiamo portato noi quando aveva nove anni.
Poi, vuoi per via di Brexit, vuoi perché dopo tanti anni di tempo cupo e cieli piovosi e di freddo, vuoi perché è cresciuto comunque in una famiglia italiana, per lui l’Italia – con il sole, il cibo, lo stile di vita eccetera – lo affascina.
Per farla breve, tra le varie domande di lavoro che sta facendo, non ha escluso l’ipotesi Italia. E qui viene la cosa brutta per cui vale la pena raccontare questa storia che riguarda tanti e troppi ragazzi italiani (ma anche stranieri che hanno la stessa fascinazione per l’italia).
La stessa società propone la stessa posizione in Inghilterra, Olanda e in Italia. Ma all’estero per le stesse mansioni e con gli stessi requisiti, questa azienda offre un contratto di lavoro e una paga di circa 24mila sterline l’anno. In Italia offre invece una cosiddetta “internship” – leggi stage – di sei mesi gratis.
Perché? Perché uno schiaffo in faccia così? . In qualunque paese del mondo si chiama sfruttamento. E la scusa che per i primi mesi un giovane non è capace di fare niente e quindi è un costo per l’azienda non regge. Perché all’estero, per assicurarti il cervello del nerd di cui ho raccontato, lo pagano. Quindi credo che questo ragazzo che ha studiato all’estero, e che quindi non è costatato un euro allo stato italiano, sarà costretto a rimanere all’estero.
E tanti altri che invece hanno studiato in Italia, e sono costati decine di migliaia di euro allo stato italiano, saranno costretti ad andarsene in luoghi dove li pagano.
Caterina Soffici
(da “La Stampa”)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
ANCHE DIETRO A VOX GRUPPI DI POTERE, NOSTALGICI DEL MEDIOEVO E RAZZISTI
Con un video-messaggio al comizio di Vox, tenutosi giovedì sera a Valencia, Giorgia Meloni si è augurata un successo delle destre alle elezioni spagnole del 23 luglio al fine di accelerare la realizzazione dell’“Europa dei patrioti” in vista delle consultazioni per il Parlamento Ue a metà del prossimo anno.
L’“Europa dei patrioti” per Meloni è in via di costruzione grazie ai recenti risultati elettorali in Finlandia e Svezia che si sommano alle leadership conservatrici in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e, ovviamente, Italia. Tutti Paesi dove partiti popolari e conservatori si sono alleati per governare proprio come potrebbe avvenire a Madrid grazie ad un patto fra il partito popolare e Vox. Vediamo chi sono questi “patrioti” spagnoli con cui Meloni vuole costruire l’Europa dei nostri figli.
L’“Agenda Spagna” che presentano agli elettori è eloquente
Vox vuole “far riguadagnare sovranità agli Stati membri contro la burocrazia di una Commissione Europea che nessuno ha scelto”. La transizione ecologica dell’Unione Europea deve essere “sconfitta” “perché trasferisce risorse dalla classe lavoratrice alle élites con la scusa della difesa del clima”.
Le imposte vanno “abbattute” al fine di “smantellare il sistema delle autonomie regionali, ridurre i ministeri e tagliare i membri del Parlamento”. Va superata la “Legge sulla memoria democratica” che consente di perseguire e punire i crimini commessi durante la dittatura del generale Franco. La legge “contro le violenze di genere” va sostituita con una nuova di zecca “sulla difesa della famiglia” e tutti gli immigrati illegali “vanno espulsi” perché “è l’avanzata del globalismo che minaccia la protezione dell’identità culturale delle nostre nazioni”.
Ovvero, per i “patrioti” di Vox gli avversari sono le istituzioni europee, le autonomie regionali (a cominciare da Catalogna e Paesi Baschi), le tasse, la protezione del clima, i diritti di genere, i migranti, il ricordo dei crimini del franchismo e più in generale “il globalismo”
È la fotografia fedele di un’idea tribale di patria
Ciò che accomuna le posizioni ostili ad ogni accordo sui migranti di Varsavia, Budapest e Praga con il linguaggio politico di Meloni e Santiago Abascal è la volontà di spostare il focus della costruzione europea dall’attuale agenda basata sulla integrazione nell’orizzonte del federalismo ad una visione sul prepotente ritorno delle nostalgiche patrie di stampo ottocentesco.
Si tratta di un bivio che nasce dalla crisi dello Stato-nazione contemporaneo investito dall’impatto della globalizzazione. Incapace di governare il flusso dei migranti e in ritardo rispetto all’impatto delle diseguaglianze, lo Stato nazionale europeo può reagire cercando una soluzione a queste temibili sfide nell’accelerazione dell’integrazione europea oppure nel tribalismo di una politica in mano a gruppi sempre più auto-referenti, etnici, isolati.
Saranno i prossimi mesi a dirci se il partito popolare europeo cederà alla tentazione sovranista del patto con la tribù dei patrioti ma quanto sta avvenendo in Gran Bretagna è un evidente monito contro la facile seduzione di un ritorno al nazionalismo: il Paese che nel 2016 a sorpresa scelse la Brexit, cedendo alla campagna anti-migranti, oggi è alle prese con conseguenze sociali ed economiche negative
A Londra ieri come a Madrid oggi, i patrioti hanno facile gioco ad esaltare le paure collettive per offrire come rifugio il nazionalismo del passato ma il prezzo è il pericoloso indebolimento dell’Europa comune.
(da La Repubblica)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
L’ALLARME DI SANCHEZ: “UNA MINACCIA PER L’EUROPA”
La Spagna entra oggi nella settimana che la porterà domenica alle urne per il rinnovo del Parlamento, e tutti i segnali sembrano indicare che la leadership dei socialisti di Pedro Sánchez abbia i giorni contati.
Ad avere il vento in poppa, come confermano gli ultimi sondaggi pubblicati questa mattina prima del silenzio pre-elettorale, sono i Popolari guidati da Alberto Núñez Feijóo, all’opposizione dal 2018.
Che al loro fianco nella prossima avventura di governo potrebbero avere – se troveranno i numeri in Parlamento e l’alchimia politica – l’estrema destra di Vox, il partito nazionalista e nostalgico del Franchismo guidato dall’alleato di Giorgia Meloni Santiago Abascal. Una prospettiva che allarma parte dell’Europa, considerato anche che la Spagna ha appena preso le redini del Consiglio delll’Unione europea – l’organo rappresentativo dei 27 governi chiamato a guidare tutti i processi decisionali e legislativi.
E arrivando oggi a Bruxelles per il vertice tra Ue e Paesi dell’America latina, il premier uscente spagnolo non ha nascosto il pericolo di uno scenario del genere, anzi ha calcato la mano sull’importanza «europea» della sfida di Madrid: «Da una parte ci sono le politiche progressiste, dall’altra c’è la minaccia reale rappresentata da un governo di coalizione tra il Partito popolare e Vox, che segnerebbe un passo indietro per la Spagna e una seria battuta d’arresto per il progetto europeo», ha detto chiaro e tondo Sanchez. Che al contempo ha ostentato tuttavia ottimismo, come fa ormai da settimane a dispetto dei sondaggi, sull’esito finale delle urne: «Vinceremo le elezioni perché i cittadini sono sempre più coscienti delle opportunità che potremmo perdere se non consolidiamo i passi avanti che abbiamo fatto negli ultimi quattro anni».
Cosa dicono i sondaggi
L’ultima rilevazione realizzata dall’istituto 40dB e pubblicata questa mattina da El Paìs, prima del divieto di diffusione di sondaggi fino al giorno del voto, conferma i timori del centrosinistra e le speranze, ma anche i crucci in vista della formazione di un governo, della destra.
I Popolari di Alberto Núñez Feijóo sono accreditati del 32,9% delle preferenze, pari a 135 seggi nel futuro Parlamento. Nessun dubbio dunque, almeno secondo tutti i sondaggi pubblicati negli ultimi mesi, sul fatto che il Pp si appresti a tornare il primo partito del Paese.
La convocazione stessa delle urne anticipate da parte di Sánchez dopo la chiara sconfitta alle elezioni amministrative del 28 maggio, d’altra parte, nasceva proprio come scommessa del premier per provare a invertire il trend elettorale bruciando sul tempo la destra. Speranza vana, stando ai sondaggi. Il suo Psoe è accreditato del 28,7% dei voti, che gli varrebbero 110 seggi.
Per trasformare la vittoria elettorale in un nuovo assetto di governo i Popolari avranno bisogno però di trovare alleati in Parlamento, considerato che la soglia della maggioranza assoluta è fissata a quota 176 deputati.
I primi indiziati saranno quelli che porterà in Parlamento l’estrema destra di Vox, cui ancora pochi giorni fa la nostra premier ha fatto sentire tutta la sua vicinanza con un messaggio di auguri tutto imperniato sulla lotta all’immigrazione clandestina. Ma secondo gli ultimi numeri del Paìs, il partito di Abascal si fermerebbe a 38 seggi (nell’attuale Parlamento ne ha 52).
Vox è una formazione ultra nazionalista, anti immigrati, anti abortista ed euroscettica nato nel 2013 da una scissione del Pp. In Europa siede nei banchi del gruppo dei Conservatori e riformisti con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, con cui i rapporti sono molto stretti
Il partito è noto per le sue posizioni controverse come la minimizzazione del problema della “violenza di genere” a la negazione del cambiamento climatico. La formazione politica è anche contraria alla concessione di diritti alla comunità Lgbt+, in un Paese che in materia è tra i più progressisti del mondo.
Rebus di governo
Ammesso e non concesso che Feijóo voglia aprire a Vox la strada del governo nazionale, prospettiva su cui il leader del Pp ha sorvolato per tutta la campagna elettorale insistendo sull’ambizione maggioritaria del suo partito, al blocco di destra mancherebbero comunque almeno 3 voti per assicurarsi la maggioranza assoluta nel prossimo Parlamento.
Feijò potrebbe andare a cercarli tra le forze minori, ma non è detto che sia un compito facile: secondo il quotidiano spagnolo, al momento può realisticamente pensare di contare sull’appoggio o quanto meno sulla benevola astensione di due deputati. Ma i numeri, come evidente, sono appesi a un filo, e potrebbe bastare un distacco anche minimo dalle proiezioni dei sondaggi per rendere un governo a traino di destra una realtà ben più probabile, tra una settimana, o viceversa al limite dell’impossibile.
E in quel caso, in un Parlamento altrimenti bloccato, non è detto che non possa rispuntare dal cappello – magari con la discreta moral suasion dei vertici europei – la strada della grande coalizione Pp-Psoe. Appuntamento nelle urne nel fatidico «23-J», il bollente (in tutti i sensi) 23 luglio elettorale spagnolo.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
LA SUA STRATEGIA È TIRARE LA CORDA ED EVITARE DI FARE LE RIFORME RICHIESTE DA WASHINGTON. TANTO CI SON SEMPRE GLI EUROPEI A DARE UNA MANO PER FARE IL GIOCO SPORCO SUI MIGRANTI
Quante volte negli ultimi mesi Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno lanciato appelli affinché il Fmi sbloccasse il prestito di 1,9 miliardi di dollari alla Tunisia, necessario per evitare il default. Ma siamo proprio sicuri che lo sbarramento arrivi da Washington? Le cose, in realtà, non stanno esattamente così.
Da mesi a bloccare il prestito è Kais Saied, il presidente tunisino: rifiuta il programma di riforme che il suo Paese deve impegnarsi a realizzare per ottenere il prestito. Malgrado l’agitarsi dei dirigenti italiani, niente si è mosso dalla primavera scorsa.
Saied non cede. E punta sul fatto che le riserve in moneta straniera, frutto della stagione turistica (quest’estate migliore del previsto) e degli apporti della diaspora tunisina all’estero, senza considerare la recente riduzione delle tariffe energetiche internazionali, permettono alla Tunisia di resistere al default più a lungo di quanto si immaginasse: non sarebbe più una questione di mesi ma piuttosto un’opzione plausibile nel 2024.
Insomma, il Paese può “vivacchiare” ancora un po’ e tirare la corda, senza preoccuparsi di cominciare a risolvere i suoi problemi strutturali con misure a forte rischio sociale. Ma rischia di vedere aggravare in questi mesi le penurie di prodotti di base che già mancano nei negozi, come zucchero, farina e olio vegetale.
Nelle ultime ore si vedono perfino lunghe file davanti ad alcuni panifici: la carenza del pane, all’origine di tante rivolte, è storicamente pericolosa in Tunisia. Saied tira la corda, ma è un azzardo.
Per un prestito del Fondo monetario internazionale, in media il negoziato avviene in tre mesi. L’organizzazione sta discutendo con la Tunisia da due anni e tre mesi. Il Governo della premier Najla Bouden era comunque riuscito a mettere insieme un piano di riforme, sul quale Tunisi e il Fondo avevano raggiunto un accordo preliminare nell’ottobre 2022.
Il via libera definitivo era previsto entro la fine dell’anno scorso. Ma non è mai arrivato, a causa dell’intrusione nel dossier di Saied
In Tunisia esiste una Cassa di compensazione che finanzia i prezzi di prodotti come la benzina e altri generi di prima necessità. Queste sovvenzioni rappresentano il 20% del bilancio dello Stato e hanno costituito l’intero deficit pubblico (l’8% del Prodotto interno lordo) nel 2022.
Da sole quelle dei carburanti rappresentano il 5%, come dire più delle spese pubbliche per sanità e istruzione. Ma in realtà a beneficiarne è soprattutto il 10% più ricco della popolazione, che può rifornire le sue vetture di alta cilindrata con una benzina a prezzi stracciati.
Il programma di riforme presentato al Fmi prevede di ridurre progressivamente le sovvenzioni, compensando il taglio con aiuti diretti alle famiglie più bisognose. Saied, però, dice di no.
E fa anche ostruzione a un’altra riforma importante, la ristrutturazione delle 104 aziende pubbliche, carrozzoni più o meno in stato di fallimento. Una legge sulla governance di queste imprese è stata approvata dal governo, ma il Presidente non ci ha messo la sua firma e l’ha fatta arenare.
Intanto il tempo passa. «Le riserve di cambio – continua Saidane – potevano garantire, nell’ottobre del 2022, altri 126 giorni di importazioni. Oggi siamo a circa 100 giorni. La soglia in cui scatta l’allarme è quella dei novanta giorni ».
Il deterioramento di questo parametro è reale, ma più lento del previsto Secondo l’economista «quest’anno Saied farà di tutto per pagare gli interessi del debito estero e dovrebbe riuscirci: il default, in realtà, sarà un rischio reale solo nel 2024. Intanto, però, le società pubbliche che importano prodotti di base dall’estero, potrebbero avere più problemi per pagare le forniture. E le penurie dovrebbero aumentare». Quella intavolata tra Saied e il Fondo monetario internazionale sta diventando una pericolosa partita a poker.
(da la Repubblica)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
EMERGE CHE IN FRANCIA, GERMANIA E INGHILTERRA SONO I PIÙ INTERESSATI ALLA POLITICA INTERNAZIONALE, NEGLI USA ALLA POLITICA INTERNA. GLI ITALIANI PREFERISCONO CRONACA, INTRATTENIMENTO E CAZZATE VARIE
L’informazione non gode di buona reputazione. I politici si scagliano contro i giornalisti che li criticano, per loro sono tutti «faziosi», e cresce la diffidenza fra i lettori che si lamentano della qualità delle news. Secondo il Digital News Report 2023, studio del Reuters Institute dell’Università di Oxford condotto su un campione di 93 mila persone in 46 Paesi, solo il 34% degli italiani ha fiducia nelle notizie.
Ma quali sono le notizie preferite dai lettori? Per capirlo Dataroom ha monitorato per 55 giorni, suddivisi in quattro periodi, le principali testate online europee e statunitensi: Corriere della Sera, The Guardian, Le Monde, Der Spiegel, El País, The Wall Street Journal e The Washington Post. Abbiamo escluso The New York Times perché non pubblica classifiche sul gradimento dei suoi utenti.
Le notizie più lette a confronto
I 7 siti pubblicano ogni giorno una sezione dedicata agli articoli più letti e per il calcolo del «traffico» in tempo reale si affidano a strumenti interni di monitoraggio dei contenuti (la piattaforma «Ophan» per il Guardian) oppure a software esterni di analisi dati (Chartbeat, AT Internet, Adobe Analytics etc.).
Dal confronto emerge che i lettori di The Guardian (sito britannico con oltre metà degli utenti Oltremanica), Le Monde e Der Spiegel sono i più interessati alla politica internazionale. Negli Stati Uniti l’attenzione si concentra sui fatti economici e politici interni. Gli italiani e gli spagnoli hanno abitudini di lettura più variegate.
Il 14 maggio c’è il primo turno delle presidenziali in Turchia e Erdogan rischia di perdere il potere. L’esito, il giorno dopo, conquista la prima posizione su Guardian e Le Monde, la seconda sullo Spiegel, la quarta su El País, la 15esima sul Corriere, dove l’articolo più apprezzato è l’intervista esclusiva al campione di tennis Novak Djokovic.
Il 21 maggio i russi prendono Bakhmut: è la notizia più letta sul Guardian e Le Monde, seconda su El País e sul sito del settimanale Der Spiegel, decima sul Corriere, dove primeggia l’intervista allo storico portiere Ricky Albertosi. Il 23 maggio c’è il primo raid dei partigiani russi nella regione di Belgorod: prima posizione su Le Monde, seconda sul Guardian, terza su El País, sedicesima sul Corriere, dove in testa c’è la morte della giornalista Maria Giovanna Maglie.
Dove ci si allinea e le scelte degli abbonati
Ci si allinea su 5 eventi. Il 26 aprile il presidente Xi Jinping ha il primo colloquio telefonico con Zelensky: prima posizione su Guardian, quinta su Corriere e El País. Il 14 maggio, finale di Eurovision: prima posizione su Corriere, Le Monde, Spiegel e El País. Il 17 maggio l’alluvione in Romagna è il pezzo più letto su Corriere, Guardian e Spiegel. Il 12 giugno la morte di Berlusconi è prima notizia su Corriere e Spiegel, seconda su Le Monde, terza sul Guardian, quinta su El País. Il 24 giugno c’è il tentativo di colpo di Stato della Wagner: notizia più letta ovunque, anche sui 2 siti americani (Wall Street Journal e Washington Post).
In generale sui 55 giorni monitorati, la guerra d’Ucraina è la notizia più letta 36 volte su Le Monde, 35 sul Guardian, 21 sullo Spiegel, 8 sul Corriere, 7 su El País, 6 sul Wall Street Journal e 5 sul Washington Post.
Se però guardiamo cosa leggono gli abbonati di Corriere.it (per le altre testate i dati non sono disponibili), la presa di Bakhmut da decima diventa la quinta notizia più letta, l’intervista ad Albertosi da prima diventa 13esima, le conseguenze del tentato golpe a Mosca primeggiano per giorni e in generale le notizie sulla guerra restano sempre tra le più seguite. L’intervista a Djokovic si conferma tra gli articoli più letti anche tra gli abbonati
Una giornata qualunque
Cosa succede invece in un giorno senza grandi breaking news? Il 6 luglio l’attenzione degli utenti di Corriere.it è monopolizzata dall’apertura del testamento di Berlusconi; sul Guardian domina il presunto ritorno del boss della Wagner Prigozhin a San Pietroburgo; i lettori di Le Monde si concentrano sul bilancio di una settimana di sommosse a seguito dell’uccisione del giovane Nahel.
Sul Washington Post l’articolo più letto riguarda i record del riscaldamento climatico, sul Wall Street Journal un ritratto della prima giudice afroamericana della Corte Suprema, Ketanji Brown Jackson. I lettori dello Spiegel si appassionano alla storia del capodoglio trovato morto con in pancia un’ambra grigia del valore di 500 mila euro, mentre quelli di El País seguono i risvolti delle elezioni politiche che si terranno il prossimo 23 luglio.
Questione di fiducia
La fedeltà alla carta stampata sta precipitando ovunque, in Italia è al 16% (dieci anni fa era al 59%). Oggi il 70% degli italiani si informa su tv, siti e social media, che da soli valgono il 42% e sono la principale fonte d’accesso alle notizie online. I social talvolta diffondono notizie vere, ma mettono anche sullo stesso piano le verità e le peggiori menzogne e, al contrario degli editori, non rispondono di ciò che viene pubblicato sulle loro piattaforme.
Secondo il Reuters Institute la fiducia nel mondo dell’informazione resta alta nel Nord Europa (con la Finlandia al 69%, Danimarca e Olanda al 57%), dove quasi il 60% degli utenti si informa direttamente sulle testate di news online. Il grado di fiducia scende nei Paesi con una rinomata tradizione giornalistica come Gran Bretagna (33%) e Usa (32%), per precipitare al 19% in Grecia. L’Italia si piazza al 34%. C’è un dato interessante che riguarda invece l’affidabilità delle notizie: è del 78% quella dell’Agenzia Ansa, del 71% quella di SkyTG24, del 67% il Sole 24 Ore, 63% il Corriere e 59% la Repubblica.
Chi raccoglie più abbonamenti
Dai dati del Digital News Report 2023 il Nord Europa ha la percentuale più alta di utenti che si abbonano ai giornali online per avere un’informazione di qualità, la media è sul 35%; negli Usa siamo al 21%, in Francia 11%, Gran Bretagna al 9%, l’Italia è ferma al 12%, come 5 anni fa.
Nella classifica dei quotidiani con più abbonati online nel mondo a fine 2022 in testa c’è il New York Times: con 8,8 milioni di sottoscrizioni l’incasso supera addirittura quello che arriva dalla pubblicità. Seguono Wall Street Journal (3,2 milioni) e Washington Post (2,5 milioni). In Italia la leadership è del Corriere della Sera con 540 mila abbonati.
In generale il 22% sarebbe anche disponibile a sottoscrivere un abbonamento se trovasse «contenuti più inediti»; il 13% se non ci fosse pubblicità, il 32% se riuscisse a ottenere prezzi più bassi (cioè inferiori alle offerte che vanno dai 5 ai 9 euro al mese!). Il 42% invece vuole l’informazione gratis e dice che nulla potrebbe mai spingerlo ad abbonarsi.
Il potere dei lettori
E arriviamo al dunque: come campano i siti di news? Con gli abbonamenti e con la pubblicità. Notoriamente sui siti si trova di tutto, dalle notizie internazionali a quelle di politica interna, di costume, cronaca etc. Dai dati Audicom sui primi 5 mesi del 2023, confrontando i numeri sul traffico dei 4 principali siti web (Corriere, la Repubblica, il Fatto Quotidiano, il Messaggero), si scopre che, se si escludono le notizie di stretta attualità, i lettori italiani scelgono principalmente notizie a metà strada fra la cronaca e l’intrattenimento.
Sono queste le pagine più consultate, e che consentono la raccolta pubblicitaria che serve a tenere in vita i siti, considerata la bassa propensione a pagare per il prodotto. Di conseguenza è inevitabile che si punti sugli argomenti che incontrano le richieste del grande pubblico rispetto a contenuti che richiedono più tempo, più costi e più rischi, ma «rendono» meno.
È utile sapere due cose:
1) il futuro politico, economico, culturale, sociale di ogni Paese dipende dal modo in cui i suoi membri sono, o non sono, informati;
2) già oggi l’85% della pubblicità finisce nelle tasche dei proprietari delle grandi piattaforme (Alphabet/Google, Meta/Facebook, Apple e Microsoft) che velocemente si prenderanno anche il resto, e saranno i loro algoritmi ad orientare l’informazione globale. Non è scritto da nessuna parte però che questa fosca prospettiva non si possa scongiurare.
Milena Gabanelli e Francesco Tortora
(da il “Corriere della Sera”)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
L’EX MITICA COMANDANTE DELLA SEA WATCH 3 E’ DA SEMPRE IN PRIMA LINEA NELLE BATTAGLIE PER IL CLIMA
Dopo l’attivismo in difesa dei migranti, quello contro il cambiamento climatico. Nel mezzo, una lotta con il primo governo italiano della XVIII legislatura, specialmente con Matteo Salvini. Lotta che è finita anche nei tribunali, risolvendosi con due archiviazioni per l’ex comandante della Sea Watch 3 e la negazione dell’autorizzazione a procedere del Senato contro il segretario della Lega, accusato di diffamazione.
Carola Rackete è diventata un volto noto in Italia dopo aver attraccato con la sua nave, nel 2019, a Lampedusa. Oggi, 17 luglio, dalla Germania – suo Paese natale – arriva la notizia che sarà candidata elle elezioni europee del 2024: «Sarò una sorta di watchdog per il clima a Bruxelles. Si tratta di comunicare i contenuti dei movimenti e di far conoscere ai movimenti stessi ciò che viene deciso nel Parlamento europeo», ha dichiarato Rackete alla stampa tedesca. Dovrebbe essere candidata – come indipendente – al secondo posto della lista della Linke, subito dopo Martin Schirdewan, attualmente copresidente del gruppo della Sinistra nell’Eurocamera. Lo stesso Schirdewan e Janine Wissler hanno confermato la candidatura, anche se bisognerà a tendere l’ufficializzazione delle liste del prossimo novembre.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
GIUSTA CONSIDERAZIONE, MA LA DOMANDA E’: “PERCHE’ CI SEI ANDATO, VISTO CHE LO SAPEVI?
«Abbiamo perso il senso del ridicolo in questo Paese». A dirlo è il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, riferendosi alla cerimonia inaugurale – avvenuta ieri, domenica 16 luglio – del Frecciarossa Trenitalia che ogni terza domenica del mese collegherà Roma a Pompei, con una fermata a Napoli Centrale, in un’ora e 47 minuti. «Il ministro delle cerimonie ha prodotto un’altra performance. Non lo avevo capito neanche io, ma c’è un treno che arriva ogni mese, nulla di meno, a Pompei», ha continuato De Luca, a margine dell’inaugurazione, alla quale erano presenti anche la premier Giorgia Meloni e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Ai giornalisti che gli chiedevano se avesse avuto un colloquio con la presidente del Consiglio, De Luca ha risposto che Meloni «andava di corsa, era in partenza per la Tunisia». Per questo motivo, «la cerimonia – ha concluso De Luca – bisognava farla rapidamente perché se no qualcuno poi si accorgeva che il treno arrivava una volta al mese e, magari, diventava imbarazzante anche per la premier».
Al momento, l’unica corsa del Frecciarossa prevista – la terza domenica di ogni mese – partirà al mattino da Roma Termini alle 8.53 con fermata a Napoli Centrale alle 10.03 e arrivo alla stazione di Pompei alle 10.40. Ad attendere i viaggiatori diretti agli Scavi il bus navetta Pompei Link. Il ritorno è alle 18.40 con fermata a Napoli Centrale alle 19.23 e arrivo a Roma Termini alle 20.55.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
FONDI PUBBLICI PER L’INIZIATIVA
La polemica sulla manifestazione L’Aquila Città del Libro non si placa. Tutto inizia quando Fanpage.it denuncia la presenza di Franco Nerozzi – presidente della ong di estrema destra Popoli – mettendo in fila una serie di dichiarazioni intrise di luoghi comuni e rappresentazioni antisemite. La vicenda finisce sulle prime pagine della stampa locale, fioccano i comunicati stampa dell’opposizione, e il sindaco Pierluigi Biondi chiede l’esclusione di Nerozzi. Gli organizzatori, controvoglia, danno rassicurazioni in questo senso.
Lo stesso Nerozzi aveva presentato la manifestazione come “un festival senza mafia antifascista”, pubblicizzandone il programma sui social network tra . Oggi il caso finisce in consiglio comunale, con un’interrogazione dell’opposizione che evidentemente vuole andare in fondo alla questione.
“L’evento previsto a fine luglio a L’Aquila è finanziato da Comune e Regione per 20.000 euro ciascuno. – scrivono i consiglierei del Partito Democratico chiedendo l’intervento della Corte dei Conti – Ma il Comune, non soddisfatto di concedere una cifra così elevata a un’associazione di Voghera, nella delibera in cui stanzia i fondi decide di concedere anche ulteriori vantaggi economici: l’esenzione dal pagamento dell’occupazione del suolo pubblico nelle giornate dal 28 al 30 luglio, la fornitura gratuita e montaggio di un palco da posizionare nel cortile dell’Emiciclo, la fornitura di transenne, la fornitura di 150 sedie, la fornitura di corrente elettrica”
Benefit non scontati e onerosi per l’amministrazione, che potrebbero essere magari giustificati dalla presenza di grandi nomi della cultura. E invece secondo i dem “la realtà è che si tratta di una festa della destra-destra pagata a spese dei contribuenti e non di un festival del libro”. L’accusa dell’opposizione aquilana insomma è quella di una festa d’area politica, camuffata da evento culturale di interesse generale. Un po’ come se la Festa dell’Unità a Roma fosse pagata dall’Estate Romana.
E se non si tratta di una festa di partito strettamente intesa, a guardare il parterre come già sottolineato su queste pagine, le cose non sono così lontane da come le dice l’opposizione.
In effetti dietro l’organizzazione della manifestazione non c’è altro che Altaforte, la casa editrice vicina a CasaPound.
L’associazione Castelli di Carta aveva la propria sede legale fino a poco tempo allo stesso indirizzo della casa editrice a Cernusco sul Naviglio, e nel 2020 aveva dato vita a una manifestazione pressoché identica a Todi in Umbria, anche in questo caso tra le polemiche per il finanziamento pubblico ricevuto. Il dominio del sito del festival aquilano poi risulta essere intestato alla SCA 2080 srl, società editrice di Altaforte, che ricordiamolo fu esclusa dal Festival del Libro di Torino dopo un intervento del Museo e memoriale di Auschwitz-Birkenau.
Scorrendo la lista degli invitati moltissimi sono proprio autori di Altaforte , chiamati a interloquire con esponenti della destra sindacale e politica. Gian Micalesin ha pubblicato di recente un libro con la casa editrice, così come lo stesso Franco Nerozzi con cui avrebbe dovuto interloquire. Andrea Lombardi collabora anche con il Primato Nazionale, la rivista di CasaPound pubblicata sempre da SCA 2080 di cui è caporedattore Valerio Benedetti, ospite che ha firmato due libri manifesto per Altaforte, uno dedicato al sovranismo, l’altro un libro intervista pre elettorale all’ex leader di CasaPound Simone Di Stefano.
In cartellone troviamo poi Claudio Siniscalchi, che per Altaforte ha curato un volume dedicato alla poetessa e amante di Musollini Margherita Sarfatti; Gian Piero Joime autore di Altaforte e candidato in passato con CasaPound, oggi passato a Fratelli d’Italia; e Filippo Burla, anche lui già candidato con Cp, redattore del Primato Nazionale, che ha firmato un volume “Tornare Potenza” che rappresenta il programma economico di CasaPound. In ultimo da notare la presenza di Claudia Pagliariccio, già candidata sindaco a L’Aquila con il sostegno di CasaPound, oggi passata nelle file di Fratelli d’Italia, evidentemente senza mai rompere i rapporti con i fascisti del terzo millennio.
(da Fanpage)
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Luglio 17th, 2023 Riccardo Fucile
ALLA FINE LA MELONI HA AVUTO UN MOTO DI VERGOGNA E HA PRESO LE DISTANZE DA NORDIO PER EVITARE E CONTESTAZIONI A PALERMO
Poveri, che fatica questi editorialisti fiancheggiatori che devono cestinare gli articoli e le bozze scritti in questi giorni, esultando per la paventata abolizione del concorso esterno in associazione mafiosa.
Qualcuno ha avuto l’occasione per premere l’acceleratore sull’abolizione di quel fastidioso reato che Falcone e Borsellino avevano pensato come strumento per colpire la cosiddetta zona grigia della mafia che negli anni è diventata una zona bianchissima.
Il ministro Nordio, con la sua ennesima avventata intervista, ha riacceso la speranza agli anti-antimafiosi che in questi anni hanno sognato un’impunità certificata anche dalle legge. Ora la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha spezzato l’idillio.
Sul treno per Pompei che ha inaugurato insieme al ministro Sangiuliano (un treno “speciale” che accadrà una volta al mese) la presidente del Consiglio dopo avere deportato i giornalisti rinchiusi nel vagone dei dissidenti ha infilzato il suo ministro alla Giustizia invitandolo a concentrarsi su “altre priorità”.
A due giorni dall’anniversario della morte di Paolo Borsellino la presidente del Consiglio deve avere avuto un moto di vergogna. Del resto contro l’idea di Nordio si erano già espressi un bel po’ di persone che la mafia la combattono davvero sul campo oltre al sottosegretario Mantovano e perfino all’alleato Matteo Salvini.
“Con la premier siamo e siamo sempre stati in perfetta sintonia”, ha poi puntualizzato il ministro Nordio spiegando che la rimodulazione “del concorso esterno non è in programma”.
Intanto ai giornalisti, prima forzati a salire in anticipo sul treno, poi lasciati fuori dagli scavi di Pompei e quindi assiepati al sole in attesa dell’uscita della premier è stato concesso di scrivere una notizia.
(da La Notizia)
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