Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO CHE TOGLIE AI POVERI PER INGRASSARE I RICCHI… CENTINAIA DI PERSONE AGLI UFFICI INPS… IL GOVERNO SCARICA IL PROBLEMA POVERTA’ AI COMUNI
Il reddito di cittadinanza (o pensione) è stato sospeso a 169mila le famiglie che risultavano beneficiarie del sussidio ma che non avendo nel proprio nucleo un componente disabile, minore o over 65 da agosto non risultano più avere i criteri stabiliti dalla nuova normativa.
L’ultima rata che hanno percepito è quella del 27 luglio. E la tensione a Napoli, una delle città che più usufruisce del Rdc, è salita tanto che centinaia di persone sono andate a lamentarsi agli uffici Inps.
Il messaggio annuncia la sospensione in attesa della presa in carico dei servizi sociali. Sarebbero 88mila le persone che potrebbero essere prese in carico. Tra agosto e settembre circa 80mila nuove famiglie dovrebbero avere il beneficio sospeso poiché scadono i sette mesi di durata.
Centinaia di persone dopo aver ricevuto l’sms sullo stop all’erogazione del Rdc hanno pritestato e chiamato l’Inps di Napoli e della provincia – in testa per numero di sussidi – per avere chiarimenti in merito ai nuovi requisiti.
Alla sede Inps di via De Gasperi, a Napoli, due persone hanno avuto un alterco con i vigilantes all’ingresso. Sul posto è intervenuta una pattuglia della polizia. Anche a Calvizzano, un comune dell’area a nord di Napoli, sono state numerose le persone che si sono recate negli uffici per cihiedere ai funzionari cosa fare.
Molte le richieste di informazioni: la legge prevede infatti che i nuclei al quale verrà sospeso il reddito, dovranno essere presi in carico dai servizi sociali del Comune. Numerose le persone che si sono recate, a quanto si apprende, anche presso le sedi delle municipalità, a partire da quella di Scampia.
Conte: “Governo taglia Rdc ma fa favori ad aziende ricche, mondo gira alla rovescia”
Per il governo, che taglia il Reddito di cittadinanza mentre proroga i termini per il pagamento degli extraprofitti da parte delle grandi società, “il mondo gira alla rovescia”.
Lo ha scritto sui social il leader del M5s, Giuseppe Conte. “Un sms per dire a 169mila famiglie ‘arrangiatevi’. Quello che arriva dall’Inps, grazie alle scelte del governo Meloni su Reddito e pensione di cittadinanza, è un messaggio chiaro: lo Stato ha deciso di sospendere il sostegno. Poco importa se queste persone siano in difficoltà”, ha sottolineato l’ex premier.
“Poche ore fa, però, il governo ha mandato un altro messaggio, dai toni assai diversi. Lo ha mandato, con un decreto, alle multinazionali e alle grandi società energetiche che hanno accumulato enormi extraprofitti grazie all’aumento dei costi dell’energia e delle bollette che pagano famiglie e imprese. Il messaggio dice più o meno così: lo Stato ha deciso di concedervi la possibilità di pagare la tassa sugli extraprofitti con un comodo ritardo di cinque mesi, senza sanzioni e interessi” ha aggiunto.
“Con stop Rdc rischio aggressione ad assistenti sociali”
“La sospensione via sms sta scatenando una guerra sui servizi sociali”. Lo dice il presidente degli assistenti sociali, Gianmario Gazzi chiedendo di “intervenire immediatamente prima che le minacce di assalto ai servizi sociali diventino realtà, prima che qualcuna o qualcun assistente sociale venga aggredito. L’invio di un sms da parte dell’Inps nel quale si annuncia la sospensione dal 31 luglio del RDC ai cosiddetti occupabili sta scatenando una guerra”. “Riceviamo messaggi preoccupanti dai territori – dice – perché i nostri uffici, in molte aree non rinforzati, nè preparati, si trovano a gestire migliaia di situazioni di persone, tra i 18 e i 59 anni, a noi sconosciute perché, fin qui, prese in carico da Anpal o Centri per l’Impiego”.
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
E’ STATO UNO DEI PRIMI AD ARRUOLARSI NELLE FORZE SPECIALI DELLA LEGIONE INTERNAZIONALE: “UNA SCELTA DI CORAGGIO E DI LIBERTA'”
“Buongiorno, perdoni il disturbo, sappiamo che lei è un giornalista ed è stato in Ucraina dove ha trascorso del tempo con nostro figlio Karel, volontario ceco che combatteva con le forze speciali al fianco delle truppe di Kiev. Qualche settimana fa la nostra creatura è morta, è stato ucciso dai russi. Abbiamo bisogno di saperne di più sul nostro amato Karel, la sua perdita è uno strazio inimmaginabile che ci dilania ogni giorno. Vorremmo avere notizie su cosa faceva negli ultimi tempi, video e foto. La ringraziamo per il suo aiuto, ci comprenda siamo distrutti”. Erano i primi di maggio quando abbiamo ricevuto questo messaggio via Whatsapp da un numero sconosciuto. Erano i genitori Karel Kučera il volontario ceco, appunto, che avevamo conosciuto a febbraio nella zona di Kupiansk, estremo lembo dell’Oblast di Kharkiv a ridosso del confine con la Russia, una delle zone più calde per combattimenti.
Eravamo “embedded” (inquadrati) col Ghost Team, le forze speciali della Legione internazionale, una delle esperienze che pochissimi riescono a fare e che era stata possibile grazie alla profonda amicizia che mi lega a uno di loro, Alessio volontario italiano originario della Sardegna.
“Siamo il Ghost Team, operiamo come fantasmi, ma quando il nemico ci vede….”, questo il biglietto da visita con cui si sono presentati i fantasmi dell’ardimento.
Le missioni dei Ghost vanno oltre, come dice il loro motto “Only One Way” con tre triangoli sovrapposti. Intervengono come “first responders”, per arginare un’improvvisa offensiva dei russi dalle posizioni trincerate in mezzo ai boschi, dove il conflitto a fuoco si trasforma in un inferno. O per compiere operazioni di sabotaggio, contro velivoli russi con l’uso dei lanciarazzi e coadiuvati dai sistemi missilistici antiaerei. Oppure, ed è questa la loro specialità, ci sono le azioni oltre le linee del nemico. “Andiamo a liberare i villaggi occupati dai russi o entriamo nelle zone dove staziona il nemico per catturarlo e portarlo indietro al fine di ottenere informazioni per la prossima missione”.
Karel faceva tutto questo e lo faceva dall’inizio perchè, assieme ad Alessio e lo stesso Ghost, leader dell’omonimo gruppo, è stato uno dei primi ad arruolarsi nella Legione Internazionale all’indomani dell’invasione ordinata da Vladimir Putin.
Dopo un addestramento durissimo, è entrato nei corpi speciali, l’elité degli stranieri reclutati in Ucraina per combattere contro i russi. Insomma, Karel era un veterano nonostante la sua età, avrebbe compiuto 23 anni lo scorso 24 giugno. Ed invece il fuoco nemico ha stroncato la sua giovane vita proprio mentre faceva quello in cui più credeva, difendere la libertà. “Piango tutti i giorni, il dolore è insopportabile, non riesco ad andare a lavorare e vivo solo grazie al fatto che ho un altro figlio, altrimenti probabilmente mi suiciderei”, ci racconta la mamma del combattente caduto.
Karel Kučera è nato il 24/06/2000 ed è morto il 18/03/2023 nei pressi del villaggio di Khromivka vicino a Bakhmut. Ha studiato al ginnasio della città di Nove Strašecí, ha conseguito il diploma di scuola superiore nel maggio 2019. Giocava a calcio e a tennis, era appassionato di tuffi e di kickboxing, ma faceva anche lezioni di canto.
Dall’età di 15 anni, emergeva sempre il suo carattere di leader tra i ragazzini con cui frequentava i campi estivi ogni vacanza. Gli piaceva sciare sulle Alpi, navigare i fiumi in canoa, andare in bicicletta. Leggeva Remarque, Hemingway, tanti libri in inglese.
Al liceo ha recitato in un gruppo teatrale e ha diretto opere di vario genere. Scriveva racconti, scattava foto, vagava nella natura, partiva nel pomeriggio per escursioni notturne e fotografava tutto ciò che incontrava lungo la strada. Amava la musica, adorava suo fratello che di sette anni più piccolo ed era attaccassimo ai suoi genitori e tutti i familiari.
Aiutava la nonna e il nonno in giardino e ad un certo punto aveva deciso di trasferirsi da loro per prendersene cura. Poi però c’era anche la passione per l’addestramento militare e l’ardire di imbracciare il fucile se il suo Paese fosse stato invaso come era accaduto mezzo secolo prima con i Sovietici.
Così come avrebbe difeso qualunque altra Nazione europea aggredita dai nemici della libertà come la Russia. E così a febbraio è partito. E così ha incontrato Alessio e gli altri. E così è diventato un combattente di elitè.
È stato uno dei primi ad entrare nel team, è stato uno dei membri fondatori assieme a me, K, Indiana, Ghost, Bruce – racconta Alessio – Un combattente eccellente sempre col sorriso. Al fronte mi prendeva in giro quando gli elicotteri passavano sopra le nostre teste. Io detesto il rumore degli elicotteri e lui mi guardava attraverso il balaclava e mi faceva il segno del rotore e poi rideva, e ridevano tutti i fratelli della squadra. Lo faceva sempre quella meravigliosa canaglia”.
Alessio non nasconde il dolore profondo della perdita: “Mi manca moltissimo perché siamo stati 24 ore su 24 assieme per più di un anno, abbiamo fatto una quantità enorme di missioni, era un pilastro del team, molto giovane, un soldato molto tecnico, intelligente a livello tattico ed era una persona splendida”.
Un combattente con una fredda serenità da samurai, questo è il Karel che abbiamo conosciuto anche noi a febbraio, quando ci ha raccontato che era di vedetta mentre i russi bombardavano senza sosta attorno alla base dove si trovavano i Ghost: Quando senti il fischio la bomba arriva anche a venti metri è stato uno dei momenti più bizzarri della mia vita”, ci ha raccontato mentre in sottofondo partivano colpi di artiglieria in entrata e in uscita.
Poi però è arrivata quella maledetta missione a Bakhmut, nel pieno della battaglia per la conquista della Stalingrado ucraina, e quella dannata telefonata che ci è arrivata nel pieno della notte: “E’ stato un delirio, una carneficina ieri notte, Ghost (il leader polacco il cui vero nome è Michal) Kevin, Karel e Sebastian sono caduti in battaglia. Sono morti”.
“Il mondo è in debito con Karel per i suoi sforzi e sacrifici nella lotta per la libertà e la democrazia. È morto, ma vivrà per sempre nei cuori dei suoi cari, dei suoi compagni di squadra e del popolo ucraino, come un martire – ci dice K un altro dei fondatori -. Si può diventare soldati, ma si nasce guerrieri e, fortunatamente per noi, Karel è nato come tale. Nonostante le difficoltà che ha sopportato durante molti scontri, ha continuato a combattere e non si è mai tirato indietro. Ha aperto la strada agli altri e ha dato a tutti un esempio da seguire per il successo sul campo di battaglia”. Ma come sovente accade in guerra ad onore corrisponde dolore.
“Ho implorato Karel ogni giorno di tornare, eravamo terribilmente preoccupati per lui e ora siamo una famiglia in rovina”, ci ha ripetuto in tante telefonate la mamma chiedendoci per settimane di non scrivere di Karel, di non mostrarne le foto senza balaclava, perché il dolore era ancora devastante, non avrebbero retto. Poi un messaggio ai primi di luglio: “Siamo pronti è giusto raccontare la storia di Karel per tutti coloro che come lui hanno fatto una scelta di coraggio e libertà. Per rendergli l’onore che merita”.
E così lo abbiamo fatto qui in questi spazi de La Stampa, dove avevamo ospitato per primi la storia di Ghost e di Karel. “Molte persone mi dicono che sono forte e che loro stessi non sarebbero in grado di sopportare un tale fardello per il loro bambino, ma non sanno cosa sta succedendo nella nostra mente tutto il giorno – ci spiega la mamma in uno degli ultimi messaggi di qualche giorno fa – Non sanno quanto è desolata tragicamente la nostra famiglia e quanto la vita ci sembra talvolta vuota. Viviamo solo per il nostro figlio più piccolo, l’unico ormai”.
Prima di chiudere la conversazione i genitori di Karel ci hanno regalato una serie di foto che ripercorrono la vita del figlio, fino a quelle in mimetica quando si addestrava ma senza balaclava. Ed è quella che abbiamo scelto di pubblicare. Perchè Karel, ora che sei lassù, nella casa comune di chi come te ha combattuto per un ideale, finalmente puoi mostrare il tuo volto di giovane guerriero.
(da La Stampa)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
PRIMA C’ERA STATO IL DEPUTATO SLOVENO BECCATO CON UN PANINO IN TASCA, LA GOVERNATRICE DI MADRID CHE SI È FREGATA UNA CREMA PER IL VISO, L’EX MINISTRO DEL BILANCIO FRANCESE CON LA SOCIETÀ ALLE SEYCHELLES, L’EURODEPUTATO SOVRANISTA UNGHERESE FERMATO CON LA DROGA MENTRE FUGGIVA DA UN FESTINO GAY
Galeotti sono stati un paio di occhiali da sole di una nota griffe. Che il parlamentare norvegese Bjørnar Moxnes, leader del partito di sinistra Rodt da un decennio, si è infilato in valigia nel duty free dell’aeroporto di Oslo dopo aver strappato l’etichetta col codice a barre. Il tutto sotto gli occhi di una telecamera di sicurezza. Moxnes ha provato a giustificarsi con un inverosimile «è stato un incidente». Poi ha dovuto ammettere la verità in un post su Facebook: «Molte persone mi hanno chiesto come ho potuto fare una cosa così stupida. Me lo sono chiesto molte volte nelle ultime settimane. Non ho una spiegazione adeguata».
Oltre alla faccia, Moxnes ha perso anche il posto: il 24 luglio ha annunciato le sue dimissioni dall’incarico nel partito.
L’inglese e i video hard
Il parlamentare conservatore inglese Neil Parish meriterebbe un posto sul podio delle scuse più assurde. Lo scorso anno, in aprile, fu pizzicato mentre guardava un video hard sul telefonino nel bel mezzo di una seduta della Camera dei Comuni. Prima lo giudicò «un momento di pazzia», poi s’inventò di essere finito su quella pagina mentre stava cercando informazioni sui trattori su Google. Alla fine cedette e ammise che l’agricoltura non c’entrava nulla e che aveva davvero cercato quel video. E addio al seggio a Westminster.
Francesi, jet e sigari
Spendere 116mila euro per affittare un jet privato che ti porti in un Paese appena devastato da un terremoto? Ad Alain Joyandet, allora ministro della Cooperazione francese, non sembrò una cattiva idea quando fu invitato per una conferenza ad Haiti poche settimane dopo il catastrofico sisma del gennaio 2010.
Joyandet (che oggi è senatore) fu costretto a dimettersi, come anche il sottosegretario Christan Blanc, quando si scoprì che aveva speso 12mila euro (pubblici) in sigari cubani.
L’antievasori con la società alle Seychelles
Fare i paladini della lotta all’evasione fiscale e finire condannato per frode. Il destino è cinico e baro e l’ex ministro del Bilancio francese Jérôme Cahuzac ne sa qualcosa. Dopo essersi fatto una reputazione come uno dei più fermi critici di evasori e paradisi fiscali, nel 2012 finì nello scandalo quando si scoprì che aveva da venti anni un conto in banca in Svizzera. Come se non fosse abbastanza, nel 2016 i Panama Papers rivelarono che gli era pure intestata una società alle Seychelles. Dal governo finì in cella, condannato a due anni per frode fiscale e riciclaggio.
Il candidato fedifrago
Abbiamo citato il caso di Neil Parish. Quello di Benjamin Griveaux, stretto collaboratore di Emmanuel Macron nonché candidato di La République En Marche alla carica di sindaco di Parigi nel 2020, appartiene allo stesso filone.
Al voto Griveaux non è neppure arrivato. Ad affossarlo sono stati i messaggi e le foto esplicite che aveva inviato a una donna (un dettaglio: Griveaux era sposato e ha tre figli) e che nel febbraio di quell’anno diventarono virali sul web dopo che il blogger russo Piotr Pavlenski le aveva condivise. Nel 2021, Griveaux lasciò anche il seggio al parlamento e da allora si è rifatto una carriera nel settore privato.
L’austriaco e la nipote dell’oligarca
Diede la colpa all’alcol Heinz-Christian Strache, vicecancelliere austriaco al tempo dello scandalo poi passato alla storia come «Ibiza-Gate». La questione era piuttosto seria: nel 2017, nel pieno della campagna elettorale, Strache volò ad Ibiza per una vacanza.
Una sera incontrò una giovane donna russa che si presentò come la nipote di un’oligarca e promise di investire in un quotidiano per poi spostarlo su una linea vicina a quella di destra del partito del suo interlocutore. Che, in cambio, le assicurò che l’avrebbe favorita nell’assegnazione di appalti pubblici. Solo che la donna era in realtà una giornalista, ma Strache non se ne accorse perché era annebbiato dai drink (così sostenne poi).
Il caso saltò fuori nel 2019: Strache fu costretto a dimettersi e a ritirarsi dalla politica, il cancelliere Sebastian Kurz a sciogliere il governo e convocare elezioni anticipate.
L’ungherese e la festa gay
In questa lista di episodi assurdi, quello che ha come protagonista József Szájer merita un posto d’onore. Europarlamentare, membro di lunga data del partito ungherese Fidesz — guidato da Viktor Orbán —, noto per le sue posizioni conservatrici specie sul tema Lgbtq, la sua carriera finì per colpa di una festa piuttosto insolita. La sera del 27 novembre 2020, in pieno lockdown, la polizia di Bruxelles trovò 25 uomini che si intrattenevano in un incontro sessuale di gruppo.
Si scoprì che Szájer era fuggito calandosi da una grondaia e quando fu fermato per strada gli agenti trovarono della droga nel suo zaino. Orbán lo silurò in un nulla: «Inaccettabile e indifendibile».
La spagnola ladra «involontaria»
Fatale per Cristina Cifuentes fu una crema per il viso da 40 euro. Nel 2018 l’allora presidente della Comunità di Madrid fu costretta a lasciare il suo ruolo dopo la pubblicazione di un video del 2011 nel quale era ripresa mentre rubava il prodotto cosmetico in un supermercato. «Un errore involontario» sostenne lei, che poi pagò il dovuto.
Lo sloveno tradito da un panino
Di furto non si sono macchiati solo Cifuentes e Moxnes, ma pure il parlamentare sloveno Darij Krajcic, reo di aver rubato un panino nel 2019. In realtà, spiegò lui, stava conducendo un esperimento sociale: seccato dal fatto che i commessi lo ignoravano, sentì l’impulso di testare in prima persona quanto fosse efficace la sicurezza del supermercato. Il furto non venne scoperto sul posto, ma i colleghi lo spinsero a dimettersi (e a pagare il tramezzino trafugato)
Il maltese e il lobbista
Sessanta milioni di euro: tanto si era fatto promettere da un’azienda svedese del tabacco un collaboratore di John Dalli, allora (era il 2012) commissario europeo per la Salute, in cambio dell’impegno a far abrogare una legge che vietava la vendita e l’uso dello snus, tabacco umido in polvere che si consuma non fumandolo ma per via orale.
Dalli sostenne di essere stato costretto alle dimissioni dal presidente della Commissione José Manuel Barroso e lo citò in giudizio. Nel 2019, il Tribunale dell’Unione europea ha respinto l’istanza e con questa la richiesta di risarcimento danni.
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
REGIME AGEVOLATO ANCHE PER I PAPERONI ALL’ESTERO
Escludere le sanzioni penali tributarie, in particolare quelle connesse al reato di dichiarazione infedele, ai contribuenti aderenti all’adempimento collaborativo (le imprese) che «hanno tenuto comportamenti collaborativi e comunicato preventivamente ed esaurientemente l’esistenza dei relativi rischi fiscali».
Lo prevedono tre emendamenti identici di FdI, Fi e Lega approvati in commissione Finanze al Senato. La modifica sostituisce l’indicazione individuare «specifiche misure di alleggerimento delle sanzioni penali tributarie» per i contribuenti che hanno tenuto «comportamenti non dolosi e comunicato preventivamente» rischi fiscali.
Arriva inoltre un regime di adempimento collaborativo, con i relativi effetti premiali, anche per chi porta la residenza in Italia e i paperoni all’estero. Un emendamento alla delega fiscale approvato dalla commissione Finanze del Senato prevede infatti «l’introduzione di un regime di adempimento collaborativo per le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia nonché per quelle che la mantengono all’estero ma possiedono, anche per interposta persona o tramite trust” nel territorio dello Stato un reddito complessivo “mediamente pari o superiore a un milione di euro».
Durissimo il Pd: «Gli emendamenti della destra approvati oggi in commissione Finanze alla delega fiscale disegnano da un lato l’inizio di un clamoroso attacco all’Agenzia delle entrate e dall’altro un regalo a grandi e piccoli evasori abituali. E’ una bomba messa sotto al nostro sistema fiscale» dice il capogruppo in Senato Francesco Boccia. Tra gli emendamenti «c’è una sorta di scudo preventivo per i contribuenti che fanno dichiarazioni infedeli», osserva. «Un provvedimento grave che oltre a mettere a rischio le casse dello Stato fa passare il messaggio che chi paga le tasse è un fesso».
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
CON LA “RIORGANIZZAZIONE” DEL PIANO DI RIPRESA E RESILIENZA VENGONO ESPUNTI 1,2 MILIARDI PER LA GESTIONE DEI RISCHI DI ALLUVIONE E IDROGEOLOGICI… ANCHE I COMUNI SI INCAZZANO: SI SONO VISTI SFILARE 13 MILIARDI DI EURO DI FONDI E ORA CHIEDONO GARANZI
Un taglio da 15,9 miliardi che però non è un taglio, perché è un «definanziamento dal Pnrr e il rifinanziamento attraverso altre fonti, come il Piano nazionale complementare al Pnrr e i fondi delle politiche di coesionesono i più toccati delle modifiche. ».
Con questo giro di parole il ministro Raffaele Fitto è uscito dall’incontro di cabina di regia sul Pnrr di ieri: il governo punta a riscrivere il Pnrr con una proposta di revisione di 144 misure, che ora dovrà essere discussa e accettata a livello europeo, ma che è destinata a sollevare tensioni politiche in Italia.
«Non abbiamo eliminato nulla, solo riorganizzato», è la linea di Fitto.
Ad uscire dal piano sono 6 miliardi per interventi di valorizzazione del territorio e di efficientamento energetico dei comuni, 3,3 miliardi per rigenerazione urbana, 2,5 per piano urbani integrati, 1,2 per gestione dei rischi di alluvione e idrogeologici, 725 milioni per servizi e infrastrutture sociali, e poco più di un miliardo per valorizzazione dei beni confiscati, verde urbano e promozione di impianti innovativi.
Fitto ha ripetuto più volte che non si tratta di un vero e proprio definanziamento perché le misure dovrebbero essere recuperate in altri progetti. Tuttavia il dato resta: a sparire dal Pnrr e quindi dagli investimenti da completare entro il 2026 nella speranza che vengano riassunte in altri progetti ci sono una serie di misure che hanno a che vedere con rischi idrogeologici e di cui oggi – anche alla luce dei disastri climatici di queste settimane – il paese avrebbe disperatamente bisogno.
Le ragioni dei tagli sono da ritrovarsi nella «difficoltà di rendicontazione e ammissibilità e la difficoltà evidente di completare al 100 per cento i lavori entro il 30 giugno 2026», con il rischio quindi di vedersi revocare i fondi Pnrr e di doverli pagare di tasca propria attraverso il bilancio statale.
In altre parole, si sancisce quello che già era stato denunciato dai Comuni e dalla Corte dei conti: la difficoltà burocratica per le piccole amministrazioni, a causa della mancanza di competenze tecniche e amministrative. Per questo il governo Draghi aveva approvato un decreto che prevedeva il potenziamento amministrativo dei comuni per il Pnrr, che però è stato pubblicato in gazzetta dal governo solo a febbraio 2023, con dubbi sulle risorse finanziarie per sostenerlo.
LE FERROVIE DI SALVINI
Non solo, a venire espunti dai progetti che devono essere chiusi entro il 2026 c’è anche la ferrovia Roma-Pescara, due lotti della Palermo-Catania, che toccano il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di Matteo Salvini, che da mesi è impegnato a percorrere in lungo e in largo l’Italia inaugurando cantieri. Non a caso, appena il taglio è stato reso noto, è partita la fibrillazione.
Fonti del Mit hanno immediatamente precisato che «La Roma-Pescara è confermata ma riceverà finanziamenti alternativi ai fondi Pnrr», ma «La scelta di rimodulare i finanziamenti è figlia della situazione ereditata dall’attuale governo, in carica da circa nove mesi». Tradotto: è colpa del precedente governo e quindi dell’esecutivo di Mario Draghi.
Immediata è stata la controreplica di Fitto, il quale ha specificato che sulle modifiche c’è stata «intesa» anche con Salvini. Tuttavia, la fibrillazione al Mit non è passata inosservata.
Per quanto Fitto abbia tentato di minimizzare, parlando solo di uno spostamento dei fondi, la scelta del tipo di misure da «rimodulare» ha fatto esplodere le opposizioni, dal Pd al Movimento 5 Stelle fino al Terzo polo.
In particolare lo spostamento dei fondi per il dissesto idrogeologico: «Una scelta miope e gravissima», l’ha definita Anna Ascani (Pd), mentre i deputati grillini della commissione Ambiente hanno parlato di «governo in totale cortocircuito sulle tematiche ambientali e climatiche», dopo che il ministro Nello Musumeci era intervenuto in aula sui rischi idrogeologici del paese.
A pesare di più sul governo è però la reazione dell’Anci. Il suo presidente, Antonio Decaro ha infatti appreso oggi ed è rimasto «colpito» dallo spostamento dei «13 miliardi di euro di fondi Pnrr che erano stati assegnati ai comuni». Di qui la richiesta di «garanzie» sul fatto che gli investimenti non spariranno ma verranno comunque sostenuti anche con fondi nazionali, «come in cabina di regia ci è stato assicurato che verrà fatto».
(da Domani)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO GLI SCIVOLONI SULL’INVERNO DEMOGRAFICO E SULLA SANTANCHE’ PARAGONATA A ENZO TORTORA, LA ROCCELLA CI FA PURE SAPERE CHE “AI CANI NON BISOGNA DARE I NOMI DEI BAMBINI”
Eugenia Roccella è la ministra per la Famiglia, per la Natalità, per le Pari opportunità e per le “gaffe”. Che stanno diventando la sua specialità.
La Roccella è figlia di Franco, uno dei fondatori del Partito Radicale, e della pittrice femminista Wanda Raheli: debutta in politica nel Movimento di liberazione della donna e, nel 1975, a 22 anni, scrive il libro Aborto: facciamolo noi. Poi cambia idea. Di botto. Su tutto. Sostiene il movimento del Family Day e si schiera efferata contro la pillola abortiva e le unioni civili, contro il reato di omofobia e il suicidio assistito, contro il divorzio breve e la procreazione assistita, argomento che, tragicamente, ignora.
Infatti un giorno se ne esce dicendo che in Italia «non si fanno figli perché si preferisce lo spritz», insultando, mortificando così le migliaia di coppie che – in un percorso di dolore e di speranza – lottano per riuscire ad averlo, un figlio. Le chiedono allora cosa pensi del caso di Daniela Santanchè, la ministra indagata per “bancarotta” e “falso in bilancio”: e lei osa paragonarla a Enzo Tortora.
Insistono: vabbé, ci dica almeno qualcosa di serio su Ignazio La Russa, che interroga e assolve in salotto il figlio accusato di stupro. E lei, invece di rispondere che il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, avrebbe dovuto tacere e affidarsi alla giustizia, dice solenne: «Non entro nelle frasi d’un padre». La Roccella poi ci fa pure sapere – con analoga solennità – che «ai cani non bisogna dare i nomi dei bambini».
No, scusi, mi faccia capire: io non avrei dovuto chiamare Ciro il mio adorato bassotto, mentre La Russa può chiamare i suoi figli Cochis, Apache e Geronimo?
(da Corriere della Sera)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
ALLA CRISI AMBIENTALE DEDICANO LO 0,6% DELLE DICHIARAZIONI AI TG… I DATI IMPIETOSI DELL’OSSERVATORIO DI PAVIA
Gli effetti del riscaldamento globale saranno anche sotto gli occhi di tutti, ma in Italia la crisi climatica continua a essere un tema poco presente nella comunicazione politica. Lo sostiene un rapporto realizzato dall’Osservatorio di Pavia per conto di Greenpeace, che ha preso in analisi tutte le dichiarazioni sulla crisi climatica fatte sui media da tredici politici ed esponenti di governo: Angelo Bonelli, Carlo Calenda, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Giancarlo Giorgetti, Francesco Lollobrigida, Riccardo Magi, Giorgia Meloni, Gilberto Pichetto Fratin, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Elly Schlein e Silvio Berlusconi (che nelle prossime rilevazioni sarà sostituito da Antonio Tajani). La frequenza dei discorsi politici sul clima, avverte lo studio, è molto bassa: le dichiarazioni dei politici sulla crisi climatica rappresentano appena lo 0,6% del totale delle dichiarazioni rilasciate ai Tg e il 2,5% del totale dei post pubblicati su Facebook. I risultati dello studio dell’Osservatorio di Pavia e di Greenpeace si riferiscono ai primi quattro mesi del 2023, mentre il campione di analisi comprende le edizioni cartacee dei cinque quotidiani più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), le edizioni serali dei telegiornali di Rai, Mediaset e La7 e l’attività su Facebook dei 13 politici presi in esame.
La crisi climatica vista dal governo
Dallo studio emerge che i politici di destra parlano di decarbonizzazione più dei loro colleghi di sinistra, ma spesso lo fanno «per esprimere posizioni ambigue o contrarie alla transizione energetica». Per quanto riguarda i rappresentanti del governo, sono Pichetto Fratin e Salvini i due ministri che affrontano più frequentemente il tema della crisi climatica. La loro comunicazione, sottolinea Greenpeace, si caratterizza «per una marcata attenzione sulla sovranità nazionale rispetto alle politiche energetiche (a volte in aperto contrasto con le posizioni dell’Unione Europea), per forti resistenze alla transizione e per continui riferimenti alla “neutralità tecnologica”».
Di tutti i leader presi in esame, è il ministro all’Ambiente Pichetto Fratin a classificarsi al primo posto per numero di dichiarazioni rilasciate ai media sulla crisi climatica.
Delle 34 affermazioni prese in esame: 14 esprimono un parere favorevole alle azioni per il clima, 3 esprimono un parere contrario e 17 una posizione ambigua.
Per quanto riguarda Salvini sono 19 le dichiarazioni fatte da gennaio ad aprile sul tema della crisi climatica. Di queste: 9 esprimono una posizione contraria alle politiche per il clima, 9 una posizione ambigua e solo una esprime un parere favorevole. La premier Giorgia Meloni si piazza al quarto posto della classifica per numero di uscite sulla crisi climatica: 16 in totale.
Le voci delle opposizioni
Tra i banchi dell’opposizione sono Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni a parlare più spesso di crisi climatica. Bonelli, in particolare, è il politico di minoranza più interpellato dai media sulle politiche di decarbonizzazione e assume spesso il ruolo di «ministro ombra».
I discorsi dei due leader del gruppo Alleanza Verdi-Sinistra sono quasi sempre favorevoli a ogni azione per la salvaguardia del clima.
La segretaria del Pd Elly Schlein si posiziona invece a metà della classifica. Anche le sue dichiarazioni sono spesso a favore di azioni più incisive per la salvaguardia del clima, ma non entrano quasi mai «nel merito della questione», precisa Greenpeace.
A occupare gli ultimi posti in classifica nello studio dell’Osservatorio di Pavia sono il ministro Francesco Lollobrigida, il segretario di +Europa Riccardo Magi e quello di Italia Viva Matteo Renzi.
(da agenzie)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
L’ULTIMA TROVATA DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, TRA TRUCCHI E INCANTESIMI
Italia: un paese di pizza, mandolino e Winx, le fatine alate che si prendono per mano e svolazzano promettendo magie per sconfiggere i cattivi.
Dalla matita di Iginio Straffi, il loro papà creativo, passando per gli schermi TV anni Duemila -con ben otto stagioni all’attivo-, ai vertici del potere politico per arrivare alla Farnesina.
La prossima missione è ardua. Promuovere le bellezze del nostro paese ai compatrioti che non sempre conoscono cosa li circonda e agli stranieri, che mai come quest’anno, hanno scelto l’Italia come meta per le loro vacanze.
Otto episodi in nove lingue diffuse tramite la rete di Ambasciate e Consolati. “Winx Club – La Magia dell’Italia”, questo il titolo del colorato progetto realizzato per il Ministero degli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale in collaborazione con Rainbow (la storica casa di produzione delle fate in questione) e presentato alla 53sima edizione del Giffoni Film Festival. Nella nota diffusa dal Ministero si legge che “le protagoniste intraprenderanno un viaggio speciale che nasce con l’obiettivo di far conoscere all’estero alcune località insolite d’Italia, dove l’incontro tra bellezza, storia e cultura prende forma in vere e proprie gemme rare, come quelle che le fate troveranno durante il percorso”.
Ma se di magia parliamo, sembra d’obbligo citarne un’altra, forse la più plateale, un altro coniglio che esce dal cilindro bucato della nostra politica e che non stupisce, ma fa ridere. Daniela Santanché torna senza ali, senza costume petaloso lilla, a promuovere il Bel Paese con questa Bell’Idea. Dopo “Welcome to Meraviglia”, la discussa campagna promozionale del turismo di alcuni mesi fa, in cui la divina Venere botticcelliana si trasforma in una boccolosa influencer, pronta a sponsorizzare il Colosseo come se fosse un integratore post work out- e aver scampato le dimissioni per lo scandalo finanziario che l’ha vista protagonista, eccola di nuovo in pista. E allora come non citare la celebre sigla delle Winx, “Se tu lo vuoi, tu lo sarai una di noi…”. Forse, si riferisce al suo ruolo al Governo.
(da mowmag.com)
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Luglio 28th, 2023 Riccardo Fucile
IL VERO OBIETTIVO DI GOVERNO E AZIENDE E’ FAR SCENDERE LA SOGLIA, COSI’ LA MISURA SAREBBE VANIFICATA
Un mondo composto da oltre quattro milioni di piccole aziende, storica costituency elettorale del centrodestra politico. Interi settori economici che si reggono sui bassi salari. La galassia di ditte che dà vita a catene di appalti, abusando di contrattini e creando precarietà. Ecco chi ha paura della proposta di salario minimo a 9 euro l’ora: quello stesso sistema, improduttivo e inefficiente, che negli ultimi decenni ha reso l’Italia l’unico Paese Ocse a segnare un calo nelle retribuzioni reali. E che oggi, con la sponda del governo di centrodestra, punta a cancellare la proposta o almeno a ridurre la soglia dei 9 euro lordi l’ora (escluse le altre voci, come tredicesima, quattordicesima etc.).
Un’ipotesi a questo punto non da escludere, cioè che alla fine il salario minimo arrivi, ma ben più basso di quella cifra. E che una parte dell’opposizione possa accettare la mediazione. La via preferita della destra resta puntare sulla contrattazione collettiva, ma i dati dicono che non basta: ieri l’Istat ha ricordato che 6,7 milioni di lavoratori hanno il contratto scaduto e malgrado il rallentamento dell’inflazione, la differenza tra crescita dei prezzi e crescita salariale resta superiore al sei per cento. A giugno le retribuzioni sono salire di appena un 3,1%, eppure è crescita più forte da novembre 2009. Il tempo medio di rinnovo per chi ha un contratto scaduto supera abbondantemente i due anni. Insomma, la contrattazione è lenta e non tiene il passo con l’aumento dei prezzi. Se poi la destra volesse estendere il trattamento dei contratti collettivi più rappresentativi a tutti, questo potrebbe creare problemi con alcuni sindacati più piccoli “amici”, come Ugl e Cisal, che spesso firmano contratti al ribasso.
Ricapitolando: all’inizio di luglio tutta l’opposizione (tranne Italia Viva) ha depositato un disegno di legge per un salario minimo a nove euro. Oggi oltre tre milioni di lavoratori guadagnano meno di quella soglia. Governo e maggioranza hanno tentano di sabotarlo e ieri hanno ottenuto di rinviare la discussione a fine settembre. Se non è una chiusura, il rischio è quello di un compromesso al ribasso.
La mossa della destra arriva dopo un lungo attacco coordinato che coinvolge anche imprese e osservatori autorevoli. Persino chi non è contrario all’idea di stabilire un salario minimo per legge, infatti, ha comunque criticato aspramente il fatto di fissarlo a nove euro (lordi), cifra ritenuta troppo alta. L’economista Tito Boeri, ex presidente Inps, ha fatto notare che – prendendo come parametro una via di mezzo tra il 50% del salario medio e il 60% di quello mediano, indicatori riportati nella direttiva europea – arriveremmo a poco più di 7,50 euro. Anche Luigi Marattin, deputato di Italia Viva, si è detto contrario ai nove euro perché – dice – sarebbe il 75% del salario mediano, un livello eccessivo.
Ma a tenere i nostri dati salariali così bassi è la scarsa qualità di parte del tessuto produttivo. L’Italia ha perso quote di industria e visto aumentare le piccole imprese dei servizi e del turismo (in forte crescita). Nel settore alloggio e ristorazione, il 44% dei rapporti di lavoro è sotto i nove euro l’ora: il comparto lamenta la difficoltà nel trovare manodopera, eppure non rinnova il contratto collettivo scaduto quasi due anni fa. I “nuovi” settori hanno creato occupazione precaria e debole, molto part-time, e questo ha tenuto bassi i salari anche per la scarsa produttività. Il nostro Paese – che non ha mai avuto un salario minimo legale – non ha mai fatto nulla per contrastare i contratti pirata, firmati da sindacati “di comodo” per aiutare le imprese a risparmiare fissando minimi molto bassi. A completare, pure vari contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil – quindi rappresentativi – prevedono minimi ben sotto i nove euro, come quello della vigilanza.
Questa situazione è sempre stata tollerata, anzi ormai è una scelta di politica economica e industriale. Ecco perché oggi una parte delle nostre imprese teme così tanto il salario minimo. Una soglia di nove euro, invece, alzerebbe l’asticella e, secondo i suoi fautori, spingerebbe le imprese a innovare e a migliorare la produttività. D’altro canto, i parametri della direttiva europea, che prende a riferimento il 50% della media e il 60% della mediana, offrono vita facile a chi vuole sostenere che nove euro siano troppi. Insomma, la pressione di governo, grande stampa e imprese per abbassare la soglia è destinata a salire. Tanto più la proposta delle opposizioni ha un enorme vulnus: vuole aiutare con fondi pubblici le imprese ad adeguare i minimi, scaricando sullo Stato i maggiori costi. Per non dare alibi alle imprese, se ne dà uno alla destra.
(da agenzie)
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