Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
SI AGGIRA AL FESTIVAL SANREMO COME SE FOSSE (ANCORA) DIRETTORE ARTISTICO. E’ NORMALE?
Da quando tutto questo è “normale”? E’ sottosegretario alla Cultura, ma si muove da agente di Massimo Giletti. Si occupa di spettacoli dal vivo e sta per scrivere la nuova legge sugli spettacoli dal vivo.
Tratta l’Arena di Verona come se fosse la sua villa di campagna, siede (ancora) nel cda della Fondazione Casa dei cantautori e si aggira al Festival Sanremo come fosse (ancora) direttore artistico. E’ normale? Quando si fa il nome di Gianmarco Mazzi la risposta immediata è: Mazzi, chi?
Ha la delega alla musica, ed è il sottosegretario “assolo”, il patriota, il deputato di FdI, delegato ai fatti suoi. Prima ancora di essere eletto, aveva chiesto di ricevere questa carica esclusiva, forte della sua competenza e delle sue relazioni con agenti come Lucio Presta, Ferdinando Salzano, protagonisti del settore, e in passato, compagni d’armi, soci, di Mazzi. E’ normale?
E’ da inizio legislatura che Mazzi sta infrattato. Il ministro Gennaro Sangiuliano e il sottosegretario Vittorio Sgarbi attirano tutte le attenzioni e gli hanno costruito lo schermo perfetto.
Come un sottosegretario alla Cultura possa rappresentare un artista come Giletti, sfugge a qualsiasi uomo di equilibrio. Da sottosegretario, Mazzi, ha continuato ad avere un contratto da agente che La7 ha definito “superato”, dopo la sua nomina. Non per lui. Mazzi voleva ancora essere pagato da La7 e ha chiesto pure pareri.
La verità è che Mazzi non ha mai voluto rinunciare a quella che resta la sua principale attività: l’impresario. Blindato nel collegio di Padova, eletto con FdI, la sua città natale è Verona. In questa città si è mosso come un podestà grazie al controllo, unico, che ha avuto di quel monumento che è l’Arena.
Dal 2007 al 2012 è direttore artistico dell’Arena, ma l’ex sindaco, Flavio Tosi, ne argina il potere. Quello vero, il potere, lo riceve a partire dal 2017, con il sindaco Federico Sboarina, ed è durato, formalmente, fino allo scorso settembre. Di fatto, prosegue ancora.
In quegli anni Mazzi è stato amministratore unico di Arena di Verona srl. Mazzi aveva la potestà di decidere quali artisti far esibire e per quante serate. L’anno scorso, a Ferdinando Salzano, produttore della FP Group (insieme a Mazzi, in passato, ha allestito Giulietta e Romeo di Riccardo Cocciante) sono andate ben 36 serate su 56. E’ normale?
Nel 1981, entra a far parte della famiglia della Nazionale cantanti (invenzione di Gianluca Pecchini) e da allora comincia a frequentare il mondo della musica italiana fino a scalarlo. E’ un giovane del Fuan, ed è amato da Ignazio La Russa, vero direttore generale della destra. Nel giro di dieci anni, Mazzi aggancia Mogol, Morandi, Barbarossa, passando per Adriano Celentano, fino al salto definitivo nel 2004.
Diventa direttore artistico di Sanremo nell’edizione condotta da Paolo Bonolis, artista rappresentato da Lucio Presta, agente che con la sua società Arcobaleno Tre contende il mondo dello spettacolo televisivo a Beppe Caschetto. Mazzi, per sei anni, immagina e impagina Sanremo. Prende per mano politici, li accompagna personalmente a sedere. E’ un metodo.
Il 25 marzo 2023, Checco Zalone debutta, con il suo spettacolo, al Teatro Brancaccio di Roma, e in prima fila arriva Giorgia Meloni. A scortarla è Mazzi che lo spettacolo di Zalone lo ha prodotto insieme a Lucio Presta.
La lunga attività di Mazzi è a sua volta un corridoio di società che negli anni ha aperto, chiuso, liquidato. Le ultime visure camerali ne attestano otto. Nel 2015, Open Mind (società costituita nel 2012 e che aveva come soci Presta e Mazzi) viene cancellata. Si possono cancellare anche le relazioni?
Da sottosegretario alla Cultura, poche settimane fa, Mazzi si è battuto per la riconferma della soprintendente della Fondazione Arena di Verona, Cecilia Gasdia, soprano, e candidata, nel 2017, come capolista di FdI. La nomina è passata sopra la testa del sindaco di Verona, Damiano Tommasi, che siede in cda, come presidente della Fondazione Arena di Verona, e che ha parlato “di operazione sprezzante da parte del governo”.
Il resto è cronaca recente. Gasdia, senza avvisare il sindaco, procede infatti al rinnovo dei vertici di Arena di Verona Srl e scatena quella che è già una battaglia giuridica con Tommasi. E’ normale?
Mazzi, con la sua delega alla musica, si accinge invece a legiferare sugli spettacoli dal vivo, lui che vive di “assoli”. Come opera è evidente, come ha operato, adesso, è noto, come dice, un produttore musicale, da anni costretto ad accettare l’egemonia Mazzi, “con lui ogni limite era già stato superato”.
(da il Foglio)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
LA MELONI È IN GROSSA DIFFICOLTÀ DI FRONTE ALLA PROPOSTA DI ABOLIRE IL REATO DI CONCORSO ESTERNO. AL PUNTO CHE POTREBBE DISERTARE LA CERIMONIA DI RICORDO DELLA STRAGE DI VIA D’AMELIO, IL 19 LUGLIO
Questo 19 luglio poteva essere il giorno della grande incoronazione di Giorgia Meloni da parte di un pezzo del mondo dell’antimafia, che l’ha vista crescere e al quale lei ha aderito da ragazza.
Ma l’anniversario della strage di Via D’Amelio, dove perse la vita il magistrato Paolo Borsellino, un volto da sempre nel pantheon della destra, rischia di diventare una grana per la prima presidente del Consiglio. Perché proprio quel mondo nel quale si è formata e che è il suo riferimento, oggi si sente tradito dal suo governo. Ma in fondo anche da lei stessa, che in passato ha partecipato più volte alla fiaccolata del 19 luglio organizzata dalla destra siciliana come contraltare alle manifestazioni istituzionali e a difesa del “suo” Borsellino.
Le frasi del ministro Carlo Nordio sull’abolizione del reato di concorso esterno, tema caro alla Forza Italia di Silvio Berlusconi, che in Sicilia significa Marcello Dell’Utri condannato per mafia. Gli applausi di un pezzo del governo per la sentenza di assoluzione di Mori, Contrada, Dell’Utri e De Donno nel processo sulla trattativa. Lo scontro con la magistratura sugli stessi temi cari ai berlusconiani e in piena continuità con il centrodestra degli ultimi trent’anni. Non solo Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato], ma anche un pezzo della destra che è riferimento della presidente del consiglio oggi non si sente in sintonia con il governo di Giorgia Meloni.
Con il governo di chi il 28 ottobre scorso, nel discorso di insediamento al Parlamento, diceva : “Ho iniziato a fare politica a 15 anni, il giorno dopo la strage di via D’Amelio, nella quale la mafia uccise il giudice Borsellino. Il percorso che mi ha portato oggi a essere presidente del Consiglio nasce dall’esempio di quell’eroe”. Meloni ha citato Borsellino per rimarcare l’essersi formata partendo da quella destra che ha sempre amato Borsellino. Il giudice che da studente era stato un componente del Fuan, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale.
Il giudice che quel 19 luglio del 1992, prima di essere ucciso dal tritolo piazzato dagli uomini di Totò Riina davanti alla casa della madre, era stato a pranzo a Villagrazia di Carini nella villa di Giuseppe Tricoli, storico missino: il figlio di Tricoli, Marzio, era molto legato ai figli di magistrato. La destra e Borsellino, con l’amico fraterno Giovanni Falcone che lo chiamava scherzando “il camerata”. Una certa destra, però: il giorno dei funerali di Borsellino l’unico politico ammesso dalla famiglia fu Gianfranco Fini, ex missino e maestro di Giorgia Meloni.
Ecco perché questo 19 luglio per Meloni poteva essere un giorno che chiudeva il cerchio della sua ascesa politica.
Invece lei stessa non sa se ci sarà alla cerimonia in ricordo della strage e sicuramente per l’evento organizzato a Palermo da Fratelli d’Italia manderà solo un audio messaggio. Perché tanta freddezza e incertezza? Fabio Granata, promotore della prima fiaccolata per Borsellino insieme a Tricoli e agli allora giovanissimi, oggi onorevoli, Raoul Russo e Carolina Varchi, fa capire certi umori di questa destra: “Da Meloni e dal suo governo ci aspettavamo qualcosa di diverso: non le frasi di Nordio sull’abolizione del reato di concorso esterno e non gli applausi per la sentenza di assoluzione del processo sulla trattativa Stato-mafia – dice – pensavamo che con lei al governo si sarebbe respirata aria nuova”.
Anche dalla famiglia Borsellino trapela una certa delusione. Salvatore Borsellino avrebbe gradito la nomina della Varchi a presidente della commissione nazionale Antimafia, forse anche per suggellare la storia dei ragazzi della fiaccolata. E poi, soprattutto, a creare certi disaccordi sono gli atti conseguenti al discorso di Meloni in Parlamento. Lo scarto non c’è stato e il 19 luglio non ci sarà comunque alcuna incoronazione di Giorgia Meloni da parte di questo “suo” mondo.
(da La Repubblica)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
LA STIMA TIENE CONTO DEL CALO PROGRESSIVO DELL’INFLAZIONE E DEI MAGGIORI INVESTIMENTI PUBBLICI DEL PNRR, DANDO PER SCONTATO CHE VENGANO “MESSI A TERRA”. SE COSÌ NON FOSSE, SAREBBERO GUAI
Nel secondo trimestre di quest’anno la crescita della ricchezza nazionale si è arrestata, certifica la Banca d’Italia. Che sempre ieri ha registrato un nuovo record assoluto del debito pubblico italiano che a maggio ha raggiunto quota 2.816,7 miliardi di euro, 59,8 in più della fine del 2022. In pratica, secondo le stime, si tratta di 47.862 euro a italiano, 107.483 a famiglia.
La frenata di primavera, stando all’ultimo Bollettino di previsione diffuso ieri da via Nazionale, è dovuta essenzialmente alla diminuzione della produzione manifatturiera, frenata in particolare dall’indebolimento del ciclo industriale globale, e delle attività nel settore delle costruzioni. «In attesa che lo stimolo derivante dal Pnrr si dispieghi pienamente», infatti, l’attività nel settore dell’edilizia si sarebbe ridotta «risentendo della graduale attenuazione degli effetti degli incentivi fiscali legati al superbonus 110%».
Dal lato della domanda il Pil sarebbe stato sostenuto ancora dai consumi, soprattutto dai servizi a partire da quelli turistico ricreativi. E per fortuna che già nel primo trimestre di quest’anno avevamo acquisito un bel +1,3% di crescita, livello che la Banca d’Italia conferma per l’anno in corso, mentre rivede al ribasso le stime del 2024, quando il Pil salirà appena dello 0,9% (anziché dell’1,1 previsto dal governo), e quelle del 2025 (+1%).
Insomma dopo il boom del 2021-2022 iniziamo a decelerare tornando ad una crescita sotto il punto percentuale. È la maledizione dello zero virgola che ci perseguita da decenni ormai. La colpa di questa frenata viene individuata essenzialmente in un fattore: l’indebolimento della dinamica degli investimenti privati, che si accentuerebbe nella seconda metà di quest’anno e nel 2024 per effetto dell’aumento dei tassi di interesse e dell’irrigidimento delle condizioni di accesso al credito.
L’impatto sul Pil potrebbe essere anche più rilevante se non fosse compensato dal calo progressivo dell’inflazione e dai maggiori investimenti pubblici programmi nel Pnrr, che (sottinteso) la Banca d’Italia da per scontato che vengano messi a terra. Altra incognita tutta da verificare.
Quanto ai prezzi al consumo in primavera l’inflazione è ancora scesa (pur restando su livelli molto elevati), grazie alla decisa diminuzione della componente energetica che si è riflessa sui beni alimentari, su quelli industriali non energetici e a giugno anche in parte sui servizi. Quest’anno l’aumento dei prezzi sarebbe pari al 6% e poi scenderebbe al 2,3 nel 2024 ed al 2% nel 2025.
(da la Stampa)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
L’ARCIVESCOVO DI NAPOLI HA RAGIONE, MA E’ QUELLO CHE VUOLE INFATTI IL GOVERNO
L’autonomia differenziata delle Regioni, la riforma promossa dal ministro Calderoli, “lacera il senso di solidarietà che è proprio della nostra gente, divide il Paese, accresce la povertà già troppo estesa ed estrema per milioni di italiani”. E per questo anche la Chiesa “non può tirarsi indietro”, senza temere l’accusa di “politicismo”, perché “la Chiesa prende parte sì, quella dei poveri”. Non ha usato mezzi termini Domenico Battaglia, arcivescovo della città metropolitana di Napoli, in una lettera aperta pubblicata sul sito della curia napoletana.
La proposta di legge, che attualmente si trova in Parlamento, è duramente contestata dalle opposizioni. Nonostante le pressioni di Calderoli, che ha detto che abbandonerà la politica se la le riforma si fermerà, sta incontrando anche dei problemi interni: a inizio luglio quattro esperti si sono dimessi dal comitato che doveva stabilire i Lep, i livelli essenziali che tutti i servizi pubblici dovrebbero rispettare (e che sono fondamentali per la riforma).
Battaglia, nella sua lettera pubblicata sul sito della Curia di Napoli, ha criticato lo spirito dell’autonomia differenziata, che lascerebbe ampi poteri alle Regioni e, secondo diverse stime, aumenterebbe le diseguaglianze interne al Paese. “C’è un’aria strana che si muove nel cielo”, ha iniziato l’arcivescovo, e questa va nella direzione “della povera gente, resa ogni giorno più povera da una certa politica che non la considera, se non per la convenienza, magari elettorale”.
Il territorio di Napoli è “una terra di confine”, ha sottolineato il prelato. “Tra un Sud che non parte e un Nord che non viene. E dove Sud è l’arretratezza, con tutto il carico di dolori e di errori, e il Nord è lo sviluppo, con tutto il peso delle sue contraddizioni”. Ma anche “tra un Meridione che si modernizza e cresce” e “la mia Calabria, la regione da cui provengo, che resta, nonostante i buoni sforzi di parti della politica e delle istituzioni, ferma al palo dell’antico abbandono e delle moderne speculazioni”.
E da questa terra di confine, Battaglia ha osservato che l’Italia “rischia di essere trascinata in un campo in cui l’egoismo che ci prende sempre di più si codifica in scelte politiche nette”. Scelte che “alimentano quel desiderio di separatezza di una parte del territorio da tutto il resto del Paese”. Oggi, invece, “quella cultura della divisione, quel sentimento di egoismo” hanno la forma “di un’altra legge possente, di un altro colpo, cioè, all’impalcatura democratica dello Stato fondato sulla partecipazione di tutti alla costruzione della ricchezza del Paese”.
Il nome ‘autonomia differenziata’ mira a “indorare la pillola sbagliata da ricetta ancora più sbagliata”. E l’arcivescovo ha risposto anche a chi afferma “che è tutto previsto dalla Carta Costituzionale”. Per Battaglia, “costoro dimenticano, che la Costituzione, prima, durante e dopo, quell’articolo, narra dell’eguaglianza autentica fra tutti cittadini e prescrive che sia lo Stato a garantire l’effettiva parità”. E dimenticano anche che “la bellezza della nostra Costituzione è nella inscindibile unità tra autonomie e solidarietà, tra libertà individuale e azione sociale, tra ricchezza individuale e ricchezza complessiva, tra singoli territori e unità territoriale”.
La riforma, quindi, “per quanto la si voglia edulcorare con nuovi innesti terminologici che la gente non comprende, rompe questo concetto di unità, lacera il senso di solidarietà che è proprio della nostra gente, divide il Paese, accresce la povertà già troppo estesa ed estrema per milioni di italiani”.
Battaglia ha concluso prendendo una posizione netta: “Dinanzi alle enormi sofferenze di famiglie intere che non riescono a fronteggiare il più piccolo dei bisogni, nessuno osi tirarsi indietro. La Chiesa non può e non lo farà. Il prete non può e non lo farà”. In più, “non tema alcuno di essere accusato di politicismo, la Chiesa prende parte sì, quella dei poveri, dei bisognosi”. Lo fa, ha detto “per dar loro la forza di riscattarsi dalla povertà e dall’arretratezza. Oggi questo sostegno deve andare anche ai territori, affinché non siano lasciati soli. A quelli del Sud perché in essi splenda pienamente il sole”.
(da Fanpage)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
QUELLA PUBBLICA NON RIESCE A GARANTIRE LE PRESTAZIONI ESSENZIALI, IN DIFFICOLTA’ ANZIANI E INDIGENTI
I cittadini si rivolgono sempre più spesso alla sanità privata perché quella pubblica non riesce a garantire le prestazioni essenziali. In difficoltà soprattutto anziani e indigenti
Mentre Suor Serafina di 110 anni non riesce a prenotare una visita medica con il Sistema sanitario nazionale (Ssn) prima di 6 mesi, nelle città spuntano come funghi laboratori di analisi e di diagnostica privati, segno che la sanità pubblica sta via via scomparendo.
Tra visite mediche private e assicurazioni sanitarie, quanto abbiamo speso sinora di tasca nostra per curarci? Circa 40 miliardi di euro, ha calcolato la Cisl precisando che nell’ultimo decennio sono stati tagliati 37 miliardi al Sistema sanitario nazionale. Proviamo a capire meglio cosa sta succedendo e cosa succederà con i fondi del Pnrr.
Suor Serafina: il caso
Suor Serafina, una tra le cittadine più anziane d’Italia, alla veneranda età di 110 anni si è vista fissare dal Cup della Regione Lazio un appuntamento a 6 mesi per una visita geriatrica. Un po’ troppo in là per l’anziana donna, che non ha potuto fare altro che rivolgersi al settore privato, prenotando una visita medica geriatrica a domicilio in regime privato al costo di 300 euro.
In molti si sono offerti di aiutarla e così grazie alla solidarietà delle istituzioni Suor Serafina non dovrà pagare nulla, ma a tutti gli altri anziani e indigenti chi ci pensa? Non tutti possono permettersi di sborsare cifre così alte per curarsi, eppure l’articolo 32 della Costituzione recita chiaramente: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”
Da qui l’allarme lanciato dalla Cisl: “Si allargano sempre più le differenze sociali tra coloro che possono permettersi di sottoscrivere polizze sanitarie private o accedere a quelle previste dal welfare contrattuale e il resto delle persone, per lo più anziane, che per accedere alle cure del Ssn sono spesso costrette a liste d’attesa interminabili. Tutto ciò spinge i cittadini a prendere in considerazione la possibilità di stipulare assicurazioni sanitarie come succede già in altri Paesi, sviluppando un modello sanitario ben lontano da quello attuale che si fonda sui principi universalistici previsti dall’articolo 32 della Costituzione”
La spesa sanitaria continua a diminuire
La storia di Suor Serafina dimostra ancora una volta che dal punto di vista della sanità non possiamo ancora definirci un Paese civile e che per rimediare serve una precisa volontà politica che purtroppo stenta ancora a manifestarsi. Secondo il Def 2023 la spesa sanitaria passerà dal 6,7% del Pil nel 2023 al 6,2% nel 2025. Per invertire questa tendenza in realtà basterebbe intraprendere una seria lotta all’evasione fiscale per adeguare il finanziamento per il Ssn, si legge nel documento programmatico ‘La cura della persona, il valore del Lavoro’ presentato oggi a Roma dalla Cisl. Si sta parlando di circa 60 miliardi di euro, visto che dagli ultimi dati del ministero dell’Economia nel 2019 risultano evasi circa 32 miliardi di Irpef da lavoro autonomo e imprese e 27,7 miliardi di Iva.
L’imposizione fiscale costituisce la parte preponderante delle fonti che finanziano il Fondo sanitario nazionale: la componente diretta rappresenta mediamente il 27,6% del totale (Irap 19,2% e addizionale Irpef 8,3%), mentre la componente indiretta (Iva e accise) pari al 59,6% del totale. “Per rinforzare il Ssn non servono solo più risorse – ha chiosato il sindacato -, ma servono anche più programmazione e più organizzazione”.
Per la sanità privata i cittadini pagano 40 miliardi di tasca propria
A chi non è mai capitato di dover prenotare una visita medica a pagamento piuttosto che aspettare i tempi biblici della sanità pubblica? Il problema è che piano piano ci stiamo abituando a questa ‘sostituzione’, non ci indigniamo neanche più. E così siamo arrivati a sborsare 40 miliardi di euro i tasca nostra per curarci, cifra che corrisponde a poco meno di un terzo del finanziamento del Ssn (di cui 10 miliardi intermediata dai Fondi assicurativi) e a poco più delle risorse tagliate al sistema sanitario nazionale dal 2010 al 2019 (37 miliardi).
I due sistemi “possono e devono convivere”, ha sottolineato la Cisl ma la sanità privata “può solo integrare e aiutare, con contratti di convenzione, il Ssn ma non sostituirsi ad esso”.
Tutti i problemi del Sistema sanitario nazionale
Da tempo nella sanità pubblica è scattato il codice rosso: non parliamo solo di lunghissime liste di attesa per le visite mediche, ma anche di carenza di posti letto negli ospedali visto che ne abbiamo in media 3,1 ogni 1.000 abitanti, contro i 5,7 della Francia e i 7,9 della Germania (dati Eurostat 2020). Negli ultimi 10 anni “sono stati cancellati 100mila posti letto, chiusi centinaia e centinaia di ospedali soprattutto nelle zone interne”, ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra.
Mancano 20mila medici, per lo più nei reparti di medicina d’urgenza e pronto soccorso, anestesia e nella medicina territoriale soprattutto nelle zone rurali e di montagna. Sempre più camici bianchi scappano all’estero per guadagnare di più e fare più velocemente carriera, oppure scelgono di lavorare a gettone per ridurre i carichi di lavoro diventati ormai insostenibili nel settore pubblico. Mancano anche gli infermieri: 150mila. Non parliamo poi di sicurezza nei posti di lavoro, con il personale sempre più spesso vittima di brutali aggressioni fisiche e verbali. Si registra persino una carenza di farmaci, insomma siamo davvero al capolinea nonostante, è bene ricordarlo, esistano ancora molte eccellenze di cui farci vanto.
Tra le proposte della Cisl per limitare la fuga di personale medico c’è anche quella di creare più opportunità per far partecipare i professionisti della salute del Ssn alla libera professione, anche intramuraria, e all’erogazione di prestazioni sanitarie rientranti nei piani sanitari delle assicurazioni integrative. “Questo limiterebbe la fuga del personale verso il privato e contemporaneamente garantirebbe l’entrata di risorse finanziarie che potrebbero essere messe a disposizione di tutti”.
I fondi del Pnrr per la sanità. Sbarra: “Valutare ricorso a Mes sanitario”
L’ultima speranza per ridare vita alla sanità pubblica sono i fondi del Pnrr, che con 20 miliardi di euro (15,6 più altri 5 da vari fondi) da spendere entro il 2026 punta a realizzare 3 obiettivi: prossimità, uguaglianza e innovazione. Questi soldi saranno fondamentali per creare reti di prossimità e strutture intermedie necessarie per allineare i servizi ai bisogni di cura dei pazienti in ogni area del Paese, per non creare malati di ‘serie A’ e di ‘serie B’. Saranno impiegati in tecnologie innovative, investiti in ricerca e digitalizzazione del Ssn, ma tutto questo necessita di una corretta attuazione delle riforme.
I fondi del Pnrr potrebbero non bastare, ha dichiarato Sbarra aprendo la porta al Mes sanitario. “Dobbiamo valutare la necessità di riprendere la discussione” sul prestito Ue fino al 2% del Pil per le spese sanitarie, che per l’Italia si aggira attorno ai 36 miliardi di euro, ha chiosato il sindacalista specificando che “il sistema sanitario italiano ha bisogno di risorse” e che “bisogna spendere, ma soprattutto spendere bene”.
(da today.it)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL I BENEFICIARI DANNO SFOGO ALLA LORO AMAREZZA
“E ora che succederà?”. Per molti beneficiari del reddito di cittadinanza quella di luglio sarà l’ultima “ricarica”. Secondo le stime (non ci sono ancora numeri ufficiali) le persone che verranno escluse dal sussidio dopo la riforma voluta dal governo Meloni sono almeno 500mila.
Per i così detti “occupabili” o “abili al lavoro” nel 2023 sono previste al massimo sette mensilità. A chi ne ha ricevute già sei, da gennaio a giugno, ne spetterà solo un’altra. Il reddito continuerà invece a essere erogato fino a dicembre ai nuclei familiari al cui interno vi sono minorenni, disabili o persone con più di 60 anni, nonché a coloro che “sono stati presi in carico dai servizi sociali, in quanto non attivabili al lavoro”.
Ma per circa un quinto dei percettori quello di luglio sarà l’ultimo mese. E agosto sarà un mese da incubo. Un po’ di ossigeno arriverà solo a settembre quando dovrebbe debuttare “il supporto per la formazione e il lavoro”, ovvero il contributo da 350 euro al mese che spetterà agli esclusi dal nuovo assegno di inclusione (ne parleremo più tardi) con un Isee non superiore a 6mila euro.
Paura e incredulità, ma tra i beneficiari c’è anche tanta confusione
Nei tanti gruppi Facebook dedicati al reddito di cittadinanza si percepisce un misto di angoscia e incredulità, ma a prevalere è soprattutto la confusione. Non tutti hanno capito cosa li aspetta. E non sono pochi quelli che temono, a torto, di finire nel girone degli esclusi: “Io ho tre figli minori, uno di 7, uno di 12 e uno di 11. Mi tolgono il reddito a luglio?” chiede un genitore. Ignaro di essere tra i fortunati che continueranno a incassare l’assegno. “E che succede?” continua. “Come mangiano questi bambini senza niente da un giorno all’altro?”.
Non sempre le risposte sono d’aiuto. Spesso anzi finiscono per generare ulteriore caos. “Non è vero che lo tolgono a luglio. Al Caf mi hanno detto che non c’è nulla di ufficiale” dice un utente. Altri riferiscono di telefonate con l’Inps con responsi alterni. “Ho 26 anni e ho una bimba di 3 anni. Sono occupabile o no?” domanda una ragazza. E ancora: “Ho 53 anni, mia figlia è ragazza madre con due bimbe, una di 3 e una di 1 mese. Lo prendiamo il reddito?”.
I dubbi abbondano. Le risposte pure, ma troppo spesso finiscono per essere fuorvianti. “Finisce a luglio o è veramente anche per gli occupabili fino a dicembre?” si chiede una donna. “Sì c’è per tutto l’anno” dice qualcuno tra i commenti, riportando però un’informazione inesatta. Gli fa eco un altro: “Non c’e’ ancora l’applicabilità del decreto (falso, ndr), cioè deve entrare in vigore per cui gli enti non ne sanno nulla”.
Le domande sono le più disparate: “Ma chi frequenta l’università risulta occupabile?”; “io ho 25 anni e vivo con mio fratello di 22. Posso sapere quando finirà?”; “sono vedova e senza reversibilità” scrive una signora, “se mi tolgono il reddito significa che non posso mangiare o pagare l’affitto e le bollette”.
“Da Meloni un abuso di potere, dobbiamo fare come in Francia”
Tra i beneficiari c’è rassegnazione, ma anche tanta rabbia. “C’è un clima di incertezza generale e quando la gente si renderà realmente conto che da agosto in poi non ci sarà nulla sarà un problema” scrive un uomo. “Dovremmo scendere in strada a protestare per i nostri diritti” suggerisce un altro. Che sintetizza così la situazione comune a tanti percettori, occupabili ma non occupati: “Anche se vuoi lavorare il lavoro non c’è. E ormai chiedono referenze anche per pulire i cessi”.
“Quello del governo Meloni è un abuso di potere” argomenta una donna. “Dovremmo scendere tutti in piazza e chiederne le dimissioni. Parlo seriamente”. Una delle espressioni più ricorrenti è “fare come in Francia”.
Ovvero occupare le strade e le piazze per costringere il governo al dietrofront. Qualcuno usa toni più pacati: “Signori del governo, non potete togliere il reddito a chi ha più di 50 anni ed è escluso dal mondo del lavoro. È inutile girarci attorno, non viene assunto, neanche con gli sgravi”.
“Abbiamo sbagliato, abbiamo sottovalutato le elezioni” dice una donna, “non credo ci sia molto da fare purtroppo, o scendiamo in piazza o ci affidiamo a Dio”. “Meloni ha vinto” dice sconsolata una ragazza. Molti incolpano chi non è andato alle urne: “Gli italiani fanno tante chiacchiere, ma pochi fatti”, osserva un’altra. Non manca chi si infervora per il ripristino dei vitalizi agli ex senatori e chi tenta di dare una lettura filosofica alla vicenda: “Il ricco non crede mai al povero, ma il povero crede sempre al ricco”.
Il sostegno per la formazione e il nuovo assegno di inclusione
Ad agosto centinaia di migliaia di italiani saranno in condizioni di oggettiva difficoltà. Al di là di quanto si vociferi sui social e nelle chat, con la circolare datata 12 luglio l’Inps ha confermato che nel 2023 la misura verrà riconosciuta nel limite massimo di sette mensilità, fatta eccezione per i casi (presenza di over 60, disabili o minori) che abbiamo già elencato all’inizio.
Va però anche rimarcato che dal 1° settembre partirà il “supporto per la formazione e il lavoro” che prevede un contributo di 350 euro al mese per le persone di età compresa tra 18 e 59 anni con un Isee inferiore a 6mila euro. Condicio sine qua non per ottenere l’assegno è l’obbligo di seguire dei percorsi di politiche attive per il lavoro. Il beneficio ha però una “data di scadenza”: la durata massima è in effetti di 12 mesi.
In ultima analisi non si tratta di uno strumento contro la povertà, ma di una sorta di indennizzo che viene erogato a chi si impegna a seguire un percorso di formazione professionale per inserirsi nel mondo del lavoro. Per chi a partire da agosto non potrà più contare sul reddito di cittadinanza sarà comunque un aiuto prezioso.
L’assegno di inclusione è invece lo strumento messo a punto dal governo Meloni per sostituire il reddito di cittadinanza. Il contributo, spiegano dal ministero del Lavoro, spetta a tutti i nuclei familiari nei quali ci sono persone con disabilità, minori, over 60 o “componenti in condizione di svantaggio, inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari”. Uno dei requisiti è quello di avere un Isee di 9.360 euro (lo stesso del Rdc).
L’importo dell’assegno, che debutterà nel 2024, può arrivare fino a 6mila euro l’anno (500 al mese), più un contributo affitto di 3.360 euro l’anno, (280 al mese). Se il nucleo è costituito da tutte persone di almeno 67 anni o disabili gravi la cifra sale a 630 euro al mese più 150 euro di contributo per l’affitto. Per determinare gli importi reali bisogna però tenere conto anche della scala di equivalenza che si basa sulla composizione del nucleo familiare. Esattamente come avviene oggi con il reddito di cittadinanza. L’assegno di inclusione è dunque nei fatti molto simile allo strumento che sostituisce. Con la differenza, non proprio trascurabile, che non prevede nessuna tutela per centinaia di migliaia di persone indigenti, ma “occupabili”.
(da today.it)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
ASPETTA UNA CANDIDATURA AL PARLAMENTO EUROPEO
Mistero Rocco. Il presente è nell’ombra, il futuro pieno di interrogativi. Sarà un eurodeputato o ha altre ambizioni?
Per ora Rocco Casalino, plenipotenziario della comunicazione M5S da quasi un decennio, preferisce il silenzio e stare lontano dalle luci della ribalta mediatica. Strano per un uomo abituato fino a poco tempo fa a ritagliarsi un ruolo talmente ingombrante da meritarsi l’etichetta di Richelieu di Palazzo Chigi. Più di un semplice portavoce: un’ombra accanto a Giuseppe Conte nei suoi due governi, sempre presente – come testimoniano le foto sul suo profilo Instagram – con i big della terra, da Xi Jinping a Emmanuel Macron, da Vladimir Putin a Melania e Donald Trump, al Ceo di Apple, Tim Cook. «Sono un sopravvissuto», ha scherzato più volte Casalino in questi mesi.
Il talento di Rocco
E in effetti, “Rocco” – nel Movimento basta solo il nome – lo è. L’ultimo di una specie. Scelto da Gianroberto Casaleggio («la persona più grande che abbia mai incontrato», insieme a Conte, scrive nella sua autobiografia), spin doctor fondamentale nel Movimento guidato da Luigi Di Maio – al punto da suggerire i nomi dei ministri del governo gialloverde – è l’unico big della prima generazione stellata sopravvissuto al cambio di pelle dei Cinque Stelle, da forza anti-sistema a partito progressista. Perché? Abilità nel destreggiarsi con cura tra le personalità anche ingombranti del Movimento e la sua esperienza (e i contatti) nel mondo televisivo. Rocco forma e decide da dieci anni chi va in tv tra i Cinque Stelle («Il mio talento? Individuare chi è comunicativo»), organizza strategie e campagne («Peccato che non mi abbiano mai riconosciuto i meriti per tutta la campagna comunicativa di prevenzione durante il lockdown», c’è chi lo ha sentito rimbrottare). Insomma, è il deus ex machina verso la celebrità. «Senza Rocco, non si va da nessuna parte», dicono gli stellati: un potere che è causa, anche, di attriti e invidie. Tensioni difficili da sedare.
Vecchie etichette
Eppure, paradossalmente, proprio la tv è una nelle spine nel fianco di Casalino. Perché è la tv che gli ha dato la fama. Una fama legata alla sua partecipazione alla prima edizione del Grande Fratello , che il Richelieu stellato ora vorrebbe cancellare. Lui, teorico di una «comunicazione popolare» che sappia andare oltre le maglie rigide degli spazi riservati alla politica, ora sogna un colpo di spugna sul suo passato: «È una etichetta che mi porto addosso nonostante siano passati ventitrè anni e abbia raggiunto traguardi ben più importanti». Televisione, croce e delizia. Proprio le parole dette nel corso della sua ultima apparizione sul piccolo schermo a Belve lo hanno riportato nell’occhio del ciclone interno al Movimento. Lui che, da quando Conte ha lasciato Palazzo Chigi, ha scelto di tenere un basso profilo. Il rapporto con l’ex premier è sempre stato preponderante, a tratti ingombrante, da quando Rocco ha sposato la causa contiana nel 2018. Un binomio solido, specie durante la pandemia. È ancora così? Negli ultimi mesi, secondo le indiscrezioni, qualche parlamentare ha fatto girare voci di contrasti con il presidente Cinque Stelle. Lo scopo – malignano nel Movimento -: indebolire Casalino e riuscire a staccarlo da Conte cosi da togliergli il suo spin doctor più fidato per le campagne elettorali.
La marcia indietro
Lo scorso agosto Casalino avrebbe potuto correre per diventare un parlamentare stellato, ma all’ultimo – dopo che aveva preparato già la documentazione necessaria per prendere parte alla selezione dei Cinque Stelle – ha fatto marcia indietro. Salvo poi mangiarsi le mani. «Sono pentito di non aver partecipato. L’ho fatto per il bene di Conte e del Movimento. Lui mi ha detto: scegli tu, ma è meglio se resti nella comunicazione», ha spiegato a Belve . «Mi è presa l’ansia». D’altronde Rocco ha adottato una massima che è un sistema di vita: «Non conviene mai andare controvento» e anche ora con Giorgia Meloni premier meglio tenere Conte un po’ coperto. Dietro le quinte ha guidato la campagna elettorale delle Politiche 2022 («un risultato inaspettato per tutti, tranne che per me che credo sempre nel Movimento, nessuno pensava di ottenere il 15%») perché «decidere le strategie è uno dei miei compiti».
Nuove occupazioni
Poi è passato a guidare la comunicazione stellata a Palazzo Madama, seguendo le tv e i senatori, rimanendo al fianco di Conte quando si tratta di negoziare le sue presenze sul piccolo schermo e accompagnandolo sempre negli studi televisivi durante le registrazioni. Non a caso è stato immortalato spesso dai fotografi. «Nella sostanza non è cambiato molto. Mi occupo sempre della comunicazione del Movimento e di Conte curando le strategie comunicative. Non c’è stato un reale allontanamento», ha detto. Salvo poi spiegare a luci spente: «Non farmi più vedere a fianco a lui davanti alle telecamere serve a entrambi, chi voleva colpire lui, lo faceva anche usando me».
Chi gli è vicino, parla di contatti costanti, di telefonate fiume con l’ex premier, specie nelle ultime settimane, quando il Movimento in alcune aree del Paese ha toccato alle Amministrative percentuali quasi – per dirla come avrebbero detto Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio qualche anno fa – «da prefisso telefonico». Intanto, Casalino ha fatto di necessità virtù. Il suo stipendio, si dice, è stato tagliato di un terzo rispetto ai tempi d’oro. L’ufficio al Senato è diventato un “fortino” di suoi uomini fidatissimi, pretoriani del casalinismo come modo di comunicazione (e di vita)
Grandi offerte
Ma Rocco c’è o non c’è? Nelle sue stanze ci sono le sue piantine verdi di casa, indizi di una presenza. I rumors di palazzo lo vogliono ancora legato al M5S al punto da rinunciare – lui e il suo compagno – a offerte cospicue a cinque zeri per partecipare ad alcuni reality. «Nessuno crede nel Movimento come ci credo io. E anche in Conte. L’obiettivo è arrivare al 2027 senza esporsi troppo in questa fase», ha spiegato ai collaboratori. Insomma, stare sottocoperta ora perché la strada verso le prossime Politiche è lunga e i leader a livello mediatico si bruciano velocemente specie con un vento che soffia al contrario. Tuttavia c’è chi giura di aver sentito Casalino annunciare più o meno candidamente che scenderà in campo, correrà alle prossime Europee. Circoscrizione Sud, assicurano i ben informati. L’ex portavoce, in teoria, in una competizione dove le preferenze fanno la differenza dovrebbe avere gioco facile a sbaragliare la concorrenza interna e ad assicurarsi uno dei pochi seggi sicuri per il M5S, che fa del Meridione la sua roccaforte.
Oltre le Europee
Lui ufficialmente ripete a tutti di non essere al momento interessato a candidarsi, di «guardare oltre» le Europee. La strada è ancora lunga, esporsi potrebbe essere nocivo. Gioco delle tre carte, un’altra strategia per depistare gli avversari e i detrattori interni o verità? Difficile sciogliere i dubbi. All’appuntamento per Bruxelles manca ancora un anno. Di sicuro Casalino è molto legato all’Italia e a Roma in particolare. Altrettanto certamente l’ex portavoce studierà con attenzione l’andamento delle intenzioni di voto del Movimento nei prossimi mesi. L’ha sempre fatto, Casalino, dettando svolte epocali per i Cinque Stelle, come quando richiamò tutti – big compresi – a non usare toni no vax o a abbandonare l’uscita dall’Euro. Il vero obiettivo potrebbero essere le prossime Politiche, in teoria in programma nel 2027 o al più tardi nella primavera 2028. Per lui, l’uomo che sussurrava i nomi dei ministri, ci potrebbe essere un’altra svolta. «Credete che Rocco voglia davvero andare a Bruxelles?», domanda ironica una persona che lo conosce bene. «Macché Bruxelles, lui punta a farsi eleggere in Parlamento e a diventare ministro».
(da agenzie)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
ECCO COME SI CALCOLANO GLI SCONTI DI PENA
Potrebbero finire di scontare la pena tra il 2039 e il 2040. Ma rischiano di non tornare subito in libertà a causa di altri procedimenti giudiziari. Marco e Gabriele Bianchi, condannati a 24 anni per l’omicidio di Willi Monteiro Duarte, sono in carcere dal settembre del 2020. E se la Cassazione dovesse confermare la pena, già dalla fine del 2039 potrebbero tornare liberi. I due giovani fratelli di Artena erano stati condannati dalla corte d’Assise di Frosinone all’ergastolo. Poi nel secondo grado, grazie alle attenuanti generiche, la condanna è stata ridotta a 24 anni.
La liberazione, però, potrebbe arrivare qualche anno prima del 2044. Perché se i due fratelli dovessero tenere un comportamento esemplare in carcere, dando prova di aver partecipato all’opera di rieducazione, usufruiranno degli sconti previsti dalla buona condotta: 45 giorni in meno, ogni sei mesi. Il calcolo è presto fatto: nel 2039, i giorni accumulati sarebbero circa 1710: ossia 4 anni e mezzo. Che tuttavia potrebbero non bastare: perché sui due fratelli pesa anche un’altra recente condanna in Cassazione per spaccio di cocaina e tentata estorsione. La sentenza è dello scorso giugno. Entrambi sono stati condannati a 4 anni e mezzo.
La liberazione anticipata non è automatica. A decidere è il magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull’Istituto penitenziario. E’ lui a valutare la richiesta del detenuto, che una volta libero deve stare attento a non commettere reati non colposi. A stabilirlo è l’articolo 54, terzo comma, dell’Ordinamento penitenziario, il quale prevede che “La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca”.
Una volta espiata la pena Gabriele Bianchi avrà 45 anni, mentre il fratello Marco 43. Diversa la situazione per Mario Pincarelli, condannato a 21 anni. Nel caso la Cassazione dovesse confermare la condanna, la sua liberazione anticipata potrebbe avvenire già nel 2036. Mentre Francesco Belleggia, condannato a 23 anni, potrebbe essere liberato un anno prima dei due fratelli Bianchi
(da agenzie)
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Luglio 15th, 2023 Riccardo Fucile
SEA WATCH DENUNCIA: “LA GUARDIA COSTIERA SI E’ DIRETTA A LAMPEDUSA, NOI MANDATI NEL PORTO LONTANO DI TRAPANI”
«Non possiamo permettere che un nuovo sequestro lasci senza un assetto di soccorso le persone in pericolo nel Mediterraneo». Sono le parole della ong Sea Watch pubblicate in un comunicato su Twitter, denunciando che nella giornata di ieri, 14 luglio, Aurora, l’assetto veloce di Sea Watch, «si è trovata a operare in un’area del Mediterraneo in cui erano presenti decine di imbarcazioni in difficoltà» e «grazie alle segnalazioni dell’aereo di Pilotes Volontaires l’equipaggio di Aurora è riuscito a individuare 11 imbarcazioni con circa 485 persone a bordo in totale».
La ong, ricostruendo l’intervento di soccorso, spiega che «l’equipaggio di Aurora per ore ha cercato di stabilizzare la situazione distribuendo giubbotti di salvataggio e utilizzando zattere gonfiabili in attesa dell’intervento delle autorità italiane che hanno poi soccorso diverse imbarcazioni».
Ma i soccorsi si sono resi più complicati con l’arrivo della notte, anche a causa del porto assegnato alla ong dalla Guardia Costiera per l’attracco: «Dopo avere ricevuto indicazione dalla Guardia costiera, l’equipaggio ha imbarcato 52 persone da due natanti in grave difficoltà, tra loro 19 donne e 19 minori, di cui 14 non accompagnati e un neonato di un mese. Mentre le motovedette della guardia costiera si dirigevano a Lampedusa, ad Aurora è stato assegnato il porto di Trapani, distante 15 ore di navigazione. Un porto troppo lontano per il nostro assetto, ma che cercheremo lo stesso di raggiungere senza mettere in pericolo la salute delle persone soccorse».
(da agenzie)
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