Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
COME SE NON BASTASSE, SI È AGGIUNTA ANCHE LA REAZIONE, MOLLE COME UN BUDINO, DI ANTONIO TAJANI, CHE HA BALBETTATO SENZA CONDANNARE LE PAROLE DELLA “SUA” PREMIER… NELLA TESTA DEI FIGLI DEL CAV, CHE VANTANO UN CREDITO DA 95 MILIONI CON IL PARTITO, RONZA UNA DOMANDA: CI SERVE ANCORA MANTENERE IN VITA FORZA ITALIA?
Mica l’ha presa bene Marina Berlusconi la risposta della Sora Giorgia, secca come un cassetto chiuso con una ginocchiata, rilasciata ai cronisti a Palermo nel giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio, in merito alla lettera scritta dalla primogenita del Cavaliere.
Una missiva al vetriolo, pubblicata sulla colonne del Giornale (testata storicamente collegata alla famiglia) in cui la figlia del Cav ha lanciato un’invettiva a tutto campo contro stampa e magistrati, colpevoli di aver avviato una campagna di “persecuzione” nei confronti del padre.
A una lettera che accusa apertamente l’esistenza di un asse tra i “pubblici ministeri” e gli “organi di informazione amici” sul presunto coinvolgimento del Cav nelle stragi del 1993, oggetto di un’inchiesta della Procura di Firenze, la Regina di Colle Oppio, priva com’è delle capacità di mediazione di Berlusconi, capace da fantastico piazzista di vendere il giaccio agli esquimesi, che poteva rispondere?
Anche perché, vedi il caso Santanché, il 50 per cento di Fratelli d’Italia, per tradizione, è permeato di giustizialismo.
Ma la tosta risposta della Meloni alla domanda dei giornalisti (“Non posso considerare Marina Berlusconi un soggetto della coalizione perché non è un soggetto politico”), non poteva non scatenare l’indignazione della famiglia Berlusconi. A partire dal comportamento molle come un budino di Antonio Tajani.
A che gioco sta giocando il neo presidente di Forza Italia, quando beccato in Transatlantico, l’ex monarchico ha balbettato: “Ha solo detto che non è un soggetto politico…”. Ovviamente i ronzulliani non aspettavano altro per sputtanarlo. “La posizione di Marina è quella del partito”, ha tuonato Alessandro Cattaneo.
“Il Fatto” di oggi ha aggiunto altra benzina: “Gli azzurri minacciano: “Sulla giustizia Meloni si è accucciata ai magistrati – dice un dirigente azzurro – quando il ddl Nordio arriverà in Parlamento noi andremo dritti sul taglio delle intercettazioni, la secretazione degli atti e la custodia cautelare. Se Meloni non ci sta, la faremo ballare in aula…”
E la domanda che è esplosa nella testa di Marina e Piersilvio, che hanno ereditato i 95 milioni di debiti del partito e solo grazie alle loro fidejussioni che non va in bancarotta, è quella definitiva: alla famiglia Berlusconi serve ancora mantenere in vita Forza Italia?
La risposta nelle prossime puntate….
(da Dagoreport)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
IL REPORT DI GREENPEACE SPIEGA LA BEFFA: “COSI’ SI PREMIANO I MEZZI PIU’ INQUINANTI”
Nel percorso tracciato dall’Unione Europea per costruire un’economia più sostenibile, il settore dei trasporti svolge un ruolo cruciale. In particolare il trasporto aereo, che secondo l’Agenzia europea per l’ambiente è responsabile da solo del 3,8% delle emissioni di CO2 dell’intero continente. L’alternativa più logica per sostituire alcune delle tratte aeree più frequentate è investire sul potenziamento della rete ferroviaria. Ad oggi però, avverte un report di Greenpeace, i viaggi in treno in Europa costano più del doppio rispetto a quelli in aereo, nonostante abbiano un impatto climatico nettamente inferiore. L’analisi dell’associazione ambientalista ha confrontato i biglietti aerei e ferroviari di 112 tratte europee in 9 diversi periodi di tempo. Il risultato: nel 71% dei casi i voli sono più economici dei treni. Questa situazione si deve in parte alle strategie tariffarie spesso aggressive delle compagnie aeree. Per alcune delle tratte prese in analisi, ai passeggeri vengono offerti voli molto economici con uno scalo intermedio, che causano emissioni di gas serra fino a 10 volte superiori rispetto al semplice viaggio su rotaia.
La situazione in Italia
Guardando alla situazione specifica dell’Italia, l’analisi di Greenpeace stima che in media un viaggio in treno è due volte e mezzo più costoso dell’aereo. Un dato che ci pone al quinto posto in Europa nella classifica che misura la differenza di costo tra le due modalità di trasporto. Nelle 15 tratte italiane prese in esame, 13 prevedono biglietti aerei più economici dei loro corrispettivi in treno. Qualche esempio? Per viaggiare da Roma a Parigi si trovano biglietti aerei a partire da 29€, mentre i prezzi del treno partono da un minimo di 73€ e arrivano a superare i 200€. Stesso discorso anche per la tratta Roma-Vienna, che può arrivare a costare fino a 10 volte in più in treno rispetto all’aereo. Per viaggiare da Milano a Lussemburgo il biglietto aereo costa tre volte in meno del treno, mentre da Venezia a Colonia il costo del viaggio su rotaia è di 2.2 volte superiore rispetto a quello in aereo.
I vantaggi fiscali delle compagnie aeree
Secondo Greenpeace, la differenza di costo tra i due sistemi di trasporto si deve innanzitutto a una ragione: i diversi obblighi fiscali. Ad oggi infatti, fa sapere l’associazione, le compagnie aeree non pagano né l’imposta sul cherosene né l’Iva sui voli internazionali. Le compagnie che si occupano del trasporto su rotaia devono invece pagare le imposte sull’energia, l’Iva e in alcuni casi anche elevati pedaggi ferroviari. «L’industria dell’aviazione è uno dei settori più dannosi per il clima e le compagnie aeree possono offrire biglietti a prezzi stracciati perché beneficiano di vantaggi fiscali scandalosi, che spingono i cittadini europei a scegliere i mezzi più inquinanti per viaggiare», commenta Federico Spadini, campagna Trasporti di Greenpeace Italia. «Le compagnie low-cost – aggiunge Spadini – sfruttano ogni scappatoia per abbassare le tariffe, ma i voli da pochi euro sono possibili solo perché sono l’ambiente e i lavoratori a pagare il conto».
Il «biglietto climatico»
Ed è proprio per correggere questa stortura che Greenpeace, insieme a tante altre associazioni ambientaliste, chiede ai governi europei di intervenire per rendere il trasporto ferroviario più conveniente per i cittadini. Una delle soluzioni proposte è il cosiddetto «climate ticket», un biglietto a lungo termine, economico e valido su tutti i mezzi di trasporto pubblico di un determinato Paese. La soluzione è stata sperimentata con successo dalla Germania, che lo scorso anno ha introdotto il «9 euro ticket». L’esperimento è durato tre mesi e ha portato al numero record di 52 milioni di abbonamenti venduti. Al termine del periodo di prova, il governo di Olaf Scholz ha deciso di prorogare la misura ma alzando il prezzo mensile del biglietto a 50 euro. La filiale italiana di Greenpeace ha lanciato una raccolta firme affinché anche in Italia si introduca un «biglietto climatico». Una misura che, secondo i calcoli dell’associazione, potrebbe essere ripagato tassando gli extra-profitti sulle aziende fossili ed eliminando gradualmente le esenzioni fiscali per le compagnie aeree.
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
DALL’INCHIESTA SUL DEPISTAGGIO PER LA STRAGE DI VIA D’AMELIO EMERGE CHE NON C’È TRACCIA DEL DOCUMENTO SUL TRAFFICO TELEFONICO DEL MAGISTRATO. PER I GIUDICI QUESTO “HA INDUBBIAMENTE SOTTRATTO IMPORTANTI PISTE INVESTIGATIVE”
Nell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via d’Amelio non c’è solo il mistero della scomparsa della famosa agenda rossa nella quale Paolo Borsellino annotava i suoi spunti di lavoro. Negli atti del procedimento, concluso il 12 luglio 2022, non c’è traccia di un altro importante elemento: il tabulato delle chiamate in entrata del cellulare di Borsellino.
Il caso è ricostruito, e ora ripreso dal Sole 24 Ore, nella parte conclusiva delle motivazioni della sentenza con la quale due poliziotti della squadra investigativa “Falcone-Borsellino” sono stati prescritti per l’imputazione di favoreggiamento e un terzo è stato assolto.
La scomparsa di quel tabulato, scrivono i giudici del tribunale di Caltanissetta, “ha indubbiamente sottratto importanti piste investigative”. Il tribunale è venuto a conoscenza della scomparsa del tabulato attraverso la testimonianza di Gioacchino Genchi, che nella prima fase delle indagini sulla strage faceva parte della squadra guidata da Arnaldo La Barbera. Poi, lasciata la polizia, è diventato consulente di varie procure.
Il suo lavoro è stato al centro di forti polemiche ma alla fine Genchi è stato scagionato. Sentito come teste nell’udienza dell’11 gennaio 2019, Genchi ha detto di avere segnalato l’anomalia e di avere chiesto i file del tabulato allo Sco, il servizio centrale anticrimine della polizia, che aveva acquisito i dati del traffico telefonico.
Lo stesso Genchi ha ricostruito il dialogo con i suoi ex colleghi: “Voi l’avete acquisito con delega della procura di Caltanissetta. La procura ha disposto che ce lo dovete mandare. Signori miei, mi dite dove è questo traffico?”. Aggiungeva Genchi: “Il traffico telefonico in entrata del cellulare di Borsellino è stato fatto scomparire”.
Riferimenti a quel traffico si trovano, ha segnalato ancora Genchi, in una informativa della squadra “Falcone-Borsellino” dalla quale risultata un contatto il 19 aprile 1992 tra il procuratore Giovanni Tinebra e Borsellino che stava recandosi all’aeroporto Leonardo da Vinci dopo un colloquio a Roma con il pentito Gaspare Mutolo. A un certo punto venne adombrata la spiegazione che i file erano stati corrosi dall’umidità.
(da Ansa)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
SUL LITORALE ROMANO SONO STATI SEQUESTRATI 820 CHILI DI CIBO MAL CONSERVATO… A CAGLIARI I CARABINIERI HANNO SEQUESTRATO 20 CHILI DI FORMAGGI AMMUFFITI
Le irregolarità sono state riscontrate nel 50 per cento dei casi. È questo il bilancio delle ispezioni eseguite dai carabinieri nei luoghi della movida e nelle località turistiche. Da Ponza alla riviera Adriatica, passando per gli eventi e le manifestazioni di Roma, Perugia, Livorno. Fino alla Sardegna. I controlli di bar, chioschi e ristoranti dei militari dei dodici comandi del Nas dell’Italia centrale, sotto il coordinamento del gruppo carabinieri per la Tutela della salute di Roma, hanno riguardato anche i principali eventi estivi.
Da “Tevere Expo” (Nas di Roma) a “Umbria Jazz” (Nas di Perugia) e poi “Tuscia Film Festival” (Nas di Viterbo), “Viper Summer Festival” (Nas di Livorno che hanno eseguito controlli anche nei locali della movida sui litorali della Versilia). Mentre sulla costa romagnola le ispezioni sono state eseguite dai militari di Bologna e in quella adriatica dai comandi di Ancona e Pescara. In azione anche i Nas sardi quelli di Latina, per le verifiche a Terracina e Ponza, e di Firenze, per gli eventi sul Lungarno.
I controlli hanno interessato complessivamente 160 strutture e aziende (sono stati oggetto di verifica anche discoteche e stabilimenti balneari) e per 81 casi sono state riscontrate irregolarità. Per sei locali è stata disposta la sospensione dell’attività a causa di gravi irregolarità igienico-sanitarie e strutturali. In tutto sono state 101 in tutto le violazioni contestate, sia penali che amministrative, le sanzioni, alla fine hanno raggiunto i 117 mila euro.
Circa la metà delle violazioni accertate sono risultate riconducibili a carenze igienico-sanitarie e strutturali di ambienti adibiti alla preparazione e alla somministrazione del cibo. Nelle situazioni più gravi sono stati trovati alimenti, di vario tipo, in cattivo stato di conservazione. Ed è emerso che alcuni ristoranti proponevano come freschi cibi surgelati, mentre in altri mancava l’indicazione sulla tracciabilità del prodotto o sulla presenza di allergeni. Motivi che hanno portato al sequestro di 1.350 chili di alimenti irregolari.
In un ristorante sulla costa cagliaritana orientale, sono stati invece sequestrati oltre 20 chili di formaggi scaduti o muffiti.
Denunce e sequestri dalla Capitale al litorale romano, a Terracina, fino a Ponza. Una maxi operazione del Nas (Nucleo Antisofisticazione e Sanità) dei carabinieri che la scorsa settimana- tra il 13 e il 16 luglio – ha proceduto con controlli e accertamenti sulle attività di ristorazione e somministrazione in tutte le regioni. E che nel Lazio si è concentrata nella Capitale per poi allungarsi sul litorale.
I militari a Roma quindi proceduto tra le attività di Tevere Expo dove sono state riscontrate irregolarità strutturali o igienico sanitarie in 4 strutture. Nello specifico, in un caso il passaggio all’ingresso del locale, a ridosso del Tevere, non era messo in sicurezza. In sostanza, il rischio per i clienti era di cadere nel fiume perché il transito a ridosso della riva, non era assicurato.
Ancora: un’attività non aveva comunicato l’avvio dell’impresa che risultava del tutto irregolare. I carabinieri del Nas hanno proceduto anche con i sequestri perché i prodotti erano malconservati e senza tracciabilità.
I controlli sono scattati anche a Ponza e a Terracina, in particolare nelle cucine dei ristoranti. Il bilancio è stato di una cinquantina di attività controllate tra le due località di mare, che in estate sono letteralmente prese d’assalto dai turisti.
La metà delle strutture è risultata non conforme per i più svariati motivi: 25 le sanzioni amministrative comminate, per un importo di 25mila euro e oltre 820 chili di prodotti sottoposti a sequestro per mancata tracciabilità e, in parte, perché in cattivo stato di conservazione. Venti invece le persone segnalate alle autorità amministrative. A Terracina, dove ad un ristorante del centro è stata sospesa l’attività perché la cucina ed il deposito alimenti erano «interessati da gravi mancanze igienico-sanitarie e strutturali»
A Ponza invece sono scattate sanzioni in 15 strutture su 34 controllate. La più grave riscontrata in questa carrellata di ispezioni è stata quella a carico di un ristoratore dell’isola, il cui titolare è stato denunciato per tentata frode in commercio. Secondo i riscontri del Nas, avrebbe somministrato alimenti congelati sebbene nel menu fossero indicati come freschi; per questo motivo ben 40 chilogrammi di prodotti ittici sono stati sequestrati soltanto a questa attività.
(da il Messaggero)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
KIEV CHIEDE L’INTERVENTO DELLA CORTE DELL’AJA PER UN MANDATO D’ARRESTO CONTRO QUESTO CRIMINALE
Il segretario generale della Croce Rossa bielorussa, Dmitry Shevtsov, ha ammesso a cuor leggero che le autorità di Minsk, col supporto dell’organizzazione da lui coordinata, hanno deportato verso la Bielorussia centinaia di bambini ucraini. Shevtsov ha raccontato candidamente la sua versione dei fatti in un’intervista andata in onda sulla tv bielorussa ieri, mercoledì 19 luglio, e girata a Lysychansk, città del Lugansk occupata dalle forze russe. «Sono stato colpito al cuore dal fatto che la gente accusi la Bielorussia di rapire bambini», dice Shevtsov nell’intervista: «Non posso permettere che sia danneggiata l’immagine di un intero Paese, della Croce Rosse bielorussa o dell’intero movimento mondiale della Croce Rossa, che è impegnato nella protezione dei valori umani, nel salvare vite e aiutare chi ha bisogno, a prescindere da chi sia. È questo ciò che facciamo».
La premessa per un’orgogliosa smentita dell’accusa ai vertici bielorussi di aver contribuito a strappare bimbi ucraini alle loro famiglie per «rieducarli», ragione per la quale la Corte penale internazionale ha spiccato nei mesi scorsi un mandato d’arresto internazionale per il presidente russo Vladimir Putin, oltre che per la commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino Maria Lvova-Belova? Tutt’altro. Il fondamento teorico, se mai, per le azioni compiute e ora rivendicate da Shevtsov, che ha proseguito sostenendo che l’organizzazione da lui diretta ha contribuito al trasferimento di centinaia di bambini dall’Ucraina per «migliorare la loro salute».
«La Croce Rossa bielorussa ha preso, sta prendendo e continuerà a prendere parte in questo», ha scandito ai microfoni della tv nazionale Shevtsov, ribadendo che l’intento dell’iniziativa era ed è quella di aiutare i ragazzini a sfuggire alla guerra e ai suoi traumi. In Bielorussia, rivendica spudoratamente l’uomo, «i bambini dimenticano gli orrori della guerra, possono riposarsi, e sentono di aver trovato un’isola di felicità».
I numeri dell’orrore
Già lo scorso mese, ricorda il Kyiv Post, la Croce Rossa bielorussa aveva fatto sapere di aver «salvato» oltre 700 bambini ucraini, nel quadro di un progetto cofinanziato dalle autorità di Mosca e di Minsk. Queste ultime hanno confermato di «ospitare» nel Paese «per ragioni di salute» oltre mille minorenni, compresi tra i 6 e i 15 anni, provenienti dalle zone dell’Ucraina occupate dalla Russia. Il primo gruppo di bambini sarebbe arrivato a destinazione ad aprile, hanno fatto sapere le autorità. Ma i numeri reali potrebbero essere più ampi.
L’attivista dell’opposizione bielorussa Pavel Latushka, come ricordano i media svizzeri, ha detto nelle scorse settimane di avere raccolto le prove del trasferimento forzato nel Paese di 2.100 bambini ucraini proveniente da almeno 15 diverse città ucraine occupate, con il consenso diretto del dittatore Aleksandr Lukashenko. Prove che Latushka dice di aver inviato alla Corte dell’Aja per corroborare le indagini internazionali sui crimini di guerra.
Scandalo e proteste
Dopo la messa in onda del servizio il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha tuonato, chiedendo che la Corte penale spicchi un mandato d’arresto internazionale per Shevtsov, considerato che questi ha «confessato pubblicamente il crimine di deportazione illegale di bambini dalle aree occupate dell’Ucraina». La stessa Federazione Internazionale della Croce Rossa, con sede a Ginevra, ha preso immediatamente le distanze dalla sua associazione affiliata bielorussa, facendo sapere di aver ordinato l’apertura di un’indagine indipendente sulle «possibili violazioni dell’integrità» dell’organizzazione e chiarendo che le affermazioni di Shevstov non rappresentano la Federazione.
Il tema della deportazione di migliaia di bambini ucraini verso la Russia è come noto il primo nell’agenda della mediazione voluta da Papa Francesco e affidata al cardinale Matteo Zuppi, che nelle scorse settimane ha visitato prima Kiev e poi Mosca, chiedendo segnali concreti per risolvere la questione ai vertici del Cremlino e alla stessa «commissaria» Lvova-Belova.
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
I NAZIONALISTI SI SENTONO TRADITI: LEI, CON UN PASSATO NEL CLUB DELL’ESERCITO E LA FAMA DI ATLETA SIMBOLO DEL PUTINISMO, SI DIFENDE DALLE ACCUSE DI AVER ACQUISTATO 2 VILLE ALLE CANARIE PER OTTENERE IL PERMESSO DI SOGGIORNO: “SONO UNA DONNA DI MONDO”
Elena Isinbaeva era abituata a scalare il cielo un centimetro alla volta, non di certo a rintuzzare i colpi delle polemiche. Eppure alla più grande atleta nella storia del salto con l’asta stavolta tocca indossare i guantoni. Da quando il giornale El Digital Sur ha rivelato che vive a Tenerife, nelle Isole Canarie spagnole, Isinbaeva sta prendendo pugni da tutte le parti.
Dai collaboratori dell’oppositore Aleksej Navalnyj che chiedono come mai sia libera di vivere in Europa. E dai nazionalisti che si sentono traditi.
Tanto rumore perché in Russia lo sport non è soltanto sport e Isinbaeva non era soltanto una sportiva. Prima donna a sbriciolare il muro dei 5 metri, 28 record mondiali, due ori olimpici, è stata anche rappresentante di Vladimir Putin in vista delle presidenziali del 2012, membro del “Putin Team” di atleti che sostenne la sua ricandidatura nel 2018 e parte della commissione che nel 2020 contribuì a riscrivere la Costituzione che gli permetterà di restare al potere. Isinbaeva per di più gareggiava per il Cska, il club dell’esercito, e nel 2015 era stata insignita del grado di maggiore dal ministro della Difesa Sergej Shojgu.
Secondo il team di Navalnyj, avrebbe acquistato un attico e due ville nelle Canarie e ottenuto così il permesso di soggiorno. Un’ingiustizia, protestano. Lei replica: «Sono una donna di mondo, lo sono sempre stata e lo resterò ». Ma per prendere le distanze da Putin e dalla sua offensiva, ci vuole di più.
(da la Repubblica)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
LA VERITA’ SECONDO PRIGOZHIN CHE SMENTISCE IL CREMLINO
Sono 22.000 i combattenti Wagner uccisi nella guerra in Ucraina, quasi un quarto del numero totale del gruppo paramilitare che ha combattuto nel Paese.
A riportarlo è un canale Telegram, affiliato al gruppo Wagner, secondo una analisi che sarebbe stata stilata da Yevgeny Prigozhin stesso. «Un totale di 78.000 combattenti della PMC Wagner hanno partecipato alla missione ucraina», si legge in una dichiarazione pubblicata nella tarda serata di mercoledì sul canale Telegram.
«Al momento della cattura di Bakhmut (20 maggio), 22.000 combattenti sono stati uccisi e 40.000 feriti», si legge nella nota. L’intelligence statunitense, questo febbraio, riportava per Wagner 9mila morti su un totale di 30.000 perdite russe sul campo. Gran parte dei decessi si registrano nella battaglia della città orientale di Bakhmut.
I numeri che sembrano smentire il Cremlino
Il mese scorso Prigozhin ha lanciato un ammutinamento contro i vertici militari russi e ha fatto marciare migliaia dei suoi uomini fino a 200 chilometri da Mosca. Il Cremlino è riuscito a fermare il gruppo paramilitare frammentandolo. Con un accordo raggiunto con il dittatore bielorusso Alexander Lukashenko, ai combattenti della Wagner è stata data la possibilità di deporre le armi, tornare a casa, andare in esilio in Bielorussia o firmare contratti con il ministero della Difesa russo. Secondo quanto sostenuto mercoledì da Vladimir Shamanov, deputato russo e colonnello generale in pensione delle Forze Armate, circa 33.000 wagneriani hanno optato per quest’ultima opzione. Informazione questa che il canale vicino a Prigozhin sembra smentire: «Un totale di 78.000 combattenti della PMC Wagner hanno partecipato alla missione ucraina. Di questi, 49.000 sono prigionieri dei campi. Al momento della cattura di Bakhmut (20 maggio), 22.000 combattenti sono stati uccisi, 40.000 feriti. 25.000 sono vivi e in salute, più i feriti in cura. Di questi, circa 10.000 sono partiti e stanno partendo per la Bielorussia. 15.000 sono già andati in congedo. Non so da dove provengano i 33.000 che sono partiti per l’esercito». «Se tutti quelli che sono stati uccisi e sono in congedo hanno firmato dei contratti – chiude ironica la nota – allora è possibile». Mercoledì scorso, in un messaggio video pubblicato sullo stesso canale Telegram, Prigozhin ha annunciato che le truppe di Wagner non sarebbero tornate a combattere in Ucraina, ma sarebbero rimaste in Bielorussia per addestrare le forze armate locali. Parte dei mercenari potrebbe, nelle prossime settimane, aumentare le squadre attive da anni in Africa, in particolare nel Mali e nella Repubblica Centrafricana.
(da Open)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
L’AGENZIA DELLE ENTRATE NON HA ANCORA PRESO UNA DECISIONE SULLA PROPOSTA DEL GRUPPO DI RATEIZZARE IN 10 ANNI DEL DEBITO DA 1,2 MILIONI
A fatica e con un ritardo di oltre cento giorni, la richiesta di proroga che «ufficializza» le indagini su lei è arrivata a destinazione. Precisamente alle 11, 40 di lunedì 17 luglio. E adesso? Cosa farà la ministra Daniela Santanchè dopo che, tre giorni fa, un postino è riuscito a consegnare nelle mani di una «addetta alla gestione» della sua villetta in stile liberty da sei milioni di euro l’atto giudiziario più atteso e scontato del mondo?
Difficile smentire ora ciò che non avrebbe potuto negare neppure lo scorso 5 luglio. Quando, sventolando il certificato del casellario giudiziale davanti al Senato, ha assicurato di non essere coinvolta in alcuna inchiesta. Oppure quando ha minacciato di querela chi in tv e sui giornali raccontava ciò che ora lei potrà tranquillamente rileggere su una richiesta di proroga di indagini, che la vedono accusata di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta.
A una settimana dal voto della mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni in Senato – previsto per il 26 luglio – non sono pochi i fronti di indagine che rischiano di travolgerla. Perché, se è vero che dall’accusa di bancarotta fraudolenta potrebbe salvarsi evitando il fallimento dell’ultima società ancora in bilico del gruppo Visibilia, grazie alla «transazione fiscale» proposta alla Agenzia delle entrate, che le permetterebbe di spalmare in dieci anni i debiti, più difficile per la ministra sarà giustificare tutto il resto. Nel fascicolo principale, sulla gestione delle società editrici di riviste come Novella 2000 e Visto, è accusata anche di falso in bilancio.
Dopo l’intervista concessa a Report, gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf hanno convocato e ascoltato la ex investor relator officer di Visibilia, Federica Bottiglione, che ha raccontato come, inconsapevole di essere in cassa integrazione a zero ore, da marzo 2020 a novembre 2021, in piena pandemia, abbia continuato a lavorare in azienda. Peraltro mentre, part-time e con partita iva, faceva l’assistente parlamentare del senatore Ignazio La Russa, collaborando anche con Santanchè. Su questa vicenda, la procura diretta da Marcello Viola ha aperto un nuovo fascicolo, senza indagati e ipotesi di reato, nell’ambito del contenitore di indagini su Visibilia.
In cui è confluita anche la segnalazione di operazione sospetta di Bankitalia sulla villa a Forte dei Marmi, che i coniugi di Santanchè e La Russa hanno acquistato e rivenduto, con un guadagno lordo di un milione di euro in 58 minuti, e il grosso dei soldi anticipati dall’acquirente, l’imprenditore Antonio Rapisarda.
C’è poi il capitolo Ki Group in un fascicolo senza indagati che si riempie di accertamenti della Gdf nelle mani del pm Luigi Luzi, che dovrà decidere se formalizzare la richiesta di fallimento anche del colosso bio gestito dal 2011 da Santanché e il compagno Dimitri Kunz. E, ancora, l’inchiesta sulle presunte manipolazioni di mercato del fondo di Dubai, Negma
(da la Stampa)
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Luglio 20th, 2023 Riccardo Fucile
“SERVE UNA RIFORMA COMPLESSIVA PER AVERE PIÙ VETTURE IN STRADA FIN DA SUBITO”, MA L’AUMENTO DELLE LICENZE NON È IN AGENDA… QUANDO IL CENTRODESTRA FACEVA LE BARRICATE INSIEME AI TASSISTI CONTRO DRAGHI E LE NORME CHE AVREBBERO SPALANCATO LE PORTE A UBER
Dopo aver incoraggiato e sostenuto per anni le proteste dei tassisti, il centrodestra scopre improvvisamente che nelle grandi città italiane – Roma e Milano su tutte – c’è un problema di offerta di auto bianche. «Serve una riforma complessiva per avere più auto in strada fin da subito», è il ragionamento che il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha fatto ieri incontrando 30 sigle sindacali del settore.
Quello dei taxi è uno dei comparti più corporativi che ci sono in Italia, da sempre recalcitranti ad accettare minime aperture al mercato per conservare uno status quo fatto di poche licenze e pochi concorrenti.
Esattamente un anno fa, grazie anche alle consuete manifestazioni capaci di mettere a ferro e fuoco Roma, i tassisti esultavano per aver costretto Mario Draghi a stralciare dalla legge sulla concorrenza le norme che avrebbero portato le auto bianche ad adeguare l’offerta dei loro servizi anche attraverso l’uso di applicazioni come Uber.
Un successo arrivato grazie all’appoggio di un centrodestra sulle barricate, con il leghista Edoardo Rixi (allora nella maggioranza che sosteneva Draghi) e il meloniano Francesco Lollobrigida (all’opposizione) schierati in difesa di un comparto minacciato – secondo loro – dalla «sleale competizione delle multinazionali». E cosa ha portato quella vittoria politica? Taxi introvabili a Roma e Milano e in tutte le città d’arte dove i turisti sono tornati in massa dopo la pausa del Covid. La domanda di mobilità è alle stelle, l’offerta sempre quella, e un servizio così scadente non può che mettere a rischio la candidatura della capitale all’Expo 2030.
Salvini, infatti, è deciso a intervenire anche alla luce dei futuri appuntamenti, come appunto l’esposizione universale e il Giubileo per Roma o le Olimpiadi per Milano. «E’ necessario trovare soluzioni per migliorare il servizio nell’interesse di tutti», dice il leader della Lega. Salvini però non ha messo sul tavolo alcuna proposta, si è preso tempo per «studiare le migliori soluzioni possibili per garantire un servizio più efficiente».
I tecnici del Mit effettueranno un approfondimento per verificare i numeri aggiornati delle licenze, e oggi il vice premier incontrerà i sindacati del settore Ncc, ovvero il noleggio con conducente, rivali dei tassisti.
Attualmente Roma è dotata di quasi 7.800 licenze e l’ultimo bando risale al 2006. I tempi per salire in macchina sono lunghissimi e le file interminabili. Milano può contare invece su circa 4.800 licenze, inadeguate a fronteggiare il boom di turisti. Per questo la scorsa settimana la giunta di Beppe Sala ha chiesto mille licenze in più alla Regione.
(da la Stampa)
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