Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
A MEDIASET STA CRESCENDO IL MALCONTENTO VERSO COLUI CHE VIENE SOPRANNOMINATO “IL MELONCINO”
A Mediaset, di un programma in prima serata per Andrea Giambruno non parla più nessuno. Sparito dai radar. La promessa di un talk nel prime time di Rete 4 per il giornalista compagno di vita di Giorgia Meloni non trova conferme. E viene il sospetto che ai piani alti del Biscione, dopo gli ultimi incidenti di percorso dell’anchorman sul cambiamento climatico e sul ministro tedesco “nella Foresta Nera”, ci abbiano ripensato.
Intendiamoci, di ufficiale non c’era nulla: alla presentazione dei palinsesti lo scorso 5 luglio a Cologno non s’era fatto cenno all’ipotesi. Il direttore dell’informazione, Mauro Crippa, si era limitato a sottolineare l’importanza di valorizzare un prodotto come Diario del giorno, il programma quotidiano che Giambruno conduce nel pomeriggio di Rete 4. E in quel “valorizzare” alcuni hanno inteso un cambio di orario, in una fascia con maggiore ascolto.
Ora però, se gli incidenti dovessero continuare, potrebbe essere a rischio anche Diario del giorno. “Se ne combina una ogni volta che va in onda, qualcuno dovrà porsi il problema”, è il ragionamento che si fa nelle redazioni tra Cologno e il Palatino a Roma. Ma che dentro Mediaset stia crescendo il malcontento verso colui che viene soprannominato “il Meloncino” lo si è visto anche sui social, dopo la polemica sul clima, quando il conduttore ha minimizzato sul caldo oltre i 40 gradi.
“È luglio, fa caldo, non mi sembra una gran notizia”, le parole di Giambruno, che poi con poca eleganza ha tolto la parola alla sua inviata che cercava di dimostrare il contrario. “No, ma tutto bene, a luglio il tempo è questo”, ha twittato Lella Confalonieri (vicedirettrice di Videonews e nipote di Fedele, presidente Mediaset: non proprio l’ultima arrivata), dopo il nubifragio che ha colpito Milano. Aggiungendo un sarcastico “lo dice anche il signor Meloni…”.
È intervenuta pure Laura Cannavò, giornalista politica del Tg5: “Eh sì, aspetta, chi l’aveva detto? L’ho sentito in quel programma di Rete 4. Diario del giorno?”. “La mia frase sul caldo non era correlata alla grandine che poi s’è abbattuta su Milano, quella sì che era una notizia”, ha spiegato Giambruno ieri al Corriere. Insomma, piccole-grandi perfidie tra colleghi, anche perché si sa, specie in tv, quando si assegna un programma a qualcuno, scattano invidie e gelosie. Ma comunque un segnale d’insofferenza dalla pancia di Mediaset verso Mr Meloni.
Al momento, però, il giornalista gode ancora dei benefici del patto Marina-Giorgia, con la sponda di Pier Silvio, che ha fatto cessare il controcanto forzista dei primi mesi di governo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
PARLANO QUELLI CHE DA 50 ANNI HANNO ACCETTATO TUTTO PER UNA POLTRONA: TRA TUTTI E DUE NON SI SA CHI FA PIU’ PENA
C’è un pezzo di Fratelli d’Italia che non è soddisfatta del viaggio di Giorgia Meloni negli Stati Uniti. La sua svolta istituzionale, governista, filo-americana, filo-Ucraina, pienamente inserita nei giochi di Bruxelles (e non più anti-Sistema) non è andata giù agli ex missini che ricordano la Fiamma collocata altrove.
Già la presenza al governo di una “esterna” come Daniela Santanché è un cazzotto nello stomaco per gli ortodossi di Colle Oppio. I guai giudiziari della Pitonessa e il conseguente attaccamento alla poltrona sono kryptonite per chi si è sempre riconosciuto in una Destra legalitaria e un po’ manettara. Senza contare le accuse di stupro al figlio di Ignazio La Russa e gli scivoloni, uno dopo l’altro, del presidente del Senato (dai nazisti uccisi a via Rasella “banda di semi-pensionati” fino alla difesa d’ufficio di Lorenzo Apache, “mio figlio non ha compiuto atti penalmente rilevanti”).
C’è un 25% di Fratelli d’Italia che soffre, alla faccia del partito monolite: una fronda insorgente non si riconosce nella rapida trasformazione della Ducetta. A palazzo Chigi, obnubilata dal potere, “io so’ Giorgia” ha iniziato a coltivare il sogno di diventare la “Merkel del Mediterraneo” tra un “piano Mattei” e l’ambizione di essere la zarina dei Conservatori al Parlamento europeo. Del passato, chissenefrega! In poco tempo, da trumpiana è diventata amica di Biden davanti al quale si è pure convertita all’ecologismo, riconoscendo l’emergenza del “climate change”.
L’intervista de “la Stampa” a Gianni Alemanno, ex colonnello di Alleanza nazionale è un segnale al mondo mal-destro inquieto per il nuovo corso della Meloni. L’ex sindaco di Roma attacca il filo-atlantismo senza limitismo della premier, il suo ruolo subalterno a Washington.
Ha parole durissime anche sull’errore di non riconoscere le emergenze economiche del Paese con la necessita’ di introdurre il salario minimo.
Finisce sulla graticola anche il taglio al reddito di cittadinanza “senza creare un’alternativa, non è la strada giusta”. E’ il grido di dolore, o di rancore, di un mondo ex missino che è insofferente per il liberismo filo-confindustriale che la premier ha deciso di abbracciare.
Il “fuoco amico” di un ex compagno di partito dei tempi di An è una spia di instabilità che inizia a montare anche all’interno della coalizione di Destra-centro, dove i tre partiti (Fdi, Lega e Forza Italia) sono in disaccordo su molti e temi e ciascuno ha, al suo interno, spinte centrifughe in grado di destabilizzare il governo (altro che maggioranza coesa, come amano ripetere i ministri e i menestrelli di Giorgia).
Sull’Autonomia regionale la Lega spinge, incalza e, soprattutto, minaccia. Da Zaia a Calderoli, non sono mancati “pizzini” al governo: la riforma s’ha da fare, pena la fine dell’alleanza e tanti saluti al governo. I leghisti riescono a litigare con i Fratelli d’Italia perfino sulle vicende marginali, come la decisione del Consiglio regionale del Veneto di invitare il filo-Putin Alessandro Orsini a tenere una “lectio magistralis”. I meloniani hanno disertato l’incontro in polemica con una scelta considerata inopportuna. Reciprosco scambio di accuse e via svelenando.
In Forza Italia l’apparente stabilità, con Tajani in versione Re Travicello, è solo un effetto ottico. Non solo perché la minoranza di Ronzulli, Mule’ e Cattaneo spinge per ribalatare i rapporti di forza, ma perché dopo il Congresso di aprile 2024 e le europee di giugno, i figli del Cav dovranno capire cosa farsene di un partito costoso, indebitato e non funzionale agli interessi della Real Casa.
Se Forza Italia deflagra, con conseguente diaspora di deputati e senatori, il governo puo’ andare in affanno. Persino finire gambe all’aria: al Senato la maggioranza non un vantaggio così rassicurante…
E poi ci sono le tensioni internazionali con la Francia, la sconfitta in Spagna di Vox, le polemiche interne per le esternazioni fuori luogo del “first boyfriend” Andrea Giambruno, le tensioni con i magistrati per la riforma della Giustizia, l’insofferenza di Pechino per la decisione di smollare “la Via della Seta” (con elevato rischio di contraccolpi economici per l’Italia).
Il Quirinale è indispettito per alcune scelte del governo, dalla Giustizia alle concessioni balneari fino ai rapporti internazionali (il Colle non vuole problemi con l’amico Macron). Se aggiungiamo i continui botta e risposta con l’Europa per i ritardi sul Pnrr, le tensioni di piazza per il taglio al reddito di cittadinanza e il movimentismo di Matteo Salvini, che un cantiere e l’altro vuole riprendersi la scena, si inizia ad annusare un autunno caldo per donna Giorgia. E sono passati solo pochi mesi dall’inizio del suo governo. Auguri!
(da Dagoreport)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
IN PRIMO LUOGO “L’INTESA NON E’ VINCOLANTE”. LA TUNISIA SI E’ IMPEGNATA A RIMPATRIARE CON CALMA SOLO I SUOI CITTADINI… LE MODALITA’ DI EROGAZIONE DEI FONDI EUROPEI RESTANO VAGHE
Mentre si registrano periodicamente le evidenze nefaste del memorandum firmato con la Libia sette anni fa, l’Unione europea sigilla un nuovo patto disumano, questa volta con la Tunisia.
Dopo settimane di trattative l’accordo che prevede il sostegno finanziario da Bruxelles in cambio dell’attuazione di riforme economiche e (soprattutto) del controllo delle frontiere è stato firmato a Tunisi dal presidente tunisino Kaïs Saïed, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal premier dimissionario olandese Mark Rutte.
Sulla carta, il memorandum d’intesa è una dichiarazione d’intenti politica tra Unione europea e Tunisia per migliorare le relazioni bilaterali e affrontare le sfide comuni in modo «strategico e globale».
Il testo non è vincolante di per sé, ma presenta una serie di piani d’azione da trasformare in strumenti giuridici approvati dagli Stati membri prima di essere attuati. Gli ambiti di cooperazione sono cinque: stabilità macro-economica, commercio, transizione energetica, scambi e contatti fra le popolazioni, e migrazione.
Condizioni vaghe
Per ognuno ci sono progetti di investimento e cooperazione, molti dei quali comportano l’erogazione diretta di fondi dal bilancio dell’Ue: in tutto più di 700 milioni, a cui potrebbero aggiungersene presto altri 900 vincolati alle riforme prescritte alla Tunisia dal Fondo monetario internazionale.
Nel dettaglio, ci sono 150 milioni di euro come sostegno al bilancio del governo tunisino dato che il Paese è considerato sull’orlo della bancarotta, 307,6 milioni di euro per lo sviluppo di Eelmed, un cavo sottomarino per lo scambio di energia elettrica e altri 150 milioni (in questo caso comprensivi di prestiti della Banca europea per gli investimenti) per la costruzione di Medusa, un altro cavo sottomarino che utilizzerà la tecnologia della fibra ottica per consentire ai tunisini la connessione a Internet.
Per la gestione specifica dei flussi migratori sono previsti 105 milioni, da utilizzare per combattere il traffico di esseri umani, rafforzare la gestione delle frontiere e rimpatriare nei Paesi d’origine le persone arrivate in Tunisia irregolarmente.
Il denaro sarà fornito alle autorità tunisine sotto forma di motovedette per la ricerca e il salvataggio, jeep, radar, droni e altri tipi di attrezzature per il pattugliamento, ma anche alle organizzazioni internazionali che lavorano sul campo, come l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr).
La Tunisia si impegna a sostenere la riammissione dei propri cittadini che si trovano irregolarmente nell’Ue – attenzione, non quelli di altri Paesi – ma l’erogazione dei fondi non sarà legata ad alcun obiettivo numerico di riammissioni annuali o di riduzione degli arrivi, né conterrà disposizioni aggiuntive sui diritti umani, oltre alle tradizionali clausole che l’Unione europea attribuisce ai suoi programmi di cooperazione con Paesi terzi. E su questo punto, ossia sulle modalità delle appropriazioni di fondi, il testo dell’accordo è molto vago. Così come le eventuali condizionalità che i leader europei legittimamente imporrebbero alla Tunisia.
Veri propositi
Un aspetto di non minore importanza, che sembra “sfuggire” ai leader europei, è che lo scioglimento del Parlamento tunisino, l’arresto degli oppositori, i processi ai giornalisti, fanno del presidente tunisino Kaïs Saïed un interlocutore difficile da annoverare tra gli esempi di quei valori che a Bruxelles si sbandierano. Il presidente ha acquisito un potere quasi assoluto dopo la sospensione del parlamento del Paese nel 2021. Le autorità hanno messo sotto indagine e, in alcuni casi, arrestato almeno 72 esponenti dell’opposizione e altre persone critiche nei confronti del capo dello Stato, accusandoli di vari reati.
Ma l’Ue si genuflette a queste logiche e in nome della real politik, anche questa volta, preferisce chiudere gli occhi. Perché? Perché ha bisogno dell’energia tunisina (gas, ma pure interconnessioni agli impianti di energia da fonti rinnovabili) e di progressi sull’immigrazione, dossier che continua dividere gli Stati dell’Unione.
Al momento la cosiddetta «dimensione esterna» della questione migratoria, vale a dire accordi con Paesi di origine e transito per bloccare le partenze, resta l’unico vero collante tra i Ventisette. Per questo attuare il protocollo Ue-Tunisia per Von der Leyen, Meloni e Rutte è così importante.
Pare chiaro che dietro la volontà di combattere i trafficanti di esseri umani evidenziata nel memorandum, ancora una volta l’Unione europea intenda velatamente offuscare i propri reali obiettivi, ovvero fermare i migranti.
Inoltre, nonostante gli annosi tentativi di focalizzare le politiche sull’eliminazione dei trafficanti, i migranti continuano a utilizzare le rotte Mediterranee per raggiungere l’Europa. A conferma del fatto che invece di piegarsi ad accordi di breve periodo e di dubbio rispetto dei diritti umani, sarebbe più utile e lungimirante lavorare sulle cause delle migrazioni, tra cui il cambiamento climatico, le erosioni dei diritti civili, e le persecuzioni di oppositori politici nei Paesi di provenienza, e ancor più i conflitti e la crisi alimentare.
Senza garanzie
Nonostante gli obiettivi di stabilità e sviluppo, questo accordo pare più che altro rafforzare il potere assoluto del presidente tunisino. Un leader che dopo aver eliminato gran parte dei suoi rivali politici e imposto una costituzione che rimuove ogni controllo sulla sua autorità, non pare però avere le capacità di risolvere i problemi economici del Paese. Ma i governanti europei paiono puntare su di lui, sacrificando l’imposizione di qualsiasi condizionalità sull’altare del controllo dei migranti. Inoltre, nello specifico non pare esserci alcuna garanzia che i fondi dell’Unione europea finanzino adeguatamente le forze di sicurezza e la guardia costiera.
È sconcertante registrare che nello stesso periodo in cui la Tunisia e l’Unione europea si apprestavano a firmare questo accordo, le autorità della nazione nordafricana abbiano lasciato centinaia di persone, bambini compresi, intrappolate alle frontiere desertiche del Paese, inizialmente prive di acqua, cibo o riparo.
Se dal punto di vista politico i recenti sviluppi costituiscono dunque dei passi avanti, il contenuto del memorandum suscita invece più di un dubbio, a partire dalla mancanza di forme concrete di salvaguardia contro le violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità tunisine contro i migranti.
Anzi, la legittimazione politica che il presidente Saïed trae dalla firma di un accordo di questo genere potrebbe anche rassicurarlo sulla possibilità di proseguire con questa condotta. Rafforzando i poteri del presidente tunisino Kaïs Saïed e indebolendo lo stato di diritto nel Paese, un tale accordo pone le basi per rafforzare i trafficanti e incentivare la migrazione illegale piuttosto che frenarla.
Inoltre, con il rafforzarsi di un’ulteriore dittatura in Nord Africa, l’Italia e l’Europa tacitamente ne avallano la deriva sempre più autocratica, allontanando la regione dallo stato di diritto e costruendo partenariati con leader fragili, inaffidabili e non sottoposti ad alcun controllo democratico. Non occorre certo ricordare quanto accaduto – e ancora accade – in Libia, un Paese senza stabilità e insicuro per migranti e cittadini per comprendere gli effetti di un tale approccio politico.
Tutti scontenti
La firma dell’accordo ha scatenato le reazioni di più parti politiche in Italia. Il segretario di +Europa Riccardo Magi definisce «un errore» quello di «pagare un regime, come quello della Tunisia, che non dà alcuna garanzia del rispetto dei diritti umani. Il risultato – spiega Magi – sarà che noi copriremo di soldi Tunisi, che per tenersi i migranti i primi mesi commetterà le peggiori violazioni dei diritti e della dignità delle persone, per poi tra qualche mese ritrovarci al punto di partenza, con gli sbarchi che non si fermeranno, i centri di accoglienza pieni e centinaia di persone che oltre a fuggire dal loro paese d’origine saranno costretti a scappare anche dalle carceri tunisine».
Dello stesso tenore è anche la riflessione di Emergency che sottolinea come l’accordo sia stato «stipulato sulla pelle delle persone»: «Il copione applicato in Libia – spiega la ong – è destinato a ripetersi: anziché gestire la migrazione in modo strutturale e umano, l’Europa sceglie ancora di appaltare la gestione dei flussi migratori a un Paese insicuro e instabile». I parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Politiche Ue di Camera e Senato sottolineano come l’accordo rischi «di essere inutile» e di «alimentare reati, visti i gravi crimini contro i migranti sub-sahariani commessi dalle forze dell’ordine tunisine e la repressione di ogni dissenso politico e civile nel Paese».
Come ricorda l‘associazione Baobab Experience, «il memorandum è arrivato nonostante tutto, con una Tunisia in piena campagna razzista e xenofoba ad opera dello stesso presidente Saïed. Nel mirino, i migranti subsahariani residenti in Tunisia o in transito verso l’Europa». Del resto, Saïed nega tutto: «Gestione dei migranti violenta? Fake News dalle ong». «Questo accordo mal ponderato, firmato nonostante le evidenti prove di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità tunisine, comporterà una pericolosa proliferazione di politiche migratorie già fallimentari e segnalerà l’accettazione da parte dell’Unione europea di un comportamento sempre più repressivo da parte del presidente e del governo di Tunisi», ricorda anche Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee.
Trasformare la Tunisia nella nuova Libia non è la soluzione alla questione migratoria, ciò rende l’Unione europea complice delle sofferenze che inevitabilmente ne deriveranno.
(da TPI)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELL’ENPA: “ERANO ESCURSIONISTI O ERANO ARMATI? CHE CI FACEVANO ALLE SEI DEL MATTINO SU QUEL SENTIERO DIRETTO A UNA POSTAZIONE DI CACCIA?”
L’incontro con l’orsa, le grida, l’inseguimento, la fuga lungo il sentiero, l’arrampicata su un albero nel tentativo di salvarsi e la caduta su una pietra con una contusione al costato. Paura per due giovani cacciatori in Trentino. Ed è già polemica.
Tutto è accaduto questa mattina, 30 luglio, intorno alle 6 di mattina. Quando due giovani cacciatori, entrambi ventenni e residenti a Roncone, sono saliti in montagna per un’escursione.
A un certo punto però hanno incontrato un’orsa accompagnata da un cucciolo che dormiva sul sentiero Mandrel, che porta a malga Avalina (1.970 metri), a monte dell’abitato di Roncone, in una zona lontana dal paese. Avvertita la loro presenza, l’orsa si è spaventata ed ha inseguito le i due uomini, che hanno gridato e sono fuggiti.
Uno dei due si è precipitato lungo il sentiero di ritorno, mentre l’amico si è arrampicato su una pianta, dove l’orsa lo ha inseguito, con una zampa gli ha agganciato lo scarpone facendolo rovinare al suolo. Poi i due orsi si sono allontanati. Il giovane, caduto su una pietra, si è rialzato e ha continuato a correre ma ha rimediato una contusione al costato ed è ora in osservazione all’ospedale di Tione.
Sul posto è intervenuta l’unità cinofila del Corpo forestale, che ha compiuto i necessari sopralluoghi per ricostruire l’esatta dinamica dell’episodio ed ha recuperato l’attrezzatura degli escursionisti. Successivamente saranno raccolti eventuali campioni genetici per stabilire l’identità dell’orso protagonista del falso attacco.
Proprio a Roncone, qualche giorno fa, è stato avvistato un orso mentre girava per le strade del paese, immortalato in un video postato sui social.
Secondo La voce del Trentino, uno dei due cacciatori feriti avrebbe dichiarato al pronto soccorso: “Eravamo appena scesi dalla macchina. Ormai non so più cosa dire, dobbiamo rimanere reclusi in casa per paura di morire, siamo ormai alla follia”.
L’Enpa invece, Ente nazionale di protezione degli animali, chiede verifiche: “Cosa ci facevano alle sei del mattino due cacciatori su un sentiero diretto ad una postazione di caccia a 1.700 metri di quota in periodo di silenzio venatorio? Erano armati? Volevano soltanto “osservare” gli animali selvatici o avevano qualche altro scopo?”.
E diffida Maurizio Fugatti, appena riconfermato dalla maggioranza come candidato in vista delle elezioni in Trentino, “dall’utilizzare questa situazione come pretesto per ulteriori campagne persecutorie e discriminatorie ai danni dei plantigradi”.
L’associazione rileva anche come la provincia autonoma di Trento non abbia ancora provveduto a limitare o vietare l’accesso alle aree frequentate dalle femmine di orso con i loro cuccioli, come sarebbe quella sopra Roncone.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
GLI INSEGNANTI E GLI STUDENTI CHE SI ESPONGONO APERTAMENTE CONTRO STUDENTI E INSEGNANTI DI ESTREMA DESTRA TEMONO PER LA LORO INCOLUMITÀ
Svastiche e saluti nazisti in corridoio, pestaggi sui compagni di classe di provenienza straniera, inni neonazisti, scritte omofobe: due insegnanti di una scuola superiore di Burg, in Brandeburgo, nell’Est della Germania dove il partito di ultradestra Afd è in crescita verticale, se ne sono andati dalla città dopo che la situazione era diventata insostenibile. Dopo mesi di tentativi hanno lasciato il paesino.
Mina Witkojc, Burg. Nickel e Teske trovano che l’atmosfera tra i ragazzi è sempre più neonazista, e decidono di fare qualcosa.
Lui, professore di Storia, dedica l’ultimo quarto d’ora di ogni lezione al racconto delle atrocità del nazismo. Che vengono ogni tanto persino applaudite dai ragazzi.
Lei organizza un concerto e invita un rapper nero a suonare. I ragazzi boicottano l’evento e lo trasfornamo in un flop. I professori cercano il dialogo con i «bulli», senza esito.
Alla fine, disperati, pubblicano una lettera aperta sulla stampa locale, poi ripresa dai media nazionali, in cui descrivono «l’atmosfera di intimidazione alla scuola Mina Witkojc di Burg». Scrivono che «insegnanti e studenti che si espongono apertamente contro studenti e insegnanti di estrema destra temono per la loro incolumità». E che le scuole «non possono fornire una casa ai nemici della democrazia».
Pochi giorni dopo, arriva una risposta. Un’altra lettera aperta: un gruppo di genitori ne chiede il licenziamento. «Portano in classe la loro ideologia, sono di parte».
La scuola, anche se non pubblicamente, li sostiene e ignora le richieste di licenziamento. Attorno a scuola iniziano a spuntare manifestini con le loro foto, e la scritta «Andate a farvi f*** a Berlino»; sui social qualcuno inizia a dire di voler «dar loro la caccia». Nessuno interviene per difenderli in pubblico; l’anno scolastico finisce, e i due insegnanti in questi giorni annunciano che sì, se ne andranno a Berlino
La scuola non rilascia dichiarazioni. Sui social esultano i dirigenti locali di Afd: uno di loro definisce Teske «un informatore della sinistra radicale», e Nickel «una sua complice». «Felice che se ne siano andati». E il problema è più ampio. L’estrema destra è in ascesa in varie città dell’ex Germania Est, e l’intelligence del Brandeburgo sorveglia ufficialmente i sostenitori dell’ala giovanile del partito, dai connotati decisamente estremisti.
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
L’ELISEO AVVERTE: “IN CASO DI ATTACCO RISPONDEREMO”
Migliaia di manifestanti filo golpisti si sono radunati davanti all’ambasciata francese nella capitale del Niger, Niamey, dopo che Parigi ha sospeso gli aiuti al paese africano a seguito del colpo di stato.
Alcuni manifestanti hanno tentato di entrare nell’edificio Alcuni manifestanti hanno strappato una targa con la scritta “Ambasciata di Francia in Niger”, sostituendola con bandiere del Niger e della Russia, mentre altri hanno gridato “Viva la Russia”, “Viva Putin” e “Abbasso la Francia”.
Un’altra delle invocazioni che risuona tra i manifestanti è la richiesta di «arrestare» chi era prima al governo «perché restituiscano i milioni rubati».
Il ministero degli Esteri francese ha condannato «qualsiasi violenza». La sicurezza dell’ambasciata francese a Niamey, ha spiegato «è di competenza dello Stato ospitante».
L’Eliseo ha anche assicurato che Emmanuel Macron «non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi» e che risponderà «immediatamente» in caso di attacco contro i suoi cittadini.
Più di 1.500 soldati francesi sono in Niger, nell’ambito della lotta contro i jihadisti nella regione.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
IL COLPO DI SCENA NELL’INCHIESTA SUL NAUFRAGIO DI CUTRO DOPO LA TESTIMONIANZA TRE SOPRAVVISSUTI ALLO SCHIANTO DEL CAICCO “SUMMER LOVE”… LA DESCRIZIONE DELL’ELICOTTERO CORRISPONDE A QUELLI DELLA GUARDIA COSTIERA ITALIANA CHE PERO’ NEGA
Da una settimana circa, agli atti dei magistrati di Crotone che indagano sul più drammatico naufragio di migranti avvenuto in acque italiane negli ultimi dieci anni – 94 morti di cui 35 bambini e 80 sopravvissuti – c’è un colpo di scena sul quale sono in corso accertamenti investigativi.
Tre testimonianze, sono state depositate dai legali torinesi Marco Bona, Enrico Calabrese e Stefano Bertone con la formula delle indagini difensive. I sopravvissuti parlano di un elicottero bianco che alle 19 del 25 febbraio, quindi 9 ore prima del tragico schianto del caicco “Summer Love” in una secca a ridosso della spiaggia di Steccato di Cutro, avrebbe sorvolato l’imbarcazione. Alle 19 circa e poi alle 22.
Primo verbale: «È volato sopra di noi, ha compiuto una deviazione e se n’è andato. Eravamo seduti sul ponte superiore della nave, i quattro scafisti ci hanno costretto a nasconderci sottocoperta». I legali chiedono ai testimoni di descrivere il velivolo: «Era tutto bianco con una coda rossa e insegne rosse. Di nuovo intorno alle 22 ha sorvolato la nostra imbarcazione, poi è andato via. Siamo dovuti correre ai piani inferiori un’altra volta per non farci vedere». A quel punto vengono loro mostrate le foto di due elicotteri: uno della Guardia di Finanza e uno della Guardia Costiera.
Nel video depositato in procura – di cui La Stampa ha copia – indicano senza esitazioni il secondo: «È questo». Sottoscrivono il match con una firma sull’immagine riconosciuta. Aggiungono: «Il governo italiano non ci ha aiutato affatto, quei due elicotteri sapevano della nostra nave, nonostante ciò, non si sono presi cura di noi e non ci hanno salvato. Abbiamo navigato in acque italiane per dieci ore. Nessuna polizia nessuna guardia di frontiera sono venuti a salvarci e ci hanno lasciato affondare».
Secondo verbale: «Verso le 22-22.30 mentre mi trovavo sotto coperta ho sentito il rumore di un elicottero, ne sono certa».
Terza testimonianza: «Ho visto un elicottero bianco sorvolare la nostra barca. L’ho visto per 5 secondi perché non appena si è abbassato lo scafista mi ha costretta a tornare sottocoperta».
Ci vorranno ovviamente approfondimenti per capire se quell’elicottero appartenesse realmente alla Guardia Costiera italiana o magari anche all’omologa greca (che ha una livrea identica ma con inserti azzurri) visto che alle 19 della sera precedente allo schianto la Summer Love si sarà trovata (viaggiando a 6 nodi com’è noto) a circa 60 miglia nautiche dalla Calabria e fuori dalle “acque italiane”. Di certo c’è che l’autorità marittima del nostro Paese mai, nell’articolato resoconto di quella notte, ne ha fatto menzione.
Spiegano i legali torinesi che in passato hanno già assistito le famiglie delle vittime dei naufragi Norman Atlantic, Al Salam Boccaccio, (1000 migranti morti) e Costa Concordia: «Del transito di un elicottero hanno parlato spontaneamente introducendo loro quella presenza. Di particolare interesse è che quando abbiamo chiesto loro come potessero essere sicuri che quel rumore appartenesse a quel tipo di mezzo e non a un bimotore ad elica come quello di Frontex ci hanno risposto che come afghani hanno una considerevole esperienza di sorvoli di ogni genere di velivoli anche militari». Parola ai magistrati.
(da La Stampa)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
GLI SCIENZIATI LANCIANO L’ALLARME: “GHIACCIO MARINO AI MINIMI STORICI”… E CI SONO ANCORA DEI CRIMINALI CHE NEGANO IL RISCALDAMENTO GLOBALE
Le evidenze continuano a confermare come il riscaldamento globale sia un’urgenza da affrontare al più presto.
Da una parte l’emisfero settentrionale, il nostro, soffocato da un’ondata di caldo estivo da record tra clima torrido, grandinate, frane e downburst. Ma molto più a sud, nel cuore dell’inverno, gli eventi climatici sono altrettanto gravi. Il ghiaccio marino antartico è sceso a minimi senza precedenti per questo periodo dell’anno.
Lo scrive la Cnn, secondo cui a metà luglio, il ghiaccio marino dell’Antartide era di 2,6 milioni di chilometri quadrati al di sotto della media registrata dal 1981 al 2010. Per dare una misura, corrisponde ad un’area grande quasi quanto l’Argentina o gli stati del Texas, California, New Mexico, Arizona, Nevada, Utah e Colorado messi insieme.
Ogni anno, il ghiaccio marino antartico si riduce ai livelli più bassi verso la fine di febbraio, durante l’estate del continente. Il ghiaccio marino poi si ricostruisce durante l’inverno. Ma quest’anno gli scienziati hanno osservato qualcosa di diverso, riporta la Cnn: il ghiaccio marino non è tornato ai livelli previsti.
Infatti è ai livelli più bassi per questo periodo dell’anno da quando sono iniziate le registrazioni 45 anni fa. Il ghiaccio è di circa 1,6 milioni di chilometri quadrati al di sotto del precedente minimo invernale stabilito nel 2022, secondo i dati del National Snow and Ice Data Center (NSIDC). Il fenomeno è stato descritto da alcuni scienziati come eccezionale, qualcosa di così raro che le probabilità sono che accada solo una volta ogni milioni di anni.
Colpa dei cambiamenti climatici
“Il sistema antartico è sempre stato molto variabile”, ha spiegato alla Cnn Ted Scambos, un glaciologo dell’Università del Colorado, “l’attuale livello di variazione è così estremo che qualcosa di radicale è cambiato negli ultimi due anni, ma soprattutto quest’anno, rispetto ai 45 anni precedenti”. Diversi fattori contribuiscono alla perdita di ghiaccio marino, ha affermato Scambos, inclusa la forza dei venti occidentali intorno all’Antartide, che sono stati collegati all’aumento dell’inquinamento dovuto al riscaldamento del pianeta. “Anche le temperature oceaniche più calde a nord del confine dell’Oceano Antartico che si mescolano all’acqua che è tipicamente un po’ isolata dal resto degli oceani del mondo fanno parte di questa idea su come spiegarlo”. Alla fine di febbraio di quest’anno, il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la sua estensione più bassa da quando sono iniziate le registrazioni: 691mila miglia quadrate. L’evento senza precedenti di questo inverno potrebbe indicare un cambiamento a lungo termine per il continente. “È più probabile che non vedremo il sistema antartico riprendersi come ha fatto, diciamo, 15 anni fa, per un periodo molto lungo nel futuro. Forse non accadrà mai”, ha concluso Scambos.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile
SE SI AGGIUNGE L’OSTINAZIONE DELLA MAGGIORANZA A DIRE NO AL SALARIO MINIMO (CHE GLI STESSI ELETTORI DI CENTRODESTRA VORREBBERO) SI CAPISCE PERCHE’ IL GOVERNO SENTE PUZZA DI AUTUNNO CALDO: CHI NON SA COME PAGARE LE BOLLETTE, PRIMA O POI SI FA SENTIRE
Il timore del governo, adesso, è che le proteste di Napoli possano allargarsi, contagiare altre zone del Paese. A ben poco è servito, se non forse a peggiorare la situazione, il «messaggio riparatore» dell’Inps: dopo aver comunicato due giorni fa con un freddissimo messaggino telefonico la revoca del reddito di cittadinanza a quasi 170 mila persone, infatti, ieri l’Istituto — per voce del direttore dell’area di Napoli, Roberto Bafundi — ha tenuto a precisare che «nessuno sarà lasciato indietro». Ma le polemiche esplose venerdì sono comunque divampate. Creando una forte preoccupazione a Palazzo Chigi.
Le polemiche dei sindaci, dell’opposizione e dei sindacati fino all’inizio sono state date per scontate, e quasi declassate a rumore di fondo.Ma ieri, dopo le durissime reazioni dei cittadini colpiti dalla cancellazione del reddito, soprattutto al Sud, fanno molto più paura. I segnali che arrivano al ministero dell’Interno non fanno presagire niente di buono. Il rischio che il disagio sociale si trasformi in manifestazioni e cortei fa presto a diventare una delle priorità da affrontare.
I fronti scoperti, sui quali le opposizioni attaccano, sono tanti. C’è lo stop «brutale» al reddito di cittadinanza e la fermissima opposizione all’introduzione del salario minimo, sul quale pure l’opposizione ha ritrovato l’unità dopo mesi di scontri tra gli stessi partiti di minoranza.
In più, ecco le critiche che si susseguono sul fisco, sulle modifiche apportate alla delega per la riforma delle imposte in Parlamento, sulle concessioni fatte sul fronte dell’evasione fiscale, che è pure uscita silenziosamente dagli obiettivi del Pnrr, sui possibili nuovi condoni e sanatorie invocate da Matteo Salvini. Si temono reazioni sociali, manifestazioni e tensioni nelle piazze, a cominciare da domani a Napoli, la città più colpite dalla scure calata sui percettori del reddito di cittadinanza. Per questo la maggioranza ha scelto di passare al contrattacco.
Di provare a indicare un responsabile almeno per la voce considerata più a rischio, quella del reddito di cittadinanza. L’obiettivo insomma, neanche troppo celato, è quello di scaricare le responsabilità sui governi precedenti, e in particolar modo sul Movimento Cinque Stelle che del reddito di cittadinanza ha fatto la sua battaglia principale.
(da agenzie)
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