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DAVANTI AL MANCATO INVITO DI GIORGIA MELONI A MACRON, PER IL VERTICE SULLE MIGRAZIONI, ANCHE AL QUIRINALE SONO SBOTTATI: “LA SIGNORA NON SI È EVOLUTA”

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

I FRATELLI D’ITALIA, TRADIZIONALMENTE MANETTARI, INIZIANO A MUGUGNARE PER I CASI SANTANCHÈ E LA RUSSA… TRA SETTEMBRE E OTTOBRE POSSIBILE RIMPASTO: LA SORA GIORGIA VUOLE ACCOMPAGNARE ALL’USCITA VALDITARA, PICHETTO E ABODI

Passano i mesi ma non si affievolisce la tensione tra Palazzo Chigi e l’Eliseo. Da quando Giorgia Meloni è Presidente del Consiglio, le incomprensioni, gli sgambetti, le baruffe con Emmanuel Macron non sono mai mancate e ogni volta, a metterci una pezza, è dovuto intervenire il Quirinale.
Stavolta, però, davanti al mancato invito al Presidente francese alla conferenza internazionale per le migrazioni di Roma, persino i consiglieri diplomatici di Mattarella sono sbottati per la decisione di Giorgia Meloni: “La signora non si è evoluta”.
Della serie: l’antipatia personale e i pregiudizi antifrancesi continuano a prevalere sulla Ragion di Stato. La Ducetta è ferma alla prassi di Colle Oppio.
Lo stesso Mattarella non ha preso bene l’ennesimo sgarbo al suo caro amico Macron. D’altronde è stato Super-Sergio a tenere a battesimo, con Mario Draghi al suo fianco, il Trattato del Quirinale, che avrebbe dovuto rinsaldare i legami tra Italia e Francia. Da quel che si è visto negli ultimi mesi, una pia illusione.
Il Capo dello Stato era a conoscenza dei piani del Governo italiano per la conferenza, ma si è ben guardato dal mettere bocca sulla “lista inviti”.
I consiglieri del Colle hanno informalmente contattato la Farnesina, ricevendo, da Tajani e dai suoi, risposte evasive su una eventuale presenza francese.
Pur avendo compreso che Giorgia Meloni non voleva avere Macron al vertice, il Quirinale ha preferito non fare pressioni. Nessuna richiesta esplicita alla Ducetta. Soprattutto perché il Quirinale non alza il telefono per sentirsi opporre un netto rifiuto…
Giorgia Meloni ora ha problemi più urgenti da risolvere rispetto al rapporto irrisolto con Parigi. La Thatcher della Garbatella deve gestire le prime criticità all’interno di Fratelli d’Italia. Tre quarti del partito sono appiattiti sulle sue posizioni e sono a lei fedeli. Il restante 25% comprende l’ala “milanese”, che fa capo a La Russa e a Santanchè, e quella romana, capeggiata da Fabio Rampelli.
Gran parte del partito, tradizionalmente giustizialista, non vede di buon occhio la permanenza al governo di Daniela Santanchè, indagata dalla procura di Milano per i conti della “Visibilia”, e freme anche per le accuse di stupro al figlio del mai paludato presidente del Senato.
A questo vanno aggiunte le uscite iper-garantiste del ministro Nordio, nominato in quota Fdi, ma che sembra più appartenere alla tradizione di Forza Italia.
A Donna Giorgia non va meglio in Europa, dove l’esito delle elezioni spagnole l’hanno costretta a deglutire un boccone amaro. L’imprevista rimonta dei socialisti di Pedro Sanchez, e il mancato exploit di Vox, con cui Meloni è alleata nell’eurogruppo Ecr, la costringono a rinculare, e aspettare notizie migliori dalle prossime elezioni in Polonia e Olanda.
Prende corpo l’idea di un rimpasto di governo tra settembre e ottobre. Le voci da Palazzo Chigi sostengono che Giorgia Meloni voglia spingere Salvini a congedare il ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara, e Tajani a scaricare l’impalpabile ministro dell’ambiente, Gilberto Pichetto Fratin. La Ducetta vorrebbe accompagnare all’uscita anche il ministro dello sport, Andrea Abodi, da lei scelto in quota Fratelli d’Italia.
(da Dagoreport)

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BAGNINO 19ENNE SALVA DUE PERSONE DAL MARE AGITATO E SCONSIGLIA AI TURISTI DI TUFFARSI: PICCHIATO

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

LA SOLITA FECCIA ITALICA CHE NON RISPETTA REGOLE CIVILI, TANTO IL CATTIVO ESEMPIO VIENE DALL’ALTO

Le condizioni del mare non erano delle migliori e il bagnino – un ragazzo di 19 anni – è stato aggredito dopo che ha chiesto a un gruppo di turisti di non avvicinarsi alla riva.
Un’indicazione che arrivava proprio poco dopo che il giovane aveva effettuato un salvataggio. È successo ieri sulla spiaggia della Calanca, a Marina di Camerota, in provincia di Salerno. Secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, il 19enne è stato aggredito con un pugno in faccia da uno dei turisti a cui aveva chiesto di non entrare in acqua e di non andare troppo lontano alla riva perché poteva essere pericoloso.
Dopo il colpo subito, il giovane bagnino è caduto a terra sulla sabbia. Sul posto è intervenuto il personale medico del 118 che ha portato il ragazzo in pronto soccorso, e i carabinieri che hanno avviato le indagini.
Stando a quanto appreso finora, il responsabile è un uomo di 33 anni di origini napoletane e in vacanza in un albergo della zona.
Sulla vicenda è intervenuto anche il sindaco di Camerota, Mario Salvatore Scarpitta, che in un post sui social ha «condannato fermamente l’atto vile e meschino», ha espresso la sua «totale solidarietà» al 19enne e ha invitato chiunque avesse informazioni utili a rivolgersi alle forze dell’ordine.
(da agenzie)

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ALLARME SANITA’: 2,5 MILIONI DI ITALIANI RINUNCIANO ALLE CURE PER COLPA DELLE LISTE D’ATTESA

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

OLTRE 4 SU 10 SI RIFUGIANO NEL PRIVATO A PAGAMENTO

Sono 2,5 milioni gli italiani che non si curano a causa delle liste d’attesa troppo lunghe nel sistema sanitario. Lo riporta oggi il Sole 24 Ore sulla base di un rapporto dell’Istat, che mette in luce come all’interno di questa cifra ci siano le persone che ne avrebbero più bisogno, cioè chi soffre di due o più patologie croniche: 1,7 milioni. La rinuncia per l’eccessiva attesa, spiega il quotidiano economico, sale in ogni parte d’Italia, Nord incluso, e a prescindere dalla fascia di reddito. L’unico modo per forzare i tempi e ottenere una prestazione sanitaria in tempi utili è mettere mano al portafogli, per chi può permetterselo. Secondo l’Istituto di statistica è aumentata, infatti, la percentuale delle persone che decidono di pagare interamente per le visite. Nel 2022, il 42% della popolazione paga di tasca propria mentre nel 2019 era il 37%. Ma anche per gli accertamenti diagnostici la propensione ad aggirare le liste a costo di spendere sale (dal 23% del 2019, al 27,6% nel 2021). In questo senso, la spesa (sanitaria) di “tasca propria” ha raggiunto i 40 miliardi l’anno. 1 euro su 4 spesi per la sanità nel nostro Paese li aggiunge il cittadino dopo aver pagato, però, le tasse per sostenere il Servizio sanitario.
Le Regioni dove la situazione è più critica
Anche i dati raccolti dall’associazione Cittadinanzattiva per il Sole 24 Ore confermano lo stesso (allarmante) quadro sulle liste d’attesa e la conseguente rinuncia a curarsi. L’associazione ha preso in considerazione 4 regioni – Lazio, Emilia-Romagna, Liguria e Puglia – e sei prestazioni: visita cardiologica, ginecologica, pneumologica, oncologica, ecografia addominale e mammografia. Dai dati è emerso come la Puglia sia la Regione «maglia nera»: nell’Asl di Lecce, ad esempio, si registrano picchi dello 0% di rispetto dei tempi di attesa sia per una visita pneumologica con priorità D (entro 30-60 giorni), che oncologica. In Liguria, nell’Asl Ligure 1 (Imperia) per un visita cardiologica con la stessa priorità si registrano tempi di attesa pari a 159 giorni; per un’ecografia addominale con priorità D, nell’Asl di Genova, i cittadini devono aspettare fino a 270 giorni (9 volte superiori quelli previsti per legge). Migliore, di poco, la situazione in Emilia-Romagna e Lazio. Ciò che serve per la Segretaria generale di Cittadinanzattiva, Anna Lisa Mandorino citata dal Sole, «è un investimento sulle risorse umane e tecniche e un conseguente ampliamento degli orari di apertura al pubblico degli ambulatori. E non da ultimo bloccando, a livello regionale, le prestazioni in intramoenia laddove queste superino come numero quelle erogate nel canale pubblico, come previsto dallo stesso Piano nazionale di governo delle liste di attesa», conclude.
(da agenzie)

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CHE NE SARÀ DI FORZA ITALIA? FINO AL CONGRESSO DI APRILE, NON SI MUOVERÀ FOGLIA

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

RENZI E SALVINI SI MUOVONO NELL’OMBRA, FLIRTANDO CON LICIA RONZULLI, PER PAPPARSI FORZA ITALIA, CON DENIS VERDINI GRAN BURATTINAIO… L’INSOFFERENZA DEI FIGLI DEL CAV PER GIANNI LETTA E LA TENSIONE (NON RIENTRATA) TRA MARINA BERLUSCONI E LA DUCETTA SULLA GIUSTIZIA

L’appuntamento politico più importante dei primi mesi del 2024, oltre al voto europeo di inizio giugno, sarà il congresso di Forza Italia di aprile.
Fosse dipeso da Antonio Tajani, si sarebbe fatto più in là, ma la pressione di Licia Ronzulli ha costretto il neo Presidente del partito a convocarlo in primavera. In casa Berlusconi, fino a quella data, non si muoverà foglia.
Marina e Pier Silvio preferiscono tenere sulla graticola l’ondivago Tajani, sempre più ostaggio di Giorgia Meloni, che, tramite Mantovano, su mandato del Colle, ha ridimensionato le smanie garantiste del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
La tensione tra la Ducetta e la “Caimana” è esplosa la scorsa settimana: prima c’è stato il soccorso azzurro a Dell’Utri, con un’interrogazione del forzista Pietro Pittalis al Guardasigilli, in cui si chiedeva di mandare gli ispettori alla procura di Firenze, che indaga (anche ora a Berlusconi defunto) sui presunti mandanti esterni delle stragi di mafia del 1993-1994.
A questa iniziativa, quel cuor di melone di Tajani ha risposto prendendo le distanze, in un’intervista al “Corriere della Sera”: “Non mi risulta che sia una iniziativa del partito”.
A quel punto Marina Berlusconi, inviperita, si è chiesta a cosa servisse tenere in vita Forza Italia (c’è un debito di circa 100 milioni di euro garantito dalle fidejussioni firmate dal Cav) se questo costoso carrozzone non è in grado neanche di difendere la memoria di Silvio Berlusconi.
E così, la capa di Mondadori ha imbracciato la penna e ha vergato parole di fuoco contro la magistratura nell’ormai celebre lettera al “Giornale”. Una missiva che a sua volta ha acceso il furore della Sora Giorgia, che ha rintuzzato l’iniziativa, liquidando la primogenita di Berlusconi con un laconico “non è un soggetto politico”.
Il congresso di Forza Italia servirà a mettere sotto tiro Antonio Tajani, che dovrà guardarsi dagli appetiti di due forze esterne, che mirano a un’opa ostile, parziale o totale, sul partito: Renzi e Salvini. In mezzo, c’è Licia Ronzulli, che flirta ora con l’uno, ora con l’altro. Gran burattinaio della spartizione di Forza Italia, di cui è stato a lungo stratega, è Denis Verdini.
I due Mattei, legati per ragioni politiche e familiari al “macellaio” toscano, hanno un obiettivo in comune: sfruttare la debolezza del fu partito del Cav per tenere Giorgia Meloni sospesa sul girarrosto.
E se da un lato Salvini è favorito nelle sue ambizioni su Forza Italia grazie al legame sentimentale con la figlia di Verdini, Francesca, e dal rapporto privilegiato con Licia Ronzulli, dall’altro non va dimenticato che Renzi è uno specialista nelle macchinazioni di palazzo, nella deflagrazione dei partiti e nella destabilizzazione dei governi.
Ps. Marina è incazzatissima non solo con Tajani e Meloni, ma anche con Gianni Letta. L’Eminenza azzurrina si illudeva di poter tenere a bada gli eredi del Cav con il suo “lettismo” parolaio (della serie: tranquillo, ci penso io, andrà tutto a posto), ma non aveva fatto i conti con il pragmatismo brianzolo dei Berlusconi. Gli eredi del fu sire di Hardcore, davanti al continuo “bla bla” da pompiere di Letta, hanno iniziato a scalpitare. E a rompersi i cojoni.
(da Dagoreport)

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LE ACQUE DELLA SENNA SONO STATE RIPULITE AL PUNTO CHE, ENTRO UN ANNO, SARÀ POSSIBILE FARSI IL BAGNO NEL FIUME DELLA CAPITALE FRANCESE

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

IL PROGETTO DELLA SENNA BALNEABILE È STATO SPINTO DALLA SINDACA ANNE HIDALGO, CON UN MAXI INVESTIMENTO DI 1,4 MILIARDI DI EURO PER RENDERE PARIGI VIVIBILE NEI PROSSIMI DECENNI, QUANDO LA TEMPERATURA POTREBBE ARRIVARE A 50° PER COLPA DEL RISCALDAMENTO CLIMATICO

I Giochi olimpici di Parigi cominciano tra un anno esatto, il 26 luglio 2024, e la sindaca Hidalgo sottolinea quel che sembra un innegabile successo: le acque della Senna ospiteranno, come promesso, tre prove olimpiche, e l’anno dopo saranno i parigini a potersi tuffare nel fiume. Nel tratto della Senna che scorre sotto alla Tour Eiffel gli atleti olimpici disputeranno le gare della maratona di nuoto, triathlon e paratriathlon.
I test degli ultimi giorni dimostrano che le acque della Senna sono ormai pulite o quasi, e la loro qualità dovrebbe ancora migliorare con le misure previste nei prossimi mesi.
Nel 1990 l’allora sindaco di Parigi e futuro presidente della Repubblica, J acques Chirac, proclamò che «entro tre anni farò il bagno nella Senna davanti a tutti per provare che è diventato un fiume pulito». Chirac è morto nel 2019 senza avere realizzato il suo sogno.
Ma il grande investimento di 1,4 miliardi di euro sembra dare i suoi frutti e le Olimpiadi serviranno come prova generale di una progressiva apertura a tutti che comincerà nel 2025 con tre siti parigini già identificati: davanti all’île Saint-Louis sul lato rive droite, tra il porto di Grenelle e le rive dell’île au Cygnes, e a Bercy davanti alla Biblioteca nazionale di Francia.
La Senna balneabile è vista, in prospettiva, anche come uno dei tanti accorgimenti necessari per rendere Parigi ancora vivibile nei prossimi decenni, quando la temperatura potrebbe arrivare a 50° per colpa del riscaldamento climatico.
La sindaca Anne Hidalgo punta molto a riuscire dove i predecessori — da Chirac al suo mentore Bertrand Delanoë — hanno fallito, ma deve guardarsi dalle critiche di chi la accusa di dedicarsi solo a battaglie mediatiche e un po’ evanescenti su piste ciclabili e bagno nella Senna, trascurando problemi più profondi come la povertà in crescita. Forse anche per questo ieri la sindaca ha lanciato un appello al presidente Macron per trovare una soluzione a medio-lungo termine per i clochard, per adesso destinati semplicemente a venire redistribuiti nel resto della Francia, l’estate prossima, per non rovinare l’immagine di Paris 2024.
(da agenzie)

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MELONI COSTRETTA AD ABBASSARE LA VOX: AVEVA SCOMMESSO SUL SUCCESSO DELLA DESTRA ALLE ELEZIONI SPAGNOLE, ANCHE IN CHIAVE EUROPEA. MA ORA, CON LA SITUAZIONE DI STALLO, SI RITROVERA’ AD AVERE A CHE FARE CON PEDRO SANCHEZ ANCORA PER DIVERSI MESI

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

IL PREMIER SOCIALISTA NON HA PRESO PER NIENTE BENE L’INTERVENTO DELLA “DUCETTA” AL COMIZIO DI VOX: “GLI AMICI DELLA SIGNORA MELONI SONO PATRIOTI DA BRACCIALETTO”

Il futuro politico della Spagna resta sospeso. Ma una cosa è certa, per i prossimi mesi a rappresentare il Paese iberico ci sarà ancora Pedro Sánchez, almeno fino alle prossime elezioni (nel caso in cui il premier non dovesse riuscire a formare una maggioranza).
Per Giorgia Meloni, che aveva scommesso sull’arrivo di un governo di destra a Madrid, questo potrebbe rappresentare un problema, tanto più che la Spagna è presidente di turno dell’Unione europea. I rapporti personali tra i due leader non sono cattivi, Sánchez lontano dai taccuini riconosce alla presidente del Consiglio tenacia e abilità, a Bruxelles non ci sono stati contrasti particolari negli ultimi mesi.
Eppure quel tifo esibito da Meloni per l’estrema destra di Vox può incrinare i rapporti con il governo spagnolo.
A tutti era chiaro di essere al centro di un’offensiva, guidata dal leader del Ppe e della stessa Meloni, per far diventare Madrid il tassello decisivo di un patto tra popolari e Conservatori. Così, quando Sánchez domenica sera ha detto «abbiamo fermato un’onda reazionaria» ha voluto inviare un messaggio preciso, anche a Bruxelles e Roma, secondo quanto spiegano fonti di governo.
Nel governo spagnolo, in particolare, non è piaciuto l’intervento della premier italiana al comizio di Vox, a Valencia lo scorso 13 maggio. Meloni è presidente dei Conservatori europei, di cui fanno parte anche i seguaci di Santiago Abascal e quindi un messaggio di sostegno era messo nel conto.
L’intervento (a distanza) di Meloni a Valencia, però, è andato oltre all’etichetta, non è stato un saluto di cortesia, ma un vero comizio, durato un quarto d’ora, nel quale la presidente del Consiglio è entrata nel cuore dei dossier più caldi, come la transizione ecologica, pilastro della presidenza spagnola dell’Ue.
I toni sono stati certamente più moderati rispetto al passato, ma l’irritazione resta. Tanto che dal partito socialista, del quale Sánchez è segretario, è arrivata una nota molto dura: «Gli amici della signora Meloni sono “patrioti da braccialetto” hanno la bandiera della Spagna al polso, ma poi non vogliono pagare le tasse».
Ora che Sánchez al potere ci resterà almeno altri quattro o cinque mesi, (l’eventuale voto anticipato sarà in inverno) il problema dei rapporti tra Roma e Madrid si pone seriamente. La Moncloa si aspetta lealtà. Un appello che la stessa Meloni, in fondo, aveva rivolto alla Francia, quando alcuni ministri avevano attaccato pubblicamente il suo governo.
Le differenze sono chiare: nessun ministro italiano, né tanto meno la premier, ha preso di mira Sánchez, ma l’intervento così lungo nel corso di una manifestazione dove il capo dell’esecutivo di Madrid veniva dipinto come un traditore della patria, amico dei terroristi e dei golpisti, non è un gesto neutro.
(da agenzie)

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L’ALLEANZA TRA PPE E CONSERVATORI È SEMPRE PIÙ IMPROBABILE: IL VOTO IN SPAGNA, CON VOX IN CADUTA LIBERA, DIMOSTRA CHE SARÀ DIFFICILE CAMBIARE LO STATUS QUO A BRUXELLES

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

A RENDERE IL TUTTO PIÙ COMPLICATO, OLTRE AI NUMERI, SONO GLI SCHIERAMENTI NAZIONALI E LA DIFFIDENZA RECIPROCA… UN ESEMPIO? LA POLONIA: SI VOTA IN AUTUNNO E LA SFIDA È TRA UN CONSERVATORE, IL PREMIER USCENTE MORAWIECKI (ALLEATO DI IO SONO GIORGIA), E UN POPOLARE, DONALD TUSK

Dopo le elezioni spagnole, i prossimi test per capire gli umori degli elettori europei sono le consultazioni in Olanda e in Polonia, in autunno.
Le elezioni europee si terranno a giugno 2024 e in politica questo anno di distanza è un’eternità, ancora di più se si considera che ci sono 27 Paesi in movimento. A settembre 2024 il nuovo Parlamento europeo voterà la nuova Commissione (non a luglio come da tradizione perché la consultazione avviene più tardi del solito e l’Eurocamera è orientata a prendersi tutto il tempo necessario per decidere).
Le proiezioni che cominciano a circolare prevedono un calo di consensi non solo in casa Ppe ma anche in casa socialista, accanto a un aumento della destra. Ma come ha dimostrato il risultato di Vox nelle elezioni spagnole gli elettori sono molto mobili.
Il Ppe a livello europeo non è intenzionato a ridurre la propria influenza ed è per questo che ha tentato nuove alleanze più a destra. Ma gli ultimi due test — il tentativo mancato di respingere a Strasburgo la legge sul ripristino della natura e l’alleanza con Vox in Spagna — sono andati a finire male. A dimostrazione che un cambio di alleanze in base alle forze tradizionali è difficile.
E come osservava ieri su Politico il segretario generale del Ppe Thanasis Bakolas, «è a causa della campagna centrista, moderata, inclusiva e responsabile di Feijóo che Vox ha perso voti, non a causa della campagna della paura di Sánchez».
Per Bakolas gli elettori spagnoli, così come quelli greci che hanno di recente premiato il Partito Nea Dimokratia del premier Kyriakos Mitsotakis, hanno rifiutato le alleanze con gli estremi di destra e sinistra: «Non possiamo guardare questa foto e dire che gli spagnoli hanno inviato solo un messaggio a Feijóo riguardo a Vox — spiega —. Hanno inviato un messaggio anche a Sánchez sulla sua collaborazione con l’estrema sinistra e gli indipendentisti».
La linea dell’alleanza tra Ppe e destra è stata portata avanti nei mesi scorsi dal presidente e capogruppo del Ppe a Strasburgo Manfred Weber, che però ha anche sempre spiegato quali sono le linee rosse: i partner del Ppe devono essere pro Unione, pro Ucraina, pro Stato di diritto e pro Nato. Soprattutto, le porte sono chiuse a chi è filorusso.
Le delegazioni, soprattutto nordiche, lo ricordano sempre. Del resto in Polonia è un candidato popolare, l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, a sfidare l’ultra conservatore Mateusz Morawiecki del Pis, «amico» della premier Giorgia Meloni. Un sodalizio forte che tuttavia non ha impedito a Varsavia di schierarsi assieme a Budapest contro l’accordo sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, che invece è stato sostenuto da Roma. L’egoismo nazionale non è un collante a differenza dell’europeismo. Questo ormai è chiaro.
I temi principali che saranno al centro della campagna elettorale richiedono risposte europee: l’immigrazione (usata anche come arma ibrida da Russia e Bielorussia), la competitività dell’industria Ue (messa a dura prova dall’ Inflation Reduction Act statunitense e dalla Cina), la transizione verde che necessita di ingenti investimenti per non lasciare indietro i più vulnerabili. La destra che uscirà dalle elezioni europee dovrà dunque decidere da che parte stare, se da quella costruttiva o da quella che dice sempre no.
(da agenzie)

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LA RAI DI REGIME CANCELLA PURE SAVIANO: INSIDER, GIA’ REGISTRATO, NON ANDRA’ IN ONDA

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

LA SCELTA MOTIVATA DAL CODICE ETICO: SE FOSSE APPLICATO REALMENTE I SOVRANISTI NON POTREBBERO NEANCHE USCIRE DI CASA

Roberto Saviano è fuori dalla Rai. Il suo programma «Insider, faccia afaccia col crimine», quattro puntate, già registrate, previste da novembre su Raitre, non sarà mandato in onda. È quanto annuncerà oggi l’amministratore delegato dell’emittente pubblica, Roberto Sergio, dopo aver preso atto di alcune affermazioni rivolte, di recente, dallo scrittore al vicepremier Matteo Salvini, rispetto alle quali Forza Italia ha presentato un’interrogazione in commissione di Vigilanza Rai, chiedendo la sospensione del programma.
Alla base della decisione assunta in viale Mazzini nelle ultimissime ore, ci sarebbe la considerazione che il linguaggio usato ripetutamente dal giornalista non sarebbe compatibile con il Codice etico cui s’ispira il servizio pubblico.
Così, dopo Filippo Facci, l’editorialista di Libero la cui striscia quotidiana, programmata per settembre, è saltata a causa di alcune espressioni inadeguate usate sul caso La Russa jr, ora tocca a Saviano.
E se l’allontanamento del primo aveva fatto esultare l’opposizione, ora l’esclusione del secondo dovrebbe tacitare la maggioranza.
Ma in Rai preferiscono non considerare la cancellazione dell’autore di Gomorra come un regolamento di conti
Anche ieri è infuriata la battaglia intorno alla nomina dei 30 vicedirettori di Tg1, Tg2, Rai Parlamento, Giornale Radio, Rai Sport e RaiNews24, che sono stati presentati in consiglio di amministrazione e che hanno visto la promozione di 17 donne.
Nella trattativa che ha preceduto la riunione, il centrodestra ha fatto intendere alle opposizioni che avrebbe rivendicato per sé la maggioranza dei posti disponibili, finora detenuta dagli avversari.
Un rimescolamento che ha favorito i grillini, saliti, sulla spinta del duo Conte-Casalino, da due a cinque direzioni. Ma ha svantaggiato il Pd che ha dimezzato i propri numeri. Così adesso il partito di Elly Schlein lamenta che, avendo potuto indicare un solo nome al Tg1 (a parte Costanza Crescimbeni considerata però in quota Renzi) e avendo proposto quello di Elisa Anzaldo, si è visto cassare Maria Luisa Busi (che però, secondo gli accordi, sarà recuperata in un ruolo equivalente) e Gian Marco Trevisi (già portavoce di Enrico Letta), che pure sosteneva, alla Radio.
Intanto la Lega piazza i suoi e al Gr1, guidato da Francesco Pionati, arrivano volti come Monica Setta, Roberto Poletti e l’ex presidente della Rai, Marcello Foa. Ma anche per Peter Gomez, in quota grillina, spunta un ruolo da analista.
In cda i neodirettori hanno illustrato il piano editoriale. Quello di Gian Marco Chiocci (Tg1), basato su una rivoluzione che metterebbe in soffitta i classici «pastoni politici» e «panini» e punterebbe sui social, ha riscosso il plauso anche del consigliere indipendente Riccardo Laganà. Questi ha contestato invece l’affidamento della prima serata del martedì, lasciata da Bianca Berlinguer, a Nunzia De Girolamo, perché la scelta «priverebbe la Rai di un talk politico presente su tutte le altre reti». Infine il direttore del Tg3, Mario Orfeo, sarebbe intenzionato ad affidare a Monica Giandotti la conduzione di Linea Notte, lasciata da Maurizio Mannoni.
(da agenzie)

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PER SALVARSI DAL CRAC SANTANCHE’ DOVRA’ VERSARE 90.000 EURO AL MESE: CON QUALI SOLDI?

Luglio 26th, 2023 Riccardo Fucile

RISCHIO PIGNORAMENTO E DEL SALTO DI QUALITA’ DELLE INDAGINI

Oggi la maggioranza ha respinto la mozione dei Cinque Stelle per le dimissioni della ministra del Turismo, iniziativa appoggiata solo da Pd e dall’Alleanza Verdi Sinistra.
Il cordone di protezione garantito dalla maggioranza sembra destinato a durare almeno fino al prossimo settembre, quando le indagini avviate dalla procura di Milano sulla gestione delle aziende col marchio Visibilia, potrebbero portare alla richiesta di rinvio a giudizio della titolare del Turismo, che è indagata per bancarotta e falso in bilancio. Sempre a settembre, poi, riprenderanno le udienze decisive per conoscere il destino delle aziende: se le società coinvolte eviteranno il fallimento verrà accantonata anche l’ipotesi di reato più grave mossa dalla procura, quella di bancarotta; in caso contrario, il rischio di finire a processo aumenterebbe di molto come pure le probabilità che Santanchè sia costretta alle dimissioni.
Per questo sulla vicenda resta sospeso un interrogativo che potrebbe determinarne l’esito finale: riuscirà la Santanchè politica a salvarsi dalla Santanchè imprenditrice? Riuscirà la ministra sedicente manager di successo a lasciarsi alle spalle un decennio di affari sballati?
UNA MONTAGNA DI RATE
L’impressione è che nei prossimi anni l’imprenditrice paladina del lusso dovrà fare letteralmente i salti mortali per rispettare gli impegni presi con le banche, con il fisco e con gli altri creditori delle sue aziende. Facciamo qualche esempio concreto. I conti in sospeso con il Fisco ammontano a 1,94 milioni di euro. Secondo il piano asseverato dal commercialista Ezio Simonelli, l’obiettivo sarebbe quello di ottenere uno sconto del 30 per cento circa per arrivare a pagare 1,295 milioni da versare nell’arco di 10 anni in 20 rate semestrali da 64.750 euro ciascuna, cioè più di 10 mila euro al mese. I consulenti della ministra attendevano una risposta dall’Agenzia delle entrate entro la fine di luglio, tuttavia la decisione finale è slittata di alcune settimane.
Il conto aperto con le banche vale invece 4,5 milioni circa, ma grazie all’accordo con gli istituti di credito la posizione verrebbe sanata sborsando 1,2 milioni, con un generoso sconto pari al 73,7 per cento del totale. Per chiudere la partita Santanchè si dice pronta a pagare entro 120 giorni dall’eventuale omologa da parte del tribunale fallimentare del piano di ristrutturazione dei debiti, omologa che potrebbe arrivare già in settembre. Se arriverà il via libera, quindi, la ministra sarebbe chiamata sborsare 1,2 milioni già a gennaio del 2024. Infine, come si legge nella relazione di Simonelli, resta da pagare il debito verso Visibilia editrice, che dall’autunno scorso è passata sotto controllo di Luca Ruffino, un imprenditore milanese in buoni rapporti con gli ambienti della destra cittadina. Dopo che a settembre del 2022 Visibilia editrice ha concesso un’ulteriore dilazione di pagamento al debitore Visibilia, cioè Santanchè, il piano ora prevede che la ministra paghi, suddivisi in rate mensili, 360 mila euro nel 2023, 600 mila nel 2024 e 963 mila entro la fine del 2025.
Tirando le somme, possiamo dire che per evitare la bancarotta Santanchè dovrà trovare ogni mese 10 mila euro da destinare all’erario e altri 30 mila per Ruffino di Visibilia editrice, che diventeranno 50 mila l’anno prossimo e 80 mila circa nel 2025. Senza contare il milione e 200 mila euro da dare entro gennaio alle banche.
Somme che a prima vista non sembrano alla portata di un’imprenditrice che con il crollo del gruppo Visibilia ha visto esaurirsi la sue fonte principale di reddito e che nel novembre scorso ha venduto la sua quota nel Twiga dell’amico Flavio Briatore incassando 2,7 milioni di euro che sono stati versati in gran parte nelle casse di Visibilia concessionaria per evitare il crack. Come ha svelato Domani, un’altra società di Santanchè potrebbe incassare più di 200 mila euro l’anno come compenso per la fornitura di servizi allo stesso Twiga. Una somma importante, ma comunque non sufficiente a finanziare per intero il piano di rientro dei debiti della ministra, che nel 2022, secondo la sua dichiarazione dei redditi depositata in Senato ha avuto un reddito netto di circa 175 mila euro. Se i debiti non venissero saldati, Santanchè finirebbe per rimetterci la casa, messa in garanzia per un valore di 6 milioni. Una ministra con la casa pignorata, un epilogo che Meloni non può permettersi.
(da agenzie)

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