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“CANDIDATO E RISARCITO”: SPUNTA LA TRATTATIVA VANNACCI-LEGA

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

SECONDO REPORT CI SAREBBE UN ACCORDO ECONOMICO TRA LE PARTI: 300.000 EURO SE NON VENISSE ELETTO

Complice il successo del suo libro autoprodotto Il mondo al contrario, il generale Roberto Vannacci è da mesi al centro dei riflettori. Come facile immaginare, non sono mancate le indiscrezioni su una sua possibile candidatura, con alcuni partiti del centrodestra pronti a reclutarlo. Secondo Report, si sarebbe fatta avanti la Lega in vista delle elezioni europee fissate nel 2024. Ma non solo: per il programma di Sigfrido Ranucci, ci sarebbe persino un accordo economico tra il militare e il Carroccio di Matteo Salvini in caso di mancata elezione all’Europarlamento.
In base a quanto ricostruito da Report, ci sarebbero centinaia di migliaia di euro in ballo: più di 200-300 mila euro secondo una fonte della Lega: “Credo che Salvini abbia promesso la candidatura certa a Vannacci: se ciò non si verifica dovrà pagare dei gran soldi”. Si tratta di una sorte di penale, una specie di ancora di salvataggio per il generale in caso di flop alle urne. “Come fate a sapere queste cose? Assolutamente non confermo nulla di tutto ciò, sono fantasticherie. Io smentisco totalmente”, la reazione di Vannacci, intercettato a un convegno ad Anagni.
Stessa linea per la Lega, che ha diramato una nota in mattinata per fare chiarezza: “È totalmente falso, temiamo che la vostra fonte sia la stessa di tante altre inchieste fantasiose finite nel nulla come i presunti finanziamenti russi”. Sicuramente la discesa in politica di Vannacci resta ancora un’opzione, considerando che lo stesso generale tiene la porta aperta. Intervistato dal Fatto Quotidiano ha ribadito di essere un soldato, ma che comunque se decidesse di candidarsi, per la campagna elettorale “userò il denaro che ho a disposizione, i finanziamenti di chi mi dovesse appoggiare e i proventi del libro”.
(da agenzie)

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IL MES SARÀ APPROVATO, RESTA SOLO DA CAPIRE QUANDO E COME

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

LA MELONI, CHE PER ANNI HA COMBATTUTO IL FONDO SALVA STATI, TEME LA “RITORSIONE” ELETTORALE DI SALVINI, MA IL PIANO B È GIÀ PRONTO: UN IMPEGNO SCRITTO DEL GOVERNO A NON ACCEDERE AL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITÀ… LA LEGA RISCHIA DI SPACCARSI TRA LA FRONDA NO-EURO DEI BORGHI E IL FRONTE MODERATO DI GIORGETTI

Giorgia Meloni ha combattuto per anni il Mes, ma ha impiegato pochi mesi a capire che non c’è alternativa. Il cosiddetto fondo Salva Stati va ratificato. Nella sua mutazione europeista, la premier ha progressivamente lasciato le ragioni del No alla Lega. Ora si tratta solo di costruire la migliore via d’uscita, quella che minimizzerà l’effetto dirompente che avrà il via libera al Mes.
Matteo Salvini ha chiesto garanzie. E Meloni è pronta a offrirgli un doppio compromesso. Quasi un mese fa l’ex ministro Pd degli Affari europei Enzo Amendola aveva proposto di approvare una «clausola tedesca» vincolando il futuro accesso al Meccanismo a un voto parlamentare a maggioranza qualificata.
Un’idea che piace molto a Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario e principe consigliere di Meloni, e che i vertici di Fratelli d’Italia vorrebbero integrare con un altro testo per precisare che mai e poi mai l’attuale maggioranza, e dunque l’attuale governo, chiederanno di accedere al Mes. Essendo un trattato internazionale a normarlo, la legge di ratifica non può contenere al suo interno un impegno politico.
Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia, infatti, stanno studiando un Ordine del giorno (o in alternativa una risoluzione) con cui il Parlamento impone all’esecutivo di impegnarsi a non utilizzare il fondo.
Un escamotage che dà il senso dell’imbarazzo che si vive tra gli uomini di Meloni. Il voto è una certezza. Si tratta solo di capire quando e come. Di rinvio in rinvio si potrebbe anche arrivare all’inizio del 2024, ma a costo di far innervosire ancora di più i partner europei e Bruxelles. Di certo, si attende di conoscere il finale delle trattative sulla riforma del Patto di stabilità.
«Il ragionamento più ampio» di cui ieri parlava il ministro agli Affari europei Raffaele Fitto è nient’altro che la logica di pacchetto rivendicata da Meloni: il Mes come strumento negoziale sul tavolo a cui si decidono le future regole di bilancio europee. Il governo italiano aspetta di sapere se l’ultima versione della riforma del Patto che si discuterà al Consiglio europeo di giovedì e venerdì conterrà nel calcolo del deficit non solo lo scorporo delle spese per gli investimenti ma anche l’alleggerimento degli oneri da interessi sul debito.
Se così sarà, Meloni potrà avere più spazio di manovra per convincere i suoi elettori e i riluttanti parlamentari della Lega ad aver ceduto in cambio di una buona vittoria. Sarà una mezza verità per mascherare una giravolta obbligata, ma al momento non ci sono piani B.
Nei prossimi giorni la premier si dovrà solo assicurare che la Lega e il suo segretario in campagna elettorale permanente non voteranno diversamente dagli alleati di FdI e Forza Italia. Tolta l’irriducibile pattuglia del Carroccio guidata da Claudio Borghi, a Palazzo Chigi comunque sono ottimisti e non temono strappi più ampi: la stabilità dell’esecutivo rischierebbe di essere compromessa, e si aprirebbe uno scenario di crisi, con inevitabile verifica di maggioranza.
(da La Stampa)

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“IL MES? UNA TRAPPOLA PER TOPI, UNA FREGATURA. CHI DICE SÌ È NEMICO DELL’ITALIA”: COSA HA DETTO GIORGIA MELONI, NEI LUNGHI ANNI PASSATI ALL’OPPOSIZIONE

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

COME FARÀ A FAR DIGERIRE AI SUOI ELETTORI IL VOTO FAVOREVOLE DI FDI, SE APPENA TRE ANNI FA PARLAVA DI “ANTICAMERA DELLA TROIKA” E “CAPPIO AL COLLO”?

MES: MELONI, PRONTI A RESPINGERE NUOVO TENTATIVO
(ANSA) – ROMA, 23 FEB 2022 – “Il Ministro Franco ha annunciato che il Governo e’ intenzionato a riesumare la ratifica della riforma del Trattato del Mes, contro la quale piu’ volte questo Parlamento si e’ pronunciato in modo contrario. Noi non abbiamo cambiato idea: siamo pronti a respingere con tutte le nostre forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia”. Lo scrive su Facebook il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
MES: MELONI, E’ L’ ANTICAMERA DELLA ‘CURA’ GRECA
(ANSA) – ROMA, 09 DIC 2020 – “Questa riforma del Mes e’ l’anticamera della ‘cura’ greca. Io sono una patriota e voglio che rimanga agli atti che avevo avvertito: si sta materializzando l’antico volere tedesco, quello di farci pagare il debito con il risparmio privato”. Cosi’ la leader di FdI Giorga Meloni a Stasera Italia su Rete 4. Per Meloni “siccome anche il Mes sanitario ha le condizionalita’ succedera’ che se accediamo al Mes sanitario, poi scatteranno le condizionalita’ “.
MES: MELONI, DA UE LOGICA RICATTATORIA DA STROZZINI
(ANSA) – ROMA, 09 DIC 2020- “Prima ci ricattavano con lo spread, ora nel darci i soldi contro il virus: questa e’ una logica da strozzino, la stessa che stanno applicando con Polonia e Ungheria”. Lo afferma la leader di FdI, Giorgia Meloni, intervenendo nell’aula di Montecitorio. “Quanto e’ schifoso se non ti pieghi al diktat non ti do i soldi per i tuoi malati: nemmeno in guerra si bombardano gli ospedali”, aggiunge. “Si fa cosi’ con le colonie, ma nelle colonie ci sono i patrioti”.
MES: MELONI,DOMANI IN GIOCO NON GOVERNO MA LIBERTA’ D’ITALIA
(ANSA) – ROMA, 08 DIC 2020- “Spero che domani tutti i parlamentari, di qualsiasi formazione o schieramento, votino davvero secondo coscienza in merito alla riforma del Mes. Qui non c’e’ in gioco la sorte del Governo, dei ministri o dei parlamentari attaccati alla poltrona, la posta e’ molto piu’ alta: ad essere in gioco e’ la liberta’ dell’Italia. NO MES”. Lo scrive su Facebook la leader di FdI, Giorgia Meloni.
MES: MELONI, CON RIFORMA DIVENTA SALVA-BANCHE
(ANSA) – ROMA, 05 DIC 2020 – “Noi siamo contro questa riforma che trasforma il Mes da fondo salva stati a salva banche. Poi siamo contro il Mes perche’ non e’ vero che e’ senza condizionalita’ “. Cosi’ il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, intervenendo al programma-evento “SKYTG24 LIVE IN”
MES. MELONI, CONTRO RIFORMA OPPOSIZIONE GRANITICA
(ANSA) – ROMA, 03 DIC 2020 – “Sulla riforma del fondo Salva Stati mi pare che l’opposizione sia granitica e ne sono molto contenta: e’ un’opposizione patriottica che difende l’interesse nazionale italiano. Non possiamo dire la stessa cosa di una maggioranza abituata a difendere l’interesse personale di chi ne fa parte e che su queste materie non e’ mai in grado di anteporre l’interesse degli italiani a quello dei partiti”. Cosi’ la leader di FdI, Giorgia Meloni ai microfoni del Tg2. (ANSA).
MES:MELONI,FONDO SALVA STATI DIVENTA ‘SALVA BANCHE TEDESCHE’
(ANSA) – ROMA, 01 DEC 2020 – “Scavalcando con imbarazzante disinvoltura il Parlamento italiano, all’eurogruppo di ieri il Governo con il ministro Roberto Gualtieri ha dato l’ok dell’Italia alla riforma del Mes, il famigerato fondo “salva Stati” che ora diventa fondo “salva banche tedesche” (coi soldi di tutti).
È normale che il Parlamento venga sistematicamente umiliato e scavalcato da questo incredibile governo? Ai presidenti di Camera e Senato va bene cosi’ ? Certo non va bene a noi che contro questo schifo deciso sulla pelle degli italiani daremo battaglia.Appena un anno fa Luigi Di Maio, in qualita’ di ministro degli Esteri, faceva intendere che mai avrebbe firmato la modifica al trattato. Luigi, ma come fai a guardarti allo specchio?”. Lo scrive su Facebook il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
MES: MELONI, ATTO DI SOTTOMISSIONE A ISTITUZIONI UE
(ANSA) – ROMA, 25 NOV 2020 – “Se nessuno chiede il Mes allora credo che ci sia un motivo: Si tratta di un atto di sottomissione alle istituzioni Ue”. Cosi’ la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a SkyTg24.
MES: MELONI, QUEI 36 MLD CONVIENE PRENDERLI SUL MERCATO
(ANSA) – ROMA, 03 NOV 2020 – “Sul Mes non c’e’ un ripensamento, e non e’ una posizione ideologica. Di fronte alla politica monetaria della Bce non conviene: con la Bce che compra titoli di Stato e consente interessi negativi, quegli stessi 36 miliardi conviene prenderli sul mercato, perche’ costano di meno e non c’e’ il rischio di condizionalita’ “.Lo ha detto la leader di FdI, Giorgia Meloni, a ‘Stasera Italia’, su Rete 4. (ANSA).
MES:MELONI, GOVERNO ACCEDERA’ MA LO DIRA’ DOPO ELEZIONI
(ANSA) – BARI, 17 SET 2020 – “La maggioranza di Governo accedera’ al Mes ma lo diranno dopo le elezioni perche’ altrimenti si rischia una ulteriore fibrillazione all’interno della maggioranza”. Lo ha sostenuto la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a margine di una conferenza stampa svolta a Bari assieme a Raffaele Fitto, candidato per il centrodestra alla presidenza della Regione Puglia. (ANSA).
RECOVERY FUND: MELONI, RISCHIO RITARDI, NO AL MES
(ANSA) – PESARO, 06 SET 2020 – “No ai soldi del Mes, si’ a quelli del Recovery fund. Ma che rischiano di arrivare in ritardo, quando ormai le imprese che ne avevano bisogno saranno morte”: cosi’ Giorgia Meloni, presidente di Fdi, oggi a Pesaro parlando con i giornalisti. “Le risorse che arriveranno – ha aggiunto – dovranno essere spese su grandi investimenti e infrastrutture strategiche”. “La piu’ grande colpa dell’attuale governo – ha detto ancora Meloni – e’ di aver pensato di dilapidare oltre 100 miliardi di euro in mille rivoli e in decine di bonus inutili che non producono assolutamente nulla”. “Ci attende invece una grande sfida, sia in termini di infrastrutture viarie che digitali”, ha sottolineato la leader di Fratelli d’Italia.
UE: MELONI, IL MES E’ UN ATTO DI SOTTOMISSIONE
(ANSA) – ROMA, 15 LUG 2020 – “Quello che lei si trova a maneggiare per capriccio della storia e’ il destino dell’Italia e in parte dell’Europa. Abbiamo provato a darle buoni consigli e abbiamo avuto ragione molte volte perche’ raccontiamo le cose per quello che sono. Non sono d’accordo con quello che dice: i fondi europei sono in alto mare”. Cosi’ il presidente di FdI Giorgia Meloni in Aula alla Camera sulle comunicazioni del premier in vista del Consiglio Ue.
“La Germania – prosegue – ha svestito i panni del poliziotto cattivo ma ora si riprende il boccino del controllo ..voi lo avete capito? E intende approvare questa follia? Io sul Mes non ho cambiato idea e annunciamo voto contrario sulla risoluzione del collega Magi. Il fondo Salva Stati e’ un atto di sottomissione, le condizionalita’ ci sono eccome: noi dovremmo consegnare le chiavi di casa nostra per risparmiare al massimo 500 milioni all’anno? Allora, togliete il bonus monopattini…il gioco non vale la candela”.
MES: MELONI, M5S TRADIRA’ ITALIANI ANCHE SU QUESTO
(ANSA) – ROMA, 03 LUG 2020 – “Sul Mes il Governo rischierebbe grosso se i partiti della maggioranza e in particolare il M5S avessero una dignita’ . Perche’ quello che accadra’ e’ che il Governo accedera’ al Mes e il Movimento 5 Stelle tradira’ gli italiani anche su questo. Non lo fara’ Fratelli d’Italia: continuiamo a credere che il Mes sia un cavallo di Troika, un modo per commissariare la nostra economia, uno strumento assolutamente pericoloso e quindi voteremo contro”. Lo ha detto nel corso di una intervista al tg2 il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. (ANSA).
MES: MELONI: E’ CLAMOROSA TRAPPOLA
(ANSA) – ROMA, 30 GIU – “Continua il surreale dibattito sul MES. Con il Governo frantumato e prossimo alla dipartita, la sinistra continua a sperticarsi per far si’ che l’Italia contragga il debito con il Fondo ammazza Stati. Ci sara’ un motivo per cui nessuno Stato europeo ha chiesto il prestito al MES? Sono tutti matti? La verita’ e’ che il MES e’ una clamorosa trappola, le condizionalita’ ci sono eccome e il rischio di trovarci la Troika in casa e’ piu’ che concreto. Non e’ piu’ possibile assistere al dibattito mediatico tra esponenti della maggioranza che si contraddicono a vicenda, visto che il Governo e’ ormai al capolinea il dibattito va spostato in Parlamento. Subito. Ogni partito e ogni parlamentare si assuma la propria responsabilita’ e spero che il M5S, almeno su questo, non cambi idea”. Lo scrive su Facebook il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. (ANSA).
UE: MELONI, DA GOVERNO TRATTATIVA ISPIRATA A TAFAZZI
(ANSA) – MILANO, 11 MAG 2020 – “Il Recovery Fund, in assenza della Bce, e’ quello su cui avrebbe dovuto spingere il Governo ma mi pare che abbia scelto come al solito questa trattativa ispirata a Tafazzi, per cui intanto chiudo quello che intessa agli atri e poi discuto quello che interessa a me”.
Lo ha detto la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, rispondendo alla domanda di un ascoltatore ad Aria Pulita, su 7 Gold. “Io sto spingendo per il ‘Recovery Fund’, credo che tra gli strumenti messi in campo sarebbe quello migliore, anche se continuo a ritenere che la soluzione migliore per noi in assoluto sarebbe chiedere che la Bce facesse quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo” ossia “comprare titoli di Stato”, ha detto Meloni.
“Il Recovery Fund – ha aggiunto – e’ qualcosa che potrebbe essere utile ma non e’ stato chiarito come si finanzia. Se sono gli Stati a dover mettere i soldi in un fondo di ricovero, siamo di fronte a un altro Mes. Quello che noi stiamo chiedendo non e’ semplicemente un fondo, ma e’ pagare un fondo con gli eurobond, non con i titoli di Stato. Non e’ la mia soluzione preferita ma e’ migliore delle altre. Invece ci stanno spingendo verso l’adesione al Mes, per ragioni che per noi non sono vantaggiose”.
MES: MELONI, TRAPPOLA PER TOPI, ORA PIU’ RAFFINATA
(ANSA) – ROMA, 08 MAG 2020 – “La trappola per topi si sta facendo piu’ raffinata, ma temo rimanga una trappola per topi”. Cosi’ la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni sul Mes. “Ricordo a me stessa, e non solo, che il Mes e’ un trattato internazionale, non un programma della UE, e che quindi non basta una lettera di Gentiloni o un vago impegni politico per cambiarlo. Quando e se il trattato verra’ cambiato, ipotesi per la quale serve l’unanimita’ degli Stati membri dell’eurozona, valuteremo il nuovo trattato. Ma finora non e’ accaduto, e il trattato in vigore prevede delle condizioni molto rigide per chi accede al fondo salva stati. Condizioni come la sorveglianza rafforzata che infatti ci saranno, come si evince chiaramente dalle parole del commissario europeo Gentiloni e non solo”.
MES: MELONI, E’ FREGATURA, CHI DICE SI E’ NEMICO DELL’ITALIA
(ANSA) – ROMA, 22 APR 2020 – “Oggi abbiamo la Germania che sta contando gli spiccioli che perdono con gli eurobond mentre noi stiamo contando i morti”.Lo ha detto la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, su Facebook. “L’Europa e’ anche nostra cosa: non ci stanno facendo un favore. Il Mes e’ una fregatura, e’ una trappola. Chi dice il contrario – sottolinea Meloni – e’ un nemico dell’Italia”.
UE: MELONI A CONTE, IL SUO GOVERNO LAVORA NELLE TENEBRE
(ANSA) – ROMA, 21 APR 2020 – “Oggi non votiamo per evitare che possano emergere le contraddizioni di questa maggioranza. Lei in tv dice di essere trasparente ma in realta’ lavora con il favore delle tenebre, non ci faccia lezioni in tv”. Lo afferma la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, parlando a Montecitorio, rivolta a Conte. “In realta’ ha vinto il Pd, pensando di cambiare nome al Mes, chiamandolo Fes per farlo digerire ai 5s, per rendere chiara l’idea che hanno del loro alleato di governo, ma gli italiani non sono fes”. (ANSA).
MES: MELONI, IN UNA NAZIONE NORMALE IL PARLAMENTO VOTA
(ANSA) – ROMA, 17 APR 2020 – “E’ antica la divisione sul Mes tra noi e Berlusconi. Ci sono divergenze, dopo di che penso e sono d’accordo con Salvini sia un dibattito da sottoporre al Parlamento. In una nazione normale per un tema cosi’ sensibile si va in Parlamento e ognuno vota e ci mette la faccia”. Lo afferma il Presidente di fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a “Start” di skyTg24.
MES: MELONI, SENZA EUROBOND E’ CAPPIO AL COLLO E TROIKA
(ANSA) – ROMA, 15 APR 2020 – ”I prestiti” del Mes ”hanno condizioni. Che succede se non si restituiscono i soldi in tempo? Semplice, ci vengono a guardare i conti, il famoso commissariamento dell’economia da parte della troika e’ possibile. Io continuo a ritenere che il fatto di avere il mes in assenza di strumenti come gli eurobond sia un modo di stringere il cappio intorno al nostro collo”. Lo ha detto Giorgia Meloni nella registrazione di Porta a Porta, su Rai Uno.
(da Il Fatto Quotidiano)

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IL ROGO A TIVOLI POTREBBE NON ESSERE UN INCIDENTE ISOLATO: IN ITALIA UN OSPEDALE SU TRE NON RISPETTA LE NORME ANTINCENDIO

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

PER LA MESSA IN SICUREZZA DEGLI EDIFICI SONO STATI STANZIATI 24 MILIARDI DI EURO (NEL LONTANO 1988) MA NE SONO STATI UTILIZZATI SOLO IL 40%… IL 60% DELLE STRUTTURE È A RISCHIO: LA MAGGIORANZA RISALE A INIZIO ‘900 E, PER I LAVORI DI ADEGUAMENTO, È NECESSARIO PASSARE ATTRAVERSO UN LABIRINTO BUROCRATICO

Un ospedale su tre non rispetta le norme antincendio, una delle presunte cause del gravissimo episodio avvenuto al San Giovanni Evangelista di Tivoli. La federazione delle aziende ospedaliere, Fiaso, ha svolto quest’anno un’indagine a campione sul 10% delle Asl affiliate, in preparazione di un rapporto nazionale che possa offrire una panoramica sulle circa mille strutture sanitarie. Il risultato non si discosta molto da quello che sarebbe stato ottenuto all’inizio di questo millennio. Il presidente della federazione, Giovanni Migliore, analizza le cause.
Al primo posto «la complessità delle norme». Quella che riguarda l’adeguamento degli impianti è del 2015 e dava tempo alle aziende di presentare un piano di rifacimento entro l’anno successivo e di realizzarlo entro la fine del 2022. Poi sono subentrate altre proroghe di fronte alle difficoltà di ottemperare alle regole. Il parco ospedaliero italiano è antiquato, il 50% dei nosocomi risale al periodo 1900-1980, il 22% al secolo precedente e fra questi c’è appunto il San Giovanni di Tivoli.
Il 72%, quindi, ha più di 43 anni. Così se un direttore generale vuole procedere all’adeguamento deve scontrarsi con le autorizzazioni rilasciate da una sequela di enti, fra i quali la Sovrintendenza ai beni architettonici. Per non dire dei finanziamenti. La legge nel 2015 ne è sprovvista. A Tivoli il bando per i lavori strutturali era stato assegnato nel 2017, dopo oltre 10 anni. I lavori avrebbero dovuto finire dopo 18 mesi. Fino alla scorsa estate c’erano ancora le impalcature.
Da dieci anni la spesa per investimenti pubblici in conto capitale è ferma per carenza cronica di risorse e rispetto a quelli privati siamo oramai ultimi in Europa, ci batte solo la piccola Irlanda. Tutto questo nonostante un Piano di investimenti per l’edilizia sanitaria da oltre 24 miliardi di euro, messi a disposizione dallo Stato con l’articolo 20 della Finanziaria del lontano 1988, ma utilizzato solo al 40%, denuncia la Corte dei conti.
Che individua le colpe nelle procedure farraginose e nell’incapacità di realizzare progetti da parte delle amministrazioni locali. Gli stessi mali che ci fanno perdere decine di miliardi di cofinanziamenti europei. La relazione pubblicata dalla Corte del Conti nel 2018 tratteggia un quadro impietoso che tale è rimasto in questi anni, tanto che sempre a quella montagna di denaro inutilizzata ha deciso di attingere ora il governo Meloni per finanziare case e ospedali di comunità depennati dalla lista dei lavori finanziati con il Pnrr perché in ritardo nella messa a terra.
I 90 milioni stanziati per le misure antincendio vengono poi giudicati “assolutamente insufficienti”, visto che ne occorrerebbero 3 miliardi. Peggio ancora va se ci spostiamo sul campo dell’adeguamento antisismico, poiché a riguardo “nessuna dotazione risulta essere stata destinata”. Non un piccolo particolare se si considera che il ministero della Salute, sottolineano ancora i magistrati contabili, ha stimato in non meno di 12 miliardi lo stanziamento necessario per la messa in sicurezza delle strutture ospedaliere.
Poi ovviamente regione che vai situazione che trovi. Perché se alcune si sono date da fare per sottoscrivere gli accordi di programma, avviando così le ristrutturazioni, altre, come Lazio e Campania, “non hanno utilizzato circa il 68% delle risorse disponibili”. Pari a 1,1 miliardi nel primo caso, a 563 milioni nel secondo.
Ora, per dare una rammodernata ai nostri nosocomi arriva il Pnrr, che per la loro messa in sicurezza anche dal punto di vista antisismico e del rischio incendi mette sul piatto 1,6 miliardi, ai quali va aggiunto un miliardo e 450 milioni stanziati per gli stessi fini dal Fondo nazionale per gli investimenti complementari.
Del resto, basta incrociare i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sul nostro sistema sanitario e quelli della Protezione civile per rendersi conto di come stiano messi i nostri ospedali. Il 9% delle strutture (ovvero 75) risalgono all’Ottocento, nel 15% dei nostri nosocomi la prima pietra è stata messa quando i nostri bisnonni combattevano la prima guerra mondiale, mentre il 35% è stato costruito prima che finisse il secondo conflitto mondiale.
In pratica 6 ospedali su 10 hanno più di 70 anni di vita alle spalle. E nemmeno ben portati. La Protezione civile denuncia che di manutenzione se ne fa ben poca, al punto che il 60% rischia di venire giù con un terremoto nemmeno troppo violento.
(da Corriere della Sera)

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ODIO CHIAMA ODIO: LO STATO EBRAICO STA CRESCENDO UNA NUOVA GENERAZIONE DI TERRORISTI

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

IL DURISSIMO EDITORIALE DI GIDEON LEVY SUL QUOTIDIANO ISRAELIANO “HAARETZ”: “I BAMBINI DI GAZA NON DIMENTICHERANNO MAI. FORSE È LECITO E NATURALE PER UNA NAZIONE CONCENTRARSI SOLO SUL PROPRIO DOLORE E IGNORARE QUELLO BEN PIÙ GRANDE CHE STA CAUSANDO A UN’ALTRA NAZIONE. MA QUESTA GUERRA AVRÀ UN PREZZO, CHE GLI ISRAELIANI SARANNO COSTRETTI A PAGARE UN GIORNO”

Un padre in lutto, il cui figlio di 8 anni è stato ucciso dai soldati, questa settimana si è fermato all’ingresso della sua casa al confine con il campo profughi di Jenin e ha affermato una semplice verità: “Questi bambini non perdoneranno mai i soldati. State crescendo un’altra generazione di resistenza. Ora i nostri figli vogliono che anche i bambini israeliani vengano uccisi”.
Ho visitato la casa dell’uomo, Samer al-Ghoul, dopo una visita al campo di Jenin, dove nei giorni scorsi le Forze di Difesa Israeliane hanno nuovamente seminato distruzione, in misura orribile. Circa 80 case sono state demolite, tutte le strade del campo sono state sradicate dal loro posto e le fognature, le cui infrastrutture sono state distrutte, scorrono nelle strade e lasciano uscire fetore. I bambini del campo di Jenin ci sguazzano dentro.
Dall’altra parte dei regni “occupati”, i bambini vengono uccisi a migliaia. Le recenti immagini da Jabalya hanno dimostrato che né Dio né l’IDF hanno pietà dei bambini. Ogni 15 minuti, un bambino viene ucciso a Gaza. Ogni pochi minuti, un bambino viene portato di corsa in ciò che resta di un ospedale, gettato sul pavimento sudicio, a volte senza che nessuno lo accompagni.
A volte nessuno sa se è rimasto qualcuno vivo in famiglia, e il bambino lancia uno sguardo incomprensibile e vitreo a ciò che sta accadendo intorno a lui. Il suo corpo e il suo viso sono coperti di polvere; è stato estratto dalle rovine. Queste immagini vengono trasmesse in continuazione da tutti i canali televisivi che conoscono il significato di giornalismo, ad eccezione della televisione israeliana, che non mostra nulla di tutto ciò, dopo essersi mobilitata completamente al servizio della guerra.
Tutti questi bambini – i morti, i morenti, i sanguinanti, i feriti, i disabili, gli orfani, i terrorizzati, i senzatetto e gli squattrinati – hanno fratelli e amici che crescono con loro. Sono la prossima generazione e non dimenticheranno mai. Mentre Israele si preoccupa della sua terribile e giustificata rabbia per ciò che Hamas gli ha fatto, e di curare le sue ferite e i suoi feriti, quasi nessuno si scandalizza per ciò che l’IDF sta facendo a Gaza e Jenin.
Nessuno pensa al trauma all’ombra del quale cresceranno i bambini di Gaza, alla sofferenza inconcepibile di decine di migliaia di bambini che ora camminano indifesi, nella paura esistenziale, per le strade in rovina. Non hanno un rifugio antiatomico, né un centro di resilienza, né un consulto psicologico e nemmeno una casa.
Forse è lecito e naturale per una nazione concentrarsi solo sul proprio dolore e ignorare il dolore ben più grande che sta causando a un’altra nazione. Questo è molto dubbio. Ma questo ignorare avrà anche un prezzo che gli israeliani saranno costretti a pagare un giorno, e il prezzo – almeno quello – dovrebbe disturbarli.
Un attacco sfrenato e terribilmente crudele contro Gaza crea un odio verso Israele a livelli mai visti prima, a Gaza, in Cisgiordania, nella diaspora palestinese, nel mondo arabo e ovunque nel mondo, dove la gente vede ciò che gli israeliani non vedono e non vogliono vedere. E ciò che è ancora più terribile è che questo odio sarà giustificato. Niente sarà più giustificato.
Guardate quale odio è stato seminato nei cuori di quasi tutti gli israeliani da un solo barbaro attacco. Ha distrutto le vestigia del campo di pace, ha trasformato il grido “morte agli arabi” in qualcosa di anacronistico e moderato. Ora è “morte a tutti gli arabi”. Alcuni lo dicono ad alta voce, altri lo pensano soltanto. Immaginate quali semi di odio stiano germogliando in ogni luogo che ora è esposto agli orrori, da Shujaiya a Manhattan ad Amman.
Si possono vedere gli orrori di Gaza e non odiare coloro che li stanno infliggendo? Vivere ciò che sta accadendo a Gaza e non sognare di vendicarsi? Generazioni di palestinesi hanno lasciato in eredità l’odio per Israele come risultato della prima Nakba, e altre generazioni ora lasceranno in eredità un odio ancora maggiore, come risultato della seconda Nakba che è stata loro promessa.
“La prossima generazione dorme nella stanza accanto / la sento respirare / La prossima generazione sogna nella stanza accanto / e mormora paure nel sonno”, canta Hanan Yovel sulle parole di Ehud Manor; la prossima generazione palestinese mormora paure nel sonno, ma non è nella stanza accanto – non ha spazio.
Tra qualche mese, i bravi israeliani si recheranno ancora una volta a Parigi e a Londra, a Dubai e a New York, e rimarranno scioccati da quanto ci odiano. Perché? Cosa abbiamo fatto di male?
(da haaretz)

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LA VERGOGNA DEI FASCICOLI ARRETRATI NEI TRIBUNALI DEI MINORI

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

RIGUARDANO IL DESTINO DI 110.000 BAMBINI

È un’emergenza collettiva che ci riguarda molto da vicino, ma la vediamo solo quando diventa il titolo di un tg o di un giornale. Parliamo della sofferenza sociale e psichica di bambini e adolescenti: se non curata tempestivamente finisce troppo spesso con l’aggravarsi, fino a procurare danni irreparabili e condizionare o compromette la loro vita adulta. Il fenomeno delle baby gang, la delinquenza minorile, i giovanissimi che abbandonano la scuola, i bambini stranieri senza famiglia, i minori orfani di violenza domestica, vittime di abusi o figli di alcolisti o tossicodipendenti rappresentano solo alcune delle situazioni che richiedono valutazioni adeguate, interventi rapidi e sorveglianza sulla corretta applicazione delle misure. Chi deve occuparsi di tutti questi casi è il Tribunale per i minorenni. Siamo andati a vedere come funziona. Quello che emerge lascia interdetti.
Cosa c’è sul tavolo dei giudici
In Italia ci sono 29 Tribunali per i minorenni: a tutti manca il personale amministrativo, mentre i giudici previsti dalle piante organiche sono meno rispetto alla mole di lavoro e in quasi la metà dei Tribunali il loro numero non viene neppure rispettato. A Milano dovrebbero essere 18 invece sono 13, a Roma 16 e sono in 12, a Genova 7 e sono in 5, a Bari 10 e sono in 7. E via di questo passo a Firenze, Venezia, Ancona, Napoli. Né bastano i giudici onorari che li affiancano (psicologi, pedagogisti, neuropsichiatri infantili, educatori, assistenti sociali).
Il risultato è l’accumulo di fascicoli: il totale fa quasi 110 mila, e a ogni fascicolo corrisponde un minore e il suo destino. Le chiamano «pendenze». A Milano sono 12.662: vuol dire che ogni singolo giudice ha sul tavolo 974 fascicoli arretrati, e ogni anno 562 casi nuovi. A Roma le pendenze sono 8.368, a Napoli 5.531, a Bologna si raggiunge il numero esorbitante di 10.106, nonostante il numero dei giudici sia quello previsto da pianta organica. Ma concretamente cosa vogliono dire questi numeri per la vita dei minori?
Prima autolesionista, poi drogato
Vincenzo, 12 anni, si ferisce volontariamente. La scuola informa i servizi sociali e, dopo una diagnosi di disturbo depressivo, arriva la decisione del Tribunale per i minorenni: deve andare dallo psicologo e ai genitori va affiancato un educatore a domicilio. Passano due anni e mezzo, ma i servizi sociali non si attivano e il giudice non sollecita perché ha altre urgenze. Vincenzo lascia la scuola e inizia a drogarsi. A 16 anni ritorna al Tribunale per i minorenni, stavolta davanti al giudice penale per furto e spaccio.
In comunità, anziché in famiglia
Claudia e Armando sono due fratellini inseriti in comunità perché i genitori sono entrambi tossicodipendenti. Prima che i Servizi sociali segnalino al Tribunale passano 5 mesi, altri 6 prima che i genitori vengano inseriti in percorsi di disintossicazione, altri 15 prima di capire che la disintossicazione non sta funzionando. Nel frattempo i bambini, che avrebbero potuto essere dati in affido, restano in comunità. Invece Marco è un giovane papà che per 2 anni vede il figlio piccolo in uno «spazio protetto» a causa di pregressi problemi di droga. Il padre accetta di seguire un percorso di disintossicazione che funziona bene e dopo 3 anni chiede di essere reintegrato nella responsabilità genitoriale. Ma il giudice risponde alla richiesta dopo 13 mesi
Quattro fratelli alla deriva
Hanno un’età compresa fra i 3 e i 16 anni. Il padre è in carcere, la madre convive con un compagno. I più piccoli devono essere seguiti a casa da un educatore, i più grandi frequentare un centro diurno, per tutti è necessario un supporto psicologico. I giudici non riescono a seguire l’evolversi della situazione per prendere via via provvedimenti mirati: la figlia più grande diventa maggiorenne e oggi non studia né lavora; il secondo è tossicodipendente; il terzo con disturbi dell’apprendimento. Per il più piccolo si apre l’affido perché la madre non ce la fa.
Orfana di femminicidio
La mamma di Gioia, 4 anni, è morta per mano del padre. Ci vogliono 15 mesi per dichiarare la bambina adottabile, ma nel frattempo per mancanza di fondi non viene attivato nessun supporto psicologico nonostante disturbi del sonno e pianti prolungati. Conseguenza: la ricerca di una famiglia adottiva fallisce poiché la bambina non riesce a inserirsi in nessuna famiglia.
Nessun sostegno dopo gli abusi
Marina subisce abusi sessuali tra gli 8 e i 10 anni dal compagno della madre. Trova il coraggio di raccontare a scuola. Si apre il procedimento penale che porta alla condanna dell’uomo. La ragazzina viene seguita da uno psicologo, ma dopo 6 sedute la terapia si interrompe perché all’operatore è scaduto il contratto della cooperativa. Marina salta ripetutamente la scuola, fughe da casa e uso di sostanze stupefacenti.
Mamma alcolista
Francesca ha problemi di alcol e per 2 anni sta in comunità con il figlio di Gabriele di 4 anni. Quando finalmente tornano a casa è prevista l’attivazione di un educatore domiciliare per il reinserimento nella vita normale, e la presa in carico del Gruppo operativo di alcologia (Noa). Nel passaggio di competenze tra i servizi sociali e specialistici che la seguivano in comunità e quelli del nuovo Comune di residenza, a cui passa il caso, l’educatore domiciliare non si trova. Dopo 6 mesi Francesca torna a bere e Gabriele non va a scuola.
Chi deve fare cosa
Le competenze sono divise. Il Tribunale per i minorenni si occupa di adozioni, affidi etero-familiari e di limitazioni della responsabilità genitoriale nel caso in cui la presenza in famiglia può arrecare danno a un bambino o a un adolescente. Poi c’è il Tribunale ordinario che interviene in caso di separazioni, divorzi e conseguente necessità di regolamentazione della responsabilità genitoriale dei figli di coppie sposate e non; infine il giudice tutelare che si occupa di tutele di minori italiani, oltre che di nomine e gestioni delle amministrazioni di sostegno. Tradotto nella pratica: la polizia interviene su un brutto episodio di violenza e allontana un minore dalla famiglia. La polizia segnala subito il caso alla Procura presso il Tribunale per i minorenni che, a sua volta, chiede ai giudici la convalida di quell’allontanamento e altri provvedimenti a tutela. Nel frattempo la madre si separa dal compagno/marito e quindi deposita, con il suo avvocato, un ricorso davanti al giudice del Tribunale ordinario nel quale chiede, oltre alla separazione, l’affidamento del figlio e l’assegno di mantenimento per il minore. Successivamente la madre decide di recarsi all’estero, il padre si oppone e non dà il consenso all’espatrio. La madre per ottenere il documento valido è costretta a fare ricorso al giudice tutelare. Questa frammentazione di competenze allunga i tempi e complica situazioni già difficili in origine
La riforma Cartabia
La legge 206 del 26 novembre 2021, nota come riforma Cartabia sulla giustizia, per quanto riguarda i minori viene attuata con il decreto legislativo 149 del 10 ottobre 2022 (qui). L’obiettivo è di riunire entro ottobre 2024 tutti i procedimenti sotto un tribunale unico dal nome «Tribunale per le Persone, per i Minorenni e per le Famiglie», applicando un rito unico. Le buone intenzioni, però, devono fare i conti con la realtà. Due i problemi su tutti.
1) Per i procedimenti iscritti dopo il 28 febbraio 2023 i giudici onorari non avrebbero più potuto svolgere attività istruttoria, occuparsi della prima udienza, né procedere autonomamente all’ascolto del minore. Sono intervenute due proroghe, ma dal 30 aprile 2024 tutto ricadrà sulle spalle dei giudici togati già oggi seppelliti dai fascicoli.
2) Al 30 giugno 2023 avrebbe dovuto essere operativa l’informatizzazione del Tribunale per i minorenni. A metà dicembre 2023 sia il Tribunale ordinario, sia quello dei Minorenni e il giudice tutelare non sono ancora in grado di vedere reciprocamente tutti i procedimenti che riguardano lo stesso minore. E poi se l’organico rimane lo stesso, se restano tal quale i fondi per il sostegno ai minori e genitori e nessuno guarda quali sono le criticità dentro agli uffici fuori parametro, cambia davvero poco. Le conseguenze le vediamo quando finiscono in cronaca.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)

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I PADANI STUFI DI SALVINI: IN VENETO E LOMBARDIA FORZA ITALIA SACCHEGGIA LA LEGA

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

TOSI TRATTA CON L’ALA GOVERNISTA VICINA A ZAIA

Quando qualcuno chiede a Flavio Tosi se nello Zaiastan Forza Italia sta svuotando la Lega, lui si smarca sornione: “Campagna acquisti? Macché!”. Ma intanto, zitto zitto, il neo coordinatore azzurro del Veneto spunta le caselle. Assessori, consiglieri regionali o comunali, ex senatori. Dai più piccoli ai pezzi da 90: chi bussa è dentro. Chi è ancora indeciso viene cercato. Gli ex colleghi di partito della Lega gli danno del “furbacchione”, ma con lui Forza Italia in Veneto è passata da 300 a 3mila iscritti.
L’appuntamento sono le Regionali del 2025 in cui Tosi sarà candidato a governatore. Ad annunciarlo è stato Antonio Tajani durante la due giorni in Veneto della settimana scorsa. Gli azzurri, del resto, sono d’accordo con Fratelli d’Italia a non concedere l’ennesimo mandato a Luca Zaia. Dunque Tosi sarebbe il favorito; in pole position anche per fare il pieno dei leghisti scontenti.
A essere sotto osservazione sono proprio gli “zaiani” – la cosiddetta Lega di governo – in fermento per la svolta sovranista di Salvini. A riaccendere le polemiche è stata una foto che ritrae Tosi accanto all’assessore regionale Gianpaolo Bottacin durante un evento di FI, mentre dà buca alla kermesse delle ultradestre a Firenze. Il passaggio agli azzurri è imminente. Il problema è che non è l’unico. Si stanno preparando al trasloco anche gli assessori regionali Federico Caner e Roberto Marcato. Ma il contrattacco dei forzisti, a dire il vero, era partito in estate, con il rumoroso passaggio a FI dell’ex senatore trevigiano Giampaolo Vallardi, dopo 28 anni nel Carroccio. Con lui erano passati a FI anche Francesca Da Villa, ex assessore della giunta Brugnaro a Venezia, l’ex consigliere comunale di Padova Alain Luciani, e l’ex vice presidente della Regione, Gianluca Forcolin.
Il “clou” dei malumori si registra però negli ultimi giorni. Ai primi di dicembre il leghista Nicola Finco ha mandato su tutte le furie Zaia presentando in Consiglio regionale un emendamento non concordato con il partito. Probabilmente un assist a FdI. Anche lui è dato in rotta di uscita. L’emorragia non si arresta nemmeno nelle terre del Doge. Nel Trevigiano hanno dato il ben servito a Salvini in solo colpo l’ex sindaca di Vedelago, Cristina Andreatta, assieme agli ex consiglieri comunali Francesca Laner, Luca Ballan e Roberto Nicoletti, a cui si sono aggiunti Ilenia Tobio e Andrea Maritan (candidati con il Carroccio alle ultime elezioni) e l’ex consigliere comunale Renzo Franco. A settembre abbandonano il Carroccio anche i consiglieri comunali bellunesi Roberto Ferro e Francesco La Grua. A fare ancora più rumore però è l’annuncio delle dimissioni del sindaco di Castelfranco Veneto e presidente provinciale Stefano Marcon, che parla di un clima “da incubo” all’interno del partito. Sensazione condivisa pure dal sindaco di Palù, Francesco Farina, e dal leghista Giovanni Bottura, usciti dopo il caso Marcon.
A inizio ottobre anche l’ex deputato Vito Comencini saluta Salvini. La scelta, spiega il parlamentare veronese, è stata una conseguenza dell’addio al partito dell’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli. E infatti, anche in terra lombarda il fuggi fuggi non sembra fermarsi.
Il caso più eclatante è quello di Pavia, dove da maggio FI ha pescato 12 esponenti di spicco del Carroccio. Tanto da chiudere la campagna tesseramenti provinciale con 3.500 nuovi iscritti. L’ultimo passaggio è stato a novembre, quando l’ex assessore regionale Silvia Piani e i consiglieri comunali Gennaro Gallo e Gianmatteo Rona sono passati tra gli Azzurri. Rona spiegherà: “Non credo più a chi taglia solo nastri e fa selfie”. A pensarla così è anche l’ex deputata Maria Teresa Baldini, con un passato nella Lega di Bossi. È appena uscita da FdI per fondare il movimento “Lega per il Nord”: “La Lega è nata con certe idee, autonomia e federalismo – spiega al Fatto – ma nel partito di Salvini questi concetti non ci sono più”.
(da La Stampa)

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BOOM DI PRESTITI PER LE SPESE PERSONALI: LE FAMIGLIE SI INDEBITANO PER LE VACANZE

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

ALBERGHI E VIAGGI REGISTRANO IL TUTTO ESAURITO

L’inflazione è scesa un poco, ma i prezzi degli aerei e degli alberghi per il periodo natalizio sono esplosi come mai prima, superando anche i prezzi pre-Covid 19. Eppure segnano il tutto esaurito. Accanto a chi non riesce a soddisfare i bisogni essenziali – oltre 5 milioni di poveri assoluti secondo gli ultimi dati Istat – e a chi arriva a fatica a fine mese e non riesce a risparmiare per le emergenze o per il futuro, c’è molta ricchezza sia palese, sia nascosta dentro il buco nero dell’evasione fiscale, che consente di mantenere un livello di consumi alto nonostante l’aumento dei prezzi. Ma al fenomeno del tutto esaurito contribuiscono, in parte almeno, anche altri due fenomeni.
Il primo riguarda la voglia di dimenticare almeno per un po’ le tensioni e preoccupazioni che ormai ci accompagnano da diversi mesi, anzi anni, in cui più che uscire da un tunnel si entra in un altro e questo si ramifica. Non so se sia voglia di sfida o semplicemente di temporanea parentesi, sospensione delle preoccupazioni, come appunto ci si aspetta, almeno idealmente, da una vacanza, soprattutto se “altrove”.
Il secondo fenomeno riguarda la crescente propensione all’indebitamento per accedere a consumi non solo necessari, ma voluttuari. La diminuzione della propensione al risparmio documentata da Istat negli ultimi trimestri è certamente largamente dovuta alla riduzione del reddito disponibile a causa dell’inflazione nei ceti medio-bassi. Ma sospetto che sia in parte, più piccola, dovuta alla maggiore propensione al consumo, o al desiderio di mantenere il livello di consumo “voluttuario” sperimentato in tempi migliori da parte di un ceto non abbiente, ma neppure in ristrettezze economiche, disponibile non solo a ridurre e intaccare i risparmi per soddisfare i propri desideri, ma anche ad indebitarsi, coadiuvato dal proliferare di agenzie finanziarie che hanno proprio nel sostegno ai consumi delle famiglie e degli individui il proprio target principale.
Quando qualche decennio fa quando ho vissuto per un periodo negli Stati Uniti avevo scoperto con mia grande sorpresa che il fenomeno dell’indebitamento al fine, non solo di acquistare un’abitazione o finanziare gli studi universitari, ma di effettuare i consumi più vari, dalle vacanze agli acquisti al supermercato, era molto diffuso anche tra chi non aveva un reddito basso. Lo strumento principale era la carta di credito (anche più di una), allora pochissimo diffusa in Italia. Essa consentiva, fino ad un certo punto e a determinate condizioni, di spendere al di sopra delle proprie possibilità immediate, nella speranza più o meno fondata di riuscire a saldare il debito prima che la carta venisse bloccata e scattasse l’intimazione a pagare (con gli interessi).
Molti ci riuscivano, ma molti altri si trovavano a fronteggiare livelli di indebitamento schiaccianti, con il rischio di perdere tutto ciò che avevano. Era, apparentemente, un fenomeno così diffuso da essere oggetto di inchieste giornalistiche (per questo ne ero venuta a conoscenza) e da sollevare preoccupazioni anche a livello politico. Credo che nel frattempo gli istituti che emettono carte di credito siano diventati più prudenti nel concederle e nel monitorare i livelli e tempi di indebitamento.
Come in America
Lo sono certamente in Italia, dove anche le banche sono molto (a volte fin troppo) caute nel concedere prestiti, a partire dal mutuo per la casa, a chi, individuo, non offre garanzie solide. Ma sono subentrate, appunto, le agenzie finanziarie che in questi anni si sono moltiplicate e basano tutta la loro campagna pubblicitaria sulla loro capacità di offrire in tempi record e competitivi con quelli delle banche non solo mutui per l’acquisto della casa, ma anche prestiti per l’acquisto di elettrodomestici, di un’auto, per finanziare una vacanza, perfino per affittare ombrellone e lettini d’estate. «Basta un giorno», come recita lo slogan di una di queste agenzie.
Nulla di male, naturalmente, nell’indebitarsi per realizzare un desiderio se si ritiene di potere estinguere il debito senza difficoltà, anche se una oscillazione degli interessi, a seconda dei casi, tra il 7,40 e il 14,40 per cento, oltre alle varie spese, mi sembra molto ampia e richiede da parte di chi chiede il prestito un buon grado di conoscenza finanziaria ed una adeguata valutazione della propria situazione nel breve e medio periodo. Comunque, auguri di buone vacanze e buona vita.
(da La Stampa)

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NETANYAHU E’ IL PIU’ GRANDE ALLEATO DI HAMAS

Dicembre 11th, 2023 Riccardo Fucile

L’ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES SVELA I RETROSCENA

Poche settimane prima che Hamas lanciasse gli attacchi mortali del 7 ottobre contro Israele, il capo del Mossad era arrivato a Doha per un incontro con i funzionari del Qatar. Per anni, il governo del Paese del Golfo ha inviato milioni di dollari al mese nella Striscia di Gaza, denaro che ha contribuito a sostenere il governo di Hamas. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu non solo tollerava questi pagamenti, ma li incoraggiava.
Durante gli incontri di settembre, al capo del Mossad, David Barnea, è stata posta una domanda che non era all’ordine del giorno: Israele voleva che i pagamenti continuassero?
Il governo di Netanyahu aveva recentemente deciso di continuare con quella politica, quindi Barnea disse di sì. Il governo israeliano accoglieva ancora con favore il denaro proveniente da Doha.
Consentire quei pagamenti – miliardi di dollari in circa un decennio – è stata una scommessa di Netanyahu, secondo cui un flusso costante di denaro avrebbe mantenuto la pace a Gaza e mantenuto Hamas concentrata sul governo, non sulla lotta.
I pagamenti del Qatar, sebbene apparentemente segreti, erano ampiamente conosciuti in Israele, e i media dello Stato ebraico ne hanno discusso per anni. I critici di Netanyahu li hanno denigrati come parte di una strategia per “comprare la tranquillità”, e ora quella scelta è al centro di una spietata revisione dopo gli attacchi del 7 ottobre. Netanyahu si è scagliato contro queste critiche, definendo “ridicola” l’insinuazione che abbia cercato di rafforzare Hamas.
Attraverso interviste a più di due dozzine di attuali ed ex funzionari israeliani, americani e qatarioti, e a funzionari di altri governi mediorientali, il New York Times porta ora alla luce nuovi dettagli sulle origini di quella politica, sulle controversie scoppiate all’interno del governo israeliano e su quanto Netanyahu si sia spinto a fare per proteggere i qatarioti dalle critiche e continuare a far circolare il denaro.
I pagamenti facevano parte di una serie di decisioni prese da leader politici, ufficiali militari e funzionari dell’intelligence israeliana, tutte basate sulla valutazione, fondamentalmente errata, che Hamas non fosse interessata né capace di un attacco su larga scala. Il Times ha già riferito in precedenza dei fallimenti dell’intelligence e di altre ipotesi errate che hanno preceduto gli attacchi.
Anche se l’esercito israeliano ha ottenuto piani di battaglia per un’invasione di Hamas e gli analisti hanno osservato importanti esercitazioni di terrorismo appena oltre il confine di Gaza, i pagamenti sono continuati. Per anni, gli agenti dei servizi segreti israeliani hanno persino scortato un funzionario del Qatar a Gaza, dove distribuiva denaro da valigie piene di milioni di dollari.
I soldi provenienti dal Qatar avevano ufficialmente scopi umanitari, come il pagamento degli stipendi governativi a Gaza e l’acquisto di carburante per mantenere in funzione una centrale elettrica. Ma i funzionari dell’intelligence israeliana ora ritengono che il denaro abbia avuto un ruolo nel successo degli attacchi del 7 ottobre, se non altro perché le donazioni hanno permesso ad Hamas di dirottare parte del proprio budget verso le operazioni militari. Separatamente, l’intelligence israeliana ha da tempo valutato che il Qatar utilizza altri canali per finanziare segretamente l’ala militare di Hamas, un’accusa che il governo del Qatar ha negato.
“Qualsiasi tentativo di gettare un’ombra di incertezza sulla natura civile e umanitaria dei contributi del Qatar e sul loro impatto positivo è infondato”, ha dichiarato un funzionario del Qatar in un comunicato.
Molti governi israeliani hanno permesso che il denaro andasse a Gaza per ragioni umanitarie, non per rafforzare Hamas, ha detto un funzionario dell’ufficio di Netanyahu in un comunicato. Ha aggiunto: “Il Primo Ministro Netanyahu ha agito per indebolire Hamas in modo significativo. Ha guidato tre potenti operazioni militari contro Hamas che hanno ucciso migliaia di terroristi e alti comandanti di Hamas”.
Hamas ha sempre dichiarato pubblicamente il suo impegno per eliminare lo Stato di Israele. Ma ogni pagamento è stato una prova del fatto che il governo israeliano riteneva che Hamas fosse una seccatura di basso livello, e, anzi, persino una risorsa politica.
Già nel dicembre 2012, Netanyahu disse all’importante giornalista israeliano Dan Margalit che era importante mantenere Hamas forte, come contrappeso all’Autorità Palestinese in Cisgiordania. Margalit, in un’intervista, ha affermato che Netanyahu gli disse che avere due forti rivali, tra cui Hamas, avrebbe diminuito la pressione su di lui per negoziare la nascita di uno Stato palestinese.
Il funzionario dell’ufficio del primo ministro ha detto che Netanyahu non ha mai fatto questa dichiarazione. Ma il primo ministro avrebbe espresso questa idea ad altri nel corso degli anni.
Mentre i leader militari e dei servizi segreti israeliani hanno riconosciuto le carenze e gli errori che hanno portato all’attacco di Hamas, Netanyahu si è rifiutato di affrontare tali questioni. E con la guerra in corso a Gaza, la resa dei conti politica per l’uomo che è stato primo ministro per 13 degli ultimi 15 anni è, per il momento, in sospeso.
Ma i critici di Netanyahu affermano che il suo approccio ad Hamas faceva parte, in fondo, di un calcolo politico cinico: la “tranquillità” di Gaza era un mezzo per rimanere in carica senza affrontare la minaccia di Hamas o il ribollente malcontento palestinese.
“La concezione di Netanyahu per un decennio e mezzo è stata: ‘se ci compriamo il silenzio e facciamo finta che il problema non ci sia, possiamo aspettare e il problema svanirà’”, ha detto Eyal Hulata, consigliere per la sicurezza nazionale di Israele dal luglio 2021 all’inizio di quest’anno.
Alla ricerca di un equilibrio
Netanyahu e il suo staff sulla sicurezza hanno lentamente iniziato a riconsiderare la loro strategia nei confronti della Striscia di Gaza dopo diversi conflitti militari sanguinosi e inconcludenti contro Hamas.
“Tutti erano stanchi di Gaza”, ha detto Zohar Palti, ex direttore dell’intelligence del Mossad. “Tutti dicevamo: ‘Dimentichiamoci di Gaza’, perché sapevamo che era una situazione di stallo”.
Dopo uno dei conflitti, nel 2014, Netanyahu ha tracciato un nuovo corso, enfatizzando una strategia per cercare di “contenere” Hamas mentre Israele si concentrava sul programma nucleare iraniano e sui suoi eserciti per procura come Hezbollah.
Questa strategia è stata sostenuta da ripetute valutazioni di intelligence secondo cui Hamas non era interessato né in grado di lanciare un attacco significativo all’interno di Israele.
Il Qatar, in quel periodo, è diventato un finanziatore chiave per la ricostruzione e le operazioni governative a Gaza. Il paese del Golfo, una delle nazioni più ricche del mondo, ha a lungo sostenuto la causa palestinese e, tra tutti i suoi vicini, ha coltivato i legami più stretti con Hamas. Questi rapporti si sono rivelati preziosi nelle ultime settimane, quando i funzionari del Qatar hanno contribuito a negoziare il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza.
Il lavoro del Qatar a Gaza fu benedetto dal governo israeliano. Netanyahu ha persino esercitato pressioni su Washington a favore del Qatar. Nel 2017, mentre i repubblicani spingevano per imporre sanzioni finanziarie a Doha, per il suo sostegno ad Hamas, Netanyahu inviò a Washington alti funzionari della difesa. Gli israeliani dissero ai legislatori americani che il Qatar aveva svolto un ruolo positivo nella Striscia di Gaza, secondo tre persone che hanno familiarità con quel viaggio.
Yossi Kuperwasser, ex capo della ricerca dell’intelligence militare israeliana, ha detto che alcuni funzionari hanno visto i benefici del mantenimento di un “equilibrio” nella Striscia di Gaza. “La logica di Israele era che Hamas dovesse essere abbastanza forte da governare Gaza”, ha detto, “ma abbastanza debole da essere scoraggiato da Israele”.
Le amministrazioni di tre presidenti americani – Barack Obama, Donald J. Trump e Joseph R. Biden Jr. – hanno ampiamente sostenuto il ruolo diretto del Qatar nel finanziamento delle operazioni a Gaza. Ma non tutti erano d’accordo.
Avigdor Lieberman, mesi dopo essere diventato ministro della Difesa nel 2016, scrisse una nota segreta a Netanyahu e al capo di stato maggiore israeliano, sostenendo che Hamas stava lentamente costruendo le sue capacità militari per attaccare Israele, e che Israele avrebbe dovuto colpire per primo.
L’obiettivo di Israele è “assicurare che il prossimo confronto tra Israele e Hamas sia la resa dei conti finale”, ha scritto nel promemoria, datato 21 dicembre 2016, una copia del quale è stata esaminata dal Times. Secondo Lieberman, un attacco preventivo avrebbe potuto permettere la rimozione della maggior parte della “leadership dell’ala militare di Hamas”. Netanyahu respinse il piano, preferendo il contenimento allo scontro.
Hamas come “una risorsa”
Tra gli agenti del Mossad incaricati di tracciare i finanziatori dei terroristi, alcuni sono arrivati a credere che, anche al di là del denaro proveniente dal Qatar, Netanyahu non fosse molto preoccupato di impedire che il denaro andasse ad Hamas.
Uzi Shaya, ad esempio, ha fatto diversi viaggi in Cina per cercare di bloccare quella che l’intelligence israeliana aveva valutato essere un’operazione di riciclaggio di denaro per Hamas gestita attraverso la Bank of China.
Dopo il suo pensionamento, è stato chiamato a testimoniare contro la Bank of China in una causa americana intentata dalla famiglia di una vittima di un attacco terroristico di Hamas.
All’inizio, il capo del Mossad lo ha incoraggiato a testimoniare, dicendo che avrebbe potuto aumentare la pressione finanziaria su Hamas, ha ricordato Shaya in una recente intervista. Poi i cinesi hanno offerto a Netanyahu una visita di Stato. Improvvisamente, ha ricordato Shaya, gli ordini cambiarono: Non doveva più testimoniare.
Netanyahu ha visitato Pechino nel maggio 2013, nell’ambito di uno sforzo per rafforzare i legami economici e diplomatici tra Israele e Cina. Shaya disse che gli sarebbe piaciuto testimoniare. “Purtroppo”, ha detto, “ci sono state altre considerazioni”.
Anche se le ragioni della decisione non sono mai state confermate, il cambiamento di rotta lo ha lasciato sospettoso. Soprattutto perché a volte i politici hanno parlato apertamente del “valore” di un Hamas forte. Shlomo Brom, generale in pensione ed ex vice del consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, sostiene ad esempio che il rafforzamento del movimento avrebbe aiutato Netanyahu a evitare di negoziare uno Stato palestinese.
“Un modo efficace per impedire una soluzione a due Stati è la divisione tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania”, ha dichiarato in un’intervista. La divisione dà a Netanyahu una scusa per disimpegnarsi dai colloqui di pace, sostiene Brom: “Può dire di non avere nessun partner con cui negoziare”.
Netanyahu non ha espresso pubblicamente questa strategia, ma alcuni esponenti della destra politica israeliana non hanno avuto esitazioni.
Bezalel Smotrich, un politico di estrema destra che ora è il ministro delle Finanze di Netanyahu, lo ha detto senza mezzi termini nel 2015, l’anno in cui è stato eletto in Parlamento. “L’Autorità palestinese è un peso”, ha detto. “Hamas è una risorsa”.
Valigie piene di contanti
Durante una riunione di gabinetto del 2018, gli assistenti di Netanyahu presentarono un nuovo piano: ogni mese, il governo del Qatar avrebbe versato milioni di dollari in contanti direttamente alla popolazione di Gaza come parte di un accordo di cessate il fuoco con Hamas.
Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza nazionale del Paese, avrebbe monitorato l’elenco dei beneficiari per cercare di garantire che i membri dell’ala militare di Hamas non ne beneficiassero direttamente.
Nonostante queste rassicurazioni, il dissenso esplose. Lieberman vide subito il piano come una capitolazione, dimettendosi nel novembre 2018. Accusò pubblicamente Netanyahu di “comprare una pace a breve termine al prezzo di un grave danno alla sicurezza nazionale a lungo termine”. Negli anni successivi, Lieberman sarebbe diventato uno dei più feroci critici di Netanyahu.
Durante un’intervista rilasciata il mese scorso nel suo ufficio, Lieberman ha affermato che le decisioni prese nel 2018 hanno portato direttamente agli attacchi del 7 ottobre. “Per Netanyahu c’è solo una cosa veramente importante: essere al potere a qualsiasi costo”, ha detto. “Per rimanere al potere, ha preferito pagare per la tranquillità”.
Le valigie piene di denaro cominciarono presto ad attraversare il confine con Gaza. Ogni mese, i funzionari di sicurezza israeliani incontravano Mohammed al-Emadi, un diplomatico del Qatar, al confine tra Israele e Giordania. Da lì, lo accompagnavano al valico di frontiera di Kerem Shalom e a Gaza.
Inizialmente, Emadi portava con sé 15 milioni di dollari da distribuire, con 100 dollari consegnati in luoghi designati a ogni famiglia approvata dal governo israeliano, secondo quanto riferito da ex funzionari israeliani e americani.
I fondi erano destinati a pagare gli stipendi e altre spese, ma un diplomatico occidentale di alto livello, che ha vissuto in Israele fino all’anno scorso, sostiene che i governi occidentali avevano da tempo valutato che Hamas faceva la cresta sugli esborsi di denaro.
“Il denaro è fungibile”, dice Chip Usher, analista senior per il Medio Oriente presso la C.I.A. fino al suo pensionamento quest’anno. “Tutto ciò che Hamas non ha dovuto utilizzare dal proprio bilancio ha liberato denaro per altre cose”.
Naftali Bennett, che era ministro dell’Istruzione di Israele nel 2018 quando sono iniziati i pagamenti e poi è diventato ministro della Difesa, è stato tra i membri del governo di Netanyahu che hanno criticato i pagamenti. Li ha definiti “denaro di protezione”.
Eppure, quando Bennett ha iniziato il suo mandato di un anno come primo ministro nel giugno 2021, ha continuato con quella politica. A quel punto, il Qatar spendeva circa 30 milioni di dollari al mese a Gaza.
Bennett e i suoi assistenti, tuttavia, decisero che gli esborsi di denaro erano un imbarazzo per il suo governo. Durante le riunioni con i funzionari della sicurezza, Barnea, il capo del Mossad, esprimeva la sua opposizione a continuare i pagamenti, certo che parte del denaro venisse dirottato verso le attività militari di Hamas.
Da parte loro, i funzionari del Qatar volevano un modo più stabile e affidabile per far arrivare il denaro a Gaza a lungo termine. Tutte le parti hanno raggiunto un compromesso: le agenzie delle Nazioni Unite avrebbero distribuito il denaro del Qatar al posto del signor Emadi. Una parte di quei soldi è stata destinata direttamente all’acquisto di carburante per la centrale elettrica di Gaza.
Hulata, il consigliere per la sicurezza nazionale di Bennett, ricorda la tensione di quei giorni: Israele stava benedicendo questi pagamenti del Qatar, anche se le valutazioni dell’intelligence del Mossad concludevano che il Qatar stava usando altri canali per finanziare segretamente il braccio militare di Hamas.
Era difficile fermare questi pagamenti, ha detto, quando Israele era diventato così dipendente dal Qatar.
Yossi Cohen, che ha gestito il dossier del Qatar per molti anni come capo del Mossad, è arrivato a mettere in discussione la politica di Israele nei confronti del denaro di Gaza. Durante il suo ultimo anno di gestione del servizio di spionaggio, ha ritenuto che ci fosse poca sorveglianza sulla destinazione del denaro.
Nel giugno 2021, Cohen ha tenuto il suo primo discorso pubblico dopo il ritiro dal servizio di spionaggio. Ha detto che il denaro del Qatar destinato alla Striscia di Gaza era andato “fuori controllo”.
Mark Mazzetti and Ronen Bergman
(da nytimes.com)

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