Destra di Popolo.net

ALLA PROTEZIONE CIVILE E’ ESONDATO IL CONTO DEL RISTORANTE

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

PER UN CONVEGNO SPESI 160 EURO PIU’ IVA A TESTA PER 74 COMMENSALI

Con i cambiamenti climatici e i disastri naturali sempre più frequenti in Italia fra incendi, terremoti e alluvioni da anni l’Italia spende miliardi di euro per le politiche di protezione civile, in cui certo eccelle tanto che l’opera del dipartimento guidato da Fabrizio Curcio spesso viene richiesta all’estero. Come gettonatissimo è il know how della protezione civile italiana anche fuori dai confini europei.
Il meeting a Roma su alluvioni e incendi
Anche per questo motivo Roma era stata scelta il 30 novembre e il 1 dicembre scorso come sede del convegno “UCPM Lessons Learnt Programme, Meeting on wildfires and floods in 2023”, che ha riunito molti giovani tecnici ed esperti delle protezioni civili dei 27 stati europei. Il primo giorno è stato dedicato alle conseguenze dei fenomeni atmosferici estremi e alle alluvioni e il secondo agli incendi boschivi. Nella foto di gruppo finale erano 74 i partecipanti ritratti, e oltre loro c’erano tre importanti conferenzieri: il padrone di casa, Curcio, il ministro della protezione civile e per le politiche del mare, Nello Musumeci, e il commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič, responsabile per la protezione civile e gli aiuti umanitari della Ue.
Conto del catering come un ristorante stellato
Il convegno è stato a detta di tutti un successo, ma ora – nella sezione amministrazione trasparente della presidenza del Consiglio dei ministri – sono saltati fuori i costi delle due giornate.
Così si scopre che ad essere alluvionato senza protezione è stato il conto della cena del 30 novembre, con un catering organizzato che allo Stato italiano è costato 160 euro più Iva per ogni commensale. Un prezzo da ristorante stellato.
L’alluvione è continuata nella pausa lavori, quando gli ospiti sono stati accompagnati da una guida di lingua inglese a visitare la Galleria Colonna nell’omonimo palazzo che ospitava i lavori. Costo del tour culturale in sede: 75 euro più Iva ad ospite.
La signora degli eventi
A presentare il conto è stato lo Studio Ega srl di Claudia Maria Golinelli, che ha l’esclusiva per l’organizzazione di eventi per la Galleria Colonna. E che ha richiesto anche 7 mila euro più Iva per l’affitto della coffee house, altri 2.500 euro più Iva per la segreteria organizzativa e infine 3 mila euro più Iva per la stampa del menù della cena, gli addobbi floreali, il servizio guardaroba, l’accoglienza ospiti in sala e la fornitura di microfoni, sedute e leggio sul palco per gli interventi. Lo Studio Ega da anni organizza eventi per il governo italiano, e recentemente era stato protagonista organizzando la presentazione a Parigi della non fortunatissima avventura di Roma Expo 2030.
(da Open)

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RIVOLTA NEL PARTITO DI MACRON DOPO AVER OTTENUTO I VOTI DI LE PEN PER LEGGE ANTI-IMMIGRAZIONI

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

RICONGIUNGIMENTI E ACCESSO ALLE PRESTAZIONI SOCIALI SEMPRE PIU’ DIFFICILI: MACRON NON HA CAPITO CHE IL POSTO DEI RAZZISTI E’ LA GALERA… CON QUESTA FECCIA NON SI TRATTA

Il governo francese è sull’orlo della crisi dopo che ieri sera l’Assemblea nazionale di Parigi ha dato il via libera – con i voti della destra – a un progetto di legge sull’immigrazione che promette di rendere molto più severo l’approccio del Paese alla questione, riducendo le possibilità d’ingresso e i ricongiungimenti, ostacolando l’accesso alle prestazioni social per gli extracomunitari, anche regolari, e smontando ogni meccanismo automatico di ius soli. «La storia ricorderà coloro che hanno tradito le loro convinzioni», ha tuonato il leader del Partito socialista Olivier Faure, mentre Marine Le Pen esulta per la «vittoria ideologica» del suo Rassemblement National (già Front National), che, sostiene, è riuscito a far tradurre in legge il principio della «preferenza nazionale» (prima i francesi, in sostanza). Bocciato in una prima versione dal Parlamento la scorsa settimana, il progetto di legge è stato ripresentato ieri alla Camera dal partito di Emmanuel Macron, che per assicurarsi l’approvazione ha acconsentito a una serie di pesanti concessioni alle richieste della destra. Dopo ore di tensione, alla fine l’Assemblea nazionale ha dato l’ok al testo con 349 sì e 186 no. Tra quelli a favore, sono arrivati i voti compatti anche degli 88 deputati del Rassemblement National, mentre decine di quelli di Renaissance hanno voltato le spalle al “loro” governo
Ministri infuriati, stasera Macron parla al Paese
Il giorno dopo il voto Emmanuel Macron deve scongiurare una nuova crisi politica: il suo incarico all’Eliseo è di fatto intoccabile, a norma di Costituzione, ma la tenuta dell’esecutivo guidato da Elisabeth Borne è tutt’altro che assicurata. Il ministro della Sanità Aurélien Rousseau ha mantenuto la parola data e ha rassegnato le dimissioni, e altri membri del governo potrebbero presto seguirlo: tentati dall’addio sarebbero in particolare, secondo i media francesi, il ministro dei Trasporti Clément Baune, quella dell’Educazione Sylvie Retailleau e quello della Casa Patrice Vergriete. Ma ad alimentare il caos sono che alcune affermazioni della stessa premier Borne, che stamattina ha detto a France Inter di aver «fatto il proprio dovere» ma di ritenere lei stessa che il progetto approvato contenga delle norme di sospetta incostituzionalità. Oggi Macron invierà la legge al Consiglio costituzionale che dovrà dare il suo parere proprio di conformità alla Costituzione, quindi stasera metterà la faccia su quel che sta accadendo parlando in tv, alla seguita trasmissione politica C à Vous su France 5.
Cosa prevede la legge
Il progetto di legge prevede una lunga serie di nuove disposizioni sul sistema di accoglienza e integrazione francese, tutte nel senso di un maggior indurimento. Uno dei più discussi prevede che l’accesso alle prestazioni sociali (sussidi, case popolari etc.) per gli stranieri provenienti da Paesi extra-Ue sarà possibile solo dopo cinque anni di regolare residenza nel Paese, “decurtati” a 30 mesi per chi ha un lavoro. Restano esclusi da queste disposizioni studenti stranieri e rifugiati. Quanto agli immigrati del futuro, si prevede nel testo l’instaurazione di quote fisse annuali per i prossimi tre anni, e diventa più difficile arrivare in Francia anche per chi deve ricongiungersi a un famigliare che già vi si è installato: quest’ultimo deve aver già vissuto nel Paese per almeno 24 mesi e poter contare su risorse «stabili, regolari e sufficienti» oltre che su un’assicurazione sanitaria, il congiunto deve avere almeno 21 anni. prefetti avranno un ampio potere discrezionale nel decidere sulle eventuali regolarizzazioni di immigrati che già lavorano. Capitolo cittadinanza francese, infine: lo ius soli per persone nate in Francia da genitori stranieri non sarà più automatico al compimento della maggiore età, ma andrà richiesto con una procedura ad hoc che i ragazzi dovranno presentare tra i 16 e i 18 anni. E la cittadinanza francese potrà essere tolta a chi ne ha più d’una in caso di condanna per omicidio di agenti di polizia o altri funzionari statali. Diverse di queste disposizioni sono considerate incostituzionali dalla stessa maggioranza di governo, che spera ora paradossalmente che il Consiglio costituzionale le decurti dal testo approvato. I centristi sono riusciti a mantenere invece nel testo il divieto di rinchiudere stranieri minorenni in centri di detenzione.
(da agenzie)

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TRUMP NON SI POTRA’ CANDIDARE PER LE PRESIDENZIALI 2024 IN COLORDO: LA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

IL 14° EMENDAMENTO VIETA DI RICOPRIRE CARICE PUBBLICHE ALLE PERSONE COINVOTE NELL’ASSALTO AL CAMPIDOGLIO… TRUMP RICORRERA’ ALLA SUPREMA CORTE FEDERALE DOVE HA LA MAGGIORANZA TRA I GIUDICI

Il nome di Donald Trump non può comparire sulla scheda elettorale delle prossime presidenziali, perché il 6 gennaio del 2021 ha partecipato ad un’insurrezione contro la Costituzione.
E’ l’esplosiva sentenza emessa dalla Corte Suprema del Colorado, che promette di aprire una disputa legale capace di paralizzare l’intero processo per la selezione del prossimo inquilino della Casa Bianca.
La Section 3 del Quattordicesimo emendamento della Costituzione americana squalifica dalle elezioni le persone che hanno partecipato ad un’insurrezione, dopo aver giurato di difendere la legge fondamentale del paese assumendo una carica pubblica. Su questa base nei mesi scorsi si è aperto un dibattito, in cui diversi giuristi sostenevano che le autorità dei singoli cinquanta stati avevano il potere di escludere Trump dalle prossime presidenziali, perché dopo aver prestato giuramento per entrare alla Casa Bianca, il 6 gennaio del 2021 aveva partecipato al tentativo di rovesciare l’ordine costituzionale, incoraggiando i suoi sostenitori a manifestare contro il Congresso che si apprestava a ratificare la vittoria di Joe Biden.
Il segretario di Stato del New Hampshire aveva considerato a lungo questa opzione, ma aveva stabilito di non poter agire senza un’indicazione precisa da parte di un tribunale. Quindi erano state presentate cause nel suo stato, in Minnesota, Michigan e Colorado.
Nei primi due casi i giudici le avevano rifiutate per vizi procedurali, mentre la corte del Michigan aveva deciso di non intervenire perché si trattava di una questione politica.
In Colorado la magistrata Sarah Wallace aveva stabilito che il 6 gennaio del 2021 era avvenuta un’insurrezione, e Trump vi aveva preso parte incoraggiando i manifestanti, tenendo un discorso prima dell’assalto al Congresso, e difendendolo con i successivi messaggi su Twitter.
Wallace aveva anche affermato che i tribunali hanno l’autorità di imporre l’applicazione del Quattordicesimo emendamento, ma si era fermata davanti alla carica del presidente, dicendo che la clausola non si applica al capo della Casa Bianca perché la sua mansione e il suo giuramento sono diversi da tutti gli altri.
La Corte d’Appello aveva confermato la sua sentenza, ma ora la Corte Suprema l’ha rovesciata, stabilendo che Wallace aveva ragione su tutto, tranne l’ultimo punto: la Section 3 vale per ogni cittadino, e quindi anche per il presidente.
Di conseguenza il nome di Trump va cancellato dalle schede per le primarie repubblicane, e non può arrivare proprio su quelle delle elezioni del prossimo novembre. I giudici però hanno sospeso l’applicazione della loro sentenza, per dare tempo a Donald di fare appello.
Lui ovviamente ha subito annunciato che si rivolgerà alla Corte Suprema federale, dove conta su una maggioranza di sei giudici conservatori, di cui tre nominati da lui, e ha usato la questione per fare propaganda e raccogliere fondi elettorali.
Questa tattica ha funzionato con gli altri quattro casi penali in cui è stato incriminato, perché presentandosi come la vittima di una persecuzione politica ha spinto i suoi sostenitori ad appoggiarlo ancora di più.
Così è balzato in testa ai sondaggi per le primarie repubblicane, e ora anche per le presidenziali. Il problema però è che se la Corte Suprema federale decidesse che il Quattrodicesimo emendamento si applica al suo caso, la questione verrebbe riaperta in tutto il paese.
Le cause fioccherebbero ovunque, ma nessun tribunale avrebbe il potere di scavalcare quello di Washington, e le autorità elettorali dei cinquanta stati non potrebbero più evitare di cancellare il nome di Trump dalle schede delle presidenziali.
A quel punto il rischio di insurrezioni violente diventerebbe molto reale, ma le forze dell’ordine avrebbero l’autorità legale per fermarle. Se invece la Corte Suprema federale boccerà la sentenza di quella del Colorado, Trump potrà usare la vicenda come uno strumento di propaganda, per ripetere che è vittima di un complotto politico ordito con la complicità del sistema giudiziario.
(da La Repubblica)

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L’ACCORDO SUL NUOVO PATTO DI STABILITA’, DECISO DA GERMANIA E FRANCIA, PUO’ METTERE L’ITALIA IN DIFFICOLTA’: CHI SFORA IL TETTO DEL 3% NEL RAPPORTO DEFICIT-PIL DOVRÀ ASSICURARE UN AGGIUSTAMENTO DEI CONTI PARI ALLO 0,5% DEL PIL IN TERMINI STRUTTURALI

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

PER I PAESI CON DEBITO OLTRE IL 90% (CIOE’ L’ITALIA) NON BASTERÀ PORTARE IL DISAVANZO AL 3%: SI DOVRA’ SCENDERE ALL’1,5%… BISOGNERÀ ASSICURARE UNA CORREZIONE ANNUA DEI CONTI IN TERMINI STRUTTURALI (0,3% DEL PIL PER PIANI DI AGGIUSTAMENTO QUADRIENNALI, 0,2% PER QUELLI SETTENNALI)

Francia e Germania hanno trovato l’intesa sulla riforma del Patto di Stabilità. I rispettivi ministri delle Finanze, Bruno Le Maire e Christian Lindner, l’hanno sancita ieri sera durante una cena a Parigi e hanno assicurato che il loro collega Giancarlo Giorgetti, con il quale sono rimasti in contatto, «è sulla stessa linea». Ci sarebbe dunque un accordo a tre. Dal Tesoro, però, ieri sera non sono arrivati commenti ufficiali, segno che Giorgetti deve ancora ottenere il mandato dal governo per dare il via libera definitivo durante la riunione straordinaria dell’Ecofin prevista per oggi pomeriggio alle 16.
I 27 ministri delle Finanze non saranno a Bruxelles, ma si collegheranno per una videocall. Venerdì scorso Giorgetti aveva messo le mani avanti, dicendo che non avrebbe firmato un accordo in videoconferenza. Oggi si troverà davanti a un bivio: rimangiarsi quanto annunciato oppure mettersi di traverso e bloccare un’intesa raggiunta da Parigi e Berlino «al 100%» (Le Maire dixit, ndr), rovinando così la festa alla ministra Nadia Calviño.
Le Maire e Lindner hanno invece preferito vedersi di persona, con il tedesco che ieri è volato a Parigi.I due hanno spiegato che le ultimissime questioni da chiudere riguardavano «il braccio preventivo» del Patto di Stabilità (vale a dire il regolamento che definisce i vincoli di bilancio nei periodi normali) perché tutti i nodi sul «braccio correttivo» (ossia i vincoli da rispettare quando un Paese è sotto procedura) sono stati ormai sciolti: chi sfora il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil dovrà assicurare un aggiustamento dei conti pari allo 0,5% del Pil in termini strutturali, ma è stata introdotta una flessibilità «temporanea» al fine di tenere in considerazione l’aumento del costo degli interessi sul debito.
All’Ecofin dell’8 dicembre, i ministri di Francia, Germania e Italia avevano concordato un periodo transitorio di tre anni (2025-2027), ma potrebbero esserci dei cambiamenti. Berlino insisteva per scendere a due anni.
Le ultime questioni che saranno discusse oggi dai ventisette ministri […] riguardano due soli punti. Il primo è legato alle salvaguardie sul deficit: per i Paesi con debito oltre il 90% non basterà portare il disavanzo al 3%, ma dovranno scendere all’1,5%.Per farlo sarà necessario assicurare una correzione annua dei conti in termini strutturali: nell’ultima versione si parlava dello 0,3% del Pil in caso di piani di aggiustamento quadriennali (0,2% per quelli settennali). Il numero, però, non è ancora definitivo.
L’altro punto riguarda invece lo scostamento annuale massimo dalla traiettoria di aggiustamento della spesa (0,5% l’anno o 0,75% nell’intero periodo secondo la bozza precedente), oltre il quale scatterà il rapporto della Commissione e poi eventualmente l’apertura di una procedura. Per il resto, verrà confermata la disposizione che prevede un taglio minimo dell’1% del debito per i Paesi che superano la soglia del 90% del Pil (0,5% per gli altri).
Da un lato la tenaglia franco-tedesca ormai salda, dall’altra una maggioranza da convincere. «Abbiamo parlato entrambi con Giorgetti», dicono dopo l’ennesimo incontro a due il duro Christian Lindner e il mediatore Bruno Le Maire. Oggi pomeriggio il ministro leghista del Tesoro siederà al tavolo di Quintino Sella a via XX settembre per partecipare con altri ventisei colleghi europei alla riunione dell’Ecofin in videoconferenza.
L’impressione è che l’accordo sia a portata di mano, ma il silenzio dell’italiano segnala che la partita non è chiusa. […] «Le probabilità di un accordo sono aumentate», dice una fonte della Commissione di Bruxelles. Giorgetti ieri ha passato gran parte della giornata al telefono. Ha sentito i due colleghi di Parigi e Berlino, il commissario italiano all’Economia Paolo Gentiloni, anche lui impegnato nella mediazione, e Giorgia Meloni.
L’impressione è che Giorgetti abbia ottenuto ciò che era in grado di ottenere, e a questo punto prima di porre il veto ad un accordo fra Berlino e Parigi meglio dormirci sopra. Allo stesso tempo occorre far digerire alla maggioranza di centrodestra ed euroscettica un sì che porterebbe con sé la ratifica della riforma del fondo salva-Stati, sul quale resta il no della Lega. […] Dalle parole secche di Le Maire a favore di un accordo si intuisce invece che Emmanuel Macron voglia chiudere, a costo di mettere alle strette la premier italiana.
Da Palazzo Chigi filtra lo stupore per il metodo franco-tedesco. L’unica certezza è che la riunione a distanza dei ministri oggi non potrà chiudere formalmente l’accordo. A Bruxelles sono pronti a convocare una successiva riunione degli ambasciatori per formalizzare il sì. La presidenza spagnola dell’Unione ha già convocato una conferenza stampa alle 18 di oggi, due ore dopo l’inizio della videconferenza dei ministri. Se così fosse, subito dopo partirebbe la trattativa fra Consiglio europeo e Parlamento per concludere la riforma.
La questione più delicata, oggetto ancora di discussione telefoniche fra i tecnici, è quella che riguarda il cosiddetto «braccio preventivo», ovvero le probabilità che l’Italia possa subire una procedura di infrazione laddove non fosse in linea con le indicazioni del nuovo Patto. Nell’ultima riunione dei ministri Le Maire aveva convinto i tedeschi ad accettare una fase transitoria nei percorsi di aggiustamento del deficit dello 0,5 per cento annuo, circa dieci miliardi.
L’ipotesi, trascritta in un incontro a quattro fra Germania, Francia, Italia e Spagna era di tenere conto degli interessi pagati per le spese nei settori ritenuti strategici dall’Unione, ovvero difesa, transizione verde e digitale, per un periodo di tre anni, quindi 2025, 2026 e 2027. Nella conferenza stampa dopo il vertice Giorgetti disse che era un passo avanti, ma non sufficiente. Allora la richiesta era di ottenere una deroga al 2028, ovvero alla fine naturale della legislatura.
Secondo il Tesoro fino ad allora i conti italiani resteranno zavorrati dai bonus edilizi per venti miliardi l’anno, e dunque sarebbe impossibile garantire il rispetto dell’impegno. […] Sullo sfondo dell’insoddisfazione italiana c’è poi la questione del nuovo bilancio europeo, e il taglio ai (nuovi) fondi inizialmente stanziati per la gestione dell’emergenza migranti, su cui in queste ore è in corso una trattativa parallela. Per tutte queste ragioni Meloni e Giorgetti potrebbero decidere di prendere ancora tempo, magari facendo leva sull’insoddisfazione degli altri partner. Al tavolo, fino a prova contraria, ci vuole il sì di tutti e ventisette.+
(da Huffingtonpost)

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IL PREMIERATO, IL QUIRINALE E LE PAROLE AL VENTO DI LA RUSSA

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

IL PREMIERATO TOGLIERA’ AL PRESIDENTE I SUOI DUE POTERI COSTITUZIONALMENTE PIU’ RILEVANTI

Sfortunatamente, non a tutti sono note le competenze costituzionali del senatore Ignazio La Russa. Però, vista anche la prestigiosa carica da lui attualmente ricoperta di Presidente del Senato, per importanza la seconda della Repubblica, è giusto ipotizzare che la sua preparazione in materia di Costituzione sia all’altezza.
Pertanto, quando dichiara che la proposta di cambiamento della forma di governo italiano, perché di questo si tratta, da democrazia parlamentare a premierato, avrà effetti (importanti) sui poteri del Presidente della Repubblica, è opportuno procedere a più di una riflessione.
Per carità, si è affrettato ad aggiungere, sbagliando, La Russa, gli effetti si sentiranno non sui poteri scritti nella Costituzione, ma sui poteri dal Presidente (più di uno in verità, da Scalfaro a Napolitano a Mattarella) esercitati fuori dalla Costituzione formale, in ossequio a una non meglio definita Costituzione materiale. Il premierato ricondurrà il Presidente con i suoi poteri dentro il recinto Costituzionale.
No, non è vero; non sarà affatto come dice La Russa.
Sostanzialmente il premierato toglierà al Presidente i suoi due poteri costituzionalmente più rilevanti. Primo non potrà più esercitare il potere di nominare il Presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini, che è il punto qualificante il premierato voluto da Giorgia Meloni. Dovrà limitarsi, se non vuole aprire un conflitto di assoluta gravità, lui, eletto da una maggioranza parlamentare, contro l’eletto/a dal popolo, a ratificare l’esito di quella elezione popolare. Peggio ancora in caso di sostituzione di quell’eletto/a ad opera e all’interno della sua stessa maggioranza parlamentare.
Questa sostituzione di un eletto dal popolo con un parlamentare eletto da una minima frazione di quel popolo, se non, addirittura, entrato in parlamento grazie al premio di maggioranza, è una delle non piccole aporie contenute nella proposta di riforme. Il non eletto godrà anche del potere/privilegio di chiedere, meglio imporre al Presidente di sciogliere il Parlamento. Lo scioglimento non potrà comunque mai più essere sostanzialmente deciso dal Presidente della Repubblica.
Tralascio che il Presidente non avrà più il potere di nominare Senatori/trici a vita, notoriamente inclini a favorire una parte politica (sic), ma la condivisibile esigenza che la rappresentanza politica sia tutta elettiva comporterebbe che neppure gli ex-Presidenti diventino senatori a vita.
Nella sua malcelata intenzione di confinare i Presidenti della Repubblica italiana in un ruolo puramente notarile, anche meno, il senatore La Russa straccia tutte le variegate interpretazioni date dai giuristi a quel ruolo: rappresentanza della nazione, garante, super partes, riequilibratore. Lo vorrebbe esclusivamente notarile, rubber stamp (no, non è esattamente la parola usata da La Russa). Sarebbe forse il caso di approfondire, come praticamente nessuno ha finora fatto, la metafora della fisarmonica dei poteri presidenziali.
Ad ogni modo, un punto deve essere chiarissimo. Il premierato descritto e interpretato da La Russa va frontalmente e deliberatamente contro il principio fondativo delle democrazie parlamentari che è anche il loro pregio maggiore: la flessibilità, di cui i Presidenti italiani, anche i meno interventisti, hanno saputo fare ottimo uso. Messo ai margini, il Presidente farà discorsi cerimoniali/cerimoniosi e taglierà nastri. Pure dopo la sua elezione popolare diretta, il Primo ministro dovrà guardarsi dai partiti della sua maggioranza, mentre il suo successore sarà costretto ad ottemperare ai desideri di quella maggioranza. Rigidamente.
Non sembra proprio che il premierato si configuri come un miglioramento della democrazia parlamentare repubblicana.
(da editorialedomani.it)

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ELON MUSK E LE DEMOCRAZIE APPESE AI SUOI SATELLITI E AI SOCIAL NETWORK

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

RISCHIO REALE DI MANIPOLAZIONE DI MASSA… LE MANCATE CENSURE AI SUPREMATISTI E IL LICENZIAMENTO DELL’80% DEI DIPENDENTI

Elon Musk ha saputo creare dal nulla imprese automobilistiche e missilistiche che hanno costretto tutte le industrie americane del trasporto e dello spazio a cambiare rotta e a seguirlo.
Fino a quando è rimasto nelle praterie dell’industria manifatturiera e digitale – auto, astronavi, pannelli solari, tunnel sotterranei, Intelligenza artificiale – Musk era solo un imprenditore geniale e visionario.
Le cose sono profondamente cambiate col suo sbarco nel mondo della comunicazione e dell’informazione, a partire dalla creazione della rete di satelliti Starlink coi quali un privato può dare o togliere la connessione digitale a intere aree del Pianeta prive, in genere a causa di conflitti, di altre reti di telecomunicazione. Così l’uomo più ricco del mondo è diventato anche quello più potente
La copertura su Ucraina e Gaza
A fine febbraio del 2022, dopo l’invasione russa e la distruzione dell’intera rete ucraina di telecomunicazioni, Musk, con la rete dei suoi satelliti (Starlink), ha consentito a Kiev di ripristinale i collegamenti civili e militari. Mesi dopo, spaventato dalle reazioni furibonde del Cremlino, ha disattivato senza preavviso le comunicazioni sulla Crimea rendendo cieche le forze ucraine che stavano operando in quell’area. Dopo l’attacco terroristico di Hamas, quando gli israeliani hanno spento la rete su Gaza per impedire ad Hamas di comunicare durante l’attacco, Musk ha offerto ai palestinesi connessioni via satellite, provocando minacce di rappresaglia israeliane.
Twitter (X) non è un affare
Dopo mesi di tira e molla, il 27 ottobre 2022 compra Twitter, una rete sociale essenziale per il giornalismo e la politica. E la stravolge. Il social che da molti anni era il perno del sistema d’informazione degli Usa e anche di molti altri Paesi, capace di filtrare, attraverso il lavoro di migliaia di moderatori, molti dei contenuti violenti o falsi immessi in rete, esce a pezzi.
Le analisi pubblicate dai media americani sul primo anno della gestione Elon Musk di Twitter (ora X.com) concordano: il bilancio della nuova gestione del social è fallimentare. Musk ha ritirato l’azienda dalla Borsa e, quindi, non è più tenuto a fornire informazioni dettagliate agli azionisti. Ma è lui stesso ad ammettere che Twitter/X potrebbe aver perso gran parte del suo valore (in un caso ha ipotizzato addirittura il 90 per cento) rispetto ai 44 miliardi di dollari da lui pagati per rilevarla.
In estate ha anche denunciato un calo delle entrate pubblicitarie del 60 per cento, ma qualche giorno fa ad Atreju ha sostenuto che gli inserzionisti stanno tornando.
Per quanto riguarda la diffusione, rispetto ai 260 milioni di utenti attivi al giorno indicati dall’azienda l’anno scorso, gli analisti indipendenti di Sensor Tower, che misurano gli utenti attivi via app mobile, hanno indicato di recente 183 milioni per X, a fronte dei 2 miliardi di utenti di YouTube, 1,4 di Facebook, 1,1 di Instagram, i 683 milioni di TikTok.
Fuori i moderatori, dentro le fake news
Il nuovo padrone ha messo alla porta l’80 per cento degli addetti: 6.000 licenziamenti in pochi mesi. Lo dichiara lui stesso in una intervista alla BBC. Il taglio più grosso: i moderatori che gestiscono il sistema di filtraggio dei contenuti. Lui l’ha smantellato quasi del tutto considerandolo uno strumento illiberale e politicamente orientato poiché il 98 per cento delle donazioni elettorali dei dipendenti di Twitter va al partito democratico.
Scavando negli archivi della società, poi, il neoproprietario scopre che fino ad allora Twitter aveva offerto all’FBI e ai servizi segreti Usa la possibilità di indicare preventivamente i post considerati pericolosi, dei quali veniva suggerita l’eliminazione.
Ma, privata dei suoi filtri, la rete si riempie rapidamente di messaggi d’odio, invettive dei suprematisti bianchi, fake news e teorie cospirative. Elon peggiora le cose trasformando la «spunta blu», un sistema di certificazione dell’identità del titolare di un account che Twitter offriva agli utenti più influenti, in una corsia preferenziale a disposizione di chiunque, se disposto a pagare: 9,76 euro al mese con iscrizione via web, oppure da 102,40 a 114,99 all’anno a seconda del dispositivo con cui ci si abbona; 1.159 euro al mese per tutte le organizzazioni.
Le proteste Ue
A ottobre scorso il commissario europeo Thierry Breton accusa X di essere diventata una piazza digitale aperta all’antisemitismo e un megafono della propaganda terrorista di Hamas. La Commissione europea contesta alla piattaforma di Musk di non aver agito tempestivamente e con responsabilità alle segnalazioni sui contenuti illegali come previsto dal Digital Service Act per i gestori di piattaforme social. Lunedì 18 dicembre la Commissione ha aperto la procedura formale di infrazione contro la piattaforma perché ritiene non soddisfacenti le risposte fornite da Musk.
Usa: «è ripugnante», ma dipende da Musk
Il 19 Novembre il NyT scrive: «la Casa Bianca ha denunciato Elon Musk per “ripugnante promozione dell’odio antisemita e razzista”». Tutto ciò potrebbe far pensare che l’amministrazione Biden smetterà di fare affari con la persona più ricca del mondo.
Ma non può: i missili di Musk mettono in orbita anche i segretissimi satelliti di spionaggio, comando e controllo del Pentagono, le sue astronavi sono l’unico veicolo (insieme alle vecchie Soyuz russe) per mandare astronauti sulla Stazione spaziale internazionale. Il modulo di allunaggio della prossima missione verso la Luna sarà di SpaceX. I satelliti di Starlink sono un business, ma hanno anche grande valore geostrategico. Una dipendenza così elevata del governo degli Stati Uniti da un unico produttore di tecnologia non ha precedenti: bisogna tollerare il «ripugnante» Musk. Fastidi della democrazia: in Cina Xi l’avrebbe mandato per un paio d’anni in rieducazione, come ha fatto col re dell’e-commerce Jack Ma. Musk giustifica i contenuti infami su X con la sua idea dell’assoluta libertà di parola. Poi è andato in visita a Tel Aviv e ha detto che X censurerà non l’antisemitismo ma slogan filopalestinesi come «dal fiume al mare» e la parola «decolonizzazione».
Alla faccia dell’assoluta libertà d’espressione. In compenso, dopo un sondaggio tra i suoi utenti, ha riammesso Alex Jones: un cospirazionista pluricondannato, in particolare, per aver sostenuto che la strage di Sandy Hook, dove furono uccisi 20 bambini, è un’invenzione. E per aver criminalizzato i genitori delle vittime. Un anno fa Musk dichiarò che non avrebbe mai riammesso Jones usando parole che sembravano inappellabili: «Il mio primogenito è morto tra le mie braccia. Ho sentito l’ultimo battito del suo cuore. Non ho nessuna pietà per chi usa la morte di bambini per guadagnare celebrità o fare politica». Alla faccia della coerenza.
L’influenza dei social sulla politica
Se X è diventata in questo ultimo anno più permeabile alla disinformazione e a teorie cospirative che seducono parti rilevanti dell’opinione pubblica, anche le altre reti sociali, che complessivamente raggiungono oltre 4 miliardi di persone, hanno pesato molto sui cambiamenti in atto: modifica dei rapporti sociali, i modi di apprendere e anche la percezione della violenza verbale e fisica. Tutto ciò ha indebolito le democrazie: la rivoluzione di Bolsonaro in Brasile (molti dei 26 stati della federazione sono controllati da seguaci dell’ex presidente) è figlia di un uso spregiudicato e capillare di YouTube. Così come Twitter, dove Trump era arrivato ad avere 88 milioni di follower, è stato essenziale per la sua ascesa. Per non parlare dell’uso «sottobanco» nel 2016 dei dati personali di 80 milioni di cittadini Usa ottenuti attraverso Facebook per mandare messaggi elettorali personalizzati, tarati su specifici gruppi di votanti, o anche su singoli individui. Il 10 ottobre 2023 il commissario europeo ha messo in guardia Meta (Facebook, Instagram) sull’aumento delle informazioni false sulle sue piattaforme e ha concesso a Mark Zuckerberg 24 ore per comunicare le sue misure per porvi rimedio. Scoperte in ritardo, le attività di disinformazione e di alimentazione del risentimento per generare caos e minare la coesione sociale, sono state comunque denunciate e analizzate in questi ultimi anni dalla stampa anglosassone. Ma, lontano dai riflettori della stampa occidentale si sono consumati veri e propri massacri, come quelli della minoranza musulmana rohingya, criminalizzata in Birmania da una campagna d’odio su Facebook, che è stato anche il veicolo di campagne d’odio nei confronti di minoranze etniche o di genere e sfociate in massacri in India e altrove.
2024: pericolo disinformazione di massa
A differenza di tutte le altre rivoluzioni tecniche degli ultimi secoli, questa si è sviluppata nella totale assenza di regole e controlli. Sondaggi accurati come quello svolto alla fine del 2022, a livello mondiale, dal Pew Research Center mostrano, in estrema sintesi, che i cittadini del mondo si dicono convinti che la maggiore connettività, oltre a consentire una migliore informazione, è anche veicolo di manipolazione delle opinioni pubbliche. E ovunque la larga maggioranza (dal 79 per cento degli Usa al 61 dell’Italia, al 65 di Germania e Spagna, al 71 dell’Australia) sostiene che i social tendono ad aumentare le divisioni politiche e, quindi, sono fattori di polarizzazione.
Il tema, ricorrente e insoluto, della regolamentazione delle reti sociali è diventato ancora più urgente nell’ultimo anno con la diffusione di ChatGPT e di altri strumenti di intelligenza artificiale generativa come quello di Stable Diffusion, in grado di creare immagini realistiche partendo da un testo scritto. Finora non c’è stato il temuto e massiccio uso dell’intelligenza artificiale per diffondere deep fake (dove è impossibile distinguere una dichiarazione video-audio falsa da una vera) e interferire nei processi politici, ma il 2024 sarà un anno cruciale: dalle elezioni europee alle presidenziali americane passando per India, Indonesia, Taiwan, Corea del Sud e molti altri Paesi, andranno alle urne miliardi di cittadini. Come si stanno organizzando questi Paesi per proteggersi da una possibile disinformazione di massa?
Come difendersi
Taiwan, il primo a votare, il prossimo 13 gennaio: qui c’è un ministero specificamente dedicato agli affari digitali ed è attiva una comunità di volontari civic hacking che individua e contrasta la disinformazione alimentata da Pechino. Gli Usa, oltre agli strumenti di intelligence, hanno creato un Cyber Command che prima era una divisione della NSA, ora è un dipartimento autonomo del Pentagono. È una struttura che lavora tanto sulla difesa quanto sull’attacco informatico, e l’intercettazione delle interferenze politiche di Mosca Teheran o Pechino. I social però restano scoperti.
Le leggi UE
La UE ha messo in campo il Digital Service Act: entro febbraio 2024 ogni stato membro deve avere un organismo regolatore che segnali i contenuti illegali alle piattaforme, che devono rimuoverli entro 24 ore altrimenti rischiano sanzioni fino al 6 per cento del fatturato annuo globale. L’Agcom è stata nominata coordinatore dei servizi digitali per l’Italia e diventerà parte del comitato per i servizi digitali, che verrà istituito entro febbraio 2024. A fine ottobre l’agenzia europea per la sicurezza informatica ha avvertito: rischio concreto di manipolazione dell’informazione attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale da parte di attori ostili. Ma l’Artificial Intelligence Act che con una norma imporrà alle piattaforme di individuare contenuti illegali come i deep fake e segnalarli all’utente come video falsi, non sarà ancora in vigore per le elezioni europee. Va detto che la Ue ha già attivato una task force che si occupa di disinformazione e debunking. Si chiama East StratCom, ed è stata rafforzata dopo la guerra in Ucraina: i casi di disinformazione raccolti e confutati sono stati finora 16.268 (qui il sito ufficiale). Quanto agli Usa che non hanno mai regolato le reti sociali, stanno provando ora a farlo con l’intelligenza artificiale. Ma, così come le regole Ue, anche l’ordine esecutivo della Casa Bianca di Biden non entrerà in vigore prima delle presidenziali del prossimo novembre.
La democrazia è complessa
Il problema dei moderatori delle grandi piattaforme, però, resta: in Europa sono pochi e non coprono tutte le lingue parlate dall’Unione. Per esempio X, scrive la rivista specializzata Wired, ha due persone per controllare i contenuti in italiano a fronte di 9,1 milioni di utenti. E zero per greco, romeno o finlandese, pur contando oltre 2 milioni di iscritti in ciascun Paese. E questo potrebbe essere un grande problema in vista delle elezioni UE. Come pure quello dei gruppi WhatsApp: c’è un’attività di intelligence per contrastare le loro campagne di disinformazione, ma l’ingresso in questi gruppi passa dall’oscuramento dei contenuti, e fare questo in una democrazia è molto complesso. E le piattaforme ci sguazzano.
Milena Gabanelli e Massimo Gaggi
(da il corriere.it)

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PRESEPE A SCUOLA, LA SOLITA PAGLIACCIATA SOVRANISTA NELL’USO STRUMENTALE DI SIMBOLI RELIGIOSI

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

VOGLIONO IMPORRE IL PRESEPE A SCUOLA, SALVO NELLA VITA REALE CONTRADDIRE IL VANGELO, RESPINGENDO I MIGRANTI E MASSACRANDO I POVERI

Sì al Santo Natale, no alla ‘Festa d’Inverno’ dunque. E per i presidi che acconsentono alla rimozione del presepe a scuola sono in arrivo provvedimenti disciplinari. Nello specifico, il disegno di legge vieta agli istituti scolastici “di impedire iniziative promosse da genitori, studenti, o dai competenti organi scolastici, volte a proseguire attività legate alle tradizionali celebrazioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana, come l’allestimento del presepe, recite e altre manifestazioni ad essi collegate al fine di ricordarne il loro profondo significato di umanità e il rapporto che le lega all’identità nazionale italiana”.
A illustrare all’Adnkronos l’iniziativa è Lavinia Mennuni, senatrice di FdI e prima firmataria del ddl: “Da qualche anno assistiamo ad inaccettabili e imbarazzanti decisioni di alcuni organi scolastici che vietano il presepe nelle scuole o ne modificano l’essenza profonda modificando ad esempio la festa del Natale in improbabili festività dell’inverno per non offendere i credenti di altre religioni”, afferma la parlamentare. Con la proposta di legge targata FdI e firmata da molti parlamentari, “questo non sarà più possibile”.
La reazione dei presidi
“Bisogna certamente tener presente la tradizioni del Paese ma imporle per legge è fuori luogo. Ci sarà comunque modo, nel dibattito parlamentare, di valutare bene il da fare”, dice all’ANSA Antonello Giannelli, presidente nazionale dell’Associazione presidi (Anp).
L’opposizione insorge
“Puntuale come un orologio svizzero, sotto Natale tornano le proposte di legge della destra per salvaguardare le tradizioni cristiane italiane. La stessa destra guidata da Giorgia Meloni per cui oggi la Sacra Famiglia in fuga dalla persecuzione finirebbe probabilmente in un Cpr, magari in Albania, in attesa di sapere da qualche giudice in Italia se sono degni o meno di mettere piede sul territorio italiano. Perché è qui l’ipocrisia, al limite del blasfemo secondo i canoni della religione cattolica, della politica del governo: salvaguardare simboli religiosi quasi come aspetti del folklore e rendere più difficili i soccorsi per chi rischia la vita in mare”, afferma il segretario di +Europa, Riccardo Magi. “Tra l’altro, l’imposizione che vorrebbe Fratelli d’Italia non solo offende i credenti per questo uso strumentale dei simboli religiosi, ma è anche incostituzionale perché contraddice la libertà di culto secondo l’art. 19 della Costituzione, ma soprattutto ricorda regimi religiosi che vogliono imporre la parola di Dio per legge”.
(da agenzie)

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ASSALTO SEDE CGIL, CONDANNATI I LEADER DI FORZA NUOVA FIORE E CASTELLINO A 8 ANNI PER DEVASTAZIONE, ISTIGAZIONE A DELINQUERE E RESISTENZA AGGRAVATA

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

IN AULA SALUTI ROMANI E CORI DOPO LA SENTENZA

Adesso non c’è più dubbio, il tribunale di Roma ha condannato sette persone, tra cui i principali esponenti del partito di estrema destra Forza Nuova con pene che vanno da 8 anni a 8 anni e sette mesi.
Si tratta di Roberto Fiore, il leader del movimento, Giuliano Castellino, all’epoca numero uno di Fn a Roma, e poi l’ex Nar Luigi Aronica, Pamela Testa, Salvatore Lubrano e Lorenzo Franceschi anche loro esponenti del neofascismo.
Dopo la lettura della sentenza è esploso il caos in aula. Un gruppo di neofascisti rivolti verso il giudice ha iniziato a cantare “la gente come noi non molla mai”. Poi, in molti, hanno rivolto il saluto romano verso la Corte. Le forze dell’ordine li hanno dovuti portare a forza fuori dall’aula.
“Quel giorno la città venne messa a ferro e fuoco”, ha detto durante la sua requisitoria il pm Gianfederica Dito.
Nei confronti degli imputati, a seconda delle posizioni, la Procura contesta i reati di istigazione a delinquere, devastazione e resistenza pluriaggravata.
Nel corso della requisitoria il pm ha ricostruito quanto avvenuto quel giorno. “Emerge dai video, che hanno cristallizzato i fatti, che siamo in presenza di eventi drammatici e cruenti con il tragico epilogo della devastazione della sede del sindacato. Quel giorno la parte centrale di Roma è stata in mano a sconsiderati. Un giorno funesto per la città e un attacco ad un simbolo dei lavoratori e della democrazia”, ha aggiunto il pm.
Nel corso della requisitoria la pm Dito aveva ricordato le parole di Castellino considerato: «leader con ruolo preponderante», presente in «tutta l’azione dell’assalto» alla sede del sindacato e con “78 pagine di carichi pendenti” al seguito.
«Nel video del suo intervento e nel più ampio discorso – dal palco di piazza del Popolo -, spiccano frasi di Castellino come: ‘oggi non ci sono più canti e balli, ma ci andiamo a prendere la città’ e, ancora: ‘Partiamo in corteo e ci andiamo a prendere la Cgil’», ha ricordato l’accusa. Ruolo di leader che, a parere del pm Dito, Castellino condivide con «Fiore e Aronica» considerati tutti e tre gli organizzatori del corteo di circa 3 mila persone che da piazzale Flaminio si sono recate a piazzale del Brasile, nei pressi della sede della Cgil, per poi assaltarla. «Il corteo era stato organizzato ben prima di una ipotetica autorizzazione», aveva affermato il pubblico ministero.
(da agenzie)

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IL BAVAGLIO E’ SULLE COSCIENZE

Dicembre 20th, 2023 Riccardo Fucile

CON IL DIVIETO DI PUBBLICARE LE ORDINANZE DI CUSTODIA CAUTELARE L’ITALIA SCIVOLA NEL BARATRO DELLA DISINFORMAZIONE E DELL’IMPUNITA’ PER CHI DELINQUE

Con il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare, approvato ieri dalla Camera, l’Italia scivola ancora di più nel baratro della disinformazione e dell’impunità per chi delinque. Fino al termine dell’udienza preliminare, i cittadini non avranno il diritto di sapere su cosa indagano i magistrati, intercettazioni e fatti che il precedente ministro Bonafede aveva reso pubblici. Un bavaglio sulla stampa che fa rabbrividire, ma allo stesso tempo non sorprende.
Le destre e i partiti del centro-affari (Italia Viva e Azione) ci provavano da anni, e adesso portano a casa questo nuovo macigno sulle cronache giudiziarie del Paese. E dire che tanto sforzo non era poi così necessario. Senza arrivare alle notizie di reato, ma fermandoci sul piano dell’opportunità dei comportamenti, i quotidiani sono pieni di politici in conflitto d’interessi, di personaggi pubblici che abusano del loro potere e di furbizie di ogni tipo. Alla fine di tutto questo, però, cambia qualcosa? No, non cambia niente.
Anzi, nei casi più indecorosi scatta una rete mediatica di protezione, e ministri che in altri Stati si dimetterebbero all’istante qui la passano liscia. Di queste storie ne abbiano ormai una al giorno: Santanchè, Delmastro, Sgarbi, Crosetto, Lollobrigida, Fazzolari, Gasparri… le inchieste giornalistiche hanno messo a nudo ogni tipo di vergogna. Eppure, non c’è uno di questi signori che non resti in sella. E i cittadini, informati o disinformati che siano, non si indignano quasi più di niente. Ordinanze di custodia cautelare comprese.
(da La Notizia)

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