Destra di Popolo.net

POTERE, AFFARI E CARCERE, LA VITA SPERICOLATA DI VERDINI

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

LA DETENZIONE DOMICILIARE DORATA, I CONSIGLI A SALVINI, LA SPERANZA DEI SERVIZI SOCIALI

Verdini? «Sì, dai: Verdini». Chiedono un pezzo su Denis Verdini. Il progetto è di impaginarlo tipo «personaggio parlante», un po’ ritratto e un po’ colloquio (piano, ragazzi: guardate che è un detenuto).
A quelli che stanno in via Solferino è venuta un’idea davvero poco natalizia, perché questa è una storia senza lieto fine, senza buoni e anzi con un cattivo che, nell’immaginario collettivo (la fisicità non l’aiuta), è di quelli seri: però bisogna ammettere che Verdini sta dentro un racconto emblematico, una grandiosa parabola di vita e di politica, vecchia e pure nuova (è il papà di Francesca, la fidanzata di Matteo Salvini, quindi è il suo simil suocero), con tanto berlusconismo vissuto e goduto, a lungo consigliere fidato del Cavaliere e comandante in capo delle sue truppe parlamentari, contemporaneamente anche faccendiere e imprenditore, tra intrighi che i magistrati chiamarono P3 e molte scabrose amicizie (compresa quella fraterna con Marcello Dell’Utri), perciò protagonista assoluto di stagioni piene di grazia e di potere che non sono eterne per nessuno, finiscono quasi per tutti e infatti sono finite anche per lui, prima a colpi d’inchieste e dopo con le sentenze, dure e definitive, ben due, mica una, e sempre per bancarotta (6 anni e 6 mesi per il crac del Credito Cooperativo fiorentino, di cui è stato per un ventennio presidente, e altri 5 anni e mezzo per le macerie in cui ha lasciato la Società Toscana di Edizioni-Ste).
L’ex senatore avrà sempre lo stesso numero di cellulare? (forse sì: ma — per adesso — squilla a vuoto).
Chi rovista nelle esistenze delle persone è abituato a (quasi) tutto: certo è un’esperienza nuova telefonare a un recluso. Se risponde, la curiosità primaria è capire come abbia accolto l’ultima umiliazione (i titoli, su alcuni quotidiani, dicevano più o meno così: «Un tutore gestirà il suo conto corrente»).
Intanto: spedirgli un WhatsApp. E aspettare. Non scappa.
Avendo 70 anni suonati, Verdini è potuto passare dal carcere a una cella magnifica che nemmeno è la sua leggendaria regia fiorentina di Pian de’ Giullari, ma un villone accanto, tra glicini sontuosi, altrettanto confortevole. Lui inchiodato lì — può uscire, come previsto dal regolamento penitenziario, dalle 11 alle 15, ma senza lasciare la città, senza incontrare pregiudicati — e noi cronisti inchiodati a certi ricordi nitidi. Sembra ieri. Dove c’è lui che arriva al Senato, nel corridoio dei Busti, con la criniera bianca e il passo felpato da grosso felino che gli viene grazie ai suoi mocassini di camoscio blu, scarpette simili a quelle di Flavio Briatore, ma senza nappine e senza iniziali: che invece sono sulla camicia di cotone giapponese tagliata su misura, i polsini stretti da gemelli d’oro, e d’oro massiccio — un padellone con le lancette — è il suo orologio. Si volta lo storico Miguel Gotor, all’epoca senatore dem: «È antropologicamente diverso». Però sa fare il suo lavoro. Ai berluscones ripete: «Chi deve fare la pipì, la faccia subito. Dall’Aula uscirete solo quando ve lo dirò io».
Verdini è stato forse l’uomo più potente dell’ultima stagione di luci accese a Palazzo Grazioli. Con lui c’erano Daniela Santanchè e Daniele Capezzone, detestato da Dudù, il barboncino di Francesca Pascale, che gli ringhiava saltando tra i divani. Lei, in cucina, nel ruolo dell’aspirante moglie del capo, che controllava il prezzo dei fagiolini («15 euro al chilo? Ma siete pazzi?») e gli altri in salotto, tra i putti e le trame. Poi un pomeriggio Renato Brunetta osa contraddire Verdini e si ritrova preso alla gola, e appeso — letteralmente — al muro.
Che anni. Che storie. Un’altra volta Denis è costretto a salire sulla sua Mercedes (sempre macchine fiammanti come astronavi) per correre dietro a Nicola Cosentino, detto «Nick o’ americano», deputato casertano vicino al clan dei Casalesi. Berlusconi non lo vuole ricandidare e quello allora ha afferrato il dossier con le liste elettorali e scappa, si butta sull’autostrada per Napoli, e Denis dietro, nel buio, a duecento all’ora, insieme a Nitto Palma. «Nick, brutto idiota: ti ordino di fermarti» — perché Denis risolveva anche questo tipi di problemi.
Personaggione. Cresciuto tra i vicoli di Fivizzano — la Lunigiana dei Malaspina e poi del mite Sandro Bondi, poeta — trasferitosi in seguito a Campi Bisenzio, il padre, rigido ufficiale degli alpini, lo cresce con regole militari: quando il ragazzo è troppo vivace, lo chiude in biblioteca. Così impara a memoria interi canti della Divina Commedia, s’appassiona a Montale, ma all’Università di Firenze, dove si laurea in Scienze politiche, incontra due docenti — Giovanni Spadolini e Giovanni Sartori — che gli scatenano la passione per la politica. Ben presto, s’accende però anche quella per gli affari. Di ogni tipo. Dal commercio internazionale di carni all’eolico, passando per le banche, l’editoria. Il Cavaliere ne apprezza il cinismo feroce, l’efferata spregiudicatezza. Denis contraccambia: «Impossibile resistere al suo fascino. Ma io, sia chiaro, m’innamoro delle donne. Non vorrei scriveste che oltre ad essere massone, sono pure gay». È lui che presenta Matteo Renzi ad Arcore. Dicendo: «Non è dei nostri, ma è molto bravo. E poi non ho mai visto un comunista più anticomunista». Il cosiddetto Patto del Nazareno sarà il capolavoro di Denis: con Renzi, segretario del Pd, seduto sotto la foto del Che, e il Cavaliere sotto quella di Bob Kennedy.
I neuroni sfrigolano: abbiamo visto davvero di tutto, in questi tragici anni. Ma squilla il cellulare. È lui.
«Buonasera: l’ho richiamata per pura cortesia… Però mi è vietato parlare con i giornalisti. La prego di non mettermi nei guai. Anche se, ovviamente, possono togliermi la libertà, ma non le idee. E io, attualmente, con tutto il tempo che ho a disposizione, sono pure la persona più informata d’Italia».
Allora meglio restare ai retroscena. In cui lui, con la scusa di venire a Roma dal dentista, e non potendo più sedersi nel suo ufficio all’aperto (il bar Ciampini), si chiude nell’ufficio del figlio Tommaso (imprenditore nella ristorazione) e telefona, suggerisce, cerca di incidere ancora. Ma pure osserva: la Meloni, ad esempio, pensa che debba essere valutata sui fatti, e per adesso sono pochi. Riflette sul berlusconismo: stagione piena di speranze e, certo, di fallimenti. E immagina un libro per raccontare la sua vicenda giudiziaria. Che attraversa con l’obiettivo d’essere affidato ai «servizi sociali», non del fine pena. Quanto al genero Salvini: gli ha consigliato di non travestirsi più da guardia forestale, di smetterla con i selfie mentre mangia pane e Nutella. Gli ha detto: sei un ministro, datti un contegno da ministro (questi suoceri sempre un po’ brontoloni, no?).
(da Il Corriere della Sera)

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STORICA FIGURA DI MERDA DELL’ITALIA: UNICO PAESE CONTRO IL MES, DI FATTO BLOCCA L’ENTRATA IN VIGORE PER TUTTI GLI ALTRI PAESI DEL FONDO SALVA STATI

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

COSA SUCCEDE SENZA LA RATIFICA DEL MES… ORA IN EUROPA SAREMO TRATTATI COME MERITIAMO: DA PAGLIACCI INAFFIDABILI

Un nuovo stop che rischia di paralizzare l’intera Eurozona rendendo più vulnerabili le banche europee. Sono queste le conseguenze dell’ennesima bocciatura che l’Italia ha decretato sul Mes. Ma cosa succede concretamente se l’Italia non ratifica le modifiche al trattato?
Le conseguenze politiche
La prima conseguenza è politica. Per entrare in vigore le modifiche devono essere recepite da tutti i 20 Paesi dell’area euro. Diciannove Paesi hanno ratificato le modifiche, l’Italia è l’unica a non averlo fatto.
In questo modo l’Italia, indipendentemente dalle proprie scelte politiche, crea un problema a tutti gli altri, come aveva chiarito già a giugno il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe.
“Rispetto assolutamente e posso capire il punto di vista del governo italiano se dice che non vuole accedere”, aveva detto a giugno. “Ma la ratifica del trattato consentirà che il maggior potere del Mes sia messo a disposizione di altri Paesi, che potrebbero invece decidere di volersene avvalere nel futuro. Mi auguro che questo potrà essere considerato all’interno del dibattito in corso in Italia”.
Le conseguenze pratiche: la fine del periodo transitorio
Il risultato pratico di questo stallo è che i Paesi in caso di difficoltà non potranno avvalersi del Fondo Salva Stati nella sua versione “emendata”. In particolare, le banche dei Paesi non potrebbero beneficiare del cosiddetto backstop del Fondo di risoluzione unica, una sorta di paracadute del paracadute da utilizzare in caso di gravi difficoltà finanziarie da parte degli istituti.
Qui c’è una scadenza pratica, come ricordato dal segretario del Mes Pierre Gramegna in primavera. A fine dicembre 2023 scade il periodo transitorio durante il quale il Fondo di Risoluzione Unica (che di default è alimentato dai contributi delle banche europee) è stato anche sostenuto attraverso linee dei credito dei Paesi stessi.
Una sorta di contribuzione supplementare per “puntellare” il Fondo in attesa della definitiva entrata in vigore del backstop previsto con la riforma del Mes. Con la nuova bocciatura i Paesi avranno quindi due strade, prolungare questo periodo transitorio attraverso un nuovo accordo, o lasciare potenzialmente “senza paracadute” il paracadute per le banche europee.
(da La Repubblica)

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MES, ALLA FINE LA CAMERA BOCCIA LA RATIFICA DEL TRATTATO, SI SPACCA LA MAGGIORANZA, ORA TUTTA EUROPA HA CAPITO CHE SIAMO GOVERNATI DA PAGLIACCI, L’ITALIA E’ L’UNICO PAESE UE A NON AVERLO APPROVATO

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

FORZA ITALIA SI ASTIENE, FDI COSTRETTA A VOTARE CON LA LEGA CONTRO LA RATIFICA DEL TRATTATO PER NON FARSI SCAVALCARE A DESTRA…LA RICERCA DI UN ESCAMOTAGE NON E’ ANDATA IN PORTO

Alla fine, anche la Camera ha respinto la ratifica del trattato sul Mes: bocciato l’articolo 1, il provvedimento si intende respinto. I voti a favore sono stati 72, 184 i contrari, 44 gli astenuti.
Tutto era stato preceduto dal parere negativo in Commissione. Non sono ancora le nove del mattino e in commissione Bilancio alla Camera succede quello che Giorgia Meloni sperava non succedesse. La Lega non vuole sentire ragioni sul Mes, sulla ratifica della riforma del fondo salva Stati che l’Italia è l’unico Paese della zona euro a non aver ratificato. Nel derby sovranista, Fratelli d’Italia non può permettersi di capitolare da sola di fronte a una battaglia di anni. E, dunque, vota no al testo che modifica il Meccanismo europeo di stabilità. Forza Italia invece si astiene, restando più coerente con la propria appartenenza alla famiglia dei popolari europei.
La richiesta di Meloni, di tenere unita la coalizione, è finita schiacciata dagli irriducibili della Lega e da Matteo Salvini, un leader che deve tamponare l’enorme emorragia di voti rispetto alle Europee di 5 anni fa. La maggioranza è spaccata e – apparentemente – senza una via d’uscita. Ora il testo andrà il Aula. Ogni scenario è aperto. Per rinviare ancora servirebbe un escamotage al momento impossibile da prevedere.
Anche se costretti a votare contro in commissione, in Aula i meloniani avrebbero spinto per il cosiddetto «lodo Fazzolari», cioè l’ipotesi sostenuta dal sottosegretario e braccio destro di Meloni che prevede di votare il testo in aula con una modifica in cui si precisa che anche in futuro si potrà accedere al fondo solo con una maggioranza parlamentare qualificata. Le alternative erano due. La prima: la riforma del Mes va in Aula con parere negativo e viene bocciata – come sembra – anche da Fratelli d’Italia , ed è l’epilogo che più piaceva ai leghisti. Oppure: la ratifica passa con una maggioranza differente da quella che sostiene il governo. Sarebbe stato il trionfo della politica tartufesca. In entrambi i casi Meloni aveva già pronta la risposta: hanno deciso i parlamentari, il Parlamento è sovrano.
(da La Stampa)

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L’INCHIESTA DI “DOMANI”: GLI APPALTI DELLA MARINA MILITARE AL PADRONE DI CASA DI CROSETTO

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

A GENNAIO 2023 AFFIDAMENTI PER QUASI 400.000 EURO… L’IMPRENDITORE A LASCIATO UNA QUOTA IN MANI A UNA FIDUCIARIA: MISTERO SUL REALE BENEFICIARIO

«Tranquilli, sono assolutamente convinto di continuare a tenermi i privilegi da privato cittadino per tanto tempo». Il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva risposto così a Domani, nel luglio 2022, quando gli avevamo chiesto se un eventuale nomina a ministro della Difesa potesse confliggere con i suoi affari e consulenze ricevute dall’industria degli armamenti, di cui era massimo rappresentante visto il ruolo di presidente dell’Aiad, l’associazione confindustriale che riunisce le sigle più rilevanti del settore armi e aerospazio, incluse alcune società di stato.
Come Leonardo, per esempio. Crosetto, pur minimizzando il conflitto di interessi, era consapevole del rischio che correva diventando ministro, a tal punto da rassicurare che «sarebbe rimasto un privato cittadino».
10 MILIONI L’ANNO
Conflitti e inopportunità che ritroviamo nel rapporto tra lui e l’imprenditore Carmine Saladino, l’uomo che sta affittando gratuitamente da quattro mesi un attico a Roma al ministro Crosetto. Saladino, come raccontato da Domani, è un cliente importante del dicastero guidato oggi dal politico di Fratelli d’Italia.
Il suo gruppo, Maticmind, che fino a un anno fa controllava e di cui oggi detiene una quota del 15 per cento, da quando Crosetto è diventato ministro ha vinto bandi e ottenuto affidamenti diretti per 1,7 milioni di euro dal comparto pubblico della Difesa italiana. Questo solo dall’ottobre del 2022, mese della nomina del politico piemontese.
La Maticmind ha venduto i suoi servizi a Poste Italiane, Terna, Banca d’Italia e tanti altri enti pubblici. È anche molto forte nel settore difesa. I suoi clienti principali sono stati negli ultimi anni la Polizia, i Carabinieri, la Marina militare. Maticmind ha vinto molte commesse, per lo più in affidamento diretto o in procedura negoziata, quasi mai partecipando a una gara aperta.
I dati analizzati da Domani raccontano che, dal 2013 al 2023, il gruppo di Saladino, sia in proprio che in raggruppamento con altre imprese, ha preso appalti dal comparto della Difesa italiana per 85,2 milioni di euro. Quasi 10 milioni all’anno.
L’ultimo appalto, da 1 milione, è arrivato dal Comando generale dei carabinieri. Maticmind è stata scelta insieme ad altre tre aziende per fornire, dal 2023 al 2025, «servizio di assistenza sistematica e manutenzione» dei «sistemi anti-intrusione». Anche in questo caso l’affidamento è stato diretto. Niente gara anche per gli altri appalti presi da quando Crosetto è ministro. Marina militare, Aeronautica militare, stato maggiore della Difesa, commando C4 difesa. Tutti lavori affidati in via diretta o con «procedura negoziata per affidamento sotto soglia».
Come per esempio la commessa ricevuta senza gara dalla Marina militare con inizio contratto il primo gennaio 2023, valore dell’affidamento 139mila euro per «assistenza sistemistica». Nello stesso periodo Maticmind ha avuto altri due appalti «in procedura negoziata» sempre dalla Marina, per un totale di quasi 300mila euro in partecipazione con altre aziende.
LA FIDUCIARIA ANONIMA
Saladino e Crosetto si conoscono da anni. Quando non rivestiva incarichi politici, e faceva il consulente per le imprese italiane, il ministro era presidente di Aiad. La crescita vertiginosa di Maticmind è coincisa con la vendita del controllo azionario da parte di Saladino. Anche in questo caso c’è di mezzo lo stato.
L’imprenditore, infatti, ha venduto la maggioranza delle sue quote al fondo Cvc (70 per cento) e a Cassa depositi e prestiti (15 per cento). Il resto delle azioni è rimasto a lui. Poi c’è l’aspetto più misterioso della vicenda: la piccola quota tenuta segreta. Saladino è infatti titolare del 14,3 per cento del gruppo, mentre lo 0,7 per cento è schermato dalla Cordusio Fiduciaria, una società italiana che offre servizi fiduciari per soggetti terzi garantendo l’anonimato dei reali beneficiari.
Di chi è quello 0,7 per cento? Saladino, contattato, ha detto di «non volerci più parlare». Una sua risposta avrebbe aiutato a dissolvere il giallo su una società che lavora con la parte più sensibile del settore pubblico, cioè il comparto sicurezza.
L’espansione della Maticmind, dopo l’ingresso dello Stato italiano e del fondo Cvc, ha incrementato ulteriormente il rapporto tra il gruppo e la pubblica amministrazione italiana. Tra le varie società comprate c’è infatti la Sio Spa, una società di Cantù specializzata in intercettazioni. Tra i suoi clienti, le forze di polizia e le procure.
Nel novembre 2022 subentra ufficialmente Maticmind e Saladino viene nominato presidente del consiglio di amministrazione di Sio. Qui ancora una volta si incrociano i destini di Crosetto e dell’amico Saladino. Nel 2021 sul conto corrente di Crosetto arriva un pagamento di 124.800 mila euro. L’azienda che lo invia è la Sio. Ai tempi del bonifico, due anni fa, il fondatore di Fratelli d’Italia era solo un consulente aziendale.
Con tanto di società intestata, la Csc & Partners, specializzata in «lobbying», si legge nell’atto costitutivo. Tra il 2021 e il 2022 ha incassato quasi 700mila euro. I nomi dei clienti? Non li ha mai voluti rivelare. La Csc è stata chiusa dopo la nomina a ministro e le polemiche per i compensi ricevuti dai colossi degli armamenti. Crosetto ha detto di non voler più rispondere alle nostre domande poste anche sull’eventuale ruolo avuto nelle acquisizioni concluse da Maticmind, la società dell’amico nonché locatore della sua dimora.
(da editorialedomani.it)

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L’OBBLIGO DEL PRESEPE DELLA DESTRA SOVRANISTA UNA TRINCEA CONTRO LA MODERNITA’

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

UN’OPERAZIONE POLITICA PER RIPRISTINARE L’ITALIA DI DE AMICIS… MA E’ IMPOSSIBILE AZZERARE UNA SOCIETA’ MULTICULTURALE CON MUSULMANI, BUDDISTI E CONFUCIANI

In attesa delle decisioni serie sul Mes e sul patto di stabilità, il dibattito di Natale si sposta dal pandoro di Chiara Ferragni al presepe “on demand”. Si tratta di un disegno di legge depositato ieri da un gruppo di deputati di FdI guidati da Lavinia Mennuni che cinque minuti dopo la presentazione era già l’apertura dei talk show. Vieta a presidi e rettori di impedire l’allestimento del presepe se professori, genitori o studenti chiedono di farlo. Punisce i disobbedienti con sanzioni disciplinari. Serve, testuale, a ostacolare «la trasformazione delle Sacre festività cristiane in altra anonima tipologia di celebrazione», a contrastare «la discriminazione nei confronti degli alunni e delle rispettive famiglie praticanti la religione maggioritaria», a fermare «l’attentato ai valori e alla tradizione più profonda del nostro popolo». Bum.
Insomma dire «no, quest’anno mettiamo solo un po’ di lucine», secondo i proponenti dovrebbe diventare un illecito amministrativo dall’asilo all’università. Padri e madri affezionati ai riti, ma anche singoli maestri e professori, potranno imporre ai dirigenti scolastici di programmare l’allestimento. Non solo: la norma dovrebbe valere pure per le recite e le celebrazioni legate alla Pasqua, e viene naturale ironizzare sulle possibili applicazioni della nuova disciplina e sulle battaglie che fatalmente alimenterà in ogni ricorrenza della cristianità: la via Crucis a Lettere si può fare oppure no? I flagellanti all’Alberghiero ce li possiamo portare? Si può cantare Jingle Bells o vale soltanto Astro del Ciel?
L’Associazione nazionale presidi è preoccupata. Il suo presidente Antonello Giannelli osserva: «Tutto ciò che ha a che fare con la cultura di un Paese e i suoi significati religiosi non può essere imposto per legge», sono le singole scuole «gli unici soggetti che possono valutare l’opportunità e l ‘importanza di realizzare certe iniziative». I sindacati fanno presente che la scuola deve promuovere il pensiero critico, non fare il guardiano delle tradizioni. L’opposizione incalza: è la solita operazione di distrazione di massa. Maurizio Gasparri osserva che l’emergenza valoriale è concreta, incombe: il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha appena intitolato un evento “Altri Natali” mentre è noto che di Natale ce n’è uno solo. Le amiche con figli piccoli sono più pragmatiche: va tutto bene, ma già dobbiamo pagare la carta igienica e i gessi, non vorranno accollarci pure capanne, pecore e palme finte?
Ovviamente la legge non passerà mai. È assai probabile che non sarà neanche discussa in Parlamento, dove l’ingorgo dei provvedimenti è sempre ai massimi livelli, così come mai sono arrivate in votazione analoghe iniziative “valoriali” tipo il divieto di usare termini stranieri nella comunicazione pubblica. Il presepe on demand è una delle tante proposte-manifesto prodotte dalla destra per marcare una posizione simbolica, un’aspirazione, un desiderio. In questo caso un desiderio impossibile: mandare indietro il calendario per tornare a un mondo che era già antico ai tempi di Casa Cupiello, con gli arrotini e le lavandaie al pozzo, i pastori e i fuochi accesi nella notte. Ripristinare l’Italia del Libro Cuore di De Amicis, fine Ottocento, con le scolaresche tutte bianche, tutte cattoliche, tutte in grembiule, che sgranavano gli occhi davanti alla Palestina trasformata in uno scenario domestico, al miracolo della natività riprodotto in miniatura con gli artifizi dell’ingegno casalingo.
Lecito avere nostalgia dei tempi della bisnonna, poco assennato scaricare sul povero presepe il compito e la responsabilità di restaurare quel sistema di valori. Da presepista convinta consiglierei di liberare la rappresentazione da un’incombenza politica che non gli spetta. Non tocca al presepe fare da trincea contro la modernità che ha spostato l’effetto meraviglia di bambini e adulti dal sacro al profano, dal Dio neonato in terracotta ai regali ammucchiati in salotto, alle terrazze addobbate come luna park, ai cinepanettoni dove il Natale è sinonimo di avventure esotiche e di formose attrici sexy. E non è compito del presepe opporsi al portato di una società sempre più multiculturale, di scuole dove le religioni si mischiano: quasi duecentomila musulmani ma anche migliaia di ragazzini buddisti, induisti, protestanti, confuciani. Davvero qualcuno pensa che il presepe possa azzerare tutto questo? Il consumismo e pure gli effetti dell’immigrazione? Forse sarebbe meglio lasciarlo libero, nelle mani di chi lo ama, anziché trasformarlo in titolare di una missione impossibile. Libero presepe in libero Stato: non lo trovate più onesto e rispettoso della nascita di Gesù?
(da La Stampa)

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BETLEMME TRICOLORE

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

C’E’ UN SOLO MODO PER RENDERE RIPUGNANTE LA TRADIZIONE: IMPORLA PER LEGGE

Le tradizioni sono una cosa bellissima: una specie di scia naturale che ci accompagna lungo il tempo, oltrepassa le mode, sopravvive alla morte delle persone. Fanno sentire protetti dall’evanescenza della vita. C’è un solo modo per rendere ripugnanti e innaturali le pratiche della tradizione: imporle per legge.
Le tradizioni imposte per legge diventano in un istante odiose. Non un dono, ma una soma che viene voglia di scrollarsi di dosso, come il cavallo scosso che non vuole obbedire a chi lo frusta.
La proposta di legge di Fratelli d’Italia che intende, nella sostanza, imporre nella scuola pubblica il Natale cristiano, presepe e albero di Natale, rendendo illecita ogni possibile variazione o effrazione, non è solo un’offesa alla libertà di culto e di insegnamento. È prima di tutto un’offesa alla tradizione. La trasforma in propaganda, mette un cappello politico sopra la stalla di Betlemme, scempia il Natale trasformandolo in una specie di Festa Patriottica da opporre alla peste della globalizzazione. E riaccende l’idea, anticostituzionale, che possa esistere una religione di Stato, e che compito della scuola sia imporla fino dai primi anni di età.
Le nostre scuole sono piene di bambini provenienti da altre culture e altre religioni (compreso un numero imprecisato di bambini e ragazzi di famiglie non religiose: ma questa è una categoria della quale non importa nulla a nessuno, politicamente la più negletta). Ogni singola scuola, anche nel nome dell’autonomia e della libertà di insegnamento, deve cercare di far sentire tutti a casa, nella stessa casa. Non è facile, ma è obbligatorio farlo, e scellerato non farlo. Più facile sciogliere ogni dubbio, ogni dialettica, nell’acido dell’imposizione.
(da La Repubblica)

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LA STORIA DEL PANETTIERE ACCUSATO DI AVER EVASO OLTRE 500.000 EURO

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

COME HA FATTO A INGANNARE IL FISCO: AVREBBE EMESSO E POI ANNULLATO MIGLIAIA DI SCONTRINI

A Cagnano Varano, un piccolo comune in provincia di Foggia, un panificio è finito nel mirino della Guardia di Finanza. Secondo i militari delle fiamme gialle, infatti, il titolare dell’esercizio commerciale avrebbe incassato e tenuto nascosti al fisco oltre 500mila euro. Il negozio in questione, scrive il Corriere del Mezzogiorno, è «La fonte del pane», situato nel piccolo comune del Gargano di quasi sei mila abitanti. Il panificio opera sia al dettaglio sia all’ingresso, dal momento che vende pane e farina anche ad alcuni ristoranti e negozi di alimentari della zona. Ma come ha fatto un piccolo commerciante ha evadere più di mezzo milione di euro? A ricostruire il metodo impiegato dal titolare del negozio sono stati i militari della Guardia di Finanza. Dalle indagini emergerebbe infatti che, tra il 2020 e il 2023, il panettiere avrebbe emesso e poi annullato quasi duemila scontrini.
Il copione era sempre lo stesso. In un primo momento, il negoziante serviva i clienti e faceva lo scontrino. Non appena questi uscivano, l’uomo si affrettava ad annullare la ricevuta fiscale.
Così facendo, scrive il Corriere, il titolare de «La fonte del pane» sarebbe riuscito a evadere oltre 500mila euro.
A far insospettire la Guardia di Finanza sono state alcune incongruenze tra la capacità contributiva dell’uomo e le sue dichiarazioni annuali dei redditi. In particolare, pare che l’uomo abbia fatto alcuni acquisti giudicati improbabili con la disponibilità di spesa dichiarata al Fisco. Nel corso delle indagini, le fiamme gialle hanno scoperto che l’uomo non avrebbe solo emesso e poi annullato migliaia di scontrini. Tra il 2020 e il 2023, l’uomo avrebbe anche venduto quasi 200mila chili di farina completamente in nero ai propri clienti.
(da agenzie)

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TERREMOTO NEL CALCIO, LA CORTE UE CONDANNA L’UEFA: “ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE”

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

LA SUPERLEGA: “IL MONOPOLIO E’ FINITO”

La SuperLega, il progetto di competizione alternativa tra club di punta del calcio europeo, non è morta. Potrebbe a sorpresa rinascere dalle ceneri.
La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha sancito infatti oggi 21 dicembre che l’Uefa ha abusato della sua posizione dominante sull’organizzazione delle competizioni di calcio in Europa. «Le norme della Fifa e della Uefa sull’autorizzazione preventiva delle competizioni calcistiche interclub, come la SuperLega, violano il diritto dell’Unione», scrivono i giudici nella sentenza. Ora si apre la strada a possibili nuove proposte alternative ai tornei “ufficiali” Uefa.
Un duro colpo a quello che fin qui è stato il suo monopolio del calcio europeo, un assist insperato a club come Juventus, Barcellona e Real Madrid, che da tempo pianificano dietro le quinte progetti alternativi alla Champions League.
Non a caso, già a pochi minuti dalla sentenza sono arrivati i primi “bellicosi” proclami di A22, l’associazione di club che ha raccolto l’eredità della SuperLega e portato il ricorso davanti ai giudici spagnoli, che l’hanno poi deferito alla Corte Ue. «Abbiamo ottenuto il Diritto di Competere. Il monopolio UEFA è finito. Il calcio è LIBERO. I club sono ora liberi dalla minaccia di sanzioni e liberi di determinare il proprio futuro», esulta il leader degli “scissionisti” Bernd Reichart. In una serie di tweet pubblicati in diverse lingue, l’Ad di A22 anticipa la ricetta che ora il gruppo di club si prepara a riproporre, rilanciando la competizione alternativa: «Per i tifosi: Proponiamo la visione gratuita di tutte le partite della SuperLega. Per i club: le entrate e le spese di solidarietà saranno garantite».
Cosa dice la sentenza
Dalla Corte di Lussemburgo arriva però a stretto giro un chiarimento sull’impatto della sentenza. La condanna di Uefa e Fifa «non significa che una competizione come il progetto della SuperLega debba necessariamente essere approvata», si precisa, considerato che nella sentenza non v’è alcuna pronuncia sull’iniziativa specifica. Si stabilisce però chiaramente come le norme della Fifa e della Uefa sull’approvazione preventiva delle competizioni di calcio per club sono «contrarie al diritto della concorrenza e alla libera prestazione dei servizi» e che i poteri delle due federazioni non sono soggetti a un quadro normativo «trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato».
(da agenzie)

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MIGRANTI, LA CORTE EUROPEA OBBLIGA L’ITALIA A LIBERARE UN MINORE TRATTENUTO “IN CONDIZIONI INUMANE E DEGRADANTI”

Dicembre 21st, 2023 Riccardo Fucile

UN RAGAZZINO DI 15 ANNI E’ STATO ILLEGITTIMAMENTE IMPRIGIONATO NEL CENTRO DI RESTINCO … ASGI: “COME LUI, A DECINE, INDAGHINO LE PROCURE”… IL GOVERNO DELLA VERGOGNA

Nuova prescrizione per l’Italia. La Corte Europea per i Diritti Umani ha ordinato che un ragazzino di 15 anni, trattenuto da inizio ottobre nel centro di prima accoglienza di Restinco, sia immediatamente trasferito in una struttura per minori non accompagnati. Fino ad oggi – afferma Strasburgo – è stato rinchiuso “in condizioni inumane e degradanti”.
Immediatamente, ordina la Corte, devono essergli riconosciuti tutti i diritti di cui un minore solo deve godere. Documenti, il collocamento in una struttura adeguata e che possa fornirgli tutta l’assistenza di cui ha bisogno, le tutele legali e amministrative che gli devono essere riconosciute: a dispetto di quanto previsto da leggi nazionali e convenzioni internazionali, a quel ragazzino, che da solo ha affrontato il Mediterraneo, è stato negato tutto.
E nelle sue stesse condizioni – denunciano l’avvocata Marina Angiuli e la dott.ssa Erminia Rizzi di Asgi, che hanno poi anche curato il ricorso insieme all’avvocato Dario Belluccio – ci sono altre decine di minori non accompagnati, da mesi illegittimamente trattenuti a Restinco.
Ma quel centro è blindato. Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, ha provato a entrarci, chiedendo formalmente accesso, ma quell’istanza è rimasta inevasa.
Solo insieme al deputato di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni sono riusciti a bucare la cappa di omertà e silenzio che protegge il centro e parlare con alcuni di quei ragazzi, fino ad allora privati di ogni assistenza legale.
“Ciò conferma l’inaccessibilità di tali centri e l’insostenibilità dell’intero sistema di accoglienza (o, meglio, di detenzione) – sottolineano da Asgi – riservato ai minori stranieri soli in Italia”
Non si tratta della prima decisione adottata dal Corte europea in tal senso. Già in passato da Strasburgo hanno obbligato l’Italia a liberare e ricollocare ragazzini soli illegittimamente trattenuti nell’hotspot di Taranto, nel Cara di Crotone e nel centro di contrada Cifali a Ragusa.
A dispetto dei tentativi del governo di ridimensionare le tutele previste per i minori con la creazione della categoria dei cosiddetti “giovani adulti”, cioè i ragazzi dai 16 anni in su, le norme garantiscono ancora un sistema di protezione. Ma tocca ricorrere a corti e tribunali perché venga rispettato.
“È fondamentale a questo punto – tuonano da Asgi – che le competenti istituzioni di garanzia, ivi comprese le Procure della Repubblica, i Tribunali per i minorenni e le relative Procure istituite presso di essi facciano definitivamente chiarezza su quello che, strutturalmente, è configurato come un sistema di detenzione privo di base legale e sottratto al vaglio della magistratura, in aperta violazione dell’art. 13 della Costituzione”.
(da agenzie)

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