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SUL SUPERBONUS GIORGETTI RISCHIA DI PERDERE LA FACCIA: FORZA ITALIA CONTINUA A SPINGERE PER UNA PROROGA DEGLI INCENTIVI SUI LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE. MA IL “DON ABBONDIO” LEGHISTA FRENA E RIPETE CHE NON SI SONO SOLDI

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

L’IPOTESI DI UN COMPROMESSO PER ACCONTENTARE TAJANI E EVITARE LA VALANGA DI CONTENZIOSI LEGALI PER GLI OLTRE DIECIMILA CANTIERI APERTI

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, scioglierà oggi le riserve sul decreto per salvare i lavori del Superbonus nei condomini chiesto dalla maggioranza. Il pressing è alto, anche da parte delle imprese e dei cittadini, che domani manifesteranno di nuovo a Roma. Il problema è enorme, perché ci sono almeno diecimila cantieri aperti dove si rischiano contenziosi legali, ma il margine — fanno capire al Tesoro — è ridottissimo. Anche per un intervento minimo, che pesi solo sui conti del 2023, come lo stato di avanzamento lavori straordinario a fine dicembre
Il problema sono i costi, già fuori controllo. Il ministero dell’Economia avrà oggi dall’Enea i dati sul tiraggio del bonus a dicembre, ma la linea rossa è stata superata da un pezzo. Per quest’anno nel Documento di economia e finanza di primavera si stimava una spesa di 14 miliardi, nella Nota di aggiornamento a settembre è stata rivista a 30 miliardi, ma si starebbe viaggiando sui 50.
Le detrazioni del 110% sono spesa pubblica che si scarica tutta sul deficit dell’anno in cui maturano. E quello del ’23 rischia già di andare oltre il 5,3% fissato nei documenti del governo
«È un problema che nasce dalle stime sbagliate sui costi a carico del bilancio pubblico, e che è stato gestito ancora peggio» dice Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia alla Camera, dove domani stesso Giorgetti potrebbe annunciare la sua decisione
Da gennaio la detrazione passerà dal 110% al 70%, ma per concludere i lavori i proprietari dovranno metterci il 30% della differenza, altrimenti salta anche la detrazione del 70%, se non tutta quella del 110% già maturata, se nell’edificio i lavori non raggiungono il miglioramento di due classi energetiche. Gli edifici che sono in ritardo con la ristrutturazione sono tantissimi: a fine novembre mancavano da fare lavori nei condomini per 13 miliardi, e gran parte dei quali slitteranno al ’24. A gennaio, insomma, salterà fuori un «buco» da almeno tre miliardi di euro, che qualcuno ci rimetterà.
Preso atto che su una proroga del 110% nel ’24 Giorgetti non avrebbe mai ceduto, la maggioranza cerca almeno di limitare i danni. Guido Liris, di Fratelli d’Italia, ha proposto un Sal, uno stato di avanzamento lavori straordinario, a fine anno. Servirebbe a certificare tutti i lavori fatti fino al 31 dicembre, assicurando per questi la detrazione al 110%.
Si cerca poi un modo almeno per alleggerire il carico del probabilissimo contenzioso tra imprese e committenti sui lavori non finiti. Garantire la detrazione del 70% se il condominio non paga la sua quota del 30%, ad esempio, o salvaguardare almeno le detrazioni maturate per quegli edifici che non riescono a fare il salto di due classi energetiche. Tutti interventi che dovranno essere, semmai, a costo zero.
(da agenzie)
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MELONI NELLA RETE DI SALVINI

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

LA PREMIER ERA FAVOREVOLE A UNA SOLUZIONE DI COMPROMESSO SUL MES, MAGARI UN PO’ PASTICCIATA MA TALE DA EVITARE UNA COMPLETA ROTTURA CON BRUXELLES. INVECE SALVINI HA COLTO L’OCCASIONE PER REGOLARE VECCHI CONTI. HA MESSO CON LE SPALLE AL MURO LA RIVALE MELONI, INCHIODANDOLA ALLA SUA PASSATA RETORICA ANTI-EUROPEA

Bilancio di fine anno per le due coalizioni, chiamiamole così, in cui si articola il bizzarro bipolarismo italiano. Hanno due caratteristiche in comune: sono entrambe male assortite e al tempo stesso inamovibili. E c’è anche una terza caratteristica: l’una e l’altra presentano gli stessi limiti e divisioni interne, per cui – al di là della propaganda – sono quasi una lo specchio dell’altra. In conclusione entrambe rappresentano una garanzia di non-governo, come avrebbe detto Ugo La Malfa in anni lontani. Il centrodestra al potere non sa o non riesce a dare un’impronta netta alle sue scelte di politica economica, è deludente nel campo sociale, inerte sulle riforme, a cominciare dalla giustizia. Inoltre adesso dovrà gestire il rapporto con l’Europa dopo il “no” al Mes
La frattura interna che ha portato al prevalere della linea intransigente di Salvini non prefigura un’idea coerente del futuro dell’Unione né propone una credibile alternativa all’attuale establishment . Tutti hanno capito che la premier Meloni era favorevole a una soluzione di compromesso, magari un po’ pasticciata ma tale da evitare una completa rottura con Bruxelles. Invece Salvini ha colto l’occasione per regolare vecchi conti
Aveva già cominciato tempo fa con i raduni dell’estrema destra, aperti persino ai neo-nazisti tedeschi. Nessuna prospettiva di indicare un futuro per l’Europa che non sia la dissoluzione, in sintonia con i desideri dell’amico Putin
L’obiettivo concreto, del tutto riuscito, ha coinciso con una mossa di politica interna: mettere con le spalle al muro la rivale Meloni, inchiodandola alla sua passata retorica anti-europea per spingerla verso una rinnovata delegittimazione. Così il destra-centro dimostra di trovare la sua unità, ma al prezzo di radicalizzarsi.
Chi nel settembre ‘22 ha votato Fratelli d’Italia nella speranza di favorire la nascita di un moderno partito conservatore, oggi assiste al ritorno del “salvinismo”, peraltro con una peculiarità: la Lega non è più al 34 per cento nel Paese, come nel ‘19, ma appena sotto il 10. Una bella differenza, eppure è sufficiente per mettere in crisi la leadership meloniana. Di cui resta l’atlantismo, la difesa tutt’altro che ambigua dell’Ucraina e, almeno finora, delle ragioni di Israele nella tragedia mediorientale. Ma tutto il resto naufraga nei giochi tattici interni e si risolve in una forma di immobilismo.
Lo stesso immobilismo di cui dà prova la sinistra in modo quasi simmetrico. Sul Mes il Pd è favorevole in Parlamento, il partito di Conte contrario. Così da confermare che, a parti rovesciate, l’Italia non saprebbe dimostrarsi un partner affidabile, al pari della destra. Risultato: la tendenza alla paralisi si ripropone anche nella seconda coalizione, percorsa dagli stessi vizi
Un’opposizione che troppo spesso si affida agli slogan per coprire la carenza di una visione, cioè di un’idea dell’Italia, come si sarebbe detto un tempo. Al momento è certo solo che un eventuale ricambio al governo — di cui comunque non si vede alcun segnale attraverso i sondaggi — si risolverebbe con la sostituzione di un gruppo di potere a un altro.
Ma l’immobilismo sarebbe ancora il filo conduttore dello psicodramma nazionale. Se Giorgia Meloni sembra aver esaurito la carica dinamica su cui aveva costruito la sua immagine, Elly Schlein è lontana dall’aver imposto la sua guida all’intesa di centrosinistra. Il prossimo futuro vede la radicalizzazione reciproca delle due coalizioni.
(da agenzie

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IL PNRR È UNA GRANDE FREGATURA PER I SINDACI: I COMUNI DENUNCIANO I RITARDI DA PARTE DEI MINISTERI NEI PAGAMENTI DELLE OPERE GIÀ AVVIATE FINANZIATE DAL RECOVERY

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

IL PROBLEMA DELLA LIQUIDITÀ: LE IMPRESE CHIEDONO UN ANTICIPO PARI AL 30% DEL VALORE DELL’OPERA, MENTRE DA ROMA ARRIVA APPENA IL 10%

A Genova la Città metropolitana ha completato ad agosto le carte per chiedere al ministero dell’Ambiente l’assegno per un progetto Pnrr, ma a Natale non ha ancora ricevuto risposta. Il Comune di Torino ha bussato a ottobre al ministero dell’Interno con le rendicontazioni di un Piano urbano integrato ed è ancora in attesa, come la Città metropolitana di Bari per due interventi sempre collegati ai Piani urbani integrati a Ruvo di Puglia
Nei Comuni è diventato rosso l’allarme sui ritardi nei pagamenti da parte dei ministeri delle opere già avviate del Pnrr. Il Piano funziona “a rimborso” a tutti i livelli. Come gli assegni europei compensano le risorse già spese dallo Stato, allo stesso modo dai ministeri titolari dei vari interventi arrivano i conguagli delle uscite anticipate dai «soggetti attuatori», molto spesso enti locali. Spesso però il meccanismo si inceppa, per un mix fra la complessità delle procedure e una certa tendenza a dilatare i tempi che pare essersi intensificata con la rimodulazione del Piano, concentrata soprattutto sulle opere comunali
In una riunione tenuta all’Anci al termine della scorsa settimana i sindaci delle Città metropolitane, che per dimensione sono ovviamente le prime interessate dalla questione, hanno intonato un coro: c’è un problema di liquidità sul Pnrr.
I tempi lunghi nei pagamenti da parte dei ministeri sono solo una parte del problema, che ha una declinazione più strutturale sulla questione degli anticipi. Da oltre un anno le amministrazioni locali lamentano un buco di cassa iniziale in quasi tutti gli investimenti, perché le imprese chiedono di norma un anticipo pari al 30% del valore dell’opera mentre da Roma arriva di solito non più del 10%.
L’inciampo è noto alla Ragioneria generale dello Stato, che infatti in primavera aveva allargato il più possibile con una circolare le maglie dell’anticipazione al 30%: senza successo, a quanto lamentano i sindaci.
Per questo l’anticipazione al 30% per legge sarà una delle richieste chiave in vista del nuovo decreto sul Pnrr atteso a gennaio. Insieme, ovviamente, al quadro effettivo dei fondi chiamati a intervenire in sostituzione delle coperture Pnrr sfumate con la rimodulazione.
Per gli 1,6 miliardi di Piani urbani integrati esclusi dal Pnrr la strada sembra quella del Piano nazionale complementare, il gemello domestico del Recovery nato per finanziare una serie di infrastrutture anche stradali non contemplate nel programma europeo. I 30,5 miliardi del Pnc sono ormai in larga parte impegnati, e non offrono quel pozzo senza fondo necessario per coprire tutto quel che è stato escluso dal Pnrr.
Gli 1,6 miliardi necessari ai Piani urbani potrebbero però arrivare dalla rinuncia ad altre opere, perché nessuna rimodulazione è gratis e per far spazio a un investimento occorre cancellarne un altro equivalente.
(da Il Sole 24 ore)

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PIOGGIA DI MILIONI PER STAFF E CONSULENTI: COSI’ LOLLOBRIGIDA RECLUTA I FEDELISSMI

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

DUE MILIONI IN PIU’ PER I COLLABORATORI E 3 MILIONI DAL PNRR

In questi giorni c’è la fila davanti alla segreteria politica del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Una fila metaforica, per carità, ma che si sostanzia di telefonate, richieste di colloquio, pareri su nomi e curriculum. Al centro di tutto ci sono magistrati del Tar e del Consiglio di Stato, ma anche avvocati di importanti studi professionali, che ambiscono ad entrare nel “nuovo” ufficio di gabinetto del ministro. Il cognato d’Italia all’Agricoltura sta mettendo in piedi una macchina che a breve si potrà paragonare a quella del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: il Mef storicamente è la punta di diamante dell’amministrazione pubblica per il ruolo delicato che svolge e il ministro può contare su uno staff di una ottantina di persone.
Ma Lollobrigida pensa in grande ed è bastata una norma di poche righe nella manovra di bilancio in votazione alla Camera che aumenta il budget del suo staff di due milioni di euro, per scatenare la corsa ad avere l’incarico nel suo gabinetto. Il tutto all’interno di un dicastero sul quale nelle ultime ore sono piovuti quasi 3 miliardi di euro di soldi da destinare al settore agricolo attraverso la modifica del Pnrr chiesta a Bruxelles e ottenuta dal suo compagno di partito e collega a Palazzo Chigi Raffaele Fitto
Ma cosa sta accadendo all’Agricoltura e perché questa corsa a far parte dello staff di Lollobrigida? Matteo Renzi, nelle dichiarazioni di voto al Senato sulla manovra, ha lanciato una frecciata al potente esponente di Fratelli d’Italia ricordando le polemiche per aver fatto fermare a Ciampino un Frecciarossa in ritardo: “Che cosa se ne farà il ministro di tutti questi nuovi componenti nell’ufficio di collaborazione? Gli controlleranno l’orario dei treni?”, ha detto il leader di Italia viva.
“La manovra consentirà al ministro di assumere figure di alto livello nel settore amministrativo – sussurrano dal ministero dirigenti in ottimi rapporti con il ministro – perché negli ultimi anni l’ufficio di gabinetto è stato molto depotenziato. Invece adesso diventerà una macchina importante. Oggi il ministro può contare su un solo magistrato arrivato dal Consiglio di Stato e incardinato nell’ufficio legislativo. Con il budget che otterrà dalla manovra potrà chiamare altre figure di questo tipo e c’è già fila”.
Lollobrigida ha bisogno di rafforzare in questo senso lo staff perché, insieme a Fitto, ha appena deciso una manovra di non poco conto che farà contenti entrambi: i fondi del Pnrr destinati in più all’Agricoltura riguardano 2 miliardi per i contratti di filiera tra le aziende agricole e 850 milioni per incentivare l’agrifotovoltaico, cioè l’installazione di pannelli solari sui tetti di stalle e immobili agricoli. Ma come distribuire queste risorse? Non con bandi nuovi, bensì scorrendo le graduatorie di procedure già aperte e con valutazioni provvisorie stilate in questi mesi. Il tutto anche al costo di cambiare i criteri: l’Ue prevede norme più stringenti, a esempio l’obbligo della bancabilità dei progetti (cioè dell’ok delle banche all’erogazione di prestiti).
Una scelta, quella di non fare nuovi bandi, che consentirà al ministro Lollobrigida di erogare in breve tempo queste risorse e al collega Fitto di poter rendicontare tranquillamente la spesa entro il 2026, l’anno nel quale vanno completati i progetti del Pnrr.
Tutto tranquillo? Non proprio. Perché sia la scelta di scorrere le graduatorie stilate quando il budget era molto minore, ad esempio il quinto bando delle filiere agricole prevedeva una spesa iniziale di 690 milioni (adesso arriverà a 2,9 miliardi), sia il sopraggiungere di nuovi criteri, stanno facendo storcere il naso ad alcune aziende agricole. Imprese che a questi bandi non avevano partecipato o che vengono adesso escluse per i nuovi criteri previsti da Bruxelles.
Insomma, potrebbero quindi arrivare diversi ricorsi. Anche per questo la manovra di bilancio approvata rafforzerà il suo staff con magistrati del Tar o del Consiglio di Stato, oltre ad avviare nuovi assunzioni di funzionari attraverso un altro comma della legge di bilancio che stanzia 1,2 milioni di euro per assumere 44 addetti in più al ministero.
Sullo sfondo resta comunque il rapporto molto stretto con la potente associazione della Coldiretti, che sembra ormai il riferimento “politico” del ministro nel mondo agricolo. Associazione che plaude a ogni piè sospinto all’azione del ministro e cognato d’Italia.
(da agenzie)

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SONDAGGIO GHISLERI: GLI ELETTORI DI MELONI DELUSI DALL’ITALIA

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

DA MARZO GLI OTTIMISTI SUL FUTURO DEL PAESE NON HANNO MAI SUPERATO IL 32%

In occasione dell’Avvento ad ogni Natale la grande diatriba è sempre tra pandoro e panettone, dove quest’ultimo, seppur più famoso e iconico, negli ultimi tempi ha lasciato spazio importante nelle preferenze degli italiani a favore del suo cugino veronese (55% vs 45%). È una vittoria dettata dalla predilezione delle donne rispetto agli uomini che rimangono invece in maggioranza legati alla tradizione.
Così, l’affaire che si è scatenato intorno al pandoro di Chiara Ferragni è riuscito nella sua crudezza a fotografare perfettamente l’attuale situazione italiana in cui ci si limita più facilmente ad osservare il “pur semplice” particolare perché è più intricato focalizzarne i contenuti nell’insieme. Chissà se ritestando oggi il ballottaggio tra pandoro e panettone vincerebbe ancora il dolce a stella?
Nella vicenda la situazione scomoda si è tradotta in una mera transazione economica pure negoziabile, perché si è rimasti intrappolati nello schema della punizione: hai sbagliato, lo hai dichiarato e paghi, senza prendere in considerazione la coscienza delle intenzioni che a loro volta possono presentare comportamenti che generano errori non voluti.
Se si riflette non tutto è bianco e nero, ma esistono delle gradazioni di grigio che mettono in luce la violazione di una norma sociale con piena consapevolezza dell’errore. Forse questa presa di coscienza è un deterrente molto più efficace del costo economico di una multa o di una donazione per chi può permettersela, tuttavia si rimane con-centrati sulle cifre a molti zeri dimenticando che un tale errore è sicuramente un precedente difficile da reiterare.
È importante cercare di evitare i giudizi basati su stereotipi anche se all’apparenza sembriamo un popolo di infelici eppure, ad oggi, il 68,6% della popolazione si ritiene soddisfatto della propria vita.
Certo, se entriamo nel merito delle classi di reddito ci si accorge che mentre il 90,1% del target socio-economico “alto-medio alto” si definisce appagato e compiaciuto della sua posizione, il 51,5% di coloro che si inseriscono in quello “basso-medio basso” non è per nulla soddisfatto.
E forse sono proprio tutti quegli zeri che confondono e mettono ai margini chi forse non può neppure immaginare una tale ricchezza. È ovvio che l’affermazione «italiani, un popolo felice» è una generalizzazione che non può essere applicata a tutti gli individui di una nazione.
La felicità è uno stato d’essere, un concetto soggettivo e dipende da molteplici fattori, tra cui l’individuo, le circostanze personali, economiche e sociali. Il nostro è un Paese con una ricca storia culturale, artistica e gastronomica tuttavia, come in molte altre nazioni, anche in Italia ci sono sfide e problemi sociali, economici e politici che influenzano dall’esterno la felicità delle persone.
A questo punto è sicuramente comune che le opinioni sulla situazione nazionale facciano emergere una insoddisfazione generalizzata con un dato di poco superiore al 70% e con un picco dell’83,5% tra i redditi più bassi.
Osservando le valutazioni sotto la lente dell’appartenenza politica, gli elettori dei partiti di maggioranza spiccano tra tutti per i loro giudizi positivi. Forza Italia in testa con l’80,4% di coloro che pensano che il nostro Paese stia andando in una giusta direzione. Più parchi e combattuti gli elettori di Lega (49,2%) e Fratelli d’Italia (46,8%) che si dividono a metà nei loro giudizi positivi e negativi.
È comunque interessante che 1 elettore su 2 di Giorgia Meloni si dichiari poco o per nulla soddisfatto del momento.
È un malcontento generalizzato riguardo a come va il Paese, potrebbe essere legato a questioni specifiche come l’inflazione e l’aumento dei prezzi, indicato come una emergenza nazionale da 1 italiano su 2 (49,1%), dalle tasse alte che “strozzano” le famiglie e le piccole aziende (25%) che costituiscono il 95,2% del tessuto imprenditoriale nazionale, dalle liste di attesa per accedere ad un esame per la tutela della propria salute (24,4%), o anche dal tema dell’immigrazione e dalla gestione degli arrivi sul territorio italiano (24,2%)…
Nell’elenco non mancano la crisi del lavoro e della aziende che delocalizzano chiudendo le fabbriche in Italia (20%), la crisi climatica e la tutela del territorio (19,7%), l’evasione fiscale e l’illegalità e la microcriminalità (16,8% +11,4), passando per la gestione dei fondi del Pnrr (11,6%) e la precarietà delle infrastrutture e dei palazzi pubblici (7,7%).
Del resto, la media dell’anno 2023 di coloro che si dichiarano pessimisti quando pensano alla situazione economica della propria famiglia è del 55,5% e in un anno non è mai scesa al di sotto del 50,7%.
Tali segnali suggeriscono che il 2024 che si profila a breve all’orizzonte, non sarà un anno facile perché l’universo che desidereremmo ordinato e organizzato non esiste e forse non funzionerebbe. I partiti politici nel nuovo anno si dovranno confrontare con gli importanti cambiamenti sociali ed economici in atto e, con le elezioni europee alle porte, avranno maggiori responsabilità nei messaggi che andranno a diffondere per poter essere credibili nell’affrontare quelle sfide emergenti e per poter garantire una sostenibilità a lungo termine.
(da La Stampa)

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MEDIASET MANDA VIA MINZOLINI PERCHE’ POCO INVASATO NELLA RETE DI INVASATI

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

LO HANNO CHIAMATO A RETE 4 PER ALZARE IL LIVELLO DI “STASERA ITALIA”, MA DOPO TRE MESI LO CACCIANO PERCHE’ LO HA ALZATO TROPPO

Chiamano Augusto Minzolini per alzare il livello, ma dopo tre mesi lo cacciano perché lo ha alzato troppo. Se Aristotele, il padre della logica, avesse conosciuto i vertici di Mediaset, sarebbe oggi un filosofo nichilista.
La trasmissione è “Stasera Italia weekend” e va in onda, sabato e domenica, su Rete 4, la Los Alamos di Pier Silvio Berlusconi. La notizia dell’uscita di Minzolini l’ha data lo stesso Minzolini. Il 24 dicembre, l’ex direttore del Giornale annuncia che “è terminato il nostro tempo a disposizione così come il mio ciclo alla conduzione di ‘Stasera Italia’”. In studio, ad ascoltarlo, ci sono Giampiero Mughini, il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari e l’ex corrispondente Rai da Londra, Antonio Caprarica. Da tre mesi, Minzolini ospita le “firme” politiche del Corriere della Sera, come Francesco Verderami, le lascia argomentare. Niente risse, ma pensieri articolati. “Stasera Italia”, quest’anno, è stato suddiviso: un ciclo Nicola Porro, un altro Bianca Berlinguer, e a Minzolini il fine settimana.
L’8 gennaio debutta la Salomè Berlinguer e la trasmissione dovrebbe cambiare pure il titolo per volere dei vertici. L’Oppenheimer di Mediaset, il direttore dell’informazione, è Mauro Crippa, e i suoi esperimenti sono noti. L’ultimo lo ha raccontato il Foglio. Per costruire il traino alla Salomè aveva scisso “Lo Sportello di Forum”, la trasmissione di maggior successo, in due atomi.
Dopo due giorni di sperimentazione, la combustione, il cambio di palinsesto, aveva provocato il crollo di “Forum”, e l’insurrezione dei volti storici. L’incendio della biblioteca di Alessandria aveva provocato meno effetti. Pure l’uscita di Minzolini è una decisione di Berlusconi-Crippa. Minzolini non ha bisogno di essere raccontato. E’ un neologismo, il minzolinismo. E’ l’ultimo direttore del Giornale voluto da Silvio Berlusconi in vita. Quando Mediaset gli ha proposto la conduzione gli ha dato come mandato quello di fare un’edizione di “approfondimento”.
I risultati auditel di “Stasera Italia weekend” sono stati positivi, in media con le altre serate, con la differenza che Minzolini doveva vedersela con la concorrenza di Fazio, del calcio, e delle le regine della tv Carlucci e De Filippi. Più volte ha superato La7 con Massimo Gramellini e Serena Bortone su Rai 3. Per quale ragione gli viene tolta la trasmissione? Per una volta il retroscena sul campione del retroscena, non lo scrive Minzolini. Per gli scienziati Mediaset la sua conduzione non rispetta il “formalismo televisivo” della rete. Gli rimproverano insomma di non interrompere gli ospiti in studio, di farli parlare troppo. Viene mandato via perché ha provato a fare il giornalista sobrio al posto del conduttore invasato. Ecco perché, ancora una volta, non si possono che porgere le scuse ad Andrea Giambruno, il busto di Mediaset più autentico. Lui che nei fuori onda di “Striscia” si gratta il pacco è senza dubbio più genuino di Mediaset, la tv che continua a rifilarci il “pacco” della tv autorevole.
(da il Foglio)

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MOLESTIE NEGLI OSPEDALI, DOTTORESSE E INFERMIERE ROMPONO IL SILENZIO: “NOI ABUSATE E DISCRIMINATE DA COLLEGHI E PRIMARI”

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

IL 57% DELLE CHIRURGHE E IL 65% DELLE SPECIALIZZANDE SUBISCE MOLESTIE SESSUALI SUL LAVORO

Violenza psicologica, molestie, discriminazione di genere. È questa la realtà celata che si annida tra i reparti ospedalieri dove ogni giorno dottoresse, infermiere, tirocinanti e specializzande sono costrette a subire abusi sul posto di lavoro. «Appena ho vinto il concorso per l’indeterminato, i medici uomini hanno fatto una scommessa su quando sarei rimasta incinta», è una delle tante testimonianze raccolte dall’attivista social «Mamme a nudo» che si batte contro la violenza ostetrica. «Ora sono ginecologa. Quando ero studentessa e frequentavo il reparto, il primario ci disse: come entrate in specialità vi mettiamo la spirale», rivela in anonimo una dottoressa. «Ogni volta che una donna diventa primaria, in ospedale scattano frasi come “Chissà da chi si è fatta scopare”», riporta un’altra. Non manca poi chi è stata costretta a lavorare incinta fino al settimo mese, nonostante fosse a rischio, e chi ha subito molestie sessuali fisiche.
Cosa dicono i dati
Le testimonianze raccolte su «Mamme a nudo» delineano un squarcio di realtà che trova riscontro anche nei dati. Secondo un report di Women in Surgery Italia, rilanciato da la Repubblica, il 57% delle chirurghe e il 65% delle specializzande ha subito o continua a subire molestie sessuali. Un tema altamente problematico che – come evidenzia la presidente di Wis Italia nel nostro Paese Gaya Spolverato – «nessuno ha mai sollevato». A differenza di quanto accade altrove, come nel Regno Unito dove – nei mesi scorsi – ha avuto un eco mediatico rilevante la ricerca dell’Università di Exeter, pubblicata sul prestigioso British Journal of Surgery, in cui si registra che il 29% delle chirurghe britanniche ha subito avance non consensuali o indesiderate sul posto di lavoro da parte di colleghi o superiori.
La paura di denunciare
È un quadro agghiacciante quello che fotografa il report di Wis Italia che ha coinvolto 3.242 partecipanti. Sebbene la denuncia dovrebbe essere la soluzione migliore, chi decide di farla spesso si ritrova senza alcuna protezione o difesa. Pochissime coloro che hanno trovato il coraggio di rivolgersi alle autorità: solo una su dieci. E moltissime quelle che hanno dichiarato di «non essere state credute», di essere state accusate di «aver esagerato», o di aver «ricevuto ripercussioni».
Innumerevoli le testimonianze raccolte nel dossier. C’è chi confessa di aver rischiato «uno stupro di gruppo dai colleghi» e chi riferisce di «molestie anche nei confronti delle pazienti».
Senza dimenticare gli epiteti sessisti con cui vengono quotidianamente apostrofate dottoresse e infermiere di ogni grado – sia dai colleghi che dai pazienti – o le subdole clausole contrattuali che spesso impediscono alle lavoratrici di intraprendere una gravidanza.
(da Open)

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APPALTI SOSPETTI, INCARICHI AGLI AMICI E UNDERDOG: IL REGNO DI FRATELLI D’ITALIA ALL’AQUILA

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

IL COMUNE, CON A CAPO IL SINDACO BIONDI, EX CASA POUND, E’ FINITO SOTTO LA SCURE DELL’ANTICORRUZIONE E DELLA CORTE DEI CONTI

«Un ricorso così ampio a procedure semplificate, affidamenti diretti e negoziati, in luogo dell’espletamento di procedure aperte, solo sette in ben tre anni, costituisce, quantomeno, l’indice sintomatico di una carenza nella fase programmatoria, quale fase propedeutica nell’affidamento degli appalti pubblici». Con queste parole contenute in una relazione di sei pagine l’Autorità nazionale anticorruzione ha censurato il comportamento tenuto da una delle maggiori stazioni appaltanti del centro Italia, il comune dell’Aquila, feudo dal 2017 del maggiore partito di governo, Fratelli d’Italia.
Sotto la lente di Anac sono finite 243 commesse di lavori pubblici negli anni 2020-2022 e, dalla documentazione che gli uffici comunali hanno consegnato, è emerso che nel triennio di riferimento sono stati effettuati 141 affidamenti diretti, cioè il 58 per cento di tutte le procedure, insieme ad altre 94 che sono state negoziate senza previa pubblicazione del bando. E che soltanto il 3,5 per cento di tutti gli appalti, cioè 7 in tre anni, è stato affidato con gara a evidenza pubblica.
Cifre, queste, che hanno fatto storcere il naso agli ispettori alle dipendenze del presidente dell’Autorità, Giuseppe Busia. Tanto che, hanno fatto notare nella relazione, «Dall’analisi degli appalti oggetto della presente indagine è emerso, in primo luogo, una pluralità di lavori nell’ambito dell’edilizia scolastica, ovvero diciotto in ventisette mesi, affidati mediante procedure negoziate senza bando, anche per importi molto elevati», riferendosi ai lavori di realizzazione del polo scolastico San Sisto-Santa Barbara e Gignano-Torretta, entrambi ottenuti senza gara dalle ditte costruttrici per un valore pari a oltre quattro milioni di euro; e poi anche ad altri affidamenti per la demolizione e ricostruzione di scuole primarie e per l’infanzia, per un totale di altri quattro milioni di euro.
OMBRE SUGLI APPALTI
Secondo l’Anac, la stazione appaltante avrebbe invece artificiosamente frazionato gli appalti in modo da assegnarli direttamente, «con evidenti ripercussioni in materia di trasparenza, pubblicità ed apertura del mercato alla concorrenza». Non solo.
Dall’indagine è emersa un’anomalia relativa a un’impresa, la Circi costruzioni s.r.l., che, in soli otto mesi, dal novembre 2021 al giugno del 2022, si è aggiudicata, da sola o in raggruppamento con altre imprese, tutte le procedure negoziate, per un giro di affari pari a cinque milioni di euro.
E poi c’è un’altra azienda, la Soalco srl, «che risulta essere stata invitata a tutte le negoziazioni di maggior importo», il cui titolare è Italo Albani, rimasto coinvolto nel 2017 in una inchiesta condotta dalla procura abruzzese sugli affari della ricostruzione post terremoto. Ma la cui posizione era stata poi archiviata dal giudice delle indagini preliminari.
Oltre alle ombre sugli appalti, però, la stessa Autorità nazionale anticorruzione era intervenuta qualche settimana fa anche per segnalare l’inconferibilità di una nomina, cioè quella dell’avvocato Alessandro Piccinini a presidente del consiglio di amministrazione della società pubblica Gran Sasso Acqua.
Piccinini, uno dei colonnelli aquilani di Fratelli d’Italia, ex assessore comunale, si è poi dimesso, in cambio di una candidatura alle regionali d’Abruzzo che si terranno nel 2024, raccontano senza timore di smentita fonti all’interno della coalizione di centrodestra locale. Sia come sia, quando abbiamo chiesto al sindaco della città, Pierluigi Biondi, già militante di CasaPound e fedelissimo di Giorgia Meloni, come intendeva replicare ai rilievi mossi dall’Anticorruzione, il primo cittadino non ha risposto alle nostre domande. Ma non soltanto.
L’amministrazione da lui guidata dal 2017 (Biondi, infatti, è al secondo mandato) è finita anche sotto la scure della Corte dei conti che, esaminando ottantasei determine di acquisto e noleggio di diversi beni, servizi e forniture relative all’esercizio 2021, «ha accertato la criticità della procedura posta in essere dal comune dell’Aquila».
In particolare, sotto la lente degli ispettori sono finiti gli affidamenti inerenti al servizio di pulizie, i cui frazionamenti l’amministrazione ha motivato «con la natura emergenziale degli interventi stessi, attuati in concomitanza di impreviste situazioni di contagio e di contenimento del rischio».
È però un fatto che per «il servizio di pulizia straordinaria degli immobili comunali adibiti ad uffici», in soli tre mesi, da ottobre a dicembre del 2021, sono state stanziate attraverso diverse determine, alcune delle quali adottate lo stesso giorno, dunque palesemente frazionate, somme per quasi 80mila euro, che sono andati alla società Puliservice srl.
A scorrere gli atti riguardanti le spese per le pulizie comunali dal 2020 al 2023 (questi non segnalati dalla Corte dei conti) risulta che a beneficiare dello stesso sistema dei micro affidamenti è stata anche un’altra società, l’Oasi del Pulito, il cui titolare, Claudio Gregori, è stato eletto a inizio mese nuovo coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia al posto dello stesso sindaco Biondi.
GABBIANI AQUILANI
Il sindaco Biondi, quando nel 2017 si è candidato a sindaco da autentico underdog, in stile Giorgia Meloni, della politica cittadina, adottava come claim comunicativo quello del granello di sabbia «attraverso cui intendo rompere il meccanismo di potere che ha governato l’Aquila negli ultimi dieci anni».
Lo diceva prima di contribuire lui stesso a instaurare un blocco di potere che vede al vertice della regione Abruzzo e del suo capoluogo gli appartenenti alla corrente dei gabbiani del Movimento sociale prima e di Alleanza nazionale poi.
Marco Marsilio, il presidente della regione Abruzzo, romano di adozione, è tra questi. E poi ci sono: Adolfo Cicchetti, già presidente dell’associazione cittadina dei costruttori; il senatore Guido Quintino Liris, già vicesindaco di Biondi e assessore regionale con Marsilio, oggi catapultato a Roma dove siede all’interno della commissione Bilancio di Palazzo Madama; Alessandro Piccinini, che da qualche giorno è anche indagato dalla procura dell’Aquila per falso ideologico, come ha anticipato il Messaggero.
E infine Pierluigi Biondi, il sindaco venuto da CasaPound, l’amico di vecchia data di Giorgia Meloni con simpatie fasciste mai rinnegate, come dimostra la frase che accompagna il suo profilo WhatsApp: «Il nostro posto è all’aria aperta, arma al braccio e nel cuore le stelle», attribuita a José Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange, movimento politico franchista.
Sono loro il nuovo blocco di potere d’Abruzzo; a L’Aquila, soprattutto, il collegio di Giorgia Meloni, dove per la prima volta nella storia d’Italia, nel 2017, gli ex missini hanno conquistato la guida di un capoluogo di regione.
LABORATORIO NERO
Ecco, dunque, il laboratorio nero di Fratelli d’Italia. Fondato sulla narrazione della rinascita culturale che ha portato la città a presentare la sua candidatura per diventare Capitale italiana della cultura nel 2026.
Ma che, allo stesso tempo, vive una grave emergenza abitativa, come confermano alcuni dati dell’Osservatorio di C.a.s.a, acronimo di “Come abitare senza abitazioni?”, una campagna cittadina per il diritto all’abitare che ha calcolato l’esistenza di quasi 900 appartamenti agibili ma non ancora assegnati, che sono stati ricostruiti con i fondi statali post ricostruzione e ora sono di proprietà comunale. Un dato, questo, che il sindaco Biondi non ha voluto confermare. Così come non ha voluto spiegare il motivo dell’ossessione per la sicurezza che ha portato l’amministrazione a siglare un protocollo di intesa con la locale prefettura e nove istituti di vigilanza privati per dotare la città di 976 nuove telecamere, oltre a quelle già presenti nel centro storico. “Mille occhi sulla città” si chiama il progetto che costerà 4 milioni di euro sui fondi a valere del Pnrr, nonostante L’Aquila oggi sia una tra le città in Italia con minore pericolosità sociale, come confermano le statistiche del Sole 24 Ore.
(da editorialedomani.it)

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PARIGI, LA STORIA DELLE VETRATE ALLA CATTEDRALE DI NOTRE DAME

Dicembre 27th, 2023 Riccardo Fucile

UNA PETIZIONE DI 120.000 PERSONE CONTESTA LA DECISIONE DI MACRON SULL’OPERA DI RISTRUTTURAZIONE DELL’EDIFICIO DEVASTATO DA UN INCENDIO NEL 2019

È polemica in Francia dopo il piano voluto dal presidente francese Emmanuel Macron per sostituire le vetrate delle cappelle laterali della cattedrale di Notre Dame. Motivo: i decori artistici sono considerati troppo contemporanei e per questo sono stati definiti come un’azione di «vandalismo».
La notizia è riportata dal Guardian che cita anche la petizione firmata da più di 120 mila persone che chiedono il mantenimento delle vetrate originali e che queste non siano sostituite da quelle previste nel piano firmato da Macron. Secondo quanto sostenuto nella petizione, infatti, i nuovi decori «distruggerebbero l’armonia architettonica dell’edificio storico devastato da un incendio nell’aprile 2019».
Da dove nasce la polemica
Durante una visita alla cattedrale del XIII secolo, questo mese, Macron ha annunciato che le finestre di sei delle sette cappelle della navata sud sarebbero state rimosse e sostituite da vetrate contemporanee che sarebbero state scelte in seguito ad un concorso pubblico.
L’idea – riporta il Guardian – sarebbe nata dall’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, che scrisse all’Eliseo chiedendo al governo di interessarsi perché commissionasse la sostituzione di sei nuove finestre. Richiesta poi seguita dal via libera del presidente Macron.
Peccato che le finestre individuate per essere sostutuite, progettate dall’architetto Eugène Viollet-le-Duc (lo stesso che aggiunse anche la guglia a metà del XIX secolo) non furono toccate dall’incendio e secondo i piani del presidente sarebbero state esposte nel nuovo Museo di Notre Dame.
Apriti cielo. «Le vetrate di Notre Dame progettate da Viollet-le-Duc sono state create come un insieme coerente. Si tratta di una vera e propria creazione che l’architetto ha voluto fedele alle origini gotiche della cattedrale» si legge nella petizione.
I motivi della petizione
Didier Rykner, fondatore ed editore della rivista online La Tribune de l’Art che ha lanciato la petizione, ha affermato che un gesto contemporaneo molto migliore sarebbe quello di commissionare nuove finestre per la torre nord della cattedrale, dove si è svolta la battaglia dei vigili del fuoco per salvare l’edificio. «Come potete vedere da alcuni video, la cattedrale ha campate senza vetrate, chiuse solo da lucernari bianchi. L’installazione di queste vetrate non sminuirebbe l’armonia voluta da Viollet-le-Duc e migliorerebbe la cattedrale» ha scritto Rykner, commentatore di alto profilo del patrimonio architettonico francese. «Avrebbe anche un magnifico ruolo simbolico: è stato nella torre nord, quando si combatté l’incendio che minacciava di far crollare le campane e, a sua volta, la cattedrale, che i vigili del fuoco rischiarono la vita per salvare il monumento. Verrebbe reso omaggio ai vigili del fuoco grazie a queste nuove vetrate e senza vandalizzare l’opera di Viollet-le-Duc. In più si offrirebbero ai turisti cose in più da vedere. Una soluzione di buon senso per tutti».
Dopo la veemente opposizione pubblica, il presidente ha dunque abbandonato l’idea. La nuova guglia alta 96 metri, installata a novembre, sembra identica a quella distrutta dalle fiamme. La riapertura della cattedrale è prevista per l’8 dicembre 2024.
(da agenzie)

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