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“QUANDO NON PARLEREMO PIÙ DI POLITICA, QUALCUN ALTRO LO FARÀ PER NOI”: ALDO CAZZULLO SBERTUCCIA LA FIGC, CHE HA IMPEDITO AI CALCIATORI DELLA NAZIONALE DI PARLARE DI POLITICA, EVITANDO IN ITALIA UN “CASO MBAPPÉ”

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

“QUANDO HO LETTO CHE IL RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE DELLA NAZIONALE ITALIANA HA INTERROTTO UN CALCIATORE DICENDO ‘NOI NON PARLIAMO DI POLITICA, NOI PARLIAMO DI CALCIO!’, NON HO CREDUTO AI MIEI OCCHI. MA SIAMO DIVENTATO PAZZI?. ‘QUI NON SI PARLA DI POLITICA’ ERA SCRITTO NEI LOCALI PUBBLICI DURANTE IL FASCISMO. DA QUANDO SEGUO LA VITA PUBBLICA NON RICORDO IN ITALIA UN SIMILE CLIMA DI CONFORMISMO”

Quando ho letto che il responsabile della comunicazione della Nazionale italiana ha interrotto un calciatore dicendo «Noi non parliamo di politica, noi parliamo di calcio!», non ho creduto ai miei occhi. Ma siamo diventato pazzi? «Qui non si parla di politica» era scritto nei locali pubblici durante il fascismo. Bene ha fatto il giornalista Daniele Fortuna di Radio Rai a porre la domanda, all’indomani della clamorosa presa di posizione del più importante calciatore d’Europa, Kylian Mbappé, in vista delle importantissime elezioni francesi.
E bene ha fatto Davide Frattesi a rispondere che «ognuno deve essere libero di esprimere le proprie opinioni, nel rispetto di quelle altrui». Più in generale, da quando seguo la vita pubblica non ricordo in Italia un simile clima di conformismo. Certo non ai tempi della Dc, che vinceva tutte le elezioni ma veniva spernacchiata da tutti.
Certo non ai tempi di Prodi: ai Mondiali del 2006 tutti i ministri e le ministre in visita venivano accolti con ilarità dai calciatori che sarebbero diventati campioni del mondo. Certo non ai tempi di Berlusconi, che era senza confronti più potente della Meloni, ma aveva contro mezzo Paese; e se i presidenti delle aziende di Stato, che fabbricano armi e lavorano con l’intelligence, fossero saliti sul palco di una festa di partito con la maglietta di Forza Italia, sarebbero stati massacrati.
Quanto allo sport, ha sempre a che fare con la politica. A Città del Messico 1968 la polizia sparò sulla folla, a Monaco 1972 esplose il conflitto arabo-israeliano, l’Africa boicottò Montreal 1976 per protestare contro l’apartheid, a Mosca 1980 non c’erano americani e tedeschi dell’Ovest, a Los Angeles 1984 non c’erano i russi e i loro alleati, Pechino 2008 fu una manifestazione di regime quasi quanto il Mondiale di calcio in Argentina del 1978… Quando non parleremo più di politica, qualcun altro lo farà per noi.
(da Il Corriere della Sera)

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“BASTA DIVISIONI” NELLA PIAZZA TRABORDANTE ANTI-MELONI DI ROMA L’ABBRACCIO TRA SCHLEIN E CONTE SANCISCE LA SVOLTA

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

I SOVRANISTI HANNO SOTTOVALUTATO ELLY CHE DA UN ANNO LAVORA ALL’UNITA’ DELLE OPPOSIZIONI, CAMBIANDO IL PD: GLI ELETTORI LA PENSANO COME LEI

Un fronte popolare, versione italiana. Le opposizioni quasi al completo, riunite in piazza a Roma per dire no alla riforma della Costituzione detta premierato e all’autonomia differenziata.
Bandiere del Pd e di Alleanza Verdi — Sinistra, del Movimento 5 Stelle e di Più Europa, Rifondazione comunista, Arci, Cgil e sindacati di base. Mancavano i centristi di Azione e Italia viva, che non hanno ancora deciso cosa fare da grandi, ma forse non alcuni loro elettori.
A ben guardare, una piazza politica così assortita e variopinta, che da anni non si vedeva, è un regalo nemmeno piccolo di Giorgia Meloni a partiti che hanno passato gli ultimi anni a litigare su molto, e che probabilmente continueranno in parte a farlo, ma che ieri erano a piazza Santi Apostoli insieme a migliaia di cittadini.
Sicuramente molti più di quanti ne prevedessero gli organizzatori che, magari temendo il caldo quasi agostano e il giorno feriale, hanno sciaguratamente deciso di montare il palco a metà della piazza, con il risultato che almeno un migliaio di manifestanti non è nemmeno riuscito a entrare nell’area della manifestazione e non ha potuto sentire né vedere granché.
Tra questi anche Massimo D’Alema che arriva verso le 18 e rimane imbottigliato nelle retrovie. A malapena si intravede il palco e D’Alema non riconosce l’oratore in quel momento sul palco: «Chi è questo che sta parlando?». Era Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione. Il quale, peraltro, proprio in quel momento stava pronunciando parole per lui non abituali: «Questo è il momento di essere uniti».
Un moto trasversale di popolo che forse la presidente del Consiglio ha sottovalutato quando ha scelto di procedere sulla riforma della Costituzione a strappi e forzature. Quando sul palco sale il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni e dice «la destra non è maggioranza, ha vinto solo perché eravamo divisi», scatta una ovazione da ogni angolo e orientamento della piazza. Elly Schlein non riesce neanche a iniziare il suo intervento che da Santi Apostoli si leva il coro «unità, unità».
Schlein raccoglie l’invito: «Basta divisioni. Teniamoci strette le nostre differenze che sono preziose se sappiamo metterle a valore. Siamo qui tutti insieme perché siamo tutte e tutti antifascisti». Meloni ha dato ai suoi oppositori l’occasione di riconoscersi, per una volta, in un massimo comune multiplo.
Si percepisce tra i manifestanti una grande voglia di fare qualcosa di concreto e di personale, senza aspettare il referendum confermativo, per fermare il cambiamento della Carta e una legge che spacca il Paese in due. Una base che può diventare un collante politico molto forte, certo non proprio con tutte le forze in piazza. Fantasioso immaginare un ritorno in coalizione di Rifondazione, per esempio.
Ma nel retropalco la consapevolezza di tutti i leader è che questa manifestazione è il primo vero passo nella costruzione di una coalizione alternativa alla destra. Schlein lo sottolinea. A microfoni lontani la leader del Pd rivendica il risultato: «Questa non è una manifestazione in cui siamo inciampati». Intende dire che dietro c’è un lavoro, ma anche che qualcosa è cambiato nel rapporto tra le forze di opposizione.
I contatti con gli altri leader sono più frequenti e soprattutto più facili. Anche con Giuseppe Conte, che ora pare davvero determinato a entrare in un percorso comune. Anzi, in questo momento nel M5S è proprio l’alleanza con il Pd la faglia che divide il capo M5S dal fondatore Beppe Grillo e dai nostalgici del Movimento del vaffa come Virginia Raggi o il fuoriuscito Alessandro Di Battista.
Conte saluta molto calorosamente il neodeputato europeo e sindaco di Bari uscente Antonio Decaro e lo invita a tenere unito il fronte in vista del ballottaggio alle Comunali. Scene inedite. I big dei vari partiti si mescolano. Abbracci, sorrisi, selfie con i simpatizzanti. Ci sono il governatore della Campania Vincenzo De Luca, l’ex presidente della Camera Roberto Fico, l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino e il neo parlamentare europeo ed ex segretario del Pd Nicola Zingaretti.
Davanti alla folla Conte attacca il premierato e Giorgia Meloni con un discorso di taglio antifascista nel quale deplora il fatto che la presidente del Consiglio non abbia speso una parola per censurare i giovani del suo partito che inneggiano al Duce (anche Schlein non lascia correre: «Cosa aspetta Meloni a cacciarli?»). Poi Conte chiama sul palco il deputato 5S Leonardo Donno, aggredito in Parlamento dai colleghi di Lega e di Fratelli d’Italia per aver cercato di mettere un tricolore sulle spalle del leghista Roberto Calderoli: «Se sventolare un tricolore fa paura a queste destre — dice Donno — sventoliamolo e non molliamo»
(da La Repubblica)

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PREMIERATO, COSA PREVEDE LA RIFORMA APPROVATA DALLA CAMERA: “E’ PERICOLOSISSIMA”

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

I COSTITUZIONALISTI: “UNA MINORANZA, ATTRAVERSO UN PREMIO, ASSUMERA’ IL CONTROLLO DI TUTTE LE NOSTRE ISTITUZIONI, SENZA CONTROLLI E CONTRAPPESI

Con il primo sì incassato al Senato Giorgia Meloni porta a casa una tappa fondamentale nell’approvazione definitiva della legge sul premierato. Che però adesso potrebbe tornare in Aula soltanto nel 2025, visto che ci sono altre riforme da votare. Tra cui anche la riforma delle carriere dei magistrati. E mentre alla Camera si va verso l’ok anche per l’autonomia differenziata, 180 costituzionalisti firmano un appello per stare al fianco della senatrice a vita Liliana Segre, contraria alla riforma: «La creazione di un sistema ibrido, né parlamentare né presidenziale, mai sperimentato nelle altre democrazie, introdurrebbe contraddizioni insanabili nella nostra Costituzione. Una minoranza anche limitata attraverso un premio potrebbe assumere il controllo di tutte le nostre istituzioni, senza più contrappesi e controlli». Ma cosa prevede il nuovo Ddl?
Come funziona il premierato
Il premierato prevede innanzitutto l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La sua elezione sarà contestuale a quella delle Camere e resterà in carica per cinque anni con un limite di due mandati. Che possono diventare tre se nelle precedenti legislature ha ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e mezzo. Nella riforma c’è anche il potere di revoca dei ministri, che spetta sempre al premier. Viene anche abrogato il potere di nomina dei senatori a vita, oggi appannaggio del Quirinale. Ma conserva la carica per gli ex presidenti della Repubblica. La riforma prevede anche tre casi diversi di soluzione in caso di crisi di governo. In caso di revoca della fiducia al presidente del Consiglio, il Quirinale scioglie le Camere e si torna al voto. In caso di dimissioni del premier, questi può proporre al presidente della Repubblica entro sette giorni lo scioglimento delle Camere.
Cosa prevede
Infine, il premier su sua decisione può farsi sostituire solo una volta nella legislatura da un parlamentare di maggioranza. Così da evitare governi tecnici e ribaltoni. Il Capo dello Stato può sciogliere le Camere anche nel semestre bianco, ovvero quello che porta all’elezione di un nuovo presidente della Repubblica. Poi si alza il quorum nei primi sei voti per l’elezione del presidente della Repubblica: ci vogliono i due terzi, come nelle prime tre. Infine, si abolisce la controfirma del governo in una serie di atti del Quirinale. Tra questi la nomina del presidente del Consiglio, dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione di elezioni e referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alle Camere.
Le critiche alla riforma
Tra le critiche alla riforma oggi Antonio Polito sul Corriere della Sera spiega che ce n’è una cruciale: il premierato stabilisce l’elezione diretta del presidente del Consiglio, ma non dice come questa avverrà. Tanto è vero che c’è una norma transitoria che prevede l’entrata in vigore solo dopo l’ok alla legge elettorale.
Eppure, ragiona Polito, per far sì che il premier abbia una maggioranza in entrambe le Camere sarebbe necessario incardinare i modi in Costituzione. Per esempio il ballottaggio, mentre la soglia minima di voti per la rappresentanza andrebbe definita prima. In più con il premierato, l’autonomia e la riforma delle carriere dei magistrati si rischiano tre referendum costituzionali in una sola legislatura. Con il rischio concreto di bocciatura per tutte e tre.
Il costituzionalista
Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, va più nel dettaglio oggi in un’intervista a La Stampa. E parla di riforma pericolosissima: «Nel testo costituzionale che è all’esame del Senato, fanno una scelta pericolosissima, ovvero la contestualità dell’elezione del capo del governo con la selezione dei deputati e dei senatori. Ecco, unificare in un unico momento queste due diverse selezioni, vuol dire un sistema istituzionale nel quale c’è solo una maggioranza, che esprime il capo del governo più i suoi parlamentari, e una minoranza. I cittadini possono esercitare il loro potere di critica e di mutamento soltanto una volta ogni 5 anni. Ora, questo contrasta con le regole di tutte le democrazie contemporanee».
Il bilanciamento
Secondo De Siervo infatti «tutte le democrazie contemporanee possono avere dei meccanismi più o meno forte di individuazione del capo del potere esecutivo, ma hanno sempre e necessariamente mantenuto un bilanciamento fortissimo tra questa scelta e la scelta dei parlamentari. Per capirci: in Francia, Macron non ha necessariamente una maggioranza in Parlamento. Lo stesso accade negli Stati Uniti con Biden. Nessuno, in sistemi di presidenziali o semipresidenziali, ha quello che sarebbe garantito al presidente del Consiglio di questa ipotetica riforma cioè un’omogeneità tra Esecutivo e Parlamento».
La separazione tra i due poteri «verrebbe a cadere perché non solo si voterebbe lo stesso giorno, ma perché è evidente che i candidati a capo del governo farebbero anche le liste elettorali. Così avremmo un governo il quale nasce con una maggioranza garantita a priori alla Camera e al Senato. Questo non è bene. E’ una scelta di grande pericolosità. Infatti non esiste in nessuna democrazia un sistema così. Ed è una cosa molto significativa: vuol dire che gli altri Paesi, sulla base di riflessioni e di storie variegate, però hanno tutti escluso che il Parlamento possa essere necessariamente omogeneo al governo».
Il presidente della Repubblica
L’altro punto fondamentale secondo il costituzionalista è lo svuotamento dei poteri del Quirinale, ovvero «la formazione del governo e l’eventuale scioglimento anticipato delle Camere. Rimangono sulla carta, ma in pratica si fa decidere come e quando dalla nuova ipotetica Carta costituzionale ciò che al momento attuale decide liberamente e responsabilmente il Presidente della Repubblica».
(da ilfattoquotidiano.it)

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CRISI M5S, IL POLITOLOGO REVELLI: “TORNARE AL ‘NE’ DESTRA NE’ SINISTRA’ SAREBBE DEMENZIALE”

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

“IL GARANTE? E’ MEGLIO SE TACE”… “L’UNICO MODO PER VINCERE E’ COALIZZARSI CONTRO IL CENTRODESTRA”

Tornare a un Movimento “né di destra né di sinistra” sarebbe “demenziale”: si tratta di un’idea “obsoleta” che non appartiene più ai 5 Stelle. Parola di Marco Revelli, politologo autore di svariati saggi sulla sinistra (l’ultimo è Questa sinistra inspiegabile a mia figlia, Einaudi) e convinto che ormai il campo del Movimento sia quello progressista, checché ne dica Virginia Raggi e a prescindere dalle battute maliziose di Beppe Grillo.
Marco Revelli, l’idea di un ritorno alle origini non la convince?
Me lo lasci dire con un omaggio a Cacciari: questa roba di non essere né di destra né di sinistra è una puttanata! Basta così. Virginia Raggi ha subito un ingiusto accanimento quando era sindaca e questo glielo riconosco, dopodiché il suo tempo è passato. Neanche per sogno il Movimento dovrebbe tornare indietro.
Non lo aiuterebbe a guadagnare qualche punto percentuale?
Il suo elettorato di oggi non è più un elettorato ibrido, come durante la grande piena del 33 per cento. Quello che hanno perso a destra è tornato a votare la destra e lì resterà. È naturale che non ci sia totale omogeneità con il Pd e il resto del centrosinistra, è anche giusto sia così, ma il destino è quello come minimo di marciare divisi per colpire uniti. Ci sono tante persone nel cosiddetto campo progressista che ritengono il Pd indigesto, anche con qualche ragione. È soprattutto lì che il M5S ha il suo elettorato. E poi sarebbe demenziale dal punto di vista tattico.
In che senso?
Non c’è ragione per ripetere errori storici. L’unico modo per vincere è coalizzarsi contro il centrodestra.
Grillo può ancora avere un ruolo carismatico?
Temo sia più una minaccia carismatica che una risorsa. È uno di quei casi in cui il carisma aumenta la carica distruttiva, più che quella propositiva. A Grillo va dato atto di aver costruito una cosa enorme, ha creato dal nulla uno tsunami che ha raccolto una domanda radicale di cambiamento che altrimenti si sarebbe anche potuta riversare a destra. Detto questo, adesso farebbe meglio a stare zitto per il bene del Movimento. Mi fa pensare un po’ a un creatore che non sopporta di vedere la propria creatura sopravvivergli.
Conte è ancora la persona giusta per guidare il Movimento?
Resto convinto di sì. È piombato nella galassia dei 5 Stelle quasi come un Ufo, tuttavia è ancora la principale risorsa che hanno. Certo, l’ideale sarebbe potergli affiancare qualcuno.
Chiara Appendino? I guai giudiziari la condizionano, ma a lungo si è parlato di lei.
No, non ha lo status e il profilo da leader nazionale, e credo neanche il carisma di Conte. Penso a un alter ego più “corporeo” di Conte, una figura alla Di Battista, se esistesse oggi dentro al Movimento 5 Stelle. Di questo avrebbe bisogno Conte, che è insuperabile nel lavoro di fioretto, ma quando si tratta di usare la ruspa non è l’ideale.
Il suo ultimo libro è un ipotetico dialogo sulla sinistra con una adolescente. Come spiegarle che il Movimento è nella sinistra che deve stare?
Basta guardare i temi su cui punta forte il Movimento, dal salario minimo all’ambiente. Altre concezioni sarebbero ormai obsolete: se poi non la vogliono chiamare sinistra ma qualcos’altro, non importa, l’orizzonte comune resta quello.
(da agenzie)

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POTERI, RISORSE, SCUOLA E SANITA’: COME CON L’AUTONOMIA I SEDICENTI “PATRIOTI” VOGLIONO SPACCARE L’ITALIA

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

DA UNA VITA MAGGIORDOMI AL SERVIZIO DI RICCHI E DELLE LOBBY

Che cos’è l’autonomia differenziata?
E’ il riconoscimento da parte dello Stato alle Regioni a Statuto ordinario di autonomia legislativa su materie che oggi sono di competenza concorrente, ossia comune. In tre casi passerebbero alle regioni anche materie di esclusiva competenza statale.
In quali materie le Regioni potranno aumentare le loro competenze?
In moltissime materie, tra cui: sanità, istruzione, università, ricerca, lavoro, previdenza, giustizia di pace, beni culturali, paesaggio, ambiente, governo del territorio, infrastrutture, protezione civile, demanio idrico e marittimo, commercio con l’estero, cooperative, energia, sostegno alle imprese, comunicazione digitale, enti locali, rapporti con l’Unione europea.
Concretamente cosa cambierebbe?
In tutte queste materie, lo Stato potrebbe perdere quasi ogni ruolo, demandando ogni potere alle Regioni. Si potrebbe giungere a regioni che assumono insegnanti, personale amministrativo della giustizia, gestiscono i musei, acquisiscono al demanio regionale strade, ferrovie, fiumi e litorale marittimo, decidono le procedure edilizie, stabiliscono i piani paesaggistici, governano il ciclo dei rifiuti, intervengono a sostegno delle imprese e della ricerca anche nelle relazioni internazionali e via dicendo.
Vuol dire che avremo 20 sistemi scolastici differenti?
Il rischio esiste perché alle regioni verrebbe attribuita la potestà legislativa sull’intera materia: dalle norme generali all’assunzione di personale, dai criteri di valutazione ai programmi scolastici
Che cosa sono i Lep?
Sono i «livelli essenziali di prestazioni» che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, già previsti esplicitamente dall’articolo 117 della Costituzione. In base a questo anche per quei servizi di competenza regionale, come la sanità e i trasporti pubblici, è lo Stato a dover decidere quali sono i livelli minimi che devono essere garantiti a tutti i cittadini. Il problema è che a parte la sanità, per gli altri settori i Lep non sono stati mai definiti così da creare divari sempre più ampi tra Nord e Sud. La riforma approvata ieri non prevede investimenti per colmare il gap ma è passata una proposta targata FdI che affida al governo il compito di varare entro due anni i Lep relativi ai diritti civili e sociali, «che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», stabilendo gli investimenti necessari alle regioni per adeguarsi agli standard.
E’ vero che l’autonomia differenziata finirà per garantire più risorse alle Regioni più ricche?
Il ministro Calderoli da cui prende nome la legge dice che la riforma sarà «a costo zero». Ma è difficile credergli perché nonostante i futuri stanziamenti per rendere omogenei i Lep, i futuri atti d’intesa tra Stato e singole Regioni apriranno per quelle più ricche la possibilità, come già rivendicano, di trattenere il cosiddetto residuo fiscale, ossia la differenza tra quello che versano e quanto ricevono in termini di spesa pubblica. Secondo una simulazione dello Svimez, solo la quota di Irpef e Iva che potrebbe essere trattenuta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna vale intorno i 9 miliardi di euro. Il rischio insomma è di favorire l’espandersi del divario tra Nord e Sud del Paese, che già oggi vede lo Stato spendere da Roma in su 17.621 euro per ogni cittadino, che diventano 13.613 per chi vive nel meridione.
(da lastampa.it)

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“RICCHIONI NEL FORNO CREMATORIO E RISOLVIAMO IL PROBLEMA”: GLI AUDIO DEGLI SPECIALIZZANDI RIVELANO ANCHE ALTRI INSULTI SESSISTI, MINACCE E OFFESE QUOTIDIANE AGLI STUDENTI

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

IL CANDIDATO SINDACO SOVRANISTA INVECE DI TOGLIERE IL DISTURBO HA ANCORA IL CORAGGIO DI DEFINIRLE “GOLIARDATE”

Insulti sessisti e omofobi, offese, ma anche «abusi di potere», come la sospensione delle ferie. È un dossier ricco di accuse quello raccolto dagli studenti della Scuola di specializzazione in Chirurgia Plastica all’Università di Salerno.
Il protagonista, registrato negli audio diffusi ora da L’Espresso, è Carmine Alfano, direttore della Scuola, primario, e candidato sindaco di Torre Annunziata, nel Napoletano. Sostenuto da liste civiche, da Fratelli di Italia, da Forza Italia e da Italia Viva, ha già raggiunto il ballottaggio.
E ai suoi studenti ha anche chiesto «una mano per l’organizzazione» della campagna elettorale. Il caso ricorda quello del primario della Scuola di Specializzazione di Ortopedia e Traumatologia sempre dell’Università di Salerno, che costringeva gli specializzandi a fare flessioni in reparto per punizione.
«Noi specializzandi», si sfogano oggi quelli d Chirurgia plastica, «siamo quasi quotidianamente vessati e minacciati con appellativi offensivi ed esclamazioni volgari. Siamo costretti a subire in silenzio e ad ascoltare battute sessiste e omofobe, creando un ambiente di lavoro tossico e umiliante». E parlano poi di «abusi di potere»: «Il professore ci minaccia in due modi: sospendendo le ferie a cui abbiamo diritto o impedendoci l’accesso alla sala operatoria». Quindi la richiesta alla Scuola: «Oltre a minare la nostra dignità e il nostro benessere psicologico, ciò ostacola anche la nostra formazione professionale ed evidenzia anche un grave abuso di potere da parte del direttore. Questa situazione intollerabile richiede un intervento immediato».
Gli audio diffusi da L’Espresso
Ma cosa hanno registrato gli specializzandi? Negli audio si sentono alcune frasi dal contenuto omofobo o sessita, proprio come denunciano gli universitari. «Quello è ricch**ne, quell’altro è ricch**ne, sono tutti quanti ricch**ni pure in televisione e vogliono tutti quanti posti importanti», si sente, «Tutti quanti là dentro, nel forno crematorio a Cava di Tirreni e abbiamo risolto il problema». E ancora: «Qui ci manca una categoria, se mi posso permettere, dopo che è entrato pure questo, ci mancano le mignotte, poi “tenimm a tutti quanti”». Poi rivolto a un camice bianco esclama: «Se è ricch**ne, urologia va bene».
Quindi gli insulti personali, a cascata, durante il quotidiano incontro mattutino: «Voi siete una banda di scemi». E poi ancora: «Vi metto nelle condizioni di autodistruggervi». «Tutti quanti fuori dalle palle». «Voi vi caccio dalla scuola. A loro gli rompo il c*lo, al momento opportuno». «Vi schiatto in corpo a tutti quanti». «Il 99% di voi non farà niente nella vita, tranne fare lo shampista».
Negli altri audio si sente il primario minacciare gli specializzandi che non metteranno più piede in sala operatoria. Ed è questa una delle paure maggiori dei giovani medici, che temono di non mettere a profitto gli anni di formazione. Contattato da L’Espresso, il rettore dell’Università di Salerno Vincenzo Loia ha risposto: «Ad oggi, non è pervenuta nessuna segnalazione, ma ho provveduto ad avviare le necessarie verifiche interne, a fronte della gravità dei fatti prospettati».
(da L’Espresso)

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LA GUERRA DEI FARMACI. IL SISTEMA SEGRETO DEI PREZZI: ACCORDI IMPOSTI DA BIG PHARMA

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

NESSUNA TRASPARENZA, I COLOSSI DEL SETTORE RIESCONO A OTTENERE SCONTI DIFFERENTI NEI DIVERSI PAESI EUROPEI .. LE NAZIONI PIU’ RICCHE PAGANO MENO DI QUELLE POVERE

“Se il documento salta fuori, rischiamo che si apra il vaso di pandora e l’azienda farmaceutica ci faccia una causa milionaria”. Questa è stata la reazione della direttrice di una azienda sanitaria (Asl) del centro Italia quando Investigate Europe(IE) l’ha contattata per avere spiegazioni su un atto di acquisto trovato online tra l’Asl e la casa farmaceutica Vertex per la fornitura di Kaftrio, un medicinale usato per curare la fibrosi cistica. Dopo la chiamata, l’Asl ha immediatamente rimosso dalla Rete il contratto che riportava il prezzo reale del medicinale pagato dall’azienda sanitaria, per errore reso pubblico. Questo perché in Europa e altrove non è dato sapere il prezzo reale di un farmaco. In cambio della riservatezza, le strutture sanitarie godono di uno sconto sull’acquisto del farmaco di Big pharma. In questo modo, “le aziende pensano di poter negoziare accordi migliori Paese per Paese, e gli Stati di poter negoziare accordi più forti. In particolare quei Paesi che hanno una maggiore potenza economica”, spiega Paul Fehlner, presidente dell’azienda farmaceutica reVision Therapeutics.
Una delle ragioni addotte dalle case farmaceutiche per mantenere il sistema segreto dei prezzi, che secondo alcune fonti è iniziato a diffondersi in Europa intorno al 2010, è che permette di fare prezzi differenziati nei vari Paesi europei, facendo pagare un prezzo minore ai Paesi meno ricchi. “Nel mercato farmaceutico globale, i prezzi di uno stesso prodotto variano da un Paese all’altro. Ciò è spesso vantaggioso per i Paesi più poveri, che possono accedere ai farmaci a un prezzo inferiore”, ha detto a IE Leif Rune Skymoen, direttore generale dell’Associazione dell’industria farmaceutica norvegese. L’inchiesta di Investigate Europe mostra un quadro diverso, dove in alcuni casi le nazioni ricche pagano meno di quelle dell’Europa centrale e orientale.
Partendo dai registri aziendali e dai dati sanitari e di bilancio delle autorità nazionali, IE ha elaborato una stima dei prezzi di alcuni farmaci usati per curare la fibrosi cistica, dividendo i ricavi locali di Vertex Pharmaceuticals, l’azienda che produce quei farmaci, con il numero dei pazienti in terapia nel 2022, in modo da ricavare il costo unitario del trattamento.
Se in Europa occidentale, la media, al netto dell’Iva, è stata stimata in circa 71.000 euro in Francia, 81.000 euro in Italia, 87.000 euro in Spagna e 88.000 euro nei Paesi Bassi, IE stima che il prezzo per paziente nel 2023 per la Polonia fosse di 109.000 euro, Iva inclusa, mentre nella Repubblica Ceca il costo annuale stimato nel 2022 è stato di 140.000 euro (non è chiaro se la cifra sia comprensiva o meno di Iva). In Lituania il governo ha dichiarato di essere pronto a pagare fino a 8,4 milioni di euro per fornire i farmaci per curare la fibrosi cistica a un massimo di 48 pazienti. Ciò potrebbe equivalere a 175.000 euro a persona.
I Paesi stringono accordi segreti nella speranza di contenere i costi, ma i prezzi dei farmaci innovativi sono aumentati ovunque. “I farmaci costosi sono una sfida crescente per i bilanci nazionali e per i singoli pazienti. I nuovi farmaci hanno un prezzo sempre più alto”, si legge in un report della Commissione Ue. Nei Paesi Bassi, la parte del budget ospedaliero nazionale per questi farmaci “è passata dallo 0,6 al 10% negli ultimi 15 anni”, afferma l’oncologo olandese Wim van Harten; un trend confermato anche dalle autorità norvegesi. In Italia, la spesa dei nuovi farmaci è passata da 5,17 miliardi di euro nel 2014 a 8,54 miliardi nel 2022, con una spesa farmaceutica complessiva (pubblica e privata) che ha toccato i 34 miliardi (circa 9 miliardi in più rispetto al 2012).
E intanto i profitti di Big pharma crescono. Ricercatori statunitensi hanno confrontato i profitti annuali di 35 grandi aziende farmaceutiche con quelli di 357 società di altri settori dell’indice borsistico S&P 500. Per il periodo 2000-2018, il margine di profitto lordo mediano dei gruppi farmaceutici era del 76,5%, mentre negli altri settori era del 37,4%.
“Con la trasparenza dei prezzi, tutti i Paesi saprebbero qual è il prezzo realmente pagato dagli altri Stati e quindi potrebbero mettersi d’accordo per fare in modo che il prezzo scenda”, dice Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri. Secondo lo scienziato, ciò non avviene perché “le condizioni dei vari Paesi sono diverse, come la differenza di reddito o la presenza o meno dell’industria farmaceutica nel Paese”.
Così, quando nel 2019 gli Stati membri dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) hanno adottato una risoluzione, non vincolante, proposta dall’Italia dell’allora governo Conte, per migliorare la trasparenza sui prezzi dei farmaci, la Germania e il Regno Unito, sostenuti da Stati Uniti, Giappone, Svizzera, Danimarca e Svezia – tutti Paesi con importanti settori produttivi farmaceutici – hanno tentato in tutti i modi di indebolire la risoluzione. Alla fine è stato raggiunto un compromesso al ribasso che permette alle aziende farmaceutiche di non rivelare i costi di ricerca e sviluppo, i sussidi pubblici ricevuti e i dati degli studi clinici. Oltre ai prezzi dei farmaci negoziati al netto degli sconti.
Quando Giorgos Pamboridis, ex ministro della Sanità di Cipro, ha scoperto che alcune volte i loro prezzi erano “doppi, tripli o addirittura quintuplicati rispetto a quelli pagati da altri Paesi”, si è detto sconcertato dal fatto che l’Ue permetta a Big pharma di trattare i suoi membri in modo così diverso. Ci sono stati dei tentativi da parte degli Stati europei di unire le forze e negoziare insieme, tentativi che hanno portato a successi limitati. Quando nel 2017 dieci Paesi, tra cui Cipro, Grecia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna, hanno firmato la Dichiarazione della Valletta per cooperare nell’acquisto di farmaci, l’industria non ha mostrato alcun interesse e l’iniziativa si è arenata, hanno dichiarato diversi partecipanti a IE.
L’iniziativa Beneluxa (cioè la rete tra Austria, Belgio, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi) è riuscita a negoziare, seppure solo in tre casi, i prezzi di alcuni farmaci ad alto costo soprattutto con piccole aziende, ma Big pharma non è ben disposta a collaborare. “Le grandi aziende farmaceutiche non sembrano supportare questo tipo di iniziative”, dice Paolo Pertile, professore di economia all’Università di Verona. L’unica volta che le case farmaceutiche hanno negoziato a livello europeo è stato per i vaccini anti-Covid. Ma anche in questo caso i prezzi erano segreti. “Se l’Ue avesse usato la sua forza per non accettare clausole di riservatezza, avrebbe potuto cambiare le carte in tavola”, afferma Sabine Vogler, responsabile di Farmacoeconomia presso l’istituto nazionale austriaco per la salute pubblica.
Intanto, il sospetto che ogni volta che c’è un accordo di riservatezza qualcuno ottenga condizioni peggiori si è rivelato fondato quando nel gennaio 2022 è trapelato il prezzo del vaccino Covid di AstraZeneca. In Sudafrica il prezzo era 2,5 volte superiore rispetto alla maggior parte dei Paesi Ue.
(da ilfattoquotidiano.it)

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LOW COST SI FA PER DIRE: NON FATEVI FREGARE DALLE OFFERTE DI VOLI A 15-20 EURO. TRA POSTO PER IL TROLLEY, CHECK IN E ALTRI SERVIZI AGGIUNTIVI (MA FONDAMENTALI) I PREZZI DECOLLANO DEL 363%

Giugno 19th, 2024 Riccardo Fucile

UNA PRATICA COMUNE A TUTTE LE COMPAGNIE LOW COST: DA RYANAIR, CHE SI È INVENTATA IL GIOCHINO, FINO A EASYJET E WIZZ

Pronti a partire per le agognate vacanze, ci muniamo di tablet o computer per prenotare il volo. L’occhio cade sull’offerta low-cost, che magari promette di portarci da Roma a Budapest per la modica cifra di 24,99 euro. Peccato che poi, visto che di ferie si tratta, dobbiamo aggiungere un trolley a mano, un bagaglio da stiva e abbiamo il piacere di scegliere il posto. Ecco che quello stesso viaggio schizza a 115,69 euro, appunto un aumento del 363%.
E’ questo un caso-limite che emerge da un’analisi di Altroconsumo, ma la prassi è comunque molto diffusa. L’esempio del Roma-Budapest è stato indicato su un volo WizzAir. “Anche per easyJet e Vueling, nelle nostre prove, i costi extra arrivano a rappresentare oltre il 300% del costo inizialmente proposto: più del triplo”, scrive Altroconsumo.
“Per easyJet, siamo passati nel peggiore dei casi da un prezzo iniziale per un volo Milano-Praga di 22,99 euro a un prezzo complessivo di 92,71 euro, il 303% in più. Per Vueling siamo passati per Roma-Londra da 22,99 euro a 96,99 euro: la spesa è aumentato del 322%”.
Nel caso di Ryanair si cita un Palermo-Milano per il quale si passa “da un prezzo iniziale di 14,99 euro a un prezzo finale, comprensivo delle tre voci aggiunte, pari a 54,33 euro, la spesa è aumentata del 262%”. E ancora: “Più contenuta l’incidenza massima dei costi extra per Volotea, pari comunque a quasi tre volte il costo del biglietto inizialmente proposto. Per un volo Pantelleria-Milano siamo passati da 51,39 euro a un prezzo finale di 145,39 euro, il 183% in più”.
Pur restando un aumento monstre, quel picco di +363% è meno di quello rilevato l’anno scorso, quando si raggiunse il 465%. “Questo, però, non sembra dipendere dal fatto che i costi extra sono diminuiti, anzi alcuni di quelli considerati, in media, sono aumentati rispetto al 2023; questa riduzione può essere spiegata dal fatto che, quest’anno, i prezzi iniziali dei voli erano più alti”. Una questione di incidenza dunque, non di guadagno in assoluto.
Dal check-in in aeroporto alla necessità di modificare un volo o un nominativo, fino allo sforamento dei limiti previsti per il bagaglio a mano. A preoccupare non è tanto la richiesta in sé di un pagamento extra, ma la sua incidenza sul costo del volo e il fatto che “ogni compagnia applica tariffe diverse per ogni voce. Ecco dunque la richiesta di fondo: maggiore chiarezza.
(da La Repubblica)

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“RICCHIONI NEL FORNO CREMATORIO”: FRASI CHOC DEL DIRETTORE (E CANDIDATO SINDACO SOVRANISTA DI TORRE ANNUNZIATA) AGLI SPECIALIZZANDI DELL’UNIVERSITA’ DI SALERNO

Giugno 18th, 2024 Riccardo Fucile

IL TUTTO CON INSULTI A MATTARELLA… E QUESTO SAREBBE IL DIRETTORE DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN CHIRURGIA? MA DOVE LI TROVA I CANDIDATI SINDACO LA MELONI? A PSICHIATRIA?

“In America vanno di moda i ricchioni. Qui esistono gli uomini e le donne, i binari non esistono … Tutti quanti là dentro, nel forno crematorio a Cava di Tirreni e abbiamo risolto il problema … puoi chiamare a Mattarella che mi fa un buccxxno a me, capito?”
Sono alcune delle frasi scioccanti pronunciate da Carmine Alfano, direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica all’Università di Salerno (e candidato Sindaco di Torre Annunziata), denunciate dall’Associazione Liberi Specializzandi (Als) e riportate dall’edizione online de L’Espresso.
Alcune delle offese sessiste e omofobi riportate nell’articolo sono rivolte agli stessi specializzandi e specializzande. Sono proprio loro che, stufi del clima vessatorio creato dal primario, le hanno registrate per portarle all’attenzione dell’opinione pubblica.
(da agenzie)

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