Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
SONO DUE ITALIANI DI ORIGINE MAROCCHINA CHE SI SONO PRESENTATI A TESTIMONIARE, HANNO DESCRITTO E POI IDENTIFICATO L’UOMO IN BICI, AUTORE DELL’OMICIDIO DI SHARON: “ABBIAMO SOLO FATTO IL NOSTRO DOVERE”
La svolta nell’omicidio di Sharon Verzeni è arrivata grazie a due testimoni. Due italiani di origine marocchina hanno messo gli inquirenti sulla pista giusta a Terno d’Isola. Hanno raccontato di aver visto un uomo di origine africana in bicicletta. E lo hanno descritto.
Quella notte infatti erano nei pressi di via Torre, una traversa di via Castegnate. «Avete visto uno scappare lungo via Castegnate?». «No, abbiamo visto uno che risaliva la via». Decisivo è stato l’elemento temporale: le telecamere riprendono i due giovani alle 00.27.
A quell’ora passa Moussa Sangare. Che viene ripreso qualche minuto dopo in piazza 7 Martiri e poi da altre telecamere. Tra cui una che restituisce un’immagine più chiara. Da lì è partita la caccia all’uomo. Conclusasi con l’arresto nella notte di venerdì.
Italiani di origine marocchina
I due testimoni italiani di origine marocchina hanno 25 e 23 anni. Uno lavora come commesso in un negozio di abbigliamento di lusso. L’altro fa l’autista in un grande magazzino.
A Repubblica raccontano oggi com’è andata: «Io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, ho l’incontro il prossimo 21 settembre. Lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci». E poi: «Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima».
L’interrogatorio
I due raccontano l’incontro quando vengono interrogati in caserma. «A un certo punto — sorridono — ci hanno fatto anche i complimenti perché ci ricordavamo tutto». Quando hanno saputo dell’arresto di Moussa Sangare sono rimasti «sorpresi, non abbiamo mai pensato che l’assassino potesse essere lui. Anche se si vedeva che era uno che non stava bene. Abbiamo provato comunque un grande sollievo, perché non avevamo saputo più nulla sulle indagini». Avevano paura di finire coinvolti. E resta il rimpianto di «non aver potuto fare qualcosa per Sharon. Non essere stati più vicini a via Castegnate. In quel caso forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti».
La cittadinanza
Infine, spiegano di aver «avuto la cittadinanza da ragazzini, a quindici anni. Vogliamo far riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere».
Il Corriere della Sera fa sapere che dopo la testimonianza dei due ragazzi i carabinieri hanno individuato una persona che per stazza, capigliatura e vestiario poteva corrispondere all’identikit. Mercoledì sera Moussa Sangare è stato portato in caserma come testimone. Prova a fare resistenza. Il giorno dopo i due confermano: è lui l’uomo in bici. I carabinieri tornano a interrogarlo per tutto il giorno. Alle 5.03 di venerdì 30 agosto arriva la confessione: «Sono stato io, non so perché l’ho fatto».
(da agenzie)
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
DOPO MICHIGAN (+ 1,7%) E WISCONSIS (+ 1,9%) KAMALA IN PENNSYLVANIA PASSA DA – 0,2% A + 0,8%… SE VINCESSE GIA’ IN QUESTI TRE STATI DIVENTEREBBE PRESIDENTE… E IN ARIZONA, NEVADA E NORTH CAROLINA E TESTA A TESTA
Se si guarda alla media dell’ultimo mese in tutti e sette gli Stati in bilico la distanza tra Donald
Trump e Harris, chiunque dei due sia in testa, resta di 2 punti percentuali o meno (all’interno del margine di errore), ma Harris mantiene il vantaggio in Michigan (+1,7%) e in Wisconsin (+1,9) e supera Trump in Pennsylvania, dove Trump era in testa dello 0,2% una settimana fa e adesso è lei in vantaggio con lo 0,8%.
Se andasse così, in base ai dati di RealClearPolitics, Harris vincerebbe le elezioni con esattamente 270 voti elettorali (e questo anche se Trump vincesse in Georgia, dove sono testa a testa, in Arizona, Nevada, North Carolina dove il candidato repubblicano ha un vantaggio tra lo 0,2 e lo 0,4% sempre secondo la media).
Gli elettori preferiscono lui sull’economia (8 punti di vantaggio) ma Trump era avanti a Biden di 20 su questo tema.
Il sondaggista Nate Silver calcola molto dipenderà dalla sua capacità di mantenere il vantaggio per «un paio» di settimane, dopo il dibattito con Trump del 10 settembre .
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
SULLE INTESE CON LE REGIONI DOPO LA RIFORMA CALDEROLI LA PREMIER PRENDE TEMPO (ANCHE PERCHE’ AL SUD TRA GLI AMMINISTRATORI DI FRATELLI D’ITALIA, INIZIA A CRESCERE ILMALCONTENTO)… STALLO SUL CDA DI VIALE MAZZINI E SUL NOME PER LA LIGURIA
Non erano polemiche da ombrellone o temporali estivi passeggeri, come la premier ha tentato di far credere in queste settimane. I nuvoloni neri sono ancora sopra Palazzo Chigi e neanche il vertice di quasi tre ore tra i leader della maggioranza è riuscito a rasserenare il clima tempestoso che caratterizza i rapporti tra Giorgia Meloni e i suoi vice, il forzista Antonio Tajani e il leghista Matteo Salvini.
Autonomia, Rai, elezioni regionali, ma anche carceri, Ius scholae e balneari sono i temi della discordia non risolti, malgrado le rassicurazioni diffuse attraverso una nota.
Tuttavia, nessun dettaglio: sui temi che creano fibrillazioni nel centrodestra si resta in superficie.
Primo fra tutti l’Autonomia, questione cara alla Lega ma anche miccia di dissidi in un agosto di fuoco.
Il leader azzurro ribadisce che l’applicazione della riforma dovrà essere vincolata ai Lep, cioè ai livelli essenziali delle prestazioni, come chiedono molti governatori. Mentre Salvini spinge ancora sull’acceleratore.
Meloni sa che al Sud, anche tra gli amministratori di Fratelli d’Italia, inizia a crescere un certo malcontento ed è per questo che prova a rassicurare i suoi parlando «di bugie della sinistra perché al Meridione sono state destinate oltre il 50% delle risorse». Nei fatti però preferisce mantenere una linea più cauta, prendendo tempo anche sugli accordi legati a tutte le altre materie, quelle non Lep. Che tradotto significa: rinvio.
E di rinvio si parla anche per le nomine Rai, che rischiano di slittare oltre metà settembre. Non manca solo l’accordo con le opposizioni, indispensabile per il voto in Vigilanza, come vogliono far credere in ambienti di governo. In realtà, anche ieri, i leader della maggioranza non sono riusciti a sciogliere il nodo legato al presidente della tv pubblica. Forza Italia da tempo ha messo sul tavolo il nome di Simona Agnes, fiduciosi che si possa trovare un’intesa con Italia Viva. A mettersi di traverso però è la Lega che alza la posta per avere la certezza di ottenere il direttore generale e anche qualche vicedirettore dei tg, sui cui Meloni non intende dare garanzie. Lo stallo è totale.
Nemmeno sulle Regionali, con la maggioranza che prepara una serie di sondaggi sulla candidatura migliore per la Liguria, si vede una schiarita. I nomi sul tavolo di Palazzo Chigi sono Ilaria Cavo, deputata di Noi moderati, e Pietro Piciocchi, vicesindaco di Genova proposto dalla Lega e dal sindaco Marco Bucci. È tornato nell’agone anche il viceministro leghista alle Infrastrutture Edoardo Rixi. Ma Salvini teme lo sgambetto della premier e di dover pagare pegno.
Non sfugge che nonostante Fratelli d’Italia sia risultato il primo partito alle ultime due tornate elettorali in Liguria, prima le politiche poi le europee, non ha indicato né un candidato politico né uno civico, probabilmente perché mira ad ottenere la candidatura di un suo esponente alla presidenza del Veneto attualmente guidato dal leghista Luca Zaia.
Alla fine arriva il momento della verità anche sullo Ius scholae, su cui il vicepremier azzurro conferma l’intenzione di presentare una sua proposta. Fumo negli occhi di Salvini, che a questo punto sbotta: «Non capisco questa smania».
Meloni prova a calmare gli animi e sul fronte dell’immigrazione garantisce che si stanno superando le difficoltà legate ai centri previsti in Albania. Ma il diritto di cittadinanza è un’altra cosa e Tajani tiene il punto. I quattro si sono salutati così: senza una decisione e senza sintonia.
(da repubblica.it )
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
L’INFLUENCER-STILISTA DI POMPEI, CHE SOSTIENE DI ESSERE STATA NOMINATA “CONSIGLIERA” DI SANGIULIANO RICEVEVA MAIL DEI FUNZIONARI DEL MINISTERO RIGUARDANTI IL PROSSIMO G7 DELLA CULTURA, SPOSTATO PER DECISIONE DI SANGIULIANO NELLA CITTÀ DI LEI. A CHE TITOLO?
Ministro Sangiuliano, non c’è più da scherzare. C’è una sua consigliera che non è mai stata
nominata consigliera, ma che operava da tale. Si chiama Maria Rosaria Boccia e aveva accesso alle chat del ministero, partecipava alle riunioni con il consigliere diplomatico, comunicava con il resto del gabinetto. A che titolo? Boccia vuole essere definita imprenditrice di grandi eventi e pretende scuse.
Mostra chat per raccontare che al ministero hanno mentito. Denuncia un tentativo di sporcarla portato avanti dallo staff di Sangiuliano.
A Boccia sarebbe stato promesso di curare l’organizzazione del G7 della Cultura di Pompei che si tiene dal 19 al 21 settembre, evento inizialmente previsto a Positano, ma spostato a Pompei, per volere del ministro
Perché è stato spostato? Pompei è la città di Boccia, la città dove ha conosciuto Sangiuliano il 5 agosto del 2023. Lo stesso ministero ora ammette che Boccia ha partecipato a riunioni preparatorie per il G7 e non “può escludere che abbia ricevuto mail dai funzionari”. A che titolo le riceveva?
Chi cura la comunicazione di Sangiuliano ha dichiarato a “In Onda”, su La7, di non conoscerla ed era falso. Giorgia Meloni protegge i suoi ministri, ma non protegge i ministri che mentono. Vuole chiarezza. Boccia era stata inserita nelle chat proprio da chi ha lasciato intendere che fosse una donna che “voleva accreditarsi”.
Per mesi è stata molto di più. Accompagnava Sangiuliano in trasferta, le veniva riservato il ruolo dello staff. E’ stato chiesto al ministro perché sia stata inserita nelle chat e il ministro ha risposto: “E’ stata subito rimossa”. Era vero dunque che ne faceva parte.
Lunedì 26 agosto, Boccia, sul suo profilo, in un post, scrive: “Grazie al ministro per la nomina a consigliere per i grandi eventi”.
La nomina non solo le era stata garantita, ma era stata sollecitata da Sangiuliano, ed era in fase di registrazione. Gli uffici avrebbero anche richiesto documenti a Boccia.
A metà agosto, il ministero si agita. Vengono sostituiti due uomini della scorta di Sangiuliano ma non se ne comprende la ragione. Sarà il capo di gabinetto, Francesco Gilioli, a comunicare a Boccia la mancata nomina. Da quel giorno al ministero si vive nell’angoscia. Attenzione, non è pettegolezzo.
Una consigliera, che non è poi stata nominata, riceveva mail dei funzionari, le comunicazioni riguardanti il prossimo G7 della Cultura, spostato per decisione di Sangiuliano in quella città. Non è pettegolezzo. E’ questa la prova di come il governo Meloni maneggia cariche, dossier, informazioni di stato. E’ la prova che un ministro, che preferisce adesso farsi passare per fesso, stava per consegnare l’organizzazione del G7, alla consigliera che lo ha ammutolito.
Dove è finito il ministro spaccone che strappava il microfono ai giornalisti e che si vantava di spedire il suo social media manager agli archivi? Abbiamo finora sorriso, Genny Delon, Genny nove secondi e mezzo, ma questo non è più l’ultimo tango a Parigi: è solo da ministro ultimo della classe. Sangiuliano aveva scelto Pompei per celebrarsi ma è a Pompei che sommerge d’imbarazzo il suo governo.
(da il Foglio )
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
SI PREANNUNCIA UN AUTUNNO BOLLENTE PER LA DUCETTA, CHE DOVRA’ VARARE UNA FINANZIARIA LACRIME E SANGUE, VISTO CHE IL PIATTO DEI CONTI PUBBLICI PIANGE… LA SUA STRATEGIA (IMPOSSIBILE) È TAGLIARE I TANTO CRITICATI BONUS
Troppo scomodo per parlarne subito. Il tema delle pensioni è stato volutamente tenuto fuori dal tavolo di ieri, il primo vertice di maggioranza del dopo ferie. Inutile cercarne traccia nella “nota congiunta di centrodestra”, quella pasticciata sulla politica estera. Nel testo si citano i capisaldi della prossima manovra, la terza del governo Meloni: giovani, famiglie, natalità, fisco, imprese.
Zero sulla previdenza: divisiva, costosa, complessa. E rimandata alle prossime settimane. Non che manchi l’urgenza. C’è un pacchetto da 629 milioni in scadenza a fine anno: Ape sociale, Opzione donna, Quota 103, aumento delle minime. E la rivalutazione all’inflazione che da gennaio torna più favorevole per i pensionati, meno per i conti dello Stato.
Sarebbe anche necessario un passaggio con i sindacati, invocato a più riprese da Cgil, Cisl e Uil. Prima però bisognerebbe scegliere: cosa tenere, cosa prorogare, cosa cancellare, cosa cambiare. Argomenti neanche sfiorati ieri. Non a caso. Il tema è altamente divisivo. L’approccio degli alleati è variegato, le priorità addirittura confliggenti. Agli antipodi le richieste di Forza Italia e della Lega. Persino i moderati di Maurizio Lupi ora dicono «basta ai pensionamenti anticipati».
Un modo per far capire al Carroccio che Quota 41 resta nel libro dei sogni. Matteo Salvini ne ha fatto una bandiera, la testa d’ariete per dire di aver «abolito la legge Fornero». Nonostante i paletti che i leghisti sono disposti ad accettare – ricalcolo contributivo, finestre più lunghe, persino un anno lavorato da minorenne – e una previsione di spesa «sotto i 900 milioni», Quota 41 non fa breccia.
Il muro più alto è in famiglia. Il vicesegretario della Lega nonché ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ieri ha mandato un messaggio molto chiaro a partito e alleati.] Un bagno di realtà obbligato che si è tradotto in quello strano silenzio finale. Pensioni evaporate.
Torneranno a ballare presto. Fosse solo perché il ministro dell’Economia dovrà dire cosa fare dell’indicizzazione all’inflazione nel 2025. Se ricavarne ancora risorse, per il terzo anno consecutivo, così da portare a Bruxelles lo scalpo dell’oculatezza della spesa. Fare cassa sugli assegni sopra i 2.273 euro lordi è diventata ormai una consuetudine per questo governo.
(da La Repubblica)
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
LA POLITICA DA PALCOSCENICO PER I GONZI
Berlusconi faceva cucù ad Angela Merkel, Meloni fa marameo a Ursula Von der Leyen. Eccomi
qua, sono ricomparsa e la situazione è eccellente, cinguetta la Sorella d’Italia dopo le ferie d’agosto. Ma non vi fate ingannare dai video-spot di regime o dalle parole scritte sull’acqua dall’ufficio stampa di Palazzo Chigi: quella è propaganda “for dummies”, apostolato per gonzi, politica da palcoscenico, secondo la formula perfetta di Richard Sennett nell’era dei fascio-populismi.
Purtroppo non è vero che la situazione è eccellente e che l’Italia può contare sulla sua “rinnovata autorevolezza e affidabilità nello scenario globale”, come recita il comunicato con il quale i patrioti ribadiscono “l’unità della coalizione” e sanciscono la “totale sintonia su tutti i dossier”. A ricucire lo strappo con l’Europa non servono le rassicurazioni farlocche di Manfred Weber, che ormai rappresenta solo un ramo cadetto della famiglia dei popolari del Continente.
E alla premier non basterà nemmeno sacrificare Raffaele Fitto sull’altare della nuova Commissione Ue, trasferendo da Roma a Bruxelles uno dei due-tre ministri almeno dignitosi di questo governo di cognati, camerati e miracolati. A confermare l’ambiguità e l’insostenibilità della posizione italiana nell’Unione basterebbe il giallo del “contro-comunicato” diramato e poi rimangiato dalla Lega, nel quale la “linea condivisa” tra gli alleati sulla crisi in Medioriente e sulla guerra in Ucraina viene accompagnata da una postilla al veleno: “con appoggio a Kiev ma contrari a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini”. Un preambolo “para-pacifista”, sul quale si era già consumato uno strappo tra i partner comunitari. Legittimo, ci mancherebbe, se riflettesse i dubbi sacrosanti legati ai paletti dell’articolo 11 della nostra Costituzione. Ma a patto che si inquadrasse almeno in una più articolata e credibile proposta di exit-strategy da parte italiana. Non è così, e dunque quella sghemba posizione leghista fa solo danni al Paese: cozza clamorosamente con quella degli altri 25 Stati membri, coincide casualmente con quella dell’Ungheria di Orban e manda ulteriormente in tilt l’ultra-atlantismo meloniano. Lo capiscono persino gli sgarrupati cocchieri del Carroccio, e cassano subito la frase galeotta. Ma la toppa è peggiore del buco, perché lascia comunque scoperta la solita vena russofila di Capitan Salvini. Lui la nasconde come può, ma quella non smette mai di pulsare: vicino al cuore selvaggio dello Zar Putin, già compagno di merende ai bei tempi dell’Hotel Metropol.
Meloni ne è consapevole. Non si spiega altrimenti perché abbia voluto far trapelare l’augurio che “su alcuni punti specifici, com’è la politica estera, si possano superare quegli steccati di parte”. Se ci sono “steccati” che danneggiano il Paese, in politica estera e soprattutto in politica interna, li tira su solo lei, insieme ai suoi parenti-serpenti. E tanto per ricordarcelo, riaccenna alle congiure giudo-pluto-massoniche che le forze del male ordiscono contro di lei. Evoca i “molti” ma ignoti “italiani che tifano contro un ruolo adeguato della nostra nazione”. Allude alle tante ma arcane “teorie che si raccontano ogni giorno per minare la nostra compattezza”. Contesta le misteriose trame dell’opposizione, colpevole di fare il suo mestiere, cioè cercare “ogni escamotage per divaricarci”.
A quattro settimane dal glorioso 25 settembre, secondo anniversario della sua vittoria elettorale, la Donna Sola Al Comando non ha niente da opporre ai tecnocrati europei, ai quali aveva giurato “adesso finisce la pacchia”, né molto da offrire agli italiani, ai quali aveva promesso “ora comincia la festa”. Turiamoci il naso di fronte ai liquami che sgorgano copiosi dal passato che non passa: i silenzi assordanti sulle ricorrenze repubblicane; le sortite fuorvianti sulle stragi nere degli Anni Settanta; i soldi della Fondazione An devoluti al sacrario missino di Acca Larentia, agli squadristi di Forza Nuova, ai deliranti suprematisti no-vax; i raduni scandalosi della “meglio gioventù” che inneggia al Duce e odia gli ebrei (a proposito, si hanno più notizie sulla “cacciata dal partito” delle responsabili Elisa Segnini e Flaminia Pace?). E mettiamo pure da parte la mediocrità della squadra ministeriale: Santanchè che non molla il Turismo seduta sul banco degli imputati per falso in bilancio, Delmastro che ironizza sulla tragedia delle carceri dall’alto del suo processo per rivelazione di segreto, Nordio che si traveste da Previti, Sangiuliano che gioca a Boccia, Lollobrigida che fa Lollobrigida.
Anche stavolta il vero inciampo di Meloni si chiama economia. Turiamoci le orecchie di fronte al tripudio di tromboni che accompagna i record dell’export e lo zerovirgola in più sull’occupazione (non trascurabile ma ingannevole, visto che il nuovo lavoro è quasi tutto povero e precario). E poi commentiamola tutta, la congiuntura, e non solo quella che fa comodo al Palazzo: cosa dicono i nostri eroi sul carrello della spesa che continua ad aumentare e sul fatturato dell’industria che continua a crollare? Nella manovra d’autunno non ci sono più bonus settoriali da distribuire né prebende corporative da prorogare. Senza tagli lineari sostitutivi – compresi quelli sull’assegno unico – in cassa non c’è un centesimo per finanziare le chimere già smerciate dai queruli spacciatori di sogni della coalizione: quota 41 e pensioni minime a 600 euro, bonus mamme alle lavoratrici autonome e forfait al 15 per cento per tutte le partite Iva. Il governo deve trovare i 18 miliardi che servono a coprire l’intervento sulle aliquote Irpef e il taglio del cuneo fiscale, con i limiti di reddito che sappiamo.
Tutto il resto è paranoia. Il nuovo Patto di Stabilità obbliga l’Italia a un aggiustamento supplementare di bilancio pari allo 0,6 per cento del Pil, cioè circa 12 miliardi all’anno per i prossimi sette anni. E qui, di nuovo, si ripropone il tema del “dream team” meloniano. Noi non ce n’eravamo accorti, ma il Tesoro è in mano a due gemelli. C’è Giorgetti, che il 20 dicembre, dopo l’accordo all’Ecofin sul nuovo Patto diceva “l’Italia ha ottenuto molto, un accordo sostenibile e realistico che guarda agli investimenti del Pnrr con spirito costruttivo”. E poi c’è Giancarlo, che la settimana scorsa al Meeting di Cl a Rimini ha bocciato sia il Patto che “è di breve e corto respiro”, sia il Pnrr che ricorda “i piani quinquennali sovietici”. A parte la surrealtà di queste elucubrazioni postume, non sappiamo a quale dei due gemelli dobbiamo credere. E soprattutto temiamo che non lo sappia la Ue. La “missione Fitto” – per quanto lasci una voragine aperta a Roma, dove abbiamo speso solo il 27 per cento dei fondi del Piano – può aiutare a mantenere un canale aperto con Palais Berlaymont. Ma a condizione che, nella sua infinita clemenza, Von der Leyen gli dia un portafoglio di peso. E l’aria non è quella: basta parlare con qualche europarlamentare serio, per sapere che a luglio sono stati proprio i popolari, i socialisti e i liberali a concordare il veto all’ingresso dell’Underdog della Garbatella nella maggioranza Ursula, e ora ad esigere che ne paghi le conseguenze.
Non sarà un autunno sereno, per Meloni e per la sua rancorosa compagnia di giro. Se a quello dell’economia aggiungiamo il capitolo delle riforme, lo scenario è ancora più fosco. Il Premierato risulta spiaggiato davanti alla Masseria Beneficio. E sull’Autonomia Differenziata monta dal basso un dissenso sempre più forte che, come dimostra la raccolta-record delle firme per il referendum, coinvolge società civile, amministratori del Nord, e ora anche la Chiesa. Il paradosso è che le destre, invece di fermarsi a ragionare, radicalizzano i conflitti. Come volevasi dimostrare il pio Tajani, estremista di centro da Canottieri Aniene, ha già sotterrato l’ascia di guerra dello Ius Scholae. Così hanno campo libero sia la fratellanza meloniana sia la Lega salviniana, trasfigurata ormai in un “franchising di estremismi” (copyright Flavia Perina) che spinge persino miti governatori come Zaia e Fontana a vestire la mimetica di Vannacci. Comici spaventati guerrieri. E divisi alla méta, se solo sapessero qual è.
(da La Repubblica)
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
GIORGIA E’ LA MACCHIETTA DI SE STESSA, LE FANNO CORONA IL DEPUTATO PISTOLERO, LE GAFFE DI LOLLO, GLI SFONDONI DI SANTANCHE’ E SANGIULIANO
Quesito come al solito irrilevante e malizioso: s’è mai visto un governo più goffo? l’iconcina del sottosegretario Delmastro in carcere con la sigaretta accesa sotto l’avviso no smoking ha battuto ogni record gialloverde; e il fatto che poco dopo il medesimo abbia goffamente cercato di eliminare il selfie oscura ogni inopportuno post di Toninelli and company.
Incerto è l’etimo del termine “goffo”, segnalato intorno al 1400, derivante forse dal greco antico, forse dal tardo latino, forse di origine germanica e tale da coinvolgere in radice gufi, gobbi e chissà quali altre parole. Ma in quel regno della percezione che è divenuta la politica, la goffaggine risalta in forma di fatti, persone, comportamenti e perfino proposte di legge che si segnalano per un imbarazzante, inequivocabile, ma comico mischione di dabbenaggine, impaccio, rozzezza, inettitudine e quasi tenero infantilismo.
A cominciare dalla premier, che a suon di smorfiette, “orbe terracqueo”, “daje” e “regà”, molto ha perso in spontaneità e sempre più assomiglia alla macchietta di se stessa, straordinariamente simile a una bambina da cartoon, ora furibonda, ora capricciosa, ora sguaiata – e in questo senso è esemplare la recentissima raccolta di Stefano Disegni, L’importanza di chiamarsi Giorgia (Paperfirst).
Ma poi ecco tutti gli altri a farle da corona: il deputato pistolero di capodanno, i dirigenti e le fidanzate di TeleMeloni, il karaoke dopo la strage di Cutro, gli smaniosi spropositi dispensati a getto continuo da Lollo, il ministro cognato, i continui sfondoni che la prosopopea mette in bocca al finto dotto Sangiuliano.
Incidenti minimi rispetto a guai più seri, e tuttavia tali da sommergere nel ridicolo ciò che la destra dovrebbe tenere in massimo conto: l’onore, il contegno, la dignità.
E invece giorno per giorno tocca annotare le confessioni e gli sfoghi social di Crosetto; le colorite balle di Santanchè; le continue scuse di La Russa che prima straparla e poi se ne pente per poi ricominciare; il “carico residuale” di Piantedosi e altri suoi indimenticabili appelli in tema immigrati tipo «Fermatevi, veniamo noi a prendervi!».
E ancora, ancora, ancora, lo spritz richiesto da Nordio a una giornalista, il periodico e spasmodico richiamo della foresta degli staff, le citazioni sbagliate, gli anniversari bucati, la legge sul tiro a segno nelle scuole, quella sul sovranismo linguistico, il decreto legge per sistemare Fuortes a Napoli con susseguente tarantella.
Di imbarazzanti e comiche figuracce si riempiono gli annales. Tra goffi e gaglioffi, dopo tutto, corre appena una sillaba.
(da Repubblica)
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
IL “NO” A VON DER LEYEN, IL SODALIZIO CON ORBAN E GLI ATTACCHI AI PARTNER SONO GLI OSTACOLI A UN PORTAFOGLIO DI PESO
Ora che anche l’Italia — all’ultimo giorno utile — ha indicato il suo commissario europeo, inizia
la battaglia tra governi per accaparrarsi i posti migliori nella seconda squadra di Ursula von der Leyen.
Giorgia Meloni — con una dose di vittimismo — va alla carica: «Nonostante molti italiani tifino contro un ruolo adeguato alla nostra nazione, non ho motivo di credere che non ci verrà riconosciuto».
La partita però è in salita. «Non c’è ancora nulla di definitivo», spiegano da Palazzo Berlaymont, ma al momento a Raffaele Fitto spetterebbe la Politica di coesione, portafoglio arricchito dalla sorveglianza sui Pnrr dei vari paesi Ue.
«Una posizione da paese di seconda fascia», sentenzia un diplomatico coinvolto nei negoziati. E considerando come si è mossa Meloni, il declassamento non stupisce. Tanto che l’ultima spiaggia è quella del maquillage: Roma dietro le quinte sta negoziando con Bruxelles un nuovo nome per il suo portafoglio, più “sexy” e rivendibile della gelida “Coesione”.
Von der Leyen nei prossimi giorni parlerà con candidati e leader dei vari paesi e punta ad annunciare il nuovo collegio entro due settimane. Appuntamento che fa tremare Palazzo Chigi.
Per capirne la ragione basta elencare i predecessori di Fitto a Bruxelles. Nella Commissione uscente la Coesione è stata gestita da Elisa Ferreira, Portogallo: un paese non certo del peso di Germania, Francia e Italia. Ma nemmeno di Spagna, Polonia e Olanda.
Nella Commissione di Jean Claude Juncker (2014-2019), le Politiche regionali (vecchio nome della Coesione) erano state affidate a Corina Cretu, Romania.
Nel secondo gabinetto Barroso (2010-2014) a Johannes Hahn, Austria, e nel Barroso I ( 2004-2009) a Danuta Hubner, Polonia (ai tempi debuttante nella Ue). Con Prodi le aveva il francese Michelle Barnier, che però era stato anche incaricato di scrivere la Costituzione Ue.
Ecco perché Palazzo Chigi preme per migliorare il portafoglio italiano, ma non sarà facile far dimenticare il sovranismo di Meloni, il sodalizio con Orbán, il suo “no” a von der Leyen, il suo isolamento, gli attacchi ai partner e ai diritti base dell’Unione e le ambiguità del suo governo sull’Ucraina.
A Roma non resta che contare sull’ottimo rapporto tra Fitto e von der Leyen. Il ministro uscente è conosciuto a Bruxelles, dove è stato europarlamentare per due legislature facendosi apprezzare per il suo savoir-faire personale e politico. Tanto che tutte le forze di maggioranza a Strasburgo hanno fatto sapere che seppur espressione di un governo sovranista non gli tenderanno imboscate durante le insidiose audizioni all’Europarlamento.
Ma Fitto faticherà a migliorare il suo portafoglio. Il punto è che il commissario alla Coesione non ha un particolare peso all’interno dell’Eurogoverno e nemmeno la delega al Recovery Fund è un valore aggiunto: è stato scritto per l’Italia, che ne è primo beneficiario, e in questi anni la Commissione non è stata severa sugli esborsi per Roma. Per evitare una pesante sconfitta europea, dunque, il governo ha provato a incassare una terza delega: il Bilancio. Un portafoglio che avrebbe dato peso a Fitto. Tuttavia, raccontano fonti coinvolte nel negoziato, Francia, Germania, i nordici e la stessa Commissione Ue non si fidano a lasciare a un meloniano il controllo dell’Mff, il pesantissimo negoziato sugli oltre 1.000 miliardi di fondi Ue 2028-2034 che fanno gola a tutte le capitali e che danno al commissario che li gestisce grande potere interno alla Commissione da spendere sugli altri dossier di interesse nazionale.
Ma consegnare il Bilancio all’Italia avrebbe significato consegnare a un Paese sovranista — che vuole meno Europa — il braccio armato con cui Bruxelles espande le sue politiche, ovvero offre più Europa.
La via d’uscita indicata dietro le quinte da Meloni è allora aggiungere alle deleghe di Fitto il titolo di vicepresidente esecutivo della Commissione. Oggi i vice esecutivi — che dirigono altri commissari — sono tre e incarnano i partiti della “maggioranza Ursula”: Dombrovskis (Ppe), Timmermans (Pse, già rientrato in Olanda) e Breton (Liberali di Macron). Quest’ultimo sarà confermato, il posto del Pse andrà a Teresa Ribera, vicepremier di Pedro Sanchez che guiderà l’enorme comparto Green (compresa industria e investimenti) e per i popolari a Piotr Serafin, vicinissimo al premier polacco Tusk. Meloni — mischiando in modo inappropriato i panni di premier e quelli di capo partito — ha chiesto di aggiungere un quarto vice esecutivo per dare un riconoscimento politico ai suoi Conservatori.
Socialisti e liberali si sono opposti in quanto Meloni e i suoi sovranisti non sono in maggioranza e vengono considerati non potabili. Per aggirare l’ostacolo l’Italia ha depoliticizzato la questione e reclama un ruolo pari agli atri big d’Europa. Ma sembra una mossa negoziale tardiva.
Dunque i margini di manovra affinché l’Italia non debba affidarsi al mero rebranding del suo portafoglio si riducono. Si potrebbe ripiegare su una vicepresidenza semplice, giusto per consentire a Meloni di sbandierare che l’attuale commissario italiano, l’uscente Paolo Gentiloni, non ce l’aveva. Peccato che all’ex premier nel 2019 vennero affidati gli Affari economici, il più importante posto della Commissione insieme alla Concorrenza. Ai tempi un segno di enorme fiducia verso di lui e il Pd. Fiducia che in Europa Meloni ancora deve conquistarsi.
(da La Repubblica)
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Agosto 31st, 2024 Riccardo Fucile
IL 52% E’ D’ACCORDO AD AMPLIARE LE NORME CHE REGOLANO LA POSSIBILITÀ DI DIVENTARE A TUTTI GLI EFFETTI CITTADINI DEL NOSTRO PAESE , SOLO IL 32% CONTRARIO
Gli italiani sono favorevoli allo ius scholae. Questo emerge da uno studio dell’Istituto Noto Sondaggi per Repubblica. Secondo il sondaggio oltre il 52% sarebbe d’accordo ad ampliare le norme che attualmente regolano la possibilità di diventare a tutti gli effetti cittadini del nostro paese. Mentre il 32% invece sarebbe contrario a rivedere la legislazione in atto.
Da segnalare che è a favore il 48% dei votanti Forza Italia, mentre in FdI e Lega prevale la contrarietà. In totale il 52% degli italiani è a favore.
Tra questi la quasi totalità di chi vota Pd e Avs e il 71% degli elettori M5s. In Azione e Italia Viva le percentuali scendono rispettivamente al 57% e al 54%.
Contrari rimangono gli elettori di Fratelli d’Italia e Lega, rispettivamente con il 69% e il 74%. Ma il 29% di FdI ed il 24% di Lega sono favorevoli. Lo Ius Soli invece non piace: la maggioranza (41%) è contraria mentre i favorevoli si fermano al 35%.
Tra i Dem il consenso scende al 60%, nel M5s solo il 36% è favorevole, contrario il 45%, una percentuale quasi simile a quella di chi vota Azione (42% contro 40%) e Italia Viva (47% contro 38%).
Anche in Fi molti sono perplessi (46% contrari e 35% a favore) e c’è la forte ostilità di leghisti (81%) e FdI (71%).
Dare la cittadinanza a chi lavora e paga le tasse in Italia allo stesso modo non piace: è visto con sfavore da Azione e Iv (47% e 48%) ma anche dal 29% di M5S e dal 18% del Pd. Mentre non dispiace a FI, con il 39% a favore e il 27% contrario, e incontra meno contrasto da parte di FdI (63% contro 23%) e Lega (62% contro 28%).
(da agenzie)
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