Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
LO STAFF DEL MINISTRO SBAGLIA IL CONTEGGIO DEGLI ANNI: 250 INVECE CHE 2.500 (POI CORREGGE IL POST)
Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano fatica a fare i conti con la Storia. E questa volta la gaffe lo trafigge sulla sua città natale: Napoli. Sui social, sul suo profilo Instagram, il ministro pubblica questa notizia: “Il Consiglio dei ministri vara il comitato per celebrare 2 secoli e mezzo di Napoli”. Solo che la città di Partenope festeggia 2500 anni. E forse Sangiuliano crede che due secoli e mezzo corrispondano a 2500 anni.
Qualcuno deve essersi accorto dell’errore, visto che dopo pochi minuti la card sul profilo del ministro è stata corretta. Dallo staff di Sangiuliano fanno sapere spazientiti che “i social non li gestisce lui di persona, ma c’è un addetto. Purtroppo è andata una bozza sbagliata su Instagram, sugli altri social il messaggio è uscito corretto”. Il commento di Antonio Caso, deputato campano M5s della Commissione Cultura: “Ormai di Sangiuliano non ci meraviglia più nulla. Bene Ministro, anzi sempre meglio. Ora però prepariamoci tutti all’arrivo dei Borboni tra circa 2000 anni”
Intanto la caccia al social media manager è partita al ministero, con improperi non ripetibili. Sarà che il “colpevole” ha contribuito indirettamente ad allungare la lista di inciampi e strafalcioni che hanno caratterizzato l’esperienza da ministro di Sangiuliano. Come quando l’ex direttore del Tg2 disse con leggero anacronismo che “Colombo voleva circumnavigare la terra sulla base delle teorie di Galileo”. O come quando piazzò in pubblico Times Square a Londra, confondendo la capitale inglese con New York. Per non parlare di quando davanti alla telecamera come giurato del premio Strega candidamente ammise di non aver letto i libri che era chiamato a giudicare.
E la scivolata provocazione culturale di Dante definito “fondatore del pensiero di destra”? Il fatto è che la missione del ministro sin dall’insediamento è stata sconfiggere l’egemonia culturale della sinistra. Ma cosi rischia di eternarla. Nei secoli e nei millenni.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
“NEL 2024 L’ITALIA È SCESA DI CINQUE POSIZIONI NEL RAPPORTO SULLA LIBERTÀ DI STAMPA NEL MONDO, PASSANDO AL 46° POSTO. LE VIOLAZIONI DOCUMENTATE DELLA LIBERTÀ DEI MEDIA SONO AUMENTATE”… IL “MEDIA FREEDOM RAPID RESPONSE”: “IN ITALIA, APPENA SI ESPRIMONO IDEE CRITICHE, SI DIVENTA BERSAGLI”
Giorgia Meloni ha un problema con la stampa nazionale. Mentre si moltiplicano gliavvertimenti da parte delle istituzioni e degli organi di controllo dell’Unione Europea sullo stato di salute dell’ambiente mediatico italiano, il primo ministro italiano ha puntato i piedi, insistendo che non c’è alcun problema di libertà di stampa. Anzi, sostiene che i giornalisti che scrivono che ci sia un giro di vite sui media stanno manipolando la verità.
Entrambe le parti si sono scontrate sul rapporto annuale dell’esecutivo UE sullo Stato di diritto, secondo il quale i media indipendenti del Paese sono minacciati. Dopo la sua pubblicazione, la Meloni ha risposto con una lettera indirizzata alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sostenendo che il suo team era caduto in una “fake news”.
Il leader italiano ha poi attribuito le osservazioni critiche del rapporto a tre giornali mainstream di sinistra che hanno agito come “parti interessate” e manipolato i risultati della Commissione. “Chi sono queste parti interessate? Domani, Il Fatto Quotidiano, Repubblica”, ha detto davanti alle telecamere. I giornali italiani di destra hanno seguito l’esempio pubblicando una lista di giornalisti cosiddetti “anti-Meloni”.
“Siamo entrati in una nuova fase, più pericolosa”, ha dichiarato a POLITICO Francesca De Benedetti, redattrice del quotidiano Domani, aggiungendo che i giornalisti vengono “descritti come gli aggressori”. “Siamo stati dipinti come il nemico e il problema è che questo spiana la strada a una campagna d’odio”.
Dopo i commenti di martedì della Meloni, le organizzazioni per la libertà dei media hanno denunciato le campagne di disinformazione dei media filogovernativi e hanno sottolineato il pericolo di creare liste di giornalisti considerati antigovernativi.
“Il concetto di ‘giornalisti anti-Meloni’ ricorda fin troppo da vicino le liste di proscrizione, una pratica inaccettabile che, purtroppo, ci riporta ancora al punto di partenza: la deriva illiberale che alcuni vorrebbero far prendere all’Italia”, hanno dichiarato in un comunicato i dirigenti della FNSI, il sindacato dei giornalisti italiani.
Sia la Meloni che il ministro degli Esteri Antonio Tajani hanno ripetutamente negato le accuse al governo di minare la libertà di stampa.
Tajani, il cui partito, Forza Italia, fa parte sia della coalizione di governo italiana sia della famiglia di centro-destra del Partito Popolare Europeo, la stessa di von der Leyen, ha affermato che non c’è alcuna violazione della libertà di stampa in Italia perché “ognuno dice quello che vuole”. In risposta a coloro che mettono in guardia dai rischi per lo stato di diritto nel Paese, ha insistito che “non conoscono la situazione italiana”. Il governo italiano non ha risposto alla richiesta di commento di POLITICO
“Deriva democratica
Una serie di incidenti di alto profilo da quando la Meloni è entrata in carica, tuttavia, ha alimentato la preoccupazione degli osservatori per una deriva antidemocratica.
A giugno, la Meloni ha chiesto l’intervento del Presidente italiano Sergio Mattarella dopo che alcuni reporter sotto copertura del media online Fanpage avevano filmato di nascosto alcuni esponenti dell’ala giovanile del partito di estrema destra Fratelli d’Italia della Meloni che facevano commenti fascisti, razzisti e antisemiti. Mentre la leader italiana ha accusato Fanpage di utilizzare “metodi di regime” per colpire selettivamente il suo partito, Fanpage ha difeso i suoi metodi.
Il mese precedente, i giornalisti dell’emittente statale italiana RAI hanno scioperato per protestare contro quello che il loro sindacato ha definito “controllo soffocante” da parte del governo. Il sindacato ha affermato che l’amministrazione Meloni stava “tentando di trasformare la RAI in un megafono del governo”. Sia la RAI che il governo hanno negato le accuse.
De Benedetti di Domani ha dichiarato a POLITICO che il dibattito sull’indipendenza della RAI esemplifica una più ampia tendenza al declino della libertà dei media da quando la Meloni è entrata in carica. Negli ultimi anni, il governo della Meloni ha intentato diverse cause per diffamazione, in particolare contro il Domani e il giornalista Roberto Saviano. “Noi del Domani siamo stati i primi a subire questi attacchi, ma ora la situazione ha raggiunto proporzioni enormi”, ha dichiarato la giornalista.
Quest’anno, l’Italia è scesa di cinque posizioni nel rapporto annuale di Reporters sans frontières sulla libertà di stampa nel mondo, scendendo al 46° posto. Polonia, Ungheria, Malta, Albania e Grecia sono stati gli unici altri Paesi europei a ottenere un punteggio inferiore.
Le violazioni documentate della libertà dei media – come attacchi fisici, molestie o abusi psicologici, attacchi alla proprietà, censura e incidenti legali – sono aumentate in Italia da quando il governo Meloni è entrato in carica, secondo il rapporto Media Freedom Rapid Response (MFRR).
Tra ottobre 2022 e giugno 2024, sono stati segnalati 193 incidenti, in aumento rispetto ai 75 dei 22 mesi precedenti. Più di un quarto di questi riguardava azioni di funzionari pubblici o governativi. L’MFRR ha dichiarato a POLITICO che la brusca reazione della Meloni al suo rapporto conferma le sue conclusioni.
“Al momento, in Italia non c’è spazio per il giornalismo critico, perché, non appena si esprimono idee critiche, si diventa bersaglio di attacchi verbali e campagne diffamatorie, per lo più avviate da chi detiene il potere politico”, ha dichiarato MFRR.
L’organo di controllo ha anche risposto alle accuse secondo cui il rapporto sarebbe stato redatto dagli stessi giornalisti.
I gruppi per la libertà dei media hanno chiesto alla Commissione europea di intensificare gli sforzi e rafforzare il suo ruolo nella protezione della libertà dei media in Europa.
In una lettera congiunta inviata a luglio alla von der Leyen, 26 organizzazioni hanno chiesto alla Presidente della Commissione di garantire che la libertà dei media, la protezione dei giornalisti e l’accesso al giornalismo di interesse pubblico rimangano per lei priorità politiche elevate. Ma sembra che queste priorità non siano in cima alla lista delle cose da fare della von der Leyen.
A giugno, la von der Leyen ha cercato di rallentare il rapporto della Commissione sullo Stato di diritto che criticava l’Italia, mentre cercava il sostegno di Roma per un secondo mandato come presidente della Commissione europea, con grande disappunto delle organizzazioni dei media.
“Nessuna contrattazione con i diritti fondamentali sanciti dal trattato UE! Il [Partito Popolare Europeo] ha completamente fallito con [il primo ministro ungherese Viktor] Orbán; loro o la von der Leyen non dovrebbero fare lo stesso errore con Meloni o altri!”. Renate Schroeder, direttrice della Federazione europea dei giornalisti, ha dichiarato su X.
De Benedetti di Domani era altrettanto pessimista sulla prospettiva di un intervento di Bruxelles. “La Commissione europea ha fatto finta di non vedere, come ha fatto con Orbán. Ora sta facendo lo stesso errore con la Meloni”, ha detto De Benedetti.
“Ma nel caso della libertà di stampa, ci sono stati così tanti episodi che è innegabile che ci siano dei problemi. Spero che la Commissione sia reattiva”, ha detto.
Lunedì un portavoce della Commissione ha dichiarato a POLITICO che Bruxelles risponderà alla lettera della Meloni alla von der Leyen “a tempo debito”, aggiungendo che continuerà a “impegnarsi con tutti gli Stati membri per dare un seguito concreto” alle sue raccomandazioni.
(da Politico.Eu)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
RAMPELLI: “ESCLUSA LA MIA CANDIDATURA, FARO’ RICORSO, NON SIAMO IN COREA DEL NORD… REPLICA BARELLI: “NON C’E’ SPAZIO PER NESSUN PARVENUE”
Non ci sta Fabio Rampelli. Il derby a destra per il ruolo di presidente della Federazione italiana nuoto continua. Il vice presidente FdI della Camera ha deciso di sfidare Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio e dal 2000 alla guida della Fin. Ma ha fatto sapere di avere ricevuto proprio dalla Fin “la comunicazione dell’esclusione della candidatura alla presidenza, per averla presentata oltre i termini, anche se oltre i termini c’è stata solo la rettifica a una presentazione inoltrata entro la scadenza. Faccio presente, senza alcuna polemica, che la decisione è stata presa dal segretario generale, direttamente nominato dal presidente uscente” (e quindi Barelli) “tanto per far capire quante anomalie da riformare esistano nella Federnuoto. Presenterò ricorso, che verrà però esaminato da un organismo sempre di nomina del Presidente uscente, tanto per confermare i dubbi precedenti”, riferisce Rampelli di Fratelli d’Italia.
Rampelli era una promessa del nuoto. Gareggiava nella Cs Imperi e partecipò ai campionati del mondo di Berlino del 1978 con la 4 per 100, poi un infortunio mentre si allenava con la nazionale di Bubi Dennerlein alla vigilia delle Olimpiadi di Mosca del 1980. È ancora un nuotatore ed entra in vasca alla Larus Nuoto di Torpignattara. Barelli guida la Fin dal 2000, è stato venti volte campione italiano e olimpionico (a Monaco nel 1972). Nei suoi 24 anni di presidenza , il nuoto italiano è arrivato ai vertici mondiali con 22 medaglie olimpiche in cinque edizioni dei Giochi, 157 mondiali in 13 edizioni. Taglia corto Barelli: “Io sono il presidente e se lo voglio ancora le società io ci sono. Ai tempi miei andare in finale agli europei era il massimo della vita, oggi se non portano a casa cinque o sei medaglie è un fallimento. Questo è grazie al lavoro di tutta una federazione portata ad esempio non solo in Italia ma nel mondo. Questo merito non va a Paolo Barelli ma a tutto un sistema che si è imposto a livello mondiale. Insomma, non c’è spazio per nessun parvenu”.
Ma Rampelli non rinuncia alla sfida e non nasconde il nervosismo. “Voglio essere ottimista e auspicare che una delle Federazioni sportive più importanti d’Italia possa avere uno sfidante e non un unico candidato come capita in Corea del Nord. Rimango con umiltà a fare il mio lavoro, a disposizione di un mondo che merita trasparenza, equità, modernizzazione, efficienza, sostegno alle società di base e democrazia. Infatti nessuno può con arroganza dire: ‘Rampelli il presidente della Fin non lo farà maì perché il voto è prerogativa unicamente delle società sportive. Così come è una cafonata – sottolinea ancora – strumentalizzare le medaglie olimpiche: è noto che i successi degli atleti si conquistano con gli allenamenti e con i sacrifici di società e tecnici. Il mio riferimento alla parola ‘umiltà’ non è casuale viste le cadute di stile di queste ore”.
Il vicepresidente della Camera, una volta iper-meloniano, ci tiene poi a precisare diversi punti, soprattutto di “avere a cuore la democrazia che, come testimoniano le leggi per l’elezione di sindaci e governatori, si fonda sull’alternanza mentre un presidente che ha un ‘mandato perpetuo’ non può offrire alcuna garanzia di equilibrio e trasparenza. Lo testimoniano la sospensione per oltre un anno da parte della Federazione internazionale e la condanna definitiva della Corte dei conti. Tuttavia se i ‘giudici interni alla Federazione’ giungeranno a confermare la mia esclusione definitiva, mi trasformerò in una scheda bianca vivente volta a non far conseguire il 67% all’uscente per andare con nuove candidature plurali dopo 60 giorni. Sarà una campagna impersonale – conclude Rampelli – come quelle che piacciono ai mediani di spinta, ancora più affascinante, ancora più efficace”.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
HA INVENTATO LA NOTIZIA CHE HA DATO INIZIO ALLE VIOLENZE: ROBINSON È FINANZIATO DA ENTI DELLA GALASSIA POPULISTA DI TUTTO IL MONDO… PER LUI C’E’ UN MANDATO DI ARRESTO, BASTA ANDARLO A PRENDERLO E FARGLI FARE L’ULTIMO BAGNO
Violenza, paura e uno dei principali istigatori che, grazie a una rete di finanziamenti internazionali, sparge odio attraverso i social contro islam e minoranze dalla piscina di un lussuoso albergo di Cipro.
Entrano nella seconda settimana i disordini che si sono abbattuti sul Regno Unito dall’uccisione, il 29 luglio a Southport, di tre bimbe di 6, 7 e 9 anni iscritte a un corso di danza e yoga ispirato dalle canzoni di Taylor Swift.
Per il primo ministro Keir Starmer, a Downing Street da appena un mese, si apre nella crisi un nuovo fronte, non fisico ma online, che lo vede schierato contro Elon Musk e la disinformazione che viaggia su Internet. «La guerra civile è inevitabile», ha scritto Musk su X prima di dare evidenza ai post di Tommy Robinson, noto estremista di destra, agitatore che aveva amplificato sui social la notizia falsa che l’attentatore di Southport fosse un profugo musulmano appena giunto in Gran Bretagna su un gommone.
Nel 2018, era stato bandito a tempo indeterminato da Twitter per incitamento all’odio. Musk non solo lo ha riammesso: lo promuove, abbracciando tesi che vanno dalla necessità che l’Inghilterra torni a essere un Paese di bianchi cristiani alle accuse contro il governo e le forze dell’ordine di avere due misure, una permissiva con le minoranze e una dura contro i bianchi che protestano. Ecco, allora, il soprannome affibbiato da Musk al premier britannico nelle ultime ore: «Two-tier ( due livelli , ndr) Starmer».
Dopo aver ribadito che non permetterà che la comunità musulmana venga attaccata, il primo ministro ha chiesto alla sua squadra di non rispondere al proprietario di X e di concentrare gli sforzi, oltre che sulla rapida cattura e incriminazione di tutti coloro che stanno partecipando ai disordini, su regole più efficaci contro le «fake news».
Nei confronti di Robinson è stato emesso un mandato di arresto per aver saltato un’udienza in tribunale, proprio il 29 luglio, relativa a un documentario su un profugo siriano mostrato due giorni prima dell’orrore di Southport durante una manifestazione a Trafalgar Square in cui Robinson aveva adunato 30.000 seguaci. Per ora, però, quest’uomo di 41 anni dalle mille identità continua a farla franca.
In Gran Bretagna è stato in prigione quattro volte tra il 2005 e il 2019. Nel 2021 ha dichiarato la bancarotta per evitare di risarcire il ragazzino sul quale ha realizzato il documentario conteso («Silenced» il titolo), eppure ha i mezzi per permettersi una vita agiata
La Australian Liberty Alliance, il Gatestone Institute di New York (fondato da Robert Mercer, che è stato un donatore importante per Donald Trump e per la campagna pro-Brexit), il David Horowitz Freedom Center, in California hanno tutti contribuito negli ultimi anni a rimpinguare le casse di Robinson.
el 2018 era stato scelto come consulente da Ukip, l’ex partito di Nigel Farage, una mossa che aveva «disgustato» lo stesso Farage. Negli ultimi anni Robinson è diventato un agente libero. Lotta da solo nascondendosi dietro i tasti del cellulare o del computer, incoraggiando chi la pensa come lui a fare altrettanto, su Twitter e Facebook ma anche Telegram, Bitchute, Parler, Gab: l’ecosistema dell’informazione alternativa che, stando agli esperti, è terreno fertile per ideologie estremiste.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
I MELONIANI SONO IN IMBARAZZO, E ANCORA NON SI TROVA IL CANDIDATO PER LE REGIONALI: CICCIO-TOTI SPINGE ILARIA CAVO PER POI PRENDERE IL SUO SEGGIO ALLA CAMERA
Il ritorno in grande stile di Giovanni Toti nei palazzi della politica porta con sé dibattiti e apre scenari e non solo per la Liguria. Ci sono le regionali da organizzare, c’è un candidato da trovare, ma anche la Lega da tenere a bada.
La visita dell’ex governatore a Roma era stata, infatti, anticipata da Matteo Salvini che, in un’intervista a La Verità, aveva proposto uno scudo penale per i presidenti di Regione. Ieri ha rincarato la dose: «Credo che la sinistra giudiziaria, la sinistra politica, la sinistra sindacale, in Liguria abbia fatto un test per poi poterlo replicare a livello nazionale e provare a buttare giù questo governo».
E ancora: «La magistratura – ha attaccato – è l’ultima vera casta di questo Paese». L’idea dello scudo è ancora tutta da definire, ma che ha creato un certo scompiglio nella maggioranza, oltre alle ovvie critiche dell’opposizione, che rievoca il Lodo Alfano ideato per proteggere dai processi Silvio Berlusconi e poi bocciato dalla Corte Costituzionale.
Se i governatori si dicono favorevoli, grande perplessità si registra in Fratelli d’Italia. Nel partito della premier il primo fastidio arriva dal fatto che l’uscita di Salvini non fosse concordata.
Ma quello che più colpisce i dirigenti di FdI interpellati è l’inopportunità politica della proposta della Lega, giudicata fortemente impopolare, tanto più a ridosso di un’inchiesta che ha riguardato un governatore di centrodestra.
o stesso Toti, pur apprezzando, evita di calcare la mano: «Credo sia un po’ complesso, certamente andrebbe rivisto il sistema delle garanzie della politica, ma non si può fare un tanto al chilo». L’ordine di scuderia di Fratelli d’Italia, come spesso in questi casi, è evitare di intervenire per smentire l’alleato e aspettare che il dibattito evapori con il caldo d’agosto.
L’unico a rispondere è il senatore Raffaele Speranzon: «[Non credo che la soluzione sia dare scudi a chi svolge importantissime funzioni a garanzia di tutti i cittadini». I governatori del Carroccio, invece, rilanciano: «Una proposta condivisibile», dice il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che è anche il presidente della Conferenza delle Regioni.
Il Pd attacca: «Sarebbe definitivamente inguardabile una destra che sfascia l’impalcatura della giustizia creando aree di impunità che non sono passate nemmeno in altre epoche e con ben altri conflitti di interessi» dice la responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani. [….] In Forza Italia, invece, convive il richiamo garantista con la diffidenza verso le intenzioni di Salvini (e dello stesso Toti). Antonio Tajani resta in equilibrio, «vediamo nel concreto la proposta», ma sa che non è quello il terreno sul quale confrontarsi con i colleghi.
La questione più urgente per la coalizione è quella di trovare un nome da schierare per il voto ligure di fine ottobre. I colloqui di Toti con Salvini, Maurizio Lupi, Giovanni Donzelli e Maurizio Gasparri hanno evidenziato la difficoltà nella scelta. Nei resoconti ufficiali degli incontri si segnala la priorità di «non disperdere il lavoro fatto». Per farlo però serve un successore credibile.
La ricerca di un esponente della società civile al momento non pare essere andata a buon fine, mentre il sottosegretario leghista alle Infrastrutture e ai Trasporti Edoardo Rixi, in teoria il nome più forte da spendere, conferma di non essere disponibile […] e così l’idea resta quella del vicesindaco di Genova Pietro Piciocchi.
Tajani a questo punto getta nella mischia Carlo Bagnasco, ex sindaco di Rapallo, molto legato a Pier Silvio Berlusconi. Resta in piedi l’ipotesi di schierare Ilaria Cavo, deputata di Noi moderati. Toti la spinge, («con lei si può vincere») e c’è chi ci vede un interesse: un suo successo alle Regionali libererebbe un seggio in Parlamento, che andrebbe assegnato con un’elezione suppletiva nel collegio Genova Ponente. In molti nella maggioranza sono convinti che Toti, nonostante le smentite, punterebbe proprio a quel posto, che darebbe, questo sì, uno scudo per gli anni che restano di legislatura. Ma da Forza Italia si segnala che in questo modo si rischia di perdere sia la presidenza la Regione che un seggio alla Camera.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
TRA GLI ALTRI MORRA, LANUZZI E VILLAROSA
‘L’ingratitudine è una mescolanza di egoismo, orgoglio e stupidità’, affermava Cartesio. ‘Di norma, gli uomini sono stupidi, ingrati invidiosi, bramosi degli averi altrui; abusano della propria superiorità quando sono forti e diventano delinquenti quando sono deboli’ -aggiungeva Voltaire. Solo per contribuire a ripristinare la verità storica, fattuale e poi anche politica, interveniamo in merito alle evidenti divergenze tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo, il fondatore del M5S, assieme a Gianroberto Casaleggio, il visionario mite e determinato, purtroppo scomparso prematuramente, ai quali molti “smemorati di Collegno”, senza arte né parte, dovrebbero dimostrare rispetto e gratitudine. Questo perché il silenzio non è più un’opzione”.
Inizia così, con un incipit di fuoco, la lettera visionata dall’Adnkronos che 11 ex parlamentari del M5S hanno messo nero su bianco entrando a gamba tesa nello scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Tra i firmatari intervenuti in difesa del garante e cofondatore del Movimento, anche volti storici e di peso del M5S, come Nicola Morra, Elio Lannutti e Alessio Villarosa. A siglarla sono inoltre Rosa Silvana Abate, Ehm Yana Chiara, Jessica Costanzo, Emanuele Dessì, Michele Sodano, Simona Suriano, Raffaele Trano e Andrea Vallascas.
La lettera
“La lettera di Conte in risposta a Grillo ha profondamente colpito molti di noi per i modi – scrivono gli 11 ex -, oltre che per il contenuto. Questo grottesco “scontro” tra i due “leader” di un movimento che doveva essere “leaderless” è esattamente ciò che l’establishment desiderava: un Movimento 5 Stelle indebolito e diviso, avendo fallito il suo progetto di rivoluzione culturale, sempre più inconsapevolmente strumento del sistema. L’idea di un’assemblea costituente per rimettere in carreggiata il fu movimento ora partito riecheggia le pratiche dei vecchi partiti che si volevano pensionare. È questo il destino del M5S? Cosa si vuole “costituire”? Trasformarsi in un clone del PD adottando stesse logiche e uguali metodi della politica tradizionale che ha devastato l’Italia negli ultimi decenni sottraendo presente oltre che futuro a tutti noi? Abbiamo cercato in ogni modo di far comprendere che sostenere Draghi sarebbe stato un errore fatale per il Movimento”, scrivono gli ex, chiedendo a Conte di assumersi la responsabilità “del tracollo” registrato alle ultime europee.
“Ricordiamo le parole di Conte mentre tentavamo di ribadire l’essenza e la storia del M5S che per sua natura non poteva essere perno di un esecutivo di quel genere. La sua risposta fu: “Se fossi iscritto a Rousseau, voterei la fiducia a Draghi”. Ognuno si prenda le proprie responsabilità – chiedono dunque gli ex eletti -. Oggi chi si scusa con gli iscritti, si dimentica di alcuni, gli espulsi, che hanno pagato un conto durissimo per aver mantenuto fede ai principi ed esclusi perché scomodamente eretici. Le scuse tardive non cancellano le responsabilità di chi ha preferito il potere al servizio, perché il Movimento con la M maiuscola era nato il 4 ottobre non per caso ma per servire gli ultimi. Come può un leader che ha guidato il Movimento dal 32,7% al 9,99% non assumersi minimamente la colpa di questo tracollo? Sembra sentirlo “Sono tutti responsabili tranne me!!!””, accusano.
“Quel Movimento è stato completamente stravolto. Il cambiamento è necessario, ma lo stravolgimento senza valutarne gli effetti e rispettare identità e storia di chi sta cambiando è spesso puro caos e protagonismo narcisista. È come vincere due campionati del mondo e, alla prima sconfitta, gettare alle ortiche tutto ciò che ha portato al successo. Follia o strategia calcolata? Beppe Grillo ha sicuramente commesso errori, ma ha dato l’anima per far nascere l’unica vera innovazione capace di far tornare entusiasmo nei confronti della politica. Scaricare tutta la colpa delle difficoltà del fu movimento su Grillo è assolutamente scorretto, così come lo è affermare che il garante cercasse un incontro ristretto di pochi fidati ruffiani per cambiare le regole del movimento stesso”.
“Chi conosce Beppe sa – si dicono convinti Villarosa, Lannutti, Morra e gli altri – che chiedeva il solito confronto, come si è sempre fatto negli anni, con tutti, ribadiamo tutti, gli eletti a Roma, perché se sono lì in qualche misura c’entra anche lui, il Garante. La crisi di consenso non deriva dalla mancanza di cambiamento. Al contrario, il Movimento è cambiato radicalmente negli ultimi anni, tanto da assomigliare molto a ciò che doveva combattere, e questo ha generato dubbi e confusione tra gli elettori. Che hanno abbandonato quel soggetto politico, anche se fior fiore di direttori di giornali hanno incensato il professore Conte come l’unto del Signore, l’uomo della Provvidenza, il risolutore dei problemi delle persone umili e dei lavoratori silenziosi, dei giovani che dopo aver studiato debbono o emigrare per lavorare o svendersi per rimanere in un paese che privilegia non il sapere, ma il conoscere (le persone importanti, a scampo di equivoci)”.
“È assurdo leggere – rincarano la dose – che qualcuno si sia sentito “costretto” a votare provvedimenti dannosi proposti da Draghi. Molti dei parlamentari eletti col Movimento non hanno votato la fiducia, in presenza di un voto in rete evidentemente “orientato” anche da dichiarazioni dello stesso Conte, ora smemorato! Non si può scaricare sempre la colpa su altri smentendo se stessi. La rete conserva traccia e sbugiarda non solo il Pinocchio di Rignano, ma anche gli attori che fingono di non ricordare! Fa poi rabbia leggere nella lettera del capo politico attuale fantasie sui gruppi territoriali. È evidente a tutti che il Movimento nei territori non esiste più”.
“I veri attivisti, quelli che hanno sempre lavorato senza secondi fini, senza ambire alla candidatura, hanno capito che il Movimento era diventato un partito come gli altri, da “partita del cuore” tutti abbracciati affettuosamente. Serve credibilità, non nuova organizzazione. Infine, si dice: “Siamo e dovremo sempre essere radicali nel difendere i nostri principi e valori.” Ma allora perché si sta cambiando continuamente il Movimento? In Italia, purtroppo, molti si fanno influenzare più dalle personalità artificiosamente create dai media e dai social che dalle idee, dalla profondità di pensiero. Questo, della mitologia farlocca di “capi” che poi scaricano sugli altri loro responsabilità, è esattamente ciò che abbiamo sempre cercato di cambiare. Il Movimento 5 Stelle non era proprietà di nessuno. Era una casa dei cittadini in cui tutti erano ospiti, non padroni. È giusto ricordare le radici, rispettare i principi che hanno reso coinvolgente quel progetto. Non sappiamo se un futuro nuovo Movimento potrà riconquistare la fiducia degli italiani e tornare ad essere quel motore di cambiamento di cui il Paese, paradossalmente, ha immediata necessità”.
Le domande a Conte
Segue un post scriptum con una serie di domande dirette al presidente pentastellato: “Perché e da chi fu dichiarata “votabile” la “riforma Cartabia” pur di non far cadere il governo così come per tutto il resto delle porcherie votate? Come si è potuto far parte di un Governo che inviava armi in Ucraina? Come mai non è stata revocata la concessione ai Benetton per giusta causa, dopo la tragedia del ponte Morandi e le 43 vittime? Il collegio di garanzia del Senato aveva sentenziato il reintegro degli espulsi perché nessuno ne ha dato seguito? Oggi si chiede alla “base” ma perché non è stata consultata per uscire dal governo Draghi, per entrare nella giunta pugliese e in Left in Europa?”, l’ultimo interrogativo degli ex.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
FATTURANO DECINE DI MILIARDI E PAGANO CANONI RIDICOLI ALLO STATO, MA ORA SONO ALL’ULTIMA SPIAGGIA
Sull’estate torrida incombe la minaccia definitiva. Non è la siccità, non sono le code in autostrada, non è l’alta velocità che funziona a corrente alternata. Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti, i due principali sindacati dei balneari, hanno annunciato la serrata degli ombrelloni il 9 agosto se il governo non si impegnerà a favore dei gestori di lidi entro l’inizio delle vacanze parlamentari, previsto fra il 7 e il 9 agosto. In mancanza di ciò, il solleone si abbatterà sulle epidermidi dei bagnanti, senza differenza di età e di fototipo, a conclusione di una guerra durata anni e ormai perduta contro la direttiva Bolkestein sulla concorrenza.
L’ultimo rinvio a fine 2024, fissato da una legge del governo Draghi (118/2022), è davvero l’ultimissimo stavolta. La platea trasversale di parlamentari-lobbisti che dall’approvazione della direttiva nel 2006 si sono impegnati a ostacolare la messa a gara delle concessioni del demanio marittimo è sconfitta. Non per questo accetta la resa senza condizioni, a dispetto di una batteria di sentenze sfavorevoli e nonostante lo spettro della procedura di infrazione dell’Ue, con relativa sospensione delle rate del Pnrr.
Dopo due tentativi di inserire gli indennizzi ai gestori uscenti nel decreto coesione e nel decreto agricoltura patrocinati dal vicepremier Matteo Salvini e bocciati dal resto del governo, dopo il fallimento clamoroso della mappatura spedita a Bruxelles per dimostrare che le spiagge italiane non sono una risorsa rara perché se ne contano tremila chilometri in più di quanto misurato dai geografi, l’ultima trincea è: subiamo le gare ma dobbiamo essere risarciti di quanto investito nei decenni.
Un po’ come se una società autostradale privata in scadenza chiedesse indietro i soldi dell’asfalto e delle gallerie, una cosa che peraltro nel delirio concessorio nazionale è anche successa con la contestata clausola di subentro.
Nella versione originale dell’emendamento era lo stesso concessionario a stabilire il valore dei manufatti inamovibili cioè quella quota di cementificazione che, secondo l’articolo 49 del Codice della navigazione, dovrebbe essere incamerata dallo Stato al termine del contratto di concessione. Il tutto all’insegna della massima deregulation per difendere una figura retorica. È quella del balneare-tipo, una famiglia italiana tradizionale che ha tre mesi l’anno per fare quadrare i conti.
Come tutti i luoghi comuni, è una rappresentazione con qualche elemento di realtà. Ma il mondo del turismo da spiaggia si sta adeguando alla crescita, disordinata e preoccupante, dell’industria turistica. L’estate non è più da un pezzo la piadina della nonna al lido Romagna Mia. Ci sono realtà, private o in forma di public company come a Bibione sull’Adriatico, che fatturano milioni di euro con tariffe a volte popolari, altre volte tali da scandalizzare persino Flavio Briatore, non proprio un sostenitore della colonia in stile sovietico.
L’allarme prezzi non è l’unico. Il procuratore generale presso la Corte dei Conti, Pio Silvestri, ha delineato un altro tipo di rischio, anche a rischio di valicare il limite della sua giurisdizione di competenza. Nella sua requisitoria a sezioni riunite del 27 giugno il magistrato contabile ha affermato: «Sulle concessioni demaniali serve una disciplina quadro in linea con il rispetto delle prescrizioni Ue e delle decisioni degli organi giudiziari nazionali. La disciplina del nuovo codice dei contratti potrebbe soccorrere per definire il sistema di affidamento delle nuove concessioni, attraverso gara pubblica, per garantire un gettito corrispondente al valore del bene, e almeno limitare le possibilità di infiltrazione della criminalità organizzata in un settore che offre ampi margini per il riciclaggio dei proventi dei traffici illeciti».
Sulle infiltrazioni del crimine organizzato la Dda di Roma è intervenuta più volte sugli stabilimenti del litorale e, per esempio, sul Village di Ostia Lido, considerato il lido del clan Fasciani.
Ma quando Silvestri parla di «gettito corrispondente al valore del bene» per le casse dello Stato, l’obiettivo sembra ancora molto lontano. Secondo i dati dell’Agenzia del Demanio che l’Espresso è in grado di anticipare, anche il 2023 è stato un anno di magra per il canone che l’Erario incassa dalle concessioni marittime. Su circa undicimila concessioni che includono il settore turistico-ricreativo, gli ormeggi, i porti turistici, l’acquacoltura e la cantieristica, il canone richiesto è di 139,5 milioni di euro mentre la riscossione effettiva è di 112,7 milioni di euro con un’evasione del 19,2 per cento. Nel 2002 la richiesta è stata di 107 milioni di euro con una quota di evasione stabile intorno al 20 per cento. Se si restringe il campo alle concessioni turistico-ricreative, ossia a stabilimenti, lidi, camping e chioschi, il canone richiesto è di 95,3 milioni e l’incasso effettivo è di 77,8 milioni con mancati pagamenti al 18,4 per cento.
Il settore dove l’evasione è più alta riguarda approdi, ormeggi e porti turistici con il 28 per cento su 11 milioni di euro di canone. Nell’insieme, ogni concessione marittima nel 2023 è costata in media 5414 euro all’anno rispetto ai 5226 euro del 2022 quando il canone minimo era di 2700 euro annui.
Il raffronto con il giro d’affari è impietoso. Il peso del turismo sul pil italiano varia, secondo i calcoli, tra 215 e 255 miliardi l’anno con un apporto superiore al 10 per cento. Un terzo di questa somma viene dalle attività legate alle spiagge, secondo i calcoli del deputato Fdi Riccardo Zucconi, membro della commissione attività produttive della Camera ma soprattutto storico imprenditore del settore in Versilia. Sul mare della Versilia aveva investito anche la collega di partito Daniela Garnero Santanchè, ministra del turismo e fondatrice del Twiga insieme a Briatore, da lei sottilmente redarguito in un’intervista al Corriere della sera nella polemica sul caro-Puglia. I prezzi li fa il mercato, ha detto la ministra sotto inchiesta a proposito della regione che sta conoscendo il maggiore boom di turisti estivi, anche grazie al G7 a conduzione italiana tenuto nel resort preferito di Giorgia Meloni a Borgo Egnazia in Salento.
L’unica entità sorda alle leggi del mercato invocate da Santanchè e a quelle del buon senso evocate da Briatore, è lo Stato. Borgo Egnazia è un resort cinque stelle lusso che nel 2023 ha pagato 5983,82 euro di canone, più o meno quanto costa in questo periodo una camera da due con colazione per tre notti.
Fino a quattro estati fa il canone minimo per una concessione balneare era di 360 euro, pari a una cinquantina di Magnum Algida. Nel 2020 il premier Mario Draghi ha aumentato il canone minimo a 2500 euro con decorrenza 2021. Nel 2023 dopo una serie di aggiornamenti Istat il canone è salito a 3377,50 euro. Quest’anno le oscillazioni dell’adeguamento prezzi hanno la freccia in basso, visto che il minimo per il 2024 è sceso a 3225,50 euro.
Nella giungla delle concessioni la Sardegna, punto di riferimento del turismo balneare con 700 chilometri di costa balneabile, è stata spesso al centro di polemiche. Secondo un rapporto di Legambiente, nel 2020, con il canone minimo a 360 euro, il comune di Arzachena, l’entità amministrativa municipale di Porto Cervo in Costa Smeralda, aveva versato in tutto 19 mila euro per 59 concessioni (322 euro in media). L’anno scorso su 2777 concessioni complessive, solo 245 pagano più di quattromila euro e 123 più di diecimila.
Dal calderone dei canoni di Stato sono esclusi i contributi della Sicilia perché la prima regione marittima d’Italia, con oltre 900 chilometri di costa balneabile, gestisce i canoni attraverso un suo demanio marittimo, in una sorta di anticipazione dell’autonomia differenziata. Ma le posizioni politiche restano le stesse degli altri balneari. Quindi, no alla Bolkestein e rinnovo delle concessioni in essere fino al 2033, cioè per altre nove stagioni, prima di rimettersi in riga con i dettami di un governo che non può rischiare di perdere un euro di Pnrr per difendere il motto “per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso balneare”.
I canoni bassi non sono frutto del caso. Nelle ultime legislature gli imprenditori del settore hanno indirizzato i processi legislativi con rappresentanti di varia tendenza politica: Umberto Buratti da Forte dei Marmi per il Pd, Massimo Mallegni di Pietrasanta per Forza Italia, la romagnola Elena Raffaelli della Lega. A favore dello status quo si sono pronunciati spesso anche i leghisti Massimo Garavaglia e Gian Marco Centinaio mentre il democrat Eugenio Giani, presidente toscano, ha da poco approvato una norma sugli indennizzi.
La presa della lobby è ovviamente ancora più forte nei contesti delle amministrazioni locali dove il turismo di sdraio e ombrellone tiene in piedi i bilanci di molti elettori. Nulla di male, si chiama democrazia rappresentativa. Ma per lo stesso principio non si può eludere una legge dell’Europa. Non che siano mancati i tentativi davanti a ogni possibile istanza giuridica. L’elenco completo sarebbe noioso quanto un giorno di mare sporco. Per stare all’anno in corso, il 12 marzo il Consiglio di Stato ha ribadito: subito a gara le concessioni. L’ultimo colpo lo ha dato l’11 luglio la Corte di giustizia europea proprio su richiesta del Cds. All’origine c’è un ricorso amministrativo dei Bagni Ausonia di Castiglioncello, in provincia di Livorno. La proprietà dello stabilimento fa riferimento alla Siib della famiglia Piancastelli e la gestione è una delle più antiche d’Italia con data di inaugurazione il 2 giugno del 1928. La Corte europea ha definito «legittimi gli espropri con incameramento gratuito dell’immobile».
In altre parole, nessun indennizzo è dovuto a meno che il governo Meloni non accolga le proteste dei sindacati balneari, che ormai polemizzano con la premier come nemmeno la Cgil di Maurizio Landini. In cima alle richieste c’è l’abrogazione dell’articolo 49 del codice della navigazione.
A quel punto, il riscatto delle opere inamovibili, che in genere sono anche le più deturpanti sotto il profilo ambientale, dovrebbe finire a carico o del nuovo concessionario o del Comune che ha bandito la gara. Ma è proprio la mancanza di indicazioni tecniche sui bandi a minacciare con contenziosi infiniti il sistema che dovrebbe entrare in vigore nel 2025. A meno che i lobbisti non si inventino, una volta ancora, il gol in zona Cesarini.
(da lespresso.it)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
IN GALERA SOLO PER “REATI DI GRAVE ALLARME SOCIALE” OVVERO SOLO PER I PICCOLI REATI DI STRADA
Dopo la legge sulla presunzione di innocenza (la norma che, tra le altre cose, impone ai procuratori di parlare con la stampa solo tramite comunicati ufficiali con tanto di conseguenze per il diritto dei cittadini a essere informati), il deputato di Azione, Enrico Costa, prova a riscrivere anche le norme sulla custodia cautelare.
E lo fa con un Ordine del giorno al decreto Carceri. Verrà votato oggi alla Camera e riguarda la possibilità di valutare la misura cautelare per pericolo di reiterazione nei confronti di incensurati solo in caso di “reati di grave allarme sociale e di reati che compromettano la sicurezza pubblica o privata o l’incolumità delle persone”.
Questo vuol dire che un incensurato rischia di finire dentro solo se accusato di reati come – per citarne alcuni – mafia, reati sessuali, terrorismo, omicidio o anche furti in abitazione. Non sembrano contemplati però i pur odiosi reati di corruzione e tutti quei delitti commessi dai colletti bianchi. Secondo quanto risulta al Fatto, questo Ordine del giorno troverà terreno fertile tra le file di Forza Italia e Lega. Un po’ indecisi i deputati di Fratelli d’Italia, anche se molti sono pronti votare a favore.
L’Odg arriva dopo uno dei casi di cui più si è occupata la stampa e la politica: quello del governatore ligure Giovanni Toti, finito l’8 maggio ai domiciliari per l’accusa di corruzione: è stato scarcerato alcuni giorni fa dopo le dimissioni da presidente della giunta regionale.
Con questa nuova proposta, dunque, Costa vuole incidere sulla lettera C dell’articolo 274 del codice di procedura penale che norma proprio le esigenze cautelari disposte in caso di pericolo di reiterazione del reato, chiedendo un alleggerimento per gli incensurati. Scrive il deputato nel proprio Ordine del giorno: “L’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale prevede una prognosi di reiterazione del reato che solo la misura del carcere o dei domiciliari può scongiurare. Tale esigenza cautelare deve tuttavia conciliarsi con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che assume maggior forza laddove ci si trovi ad operare la prognosi su un soggetto incensurato”. “In altre parole – continua l’Odg – qualcuno la cui responsabilità non è ancora stata accertata, che sia dunque sospetto ma goda della presunzione di non colpevolezza e non abbia mai subito condanne, subisce una misura cautelare sulla previsione che possa reiterare un reato non ancora accertato. Un sospetto basato su un sospetto”. Per questo il deputato di Azione chiede al governo di “valutare un intervento normativo finalizzato a una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare (…) finalizzato a un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza”.
Una proposta che potrebbe trovare l’appoggio di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Partito che solo qualche tempo fa, tramite il suo capogruppo in Commissione giustizia alla Camera, Tommaso Calderone, aveva presentato una proposta di legge (che firma Calderone da solo, senza altri esponenti forzisti) il cui obiettivo era quello di far rivalutare al giudice il rischio di reiterazione di reato, dopo due mesi dall’ordinanza di misura cautelare, che sia in carcere o ai domiciliari. Nell’idea di Calderone: se non sopraggiungono esigenze nuove e diverse da quelle che hanno portato inizialmente ad emettere la misura, tutti fuori. Anche in questo caso la norma non riguarderebbe mafia, reati sessuali, omicidi, terrorismo e così via. Ma – anche in questo caso – invece può essere applicata ai casi di corruzione e delitti dei colletti bianchi. Un ulteriore balzo rispetto a quanto stabilito dalla riforma Nordio che ha passato la decisione dell’emissione di misura cautelare non più a un singolo giudice ma a un collegio di tre, con tutto ciò che ne consegue in termini di tempo e di capacità (inteso come numero di giudici applicati nei Tribunali).
Adesso l’Ordine del giorno di Costa: pronto a essere appoggiato dalla maggioranza.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
NELLA LEGA CRESCONO I TIMORI PER LE MOSSE DEL “PARTITO” DI VANNACCI
Cervia bella addio. Matteo Salvini è tornato ieri sera sulla riviera romagnola, là dove nel 2019 si consumò la saga sfortunata del Papeete: l’inizio della discesa al culmine della salita, la fine del governo a due mesi dal 34% alle Europee. Ma quella che lo attende è un’altra Cervia.
Come l’anno scorso, alla disco beach dell’amico ed ex europarlamentare Massimo Casanova, il segretario leghista neanche mette piede, i luoghi sono gli stessi ma sembra un altro mondo. Del resto, Casanova stesso ha rinunciato a candidarsi a Bruxelles visto che la sfida era impossibile. Di nuovo c’è che gli alleati di sempre, i balneari che qui contano tantissimo e che la Lega da quasi vent’anni aveva organizzato come una perfetta macchina di propaganda, sono sul piede di guerra.
Perché il governo «non è in grado di gestire il problema delle concessioni balneari». E lo dice Antonio Capacchione, il presidente di Sib Confcommercio. C’è chi vuole illudersi, «forse nel consiglio dei ministri di domani…», ma nessuno davvero ci crede più. E così, venerdì ci sarà un primo sciopero simbolico di due ore. Che senza fatti nuovi, poco probabili, diventeranno quattro ore il 19 agosto e sei (o otto) il 29 agosto. Poi, ciascuno dei gestori dovrà fare da solo i conti con i rischi che corre con le gare che dovrebbero aprirsi il prossimo gennaio, aperte a tutta Europa. «Prima – sbuffa un bagnino di Rimini rimasto leghista – Fratelli d’Italia ci ha cannibalizzato promettendo il rinnovo delle concessioni per cent’anni a chiunque. Ora, sono scomparsi tutti».
E così, quella di Salvini ieri sera è stata una toccata e fuga, come del resto già l’anno scorso. Il comizio sotto la torre San Michele sul porto canale è preceduto dall’aperitivo con gli imprenditori locali al Mare Pineta resort, ma il clima è proprio un altro. Anche la festa leghista sotto alla Torre San Michele, sul porto canale, non è più quella di un tempo. Intanto, non c’è nessuno dell’esercito di parlamentari e amministratori di un tempo. Certo, le due Camere devono votare gli ultimi decreti della serie da record degli ultimi quaranta giorni. Eppure proprio non c’è nessuno, oltre ai ministri e ai governatori che sono sul palco della festa. Persino il vice di Salvini Andrea Crippa, che con le sue camicie candide e il mojito personalizzato, di queste feste era stato uno dei protagonisti oggi resta a Roma: «Devo lavorare».
Normale che il segretario romagnolo, già sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone, abbia cambiato l’assetto della festa: di fronte al palchetto, a parte quando parla Salvini, le seggioline sono soltanto una trentina, mentre i tavoli occupano spazi che prima erano dedicati agli spettatori. Va detto: quella che non cambia è la cucina straordinaria, davvero al di fuori degli standard delle feste di partito, con i manicaretti della leggendaria Ombretta che fan passare la voglia di buttarla in politica.
Nell’estate in cui gli aerei impazziscono fino al culmine del 19 luglio («troppi turisti» dice Salvini), i treni si ingolfano («Ho chiesto ai tecnici») e tra Roma e Milano in alcuni giorni ci mettono cinque ore e mezza invece della tradizionali tre (ma è previsto negli orari), tutto si è fatto complicato e quella che era «una casa» diventa una tappa qualunque nei perpetui tour del ministro vice premier.
Ma poi, quanti scricchiolii fastidiosi. Che farà il generale Vannacci? Il fatto che il comitato «Il mondo al Contrario» abbia cominciato a tesserare i suoi sostenitori (da tempo, dicono loro) crea tra i leghisti una spiacevole sensazione di smottamento. Anche se per Crippa «era tutto concordato». Il generale eurodeputato dispone di un voto leghista su quattro, le sue intenzioni non sono chiare ma nessuno è disposto a scommettere di non ritrovarsi, un bel giorno, un neo partito che taglierà ai salviniani l’erba sotto ai piedi. La Cervia di una volta, forse, era meglio.
(da agenzie)
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