Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
WALZ COLPISCE DURO: “VANCE ESPRESSIONE DELL’AMERICA RURALE? MA SE HA STUDIATO NELL’UNIVERSITA ESCLUSIVA DI YALE, E’ SEMPRE STATO FINANZIATO DAI MILIARDARI DELLA SILICON VALLEY E HA SCRITTO UN LIBRO DOVE INSULTAVA LA SUA COMUNITA'”
La chiamano già la battaglia del Midwest, la regione degli Stati Uniti da cui provengono sia il senatore repubblicano J.D. Vance che il governatore democratico Tim Walz, i due uomini in corsa per la vicepresidenza. È una regione che ha fatto la differenza nelle due passate elezioni presidenziali. Comprende — secondo il Censimento Usa — Stati in bilico come Michigan e Wisconsin, l’Ohio di Vance, Stati «rossi» repubblicani come l’Indiana, l’Iowa, il Kansas, North e South Dakota, il Missouri, il Nebraska dov’è nato Walz e il «blu» Minnesota dove governa, più l’Illinois.
Ma c’è anche un Midwest concettuale, un’idea dell’entroterra americano: quella della Casa nella Prateria e della bandiera a stelle strisce che sventola sul paesaggio.
Walz, dopo l’esordio in Pennsylvania, ha fatto tappa con Kamala Harris proprio in Wisconsin e in Michigan ieri.
Erano pedinati da Vance, che ha tenuto conferenze stampa nel Nord del Michigan e nella stessa cittadina dei rivali in Wisconsin, proprio come il giorno prima a Philadelphia.
Vance ha detto di aver telefonato a Walz per congratularsi («era la cosa educata da fare»), ma a una domanda sulle somiglianze tra loro ha replicato: «Certo, siamo entrambi uomini bianchi del Midwest, ma con idee ben diverse». Ha definito Walz «estremista di sinistra»
La strategia dei democratici, invece, è di presentare Walz come l’uomo dell’America rurale che Vance fa soltanto finta di essere: «Come tutte le persone normali che ho conosciuto nell’entroterra, Vance ha studiato a Yale, ha avuto una carriera finanziata da miliardari della Silicon Valley e ha scritto un bestseller che insultava la sua comunità. Ma dai! Questa non è la middle America !», ha detto al comizio di Philadelphia Walz, che non ha frequentato un’università Ivy League e che nel video in cui Kamala lo chiama per chiedergli di fare il suo vice risponde indossando un cappello camouflage.
Come Vance, Walz adora la Mountain Dew (la bibita gassata preferita dagli hillbilly dell’America rurale e operaia)
«Non vedo l’ora di dibattere in tv contro Vance. Sempre che riesca ad alzarsi dal divano». La folla nell’arena è impazzita. Per chi non è sui social, è una battuta «normale», ma per chi vive su X e TikTok (apparentemente molti) è un riferimento alla voce (falsa) che Vance abbia scritto nella sua autobiografia di aver fatto sesso con un divano
Il 71% degli americani non sa nulla di Walz, mentre solo il 23% non sa chi sia Vance, che però piace solo al 34% di chi lo «conosce» e non piace al 43% (nel suo stesso Stato).
I vice influiscono poco in genere sulle elezioni, ma i democratici vogliono usare Walz anche contro Trump. Quando definisce Trump «strambo» e parla di «politica della gioia», in fondo Walz intende che mentre per anni i democratici hanno attaccato il tycoon «seriamente» come fosse un politico, per «toglierli il potere che ha» bisogna delegittimare il suo «marchio». Ma Walz ha aggiunto che «strambi» non si riferisce «ai sostenitori di Trump, che sono i miei vicini, brava gente». Non deve cadere nell’errore di Hillary che li chiamò «miserabili».
(da agenzie)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL 22 SETTEMBRE, DOPO AVER CONDOTTO LA PRIMA PUNTATA DI “CHISSÀ CHI È” NELL’ACCESS PRIME TIME, OCCUPERÀ PURE LA PRIMA SERATA CON UN PROGRAMMA MUSICALE
Segnatevi la data: 22 settembre. È il debutto ufficiale di Amadeus sugli schermi del Nove. Doppio debutto. Non solo quello previsto, ma pure un altro programma destinato ad avere un peso rilevante, molto rilevante nel calendario musicale.
Come già anticipato da TvBlog, in access prime time, ossia intorno alle 20.30, il 22 settembre Amadeus condurrà la prima puntata di Chissà chi è, che è la «versione Discovery» dei Soliti Ignoti, titolo di proprietà della Rai.
Entrambi sono comunque diretta emanazione di Identity, il format di Endemol nel quale bisogna indovinare la professione dei personaggi che si presentano ai concorrenti in gioco.
Ma dopo la fine della puntata, Amadeus resta. E, in attesa che nelle settimane successive torni Che tempo che fa, il 22 settembre in prima serata lui presenterà la prima puntata di Suzuki Music Party (titolo provvisorio) che gioca per diventare un punto di riferimento nell’anno della musica pop perché va a riempire uno spazio al momento vuoto.
La musica ha tre appuntamenti televisivi fissi che gestiscono i tempi musicali. Il Festival di Sanremo. Il serale di Amici. E la gara per il «tormentone» dell’estate. Finora l’autunno è rimasto «scoperto» e in questo c’è l’intuizione di Amadeus. A fine settembre, esaurita l’onda lunga dei brani estivi, lui presenterà quelli che saranno protagonisti in inverno.
Non saranno tutti brani inediti sul modello sanremese, più probabilmente ci saranno anche brani usciti nei giorni precedenti
Insomma, è la capitalizzazione dei cinque Sanremo che hanno consentito ad Amadeus di intrecciare rapporti e conquistare la fiducia di discografici e artisti. Ed è un modo brillante per riempire di pop anche un periodo che statisticamente è scarico di musica. Chapeau.
(da il Giornale)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
MENTRE GLI UTENTI ASPETTANO ORE MACCHINE CHE NON ARRIVANO, LE AUTO IN ECCESSO VENGONO TENUTE FERME PER NON DARE “VANTAGGI” ALLA CONCORRENZA. PRESTO, DATECE UBER!
L’Autorità Antritrust ha comminato una multa da 140mila euro alla cooperativa Radiotaxi 3570 per inottemperanza ad un provvedimento del 2018 dell’Autorità. Si tratta – spiega l’Autorità – della seconda inottemperanza per Radiotaxi 3570 “che non si è impegnata a riconoscere ai tassisti soci la possibilità di accettare, nei momenti in cui ci sia capacità produttiva eccedente, le chiamate provenienti da piattaforme terze, senza l’intermediazione obbligata della piattaforma proprietaria ItTaxi”.
In particolare, l’Autorità non ha ritenuto idonea la misura grazie alla quale i tassisti di Radiotaxi 3570 avrebbero potuto liberare la capacità produttiva inutilizzata solo a favore delle piattaforme che avessero sottoscritto accordi di interoperabilità con la piattaforma ItTaxi. In questo modo si sarebbe attribuito alla stessa cooperativa la scelta delle piattaforme per le quali i tassisti avrebbero potuto operare, definendone anche le condizioni economiche.
Dovrebbero invece essere i singoli tassisti a individuare direttamente le piattaforme di intermediazione cui rendere disponibile la propria capacità eccedente. Solo in questo modo, scrive l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, possono essere garantite, infatti, adeguate condizioni di apertura del mercato dei servizi di intermediazione della domanda di taxi alla concorrenza di altre piattaforme. Considerati il perdurare dell’infrazione e la pervicace inottemperanza alla diffida, l’Autorità ha anche imposto una penalità di mora per 214,40 euro al giorno (da calcolarsi fino al giorno dell’ottemperanza).
Bene per il Codacons la sanzione da 140mila euro elevata dall’Antitrust alla cooperativa Radiotaxi 3570, una multa che secondo l’associazione “conferma le troppe anomalie nel settore dei taxi a Roma”. “La pratica sanzionata dall’Autorità ha ripercussioni dirette sul servizio di trasporto pubblico non di linea e, quindi, sugli utenti finali, pesantemente danneggiati dalla carenza di auto bianche a Roma”, spiega l’associazione in una nota. Conclude il presidente Carlo Rienzi: “A Roma, tuttavia, si assiste al paradosso che mentre l’Antitrust sanziona le cooperative dei taxi per i loro comportamenti scorretti, il Comune le premia regalando loro pesanti aumenti tariffari, come quelli decisi di recente dall’amministrazione capitolina e che finiranno ora al vaglio del Tar Lazio grazie al ricorso promosso dal Codacons”.
(da agenzie)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
SI SPRECANO I MEME CHE INSINUANO CHE IL POST SBAGLIATO SIA TUTTA FARINA DEL SACCO DI “GENNY”… L’ASSOCIAZIONE DEI SOCIAL MEDIA MANAGER: “UN TEMPO LA COLPA ERA DELLO STAGISTA, ORA DEL SOCIAL MEDIA MANAGER, MA DIETRO UN POST C’È SEMPRE UN LAVORO DI CONCERTO”
Stavolta la gaffe è stata solo sui social ma non è bastato a evitare che diventasse virale. Nella ricorrenza del venticinquesimo centenario della fondazione dell’antica Neapolis, sul profilo Instagram di Gennaro Sangiuliano compare la frase: «Il Consiglio dei ministri vara il Comitato per celebrare due secoli e mezzo di Napoli”. Ma in realtà, si tratta di 2500 anni.
Poco dopo, accortisi dell’errore, il post viene cancellato e sostituito con uno nuovo, corretto. Segue, questa volta su X, un post direttamente siglato dal ministro: «L’errore evidentemente è del mio social media manager. Per questo, ho accettato le sue dimissioni». Si tratta, comunque, dell’ennesima gaffe di Sangiuliano. L’ultima su Colombo che «si basava sulle teorie di Galileo Galilei».
“Un tempo la colpa era dello stagista, ora del social media manager”. Così per il post del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano in cui si parlava dei “due secoli e mezzo di Napoli” a fronte, invece, dei 2.500 anni che in realtà ha la città partenopea, la colpa è ricaduta su responsabile dei social, ma parlando con LaPresse, Riccardo Perrone, presidente dell’Associazione Smm e social media maganer di Taffo, spiega che dietro la pubblicazione di un post vi è “un lavoro di concerto”.
“Perché rendere pubblico che si è dimesso, esponendolo alla gogna mediatica?”, si domanda Perrone. “Esistono diversi livelli di approvazione – afferma – Nel caso del post del ministro Sangiuliano che è ‘grafico’, vi è anche la presenza di un grafico”. In ogni caso, il social media manager “non si occupa direttamente dei contenuti: provvede alla moderazione dei commenti, sponsorizza un post”. Insommma “C’è sempre qualcuno che approva cosa si sta per pubblicare”.
L’ultima parola sui contenuti “spetta al cliente, che sia una azienda o un politico, qui parliamo di un Ministero” e “voglio sperare che siano diversi i livelli prima di arrivare all’ok definitivo”.
Anche per quanto riguarda le dimissioni del social media manager, annunciate e accettate da Sangiuliano, Perrone ha qualche perplessità: “Anche se fosse stato commesso dal social media manager, ci si dimette per un errore così superficiale? È un aspetto che va approfondito: come è stato scelto? Aveva competenze specifiche? Aveva esperienze?”.
Troppo spesso “vengono indicati come social media manager gestori di pagine”.Quanto accaduto pone, comunque anche un altro tema. Quello della formazione. “Non ci si improvvisa social media manager, occorre studiare – sottolinea Perrone – Consiglio sempre la laurea e dopo dei corsi specifici”.
(da agenzie)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
LE TURBE DI VANNACCI: CHE VUOLE FARE IL GENERALE CON IL SUO “COMITATO”?,,, LA RAI: SALVINI VUOLE DIMOSTRARE DI CONTARE QUALCOSA MA LA MELONI FRENA…IL “CAPITONE” SPENDACCIONE FA VENIRE IL MAL DI PANCIA AL “RIGOROSO” GIORGETTI
Ma quanti problemi ci sono sul Carroccio-catorcio di Matteo Salvini? Il Capitone strepita e ogni giorno dà il suo contributo per indebolire la leadership di Giorgia Meloni.
Ma l’agitazione del leghista non è solo una strategia anti-Ducetta. Salvini si deve guardare le spalle dai suoi avversari interni, deve fare i conti con un consenso in picchiata, e allo stesso tempo vuole conservare il potere all’interno del suo partito.
I “dossier” che turbano le notti dell’ex reuccio del Papeete sono cinque.
1) Il congresso in Lombardia
In autunno si terrà il congresso per decidere chi dovrà guidare il partito in Lombardia, regione chiave del leghismo. In quella sede si sfideranno il turbo-salviniano Andrea Crippa e l’anti-salviniano Massimiliano Romeo, molto critico su quasi tutte le ultime scelte del Capitone.
2) Vannacci
Il generale, che è stato paracadutato all’europarlamento grazie alla candidatura concessagli da Salvini, vorrebbe restare al fianco del ministro delle Infrastrutture, ma i suoi sostenitori-fedayn lo tempestano di mail incensandolo oltremodo: “Sei un leader”, “Non puoi stare sotto Salvini”, “Devi creare un tuo partito”.
E il militare vanesio sta valutando il da farsi: sicuramente entro ottobre dovrà decidere se il “comitato Mondo al Contrario” si limiterà ad essere un movimento interno alla Lega oppure autonomo da essa. Forse più la seconda, ma ancora è tutto in divenire, come fa intendere Umberto Fusco, 68 anni, ex militare in carriera, senatore della Lega fino al 2022, “poi passato a Forza Italia e adesso rapito dal verbo vannacciano”, come scrive “Repubblica”: “Il generale lo conoscevo da prima, da militare, mi sono congedato nel 2008 con il grado di tenente colonnello”, racconta.
Fusco ha riallacciato i rapporti con l’attuale eurodeputato eletto con la Lega. Ed eccoci qui, alla formazione di un partito, di un correntone nel Carroccio, vai a sapere: ‘Sarà la festa di chi sta vicino a Vannacci – mette le mani avanti Fusco – Non parliamo di partiti o altro, sarà poi il generale che deciderà'”. Di sicuro qualcosa in più si intuirà al ritrovo di Pontida del 6 ottobre, dove Vannacci è stato invitato a parlare al popolino leghista.
3) Rai
Salvini vuole dimostrare di contare qualcosa nella maggioranza con uno sfoggio di potere a Viale Mazzini: nella diatriba sulle nomine Giorgia Meloni ha fatto presente al leghista di voler mantenere le promesse: nominare Giampaolo Rossi amministratore delegato e Simona Agnes (in quota Forza Italia- Gianni Letta) presidente.
La Ducetta ha anche rintuzzato le ambizioni di poltrone del fidanzato di Francesca Verdini sostenendo che gli assetti interni si discutono con l’amministratore delegato. La poltrona di direttore generale o quella di Rai Cultura, molto ambite dalla Lega, dovranno essere negoziate direttamente con Rossi
4) Il rapporto con Giorgetti
Salvini, si sa, è uno spendaccione: vorrebbe attingere al bilancio dello Stato per mantenere tutte le sue promesse elettorali, a partire dalla costosissima riforma delle pensioni (“Stop alla Fornero”).
Il ministro dell’Economia Giorgetti, invece, in vista della legge finanziaria 2024, ha già fatto capire di tenere i cordoni della borsa strettissimi: non ha intenzione di sgarrare rispetto ai parametri europei.
Non solo: l’economista di Cazzago Brabbia vorrebbe mandare un segnale di distensione a Bruxelles procedendo alla ratifica del Mes, a cui Salvini, invece, è contrarissimo (l’Italia è l’unico paese dell’area Euro a non averlo approvato).
Poi ci sarà da trattare – e bene – con l’Europa, sull’allentamento dei vincoli del nuovo Patto di stabilità, che Salvini preferirebbe ignorare completamente, mentre Giorgetti non vede l’ora di adeguarsi alle mordacchie dell’Ue, così da non dover mercanteggiare le liste della spesa con gli incauti ministri.
5) Il rapporto con Meloni
Il conflitto tra la premier e il suo vice è ormai a tutto campo, i due si scontrano su ogni dossier e non si risparmiano calcioni e gomitate (politica estera, rapporti con Bruxelles, nomine Rai, lite sul terzo mandato, giustizia, e poi i candidati da trovare per Liguria, Umbria e Emilia Romagna).
I prossimi temi di scazzo saranno l’autonomia regionale e l’invio di armi all’Ucraina. Nel primo caso, sulla riforma cara alla Lega, Giorgia Meloni ha un po’ scaricato il “Capitone”, che ha voluto portare subito a casa l’approvazione, ma si ritrova tutti contro. Della serie: hai voluto la riforma in tempi rapidi, e ora pedala!
L’accelerazione sull’autonomia ha compattato l’intera opposizione e ha fatto imbizzarrire anche Forza Italia (con con i portatori di voti Occhiuto-Martusciello-Schifani è a trazione meridionale), e quella parte di Fratelli d’Italia da sempre statalista contraria a cedere alle regioni importanti pezzi di potere dello Stato centrale.
Senza considerare i governatori leghisti, Zaia e Fedriga, che chiedono un’ulteriore passo avanti nel progetto di autonomia nelle materie che non necessitano dell’approvazione dei Lep (i livelli essenziali di prestazioni). Come scrive Lorenzo De Cicco su “Repubblica” raccontando il faccia a faccia di ieri del “Doge” con Salvini: “Zaia spera che il tavolo di trattativa col governo per la cessione delle prime 9 materie parta poco dopo l’estate. Da ottobre”.
Sull’invio di armi a Kiev, a cui Salvini da sempre è contrario per non irritare il suo vecchio amico Vladimir Putin, Giorgia Meloni invece traccheggia e vuole prendere tempo: l’obiettivo della premier è rinviare ogni decisione a dopo il risultato elettorale delle presidenziali americane. Se vince Trump, le carte si rimescoleranno…
(da Dagoreport)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
VIAGGIO NELLE ATTESE INFINITE DELLA SANITA’ ITALIANA
Le liste d’attesa? Sono un falso problema. Con tutti i soldi che questo governo sta lasciando nelle tasche degli italiani, per esempio grazie alla flat tax per i percettori di partita Iva, vuoi che un cittadino non si possa permettere una visita oculistica (privata) a soli 130 euro? E con tutti i quattrini risparmiati dagli evasori, per merito di una riduzione del numero di controlli dell’Agenzia delle Entrate, vuoi che un cittadino non possa permettersi una risonanza magnetica con contrasto (privata) a soli 560 euro? E poi, con quel gruzzoletto di 30 euro in più al mese racimolato dai lavoratori dipendenti, per merito della riduzione del cuneo fiscale, vuoi che i cittadini non possano permettersi di spendere 10mila euro per un intervento alla prostata in clinica (privata)?
Del resto, per chi conta davvero, c’è la cassa previdenziale (privata, pure quella) – che costa non meno di 200 euro al mese, trattenuti in busta paga – e copre gran parte del costo degli interventi. I poveri? Per loro c’è la lista d’attesa del Servizio sanitario nazionale. Che non sta benissimo.
Nell’avanzata Lombardia, in un’analisi effettuata dai giornalisti de L’Espresso, si scopre che per effettuare un intervento di ricostruzione della cataratta in regime di Ssn, l’attesa è di un anno e mezzo. Mentre nel reparto solventi (ovvero a pagamento) di uno dei maggiori ospedali privati di Milano, l’attesa è di una settimana, alla modica cifra di 800 euro (per occhio). Il tutto rimborsabile grazie alla cassa previdenziale privata.
E chi non ce l’ha? O paga di tasca propria o attenderà i 18 mesi del Ssn. Non è un caso isolato. Siamo sempre nell’avanzata Lombardia e per un intervento alla prostata l’attesa è di due anni. Il paziente, arresosi di fronte all’aggravarsi della situazione, ha optato per l’intervento a sue spese. Costo complessivo: 10mila euro. La beffa? Quattro mesi dopo l’operazione viene contattato dall’Ospedale Niguarda di Milano e informato che si sarebbe liberato un posto in sala operatoria. Per cose più semplici, una mammografia programmabile, cioè da eseguire entro 90 giorni, l’attesa è di oltre un anno.
Dall’altra parte dello Stivale, in Sicilia, per una visita fisiatrica, dopo un trauma alla caviglia con lesione del legamento, l’attesa è di 14 mesi. Privato? Quattro giorni. Cambio di scena, entriamo nel Lazio con una ricetta del medico di base: per una visita ginecologica e relativa ecografia programmabile c’è da attendere fino a metà 2025. Capita, nel Lazio, che l’abitudine a dirottare esami sul privato sia così consolidata da confondere i receptionist del Cup, Centro unico prenotazione, perché in più d’un caso, a fronte di una richiesta di visita in regime di Ssn, viene risposto che le uniche opzioni sono l’intramoenia (ovvero le visite private effettuate da medici che lavorano dentro ospedali pubblici) o una visita privata. Eppure l’articolo 32 della Costituzione dice che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività, ribadendo la gratuità del servizio.
Spostiamoci nelle Marche: una farmacista ci dice che non è possibile prenotare visite perché il sistema del Centro unico prenotazioni è stato hackerato, e comunque per un elettrocardiogramma urgente bisogna rivolgersi al privato, nel pubblico non c’è posto. E per un ecodoppler urgente? «Non c’è disponibilità. Richiami domani, magari si libera qualcosa», dice la centralinista, con cui siamo riusciti a parlare dopo due ore di tentativi. Anche in Puglia ci dicono «spiacente, non ci sono date disponibili» per una visita angiologica. In Piemonte, per un’ecografia della tiroide l’attesa è di 403 giorni. Per una mammografia 427 giorni, 351 giorni un primo appuntamento con il fisiatra. Sono numeri ufficiali, pubblicati nella sezione «amministrazione trasparente» dell’Azienda ospedaliera le Molinette di Torino e aggiornati a giugno 2024 e che non si discostano rispetto ai dati delle altre realtà pubbliche.
La conferma viene dall’indagine sulle liste d’attesa e i Centri unici di prenotazione regionali, realizzata da Cittadinanzattiva: «I dati messi a disposizione dalle singole Regioni sono disomogenei e di difficile consultazione» e solo 9 Regioni su 20 forniscono l’aggiornamento a giugno 2024, fra cui Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria, Valle d’Aosta, Umbria, Friuli, Calabria e Alto Adige, più alcune Asl della Lombardia. Le restanti dieci Regioni, invece, forniscono dati fermi a maggio. Bandiera nera è il Molise, la cui statistica si ferma al 2023. L’omogeneità dei dati, un chiodo su cui Agenas e la Corte dei Conti hanno più volte battuto, è uno dei problemi che il decreto legge “anti liste d’attesa” del ministro della Salute, Orazio Schillaci, punta a risolvere, anche se non sarà affatto semplice intervenire a livello centrale su una materia che è prettamente di competenza delle Regioni. Di più, i dati non sono confrontabili: «Alcune Regioni offrono la percentuale delle visite effettuate nei tempi stabiliti dalla classe di priorità indicata nella ricetta medica; altre i giorni di attesa medi previsti; altre ancora la prima data disponibile, come fanno alcune Asl dell’Abruzzo», scrive il report di Cittadinanzattiva.
L’indagine si è poi focalizzata sull’analisi dei tempi di attesa, Tda, per sei prestazioni (visita cardiologica; pneumologica; ginecologica; oncologica; ecografia addome completo; mammografia). «Da Nord a Sud c’è una generalizzata difficoltà nel rispetto delle tempistiche previste dalle diverse classi di priorità. Ogni area d’Italia ha Regioni con andamenti che si possono definire buoni e altre tempistiche rispettate con una percentuale al di sotto del 20%, che risultano inaccettabili». Ad esempio, l’Asl di Pescara, che ha per lo più risultati buoni di rispetto dei tempi attorno al 90%, per tutte le visite da erogare entro i 10 o entro i 30 giorni mostra il fianco sul fronte delle visite programmabili, dove solo tre cittadini su 10 riescono a prenotare un’ecografia addome completo entro i 120 giorni. In Umbria solo un cittadino su tre riesce a prenotare un’ecografia addominale stando nella prescrizione dei 10 giorni, mentre per la visita oncologica i risultati sono molto migliori. Nella Asl di Bari in Puglia solo 9 cittadini su cento possono prenotare una visita pneumologica in classe B, ciè da effettuare entro i 10 giorni e non va meglio per gli esami cardiologici a Lecce.
Nonostante gli sforzi, non c’è stato un sostanziale miglioramento rispetto al luglio 2023. «Abbiamo confrontato i risultati odierni con quelli ottenuti nella precedente indagine, svolta esattamente un anno fa in Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia e Puglia: c’è un sostanziale equilibrio tra miglioramenti e peggioramenti, dimostrando come la situazione sia più o meno rimasta la stessa».
A fronte di alcuni miglioramenti – cresce del 25% la percentuale di pazienti che all’Asl Roma 4 riesce a ottenere una visita cardiologica in tempi brevi, migliora nettamente anche l’Asl di Bari per i Tda della mammografia (più 53%), e la pneumologia nell’Ausl Emilia Romagna (più 55%) – si registrano dei consistenti peggioramenti: 427 giorni all’As Ligure 3 per una visita cardiologica di classe P, rispetto ai 6 necessari nel 2023; erogate appena il 42% delle visite pneumologiche in classe B nell’ASL Viterbo rispetto al 100% dell’anno precedente; nell’Ausl di Parma si registra una riduzione del 12% nel rispetto dei tempi di attesa per una visita cardiologica.
Sorprendono i dati della Calabria dove, a fronte di tante criticità segnalate dai cittadini, i tempi indicati nella piattaforma regionale mostrano una situazione di quasi eccellenza. Delle due l’una: o i calabresi non provano neppure a richiedere una visita in loco e si spostano altrove, oppure il dettaglio fornito online non è esaustivo o omogeneo rispetto ad altre realtà. Cittadinanzattiva promette ulteriori verifiche per approfondire.
Veniamo ora alla fase di prenotazione e ai tentativi di contatto dei Cup: «Ogni Regione ha un Centro unico di prenotazione, ma risultano essere centralizzati per 13 Regioni, mentre sono divisi per territorio nelle restanti sette (Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Veneto, Sardegna e Toscana), con altrettanti diversi numeri telefonici», afferma il report. I tempi di attesa al telefono sono di soli 2 minuti e 15 secondi per il Lazio; un’attesa massima di 3 minuti per Lombardia, Puglia, Sardegna, Campania e Basilicata. «Nelle altre regioni invece il tempo di attesa è variato dai 3 minuti e 20 secondi del Veneto, fino agli oltre 18 minuti per la Liguria. inoltre, nonostante diversi tentativi, non si è riusciti a ottenere risposta dai Cup di Toscana, Valle d’Aosta e Friuli, a causa dell’elevato traffico telefonico».
(da lespresso.it)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
LE DONNE NORMALI I VIAGGI TURISTICI ALLE FIGLIE LE PAGANO CON TANTI SACRIFICI
Le donne in Italia, checché ne dica la presidente del Consiglio, non mangiano brioche e difficilmente ne mangeranno in futuro. In una lunga intervista rilasciata a Chi, fresca di un viaggio in Cina in compagnia della figlia Ginevra, Giorgia Meloni ha toccato, tra altri temi, quello della condizione femminile in merito a maternità e occupazione. Ha detto che “meglio di così non potevo fare” e si è promossa a pieni voti; ma i dati ci rivelano uno scarto tra la propaganda meloniana e la realtà italiana. Quella che vivono quotidianamente coloro che dalla prima presidente del consiglio forse si aspettavano di più.
Quando Alessandra Bocchetti commentò, all’indomani dell’elezione della prima presidente del Consiglio; “ha rotto il soffitto di cristallo ma i cocci cadranno in testa alle italiane” fu preveggente. Dopo due anni, riprendendo quella illuminante metafora, si potrebbe dire che “ci cadono i vetri sulla testa e Giorgia Meloni ci dice che piove”. In un passaggio dell’intervista, la presidente del Consiglio elenca tutte le misure prese dal suo governo per sostenere la maternità e l’occupazione femminile: in realtà si tratta di bonus e ritocchini che non risolveranno i problemi strutturali che mettono le donne – e in particolare le madri single – a rischio di disoccupazione e povertà.
Linda Laura Sabbadini, statistica ed esperta degli studi di genere, due mesi fa così commentava su Repubblica il divario tra uomini e donne: “La Banca d’Italia aveva indicato che per contrastare la bassa occupazione femminile si doveva rafforzare la disponibilità di servizi per l’infanzia e per gli anziani non autosufficienti, favorendo il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli e promuovendo il reinserimento professionale delle donne che hanno lasciato il lavoro da tempo”.
Il lavoro di cura divora il tempo delle donne e ne ostacola l’autonomia economica. I congedi per paternità obbligatori restano inchiodati a 10 giorni. Per molte lavoratrici precarie, scegliere di avere un figlio vuol dire un licenziamento certo. I fringe benefit sono a discrezione dell’azienda e hanno il tetto di 2mila euro. L’asilo è gratis ma solo per il secondo figlio, il bonus resta precluso alla stragrande maggioranza delle coppie che scelgono di mettere al mondo un solo figlio e che affrontano difficoltà perché gli stipendi in Italia sono fermi da più di vent’anni. Se n’è accorto persino Flavio Briatore.
La child penalty pesa sulle più giovani e l’incremento occupazionale riguarda soprattutto le donne con più di 50 anni. Si è molto lontani dagli obiettivi che Linda Laura Sabbadini indicava in un secondo articolo, criticando le scelte di Meloni: “dallo sviluppo di servizi di qualità per infanzia, anziani e disabili e misure per favorire una redistribuzione dei carichi di lavoro familiare all’interno della coppia. Tutt’altre priorità si è dato il governo Meloni fino a oggi. Sui servizi per l’infanzia la reintegrazione dei fondi del Pnrr ‘provvisoriamente’ tagliati sugli asili nido non è stata fatta. Siamo sempre al 28% di bimbi iscritti al nido, di cui la metà in nidi privati e con tasso di copertura molto eterogeneo a livello territoriale, con il Mezzogiorno penalizzato”.
In un contesto come questo, così svantaggioso e difficile per le madri lavoratrici, la scelta di portare la figlia con sé nel viaggio in Cina non è una sfida culturale, ma l’esibizione di un privilegio precluso alle altre donne. Una abile propaganda sulla sua immagine, qualcosa che si può ammirare o invidiare, come quando si guarda alla vita agiata di una qualunque influencer.
Là fuori nel mondo reale le donne continuano a fare i salti mortali per conciliare lavoro e cura dei figli, spesso pietendo la benevolenza delle aziende per un cambio turno, o un part time, o allattando nel retro di un bar perché il proprietario non concede permessi, forte del ricatto di un contratto precario.
C’è anche una bizzarra contraddizione tra la scelta di farsi chiamare “il presidente del Consiglio” come se fosse un uomo, e legare la sua immagine pubblica al ruolo materno. Giorgia Meloni valorizza la madre ma svalorizza la donna restando coerente con le politiche familiste che mettono al centro il ruolo procreativo e non i diritti e la libertà delle donne.
La declinazione dei nomi al femminile non è affatto una banalità se ha allarmato così tanto Manfredi Potenti, un deputato della Lega, dal correre ai ripari con una proposta di legge per vietare il genere femminile negli atti pubblici. Meloni non snobba solo la declinazione al femminile, ma anche le quote rosa come se fossero un comodo scivolo verso il successo; mentre spiega all’intervistatrice quali sarebbero le vere battaglie, non denuncia mai con forza le discriminazioni che continuano ad ostacolare i progetti e i sogni delle donne e non ne rivendica i diritti. Da questo punto di vista, è una leader estremamente rassicurante per gli uomini del suo partito, tanto legati ad un conservatorismo reazionario che ha in odio il femminismo.
Il Global Gender Gap Report ha pubblicato nel 2024 la nuova classifica, l’Italia è scesa al 111esimo posto nella partecipazione delle donne alle attività produttive e indietreggia anche in altri settori; il divario tra uomini e donne, negli ultimi due anni, si è amplificato. Le donne in Italia non mangeranno brioche e, con buona parte di loro, Giorgia Meloni ha già scavato un solco. Lo fece fin dall’inizio, quando si disse donna, madre e cristiana. Le altre, le atee, le straniere, quelle che abortiscono, quelle che non vogliono essere madri, le femministe e chissà quali e quante ancora rimangono fuori dal suo roseo orizzonte.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
A REGGERE LA BARACCA SONO I CARTONI AL BOTTEGHINO E LO STREAMING, CHE HANNO PERMESSO ALL’AZIENDA DI REGISTRARE RICAVI PER 23,2 MILIARDI DI DOLLARI…MA IL QUADRO CONTRASTANTE HA FATTO CROLLARE DEL 2,1% LE AZIONI IN BORSA
Luci e ombre per Disney nell’ultimo trimestre: se ha registrato ricavi migliori del previsto e un primo profitto nel settore streaming, i suoi parchi a tema sono sotto pressione. Un quadro contrastante ha fatto crollare le sue azioni del 2,1% nelle contrattazioni mattutine a Wall Street. Il gigante dell’intrattenimento ha registrato ricavi per 23,2 miliardi di dollari, superando le proiezioni di 23,1 miliardi di dollari secondo gli analisti intervistati, mentre i profitti complessivi hanno raggiunto i 2,6 miliardi di dollari.
“Questo è stato un trimestre forte per Disney, guidato da ottimi risultati sia nel segmento Entertainment sia al botteghino”, ha dichiarato l’amministratore delegato, Bob Iger, in una nota. Quanto al settore streaming, che comprende Disney+, Hulu ed ESPN+, la società ha registrato un utile operativo di 47 milioni di dollari. Restano invece al palo i parchi a tema, con ricavi operativi inferiori alle previsioni a causa “dei costi più elevati guidati dall’inflazione, dall’aumento della spesa tecnologica e dalle nuove offerte per gli ospiti”.
“Ci aspettiamo di vedere un fatturato piatto” nel quarto trimestre per i parchi a tema, ha detto il direttore finanziario della Disney Hugh Johnston in una conferenza stampa, sottolineando tuttavia che “il rallentamento è stato più che compensato dal settore dell’intrattenimento”. A trainare i buoni risultati in questo ambito è stato Inside Out 2, diventato il film d’animazione con il maggior incasso di tutti i tempi. E questo ha rafforzato anche aree come la vendita di contenuti, le licenze e le iscrizioni a Disney
(da agenzie)
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Agosto 8th, 2024 Riccardo Fucile
A SORPRESA ENORMI FOLLE IN PIAZZA PER PRESIDIARE E CONTRASTARE LA FECCIA, ANNICHILITI I RAZZISTI CHE NON SI SONO PRESENTATI O SONO SCAPPATI
Non solo proteste anti-immigrazione nel Regno Unito. Alle violenze e agli atti di vandalismo degli estremisti di di destra, che nei giorni scorsi hanno causato disordini nelle strade di tante città inglesi, hanno risposto i cittadini con una grande mobilitazione.
Ieri la polizia aveva previsto altre manifestazioni dell’estrema in decine di località del Regno Unito, ma alla fine non si sono verificate, grazie ai manifestanti pacifici contro il razzismo che si sono presentati in massa. La polizia si era preparata a un’altra notte di violenza in 100 località, dopo una settimana di tumulti alimentati dalla disinformazione e dalle fake news sull’attacco a Southport, in cui sono state uccise 3 bambine, in una scuola di danza il 29 luglio scorso. Le proteste violente erano partite infatti dalla diffusione di una falsa notizia sull’identità dell’attentatore, indicato come un immigrato musulmano appena sbarcato nel Regno Unito. In realtà l’omicida, Axel Muganwa Rudakubana, è nato nell’agosto del 2006 a Cardiff, nel Galles, da genitori provenienti dal Ruanda. Ma la fake news sulla sua identità è stata un pretesto per scatenare l’odio razziale, e per assaltare letteralmente moschee e centri che ospitano migranti.
Stand up to Racism e altri gruppi contro il razzismo avevano pianificato contro-proteste in risposta, ma nella maggior parte dei luoghi i militanti di estrema destra non si sono presentati. A Londra, Bristol, Oxford, Liverpool e Birmingham, grandi folle pacifiche si sono radunate fuori dalle agenzie e dagli studi legali specializzati in immigrazione che erano stati indicati nelle chat online come possibili obiettivi delle proteste di estrema destra.
Al grido di “fermiamo l’estrema destra”, migliaia di persone ieri sera si sono riversate in strada in molte città britanniche per opporsi alle rivolte. La risposta all’omicidio delle tre bambine è stata una spontanea mobilitazione delle forze xenofobe e anti immigrazione, soprattutto islamofobe, in tutto il Paese. Ieri erano state convocate nuove manifestazioni, e il premier Keir Starmer aveva mobilitato migliaia di agenti di polizia, ma le contromanifestazioni hanno impedito di fatto che ci fossero nuovi disordini e violenze, che i rivoltosi avevano promesso di indirizzare ancora una volta verso moschee e centri di accoglienza dei migranti.
Nel Nord-Est di Londra, dove era prevista una manifestazione di estrema destra a Walthamstow, diverse migliaia di residenti e attivisti dell’associazione Stand Up To Racism hanno mostrato cartelli con le scritte “Stop all’estrema destra” e “I rifugiati sono i benvenuti”.
La polizia di Londra ha ringraziato le comunità “per essersi riunite nella capitale e aver mostrato spirito comunitario”. Anche a Birmingham centinaia di persone si sono radunate davanti a un centro di assistenza per migranti preso di mira dalle proteste anti-immigrazione. Gli slogan dei contro-manifestanti erano “Diciamolo forte e chiaro, qui i rifugiati sono i benvenuti” e “Il fascismo non è il benvenuto”.
A Brighton, secondo la polizia, 2.000 persone hanno preso parte a una manifestazione pacifica. Altre contromanifestazioni si sono svolte a Bristol, Liverpool (vicino alla sede di un’associazione di aiuto ai richiedenti asilo), Sheffield, Newcastle e Oxford (centro), e si sono concluse pacificamente.
Poche le tensioni che sono comunque esplose a Aldershot dove l’agenzia PA riferisce che la polizia è dovuta intervenire tra attivisti antirazzisti e un gruppo di persone che gridavano “Fermate le barche”, in riferimento ai migranti in arrivo.
(da Fanpage)
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