Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
IL PREZZO DI UNA CAMERA PER UNA NOTTE A MASSERIA BENEFICIO, A CEGLIE MESSAPICA, È DI 1.370 EURO… LA TRIBU’ MELONI HA AFFITTATO L’INTERA STRUTTURA, CHE DI STANZE NE HA SEI… C’È CHI IPOTIZZA UNO SCONTO: “MAGARI NEGLI ANNI È DIVENTATA AMICA DEL PROPRIETARIO”
Una notte a Masseria Beneficio costa 1.370 euro. È questo il prezzo di una camera nella struttura fra Ceglie Messapica e Villa Castelli – il prezzo più basso, fra l’altro – nella quale sta soggiornando la presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni. È una cifra che si rintraccia sui siti internet dedicati all’ospitalità, anche se non è semplice trovare disponibilità nella struttura.
Di camere, Masseria Beneficio ne ha sei, e quindi moltiplicando quel prezzo base si può dire che l’intera struttura, per una notte, costa più di ottomila euro. La premier è in vacanza lì dall’11 agosto, dovrebbe ripartire oggi, e con lei ci sono la figlia Ginevra, l’ex compagno Andrea Giambruno, la sorella Arianna e il marito ministro Francesco Lollobrigida, il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato con moglie e figlie.
L’edificio è tutto per loro, in modo tale che gli standard di sicurezza e privacy vengano rispettati, e che non ci sia spazio per altri ospiti. Da lì dentro però Giorgia Meloni non esce, ed è difficile che lo faccia per fare una passeggiata a Ceglie Messapica e fermarsi a chiacchierare con la gente. Perché Masseria Beneficio è ormai il suo buen retiro pugliese, ha tutto quello di cui ha bisogno per starsene appartata.
Sorge in un luogo particolare: a ridosso di un’immensa cava, in attività, e sia questa che il resort appartengono ad Andrea Chirulli. Lui è un imprenditore che è partito giovanissimo solo con una pala meccanica, e che adesso ha in mano un impero che comprende una cava di proprietà e appalti pubblici, si occupa di costruzioni e rifacimento strade. Masseria Beneficio è il suo gioiellino, a due passi dalla cava.
E anche per questo motivo il resort non è sempre aperto: “Prima si poteva prenotare una camera singola – racconta qualcuno a Ceglie Messapica – da un paio d’anni, invece, apre solo per eventi o matrimoni, o consente l’affitto dell’intera struttura, proprio perché lì vicino c’è la cava, e dato che è attiva i suoi rumori potrebbero rovinare il soggiorno degli ospiti”.
Certo, forse la connessione internet non funziona benissimo, e qualcuno ha segnalato l’arrivo in masseria di tecnici, l’altro giorno, pronti a risolvere il problema anche perché la premier, fra ulivi e piscina, sta comunque lavorando. Mentre negli ultimi giorni in tutta Ceglie ci sono stati blackout.
E poi lì non c’è un ristorante, e quindi è necessario uscire a fare la spesa -come hanno fatto Gemmato e Giambruno, fotografati al discount – o ordinarla come è successo per le pizze a Ferragosto, per poi mettersi ai fornelli (i mini appartamenti sono dotati di cucina).
A Ceglie Messapica più di qualcuno è curioso di sapere quanto stia pagando per il soggiorno, che facendo i conti – tenendosi bassi con i numeri e valutando il costo della struttura su ottomila euro a notte – dovrebbe superare gli 80mila euro. Non si sa con precisione, ma c’è chi ipotizza: “Magari negli anni è diventata amica del proprietario della cava”.
(da La Repubblica)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
AL 31 MAGGIO 2024 SI CONTANO 385 IMPRESE ANCORA IN LIQUIDAZIONE. E PER 39 GRUPPI LE PROCEDURE SONO IN CORSO DA OLTRE 20 ANNI… I CASI DELL’EX ILVA E DI LA PERLA
Riformare per accorciare i tempi, evitare una lunga e spesso inutile agonia ad aziende sull’orlo del fallimento e, perché no, risparmiare risorse pubbliche. Sono anni che i governi, di qualsiasi estrazione politica, professano l’intenzione di riordinare le procedure di amministrazione straordinaria che tengono in vita decine e decine di imprese decotte e garantiscono lauti compensi a decine e decine di professionisti nella veste di commissari.
Il quadro però – a leggere l’ultimo aggiornamento del ministero delle Imprese e del made in Italy, al 31 maggio 2024 – è ancora ipertrofico, con molti casi di procedure che appaiono infinite, iniziate quando le rispettive leggi di riferimento entrarono in vigore – la legge Prodi bis nel 1999 (Dlgs 270) e il decreto Marzano a fine 2023 (Dl 347) – e oggi ancora, di fatto, aperte.
Le singole società ammesse sono state finora 635 (rispettivamente 365 e 270). Ma ciò che colpisce è soprattutto il numero delle società che risultano ancora in fase di liquidazione, 385 di cui 234 in virtù della Prodi bis e 151 sulla base del decreto Marzano. In pratica, oltre il 60% del totale. La procedura si è chiusa invece per 71 società nel primo caso e 87 nel secondo. I fallimenti sono, rispettivamente, 55 e 1.
Di contro, le società che risultano in esercizio di impresa sono solo cinque con la Prodi bis e 31 con la Marzano. Si tratta di imprese riconducibili a dieci gruppi. I più noti sono Ilva e Acciaierie d’Italia (nota a sua volta come ex Ilva), commissariate con la Marzano così come Piaggio Aero Industries, Blutec, Condotte d’Acqua. E poi, in base alla Prodi bis, anche Abramo, Istituto di vigilanza Ancr, Fimer e Work Service, La Perla.
Le tabelle del ministero consentono di ricostruire anche una statistica delle amministrazioni più lunghe, quelle che sembrano non vedere mai il traguardo. Su 137 procedure di gruppi aziendali della Prodi bis, 36 sono in corso da almeno 20 anni, 87 da almeno 15 anni e 115 da almeno 10 anni.
La velocità di esecuzione non sembra molto diversa nel caso del decreto Marzano, pur con la dovuta proporzione dei numeri. Qui, su 31 procedure di gruppi di impresa, 12 si trascinano da almeno 15 anni e 21 da almeno dieci anni. Un posto nella storia se lo sono guadagnate la vicenda Parmalat, con quattro società su 70 che risultano in amministrazione straordinaria dopo 21 anni, e Bongioanni con 14 su 21 dopo 24 anni.
Il caso dell’azienda di lingerie La Perla, tra i più recenti esempi di un marchio made in Italy che scivola inesorabilmente verso l’amministrazione straordinaria, ha riaperto il dibattito su possibili modifiche legislative. Già in diverse occasioni precedenti, ne aveva parlato il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, facendo riferimento a un riassetto da mettere a punto in tandem con il ministero della Giustizia.
Alcuni parziali interventi, in verità, sono stati introdotti nel Dl sulle procedure di amministrazione straordinaria per le imprese a carattere strategico – quello varato d’urgenza per salvare l’ex Ilva nel pieno dello scontro con ArcelorMittal – ma appaiono per ora ritocchi non risolutivi. Il decreto legge ha stabilito tra l’altro che, nei casi di programma di cessione dei complessi aziendali interamente portato a termine nei tempi, il commissario straordinario possa chiedere al tribunale la conversione dell’amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale o, per le start-up innovative, in liquidazione controllata.
Sul tourbillon degli incarichi, invece, al momento fa fede una direttiva ministeriale replicata quasi integralmente nel 2023 da Urso dopo quella pubblicata nel 2021 dal suo predecessore Giancarlo Giorgetti. Ogni anno si apre una procedura di candidatura online per ricoprire gli incarichi di commissario giudiziale, commissario straordinario, presidente e membro dei comitati di sorveglianza delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.
E i professionisti precedentemente iscritti sono tenuti a presentare una nuova domanda per restare negli elenchi. Il tentativo è stato anche quello di arginare le prestazioni lunghe quasi una carriera.
(da agenzie)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
PER LA SPESA PENSIONISTICA NON SI SCAPPA DALLE “RACCOMANDAZIONI” DI BRUXELLES… LA LEGA PROPONE DI DESTINARE AI FONDI PRIVATI IL 25% DEI TFR DEI LAVORATORI (UN’IDEA DELIRANTE, VISTO CHE I FONDI PRIVATI HANNO PERSO VALORE IN MODO VERTIGINOSO)
Il tempo delle grandi battaglie contro la riforma Fornero è finito, quello dei programmi elettorali di partito e coalizione che ne promettevano lo smontaggio pure, la destra di governo sulle pensioni ha fatto poco e ora farà anche meno, mezzo miliardo in meno pare: la spesa pensionistica è l’ossessione della Commissione Ue e, con l’entrata in vigore del nuovo Patto di Stabilità, tornano ad avere una certa cogenza le “raccomandazioni” di Bruxelles.
Le ultime dicono che la spesa previdenziale sta aumentando troppo, dinamica “ulteriormente aggravata dai programmi di pensionamento anticipato”: bisogna lasciar lavorare la “riforma del 2011” (Fornero), che produrrà risparmi “a condizione che venga attuata integralmente, anche limitando i regimi di pensionamento anticipato”.
È proprio quello che il duo Meloni&Giorgetti s’appresta a fare, stringendo ancor più le viti già strette l’anno scorso, mentre Matteo Salvini continua a promettere, come ieri, di “aiutare l’uscita dal mondo del lavoro per chi non ce la fa più, superando i vincoli della legge Fornero”.
La seconda metà d’agosto è quella in cui inizia a girare il pallottoliere del Tesoro per la manovra d’autunno: quest’anno girerà vorticosamente anche perché bisogna consegnare alla Commissione europea il piano di consolidamento settennale previsto dalle nuove regole fiscali europee.
Il risultato è che i vari meccanismi di uscita anticipata saranno ulteriormente depotenziati, finendo per sparire in un paio d’anni: in soldi significa che il capitolo previdenza dovrebbe perdere circa 500 milioni nel 2025, quasi dimezzandosi. Ottenere quel risparmio è semplice: basta stringere i criteri d’accesso o rendere ancora meno conveniente di oggi andare in pensione.
In generale le uscite anticipate dal lavoro sono già crollate per effetto dell’ultima legge di Bilancio. L’Ape sociale ad esempio – che riguarda disoccupati, invalidi civili e addetti ai lavori gravosi – è ridotta ai minimi termini, come pure Opzione donna, destinata alle lavoratrici con 61 anni d’età, 35 di contributi e in situazione di disagio familiare accertato (ha riguardato solo 2 mila persone nel primo semestre 2024).
L’anno prossimo le maglie saranno anche più strette, destino che toccherà pure a “Quota 103” (62 anni di età e 41 di contributi), che sarà confermata ma probabilmente con ulteriori penalizzazioni. Il ministro Giancarlo Giorgetti preferisce semmai premiare “i meritevoli”, quelli che restano al lavoro più a lung
A breve, insomma, in campo resterà solo la legge Fornero, che la destra prometteva di abolire (“flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione”, recita il programma di coalizione del 2022). Il partito che più si era esposto sul tema, come detto, è la Lega, che in queste settimane prova a trovare una strada per evitare la figuraccia.
Destinati a finire i vecchi meccanismi, al Tesoro hanno già bocciato “Quota 41” che è la proposta base del Carroccio per superare la Fornero: pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età (oggi è 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne). Problema: costa 9 miliardi l’anno a regime.
C’è pure la versione “light” con l’assegno calcolato tutto col metodo contributivo, quello in vigore per i versamenti post-1996: il risultato, però, sarebbe un taglio del 20% medio delle pensioni erogate…
Ben due sottosegretari leghisti – Claudio Durigon (Lavoro) e Federico Freni (Economia) – hanno buttato lì che è ora di “rompere il tabù” e obbligare i lavoratori a cedere il 25% del loro Tfr alla previdenza complementare: così la pensione di chi oggi è giovane, dicono, non sarà proprio da fame.
Idea bizzarra visto che si tratta di una partita di giro dalla dubbia legittimità (la legge sancisce il diritto di scelta) e nella quale il lavoratore rischia di perdere soldi: gli si prende un 25% di salario differito (il Tfr) per ridarglielo un po’ al mese, ma con una rivalutazione che potrebbe essere meno conveniente rispetto alla liquidazione.
I soldi gestiti dai vari fondi pensione, in questi anni di alta inflazione, hanno perso valore in modo vertiginoso, mentre il Tfr – che è rivalutato al 75% dell’inflazione per legge – ha di fatto tenuto. Il favore, così, lo si fa solo ai colossi del risparmio gestito, cui evidentemente non bastano ad aumentare la leva i trucchetti (tipo il silenzio-assenso) con cui si accaparrano i soldi dei lavoratori.
(da il Fatto quotidiano)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
RITARDI E LAVORI ANCORA IN CORSO NELLE STRUTTURE DI GJADER E AL PORTO DI SHENGJIN MENTRE LE STIME DI 3.000 ARRIVI AL MESE SONO GIA’ STATE RIDOTTE A 1.000
“Ndal! Zonë ushtarake”. Il cartello circondato dal filo spinato recita in albanese “Stop! Zona militare”. Così si presenta Gjader, ex base militare, 70 chilometri a Nord di Tirana.
§Qui sta sorgendo uno dei due centri di accoglienza per migranti previsti dal controverso protocollo tra Italia e l’Albania. L’altro centro si trova poco più a Sud all’interno del porto di Shengjin. L’accordo firmato dalla premier Meloni e dal primo ministro Rama lo scorso novembre a Roma prevede ogni anno nel paese dei Balcani l’arrivo di 36.000 migranti recuperati dalle navi italiane.
I lavori sono iniziati in primavera e dopo numerosi ritardi, forti critiche e costi lievitati (si sfiora il miliardo di euro) l’operazione sarebbe pronta a partire.
Quando visitiamo i due siti siamo i primi giornalisti. Superato il primo check point arriviamo all’ingresso di un’area da 70.000 metri quadrati. La costruzione procede a rilento e Meloni, dicono, sia «furiosa»: si sta giocando la reputazione. Ci sono stati già tre rinvii. «Colpa del caldo e del terreno difficile, ma ormai ci siamo», taglia corto all’ingresso l’Ambasciatore d’Italia in Albania Fabrizio Bucci.
Accatastati sul terreno, decine di infissi nuovi di zecca. Porte, finestre, pareti divisorie, tutto ancora imballato. La montagna che sovrasta l’area sta andando a fuoco e siamo immersi nel fumo. «C’era un incendio che però è stato domato, merito di due nostri canadair», rassicura l’Ambasciatore Bucci.
Prima di entrare, il responsabile della sicurezza ci ferma per illustrare le regole da seguire. «Il cantiere è ancora attivo», spiega. Superato il pesante cancello, e accompagnati da alcune delle centinaia di agenti dell’unità interforze impiegata sul posto (Polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria), seguiamo un sentiero, l’unico minimamente asfaltato, e superiamo ruspe, mezzi pesanti e prefabbricati smontati.
La prima delle tre zone attese a Gjader è quella che ospiterà i richiedenti asilo a cui viene applicata la procedura accelerata di frontiera. La prefettura di Roma (da remoto) avrà 28 giorni per valutare le domande. Riusciamo a vedere le stanze che ospiteranno i migranti: 15 metri quadrati per 4 persone. L’interno è spoglio e l’elettricità non ancora collegata. Nell’area docce ci sono indicazioni tradotte in italiano, inglese e francese. Poco distante, il centro per il rimpatrio e infine un mini-penitenziario dipinto di blu con porte e finestre blindate.
Il contesto ricorda il Piano Ruanda dei conservatori britannici, poi fallito e mai applicato. «Il paragone è inappropriato, le due idee sono diverse. Qui applichiamo la legge italiana, anche se siamo in Albania. E comunque la legislazione albanese è ormai equiparabile a quella europea», precisa l’Ambasciatore.
Nelle intenzioni del governo italiano, prima di raggiungere Gjader, i migranti dovrebbero sbarcare a Shengjin. Ci spostiamo quindi verso la costa, dove in un’area di 6.000 metri quadrati con 4 edifici a 2 piani protetti da un muro alto 5 metri avverrà lo screening iniziale e la prima identificazione.
Il dirigente della Polizia di Stato Evandro Clementucci, a capo di Shengjin, ci aspetta nella sala di controllo dove si possono monitorare le 36 telecamere a circuito chiuso. Clementucci spiega che solo gli uomini single recuperati in acque internazionali arriveranno qui.
Non chi viene salvato dalle navi delle Ong o chi riesce a raggiungere direttamente la costa italiana. Inoltre, solamente i cittadini di Paesi considerati sicuri dal governo (come Tunisia, Egitto, Algeria, Nigeria, Marocco e Bangladesh) potranno sperare in un’opportunità, perché, in caso di domanda respinta, almeno potranno essere rimpatriati. L’accertamento delle nazionalità avverrà direttamente in mare, appena concluso il salvataggio, spiegano.
A Shengjin è al lavoro uno staff di 70 persone, tra operatori privati e ufficiali della polizia. Alcuni investigatori avranno il compito di catturare eventuali scafisti. I migranti che giungono qui dovranno sottoporsi a una valutazione sanitaria e gli sarà fornito cibo, acqua e vestiti, oltre a un’assistenza legale.
La capacità di entrambi i centri avrebbe dovuto essere di 3.000 migranti al mese, ma da quello che apprendiamo qui sarà di 1.000 persone.
I migranti che otterranno l’asilo saranno trasportati in Italia tramite dei traghetti. Un portavoce della Commissione europea comunica che l’Unione sta «monitorando» il piano italiano: «È importante che sia pienamente rispettato il diritto dell’Ue e quello internazionale».
Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie del Pd, definisce il protocollo «un atto osceno sul piano civile e sociale». Per Riccardo Magi, segretario di Più Europa, si sta costruendo una «Guantanamo italiana che non rispetta i diritti umani e le leggi internazionali».
(da l’Espresso)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
IL GOVERNO, SEMPRE PIU’ IN DIFFICOLTÀ SUI TEMI CALDI DELL’AGENDA POLITICA (FINANZIARIA, PNRR, PATTO DI STABILITÀ, MES, ETC.) AUMENTERÀ GLI ATTACCHI CONTRO SINISTRA E MAGISTRATURA MA ANCHE CONTRO GLI OPPOSITORI INTERNI. FORZA ITALIA E LA FAMIGLIA BERLUSCONI SONO AVVISATI
Lo schema utilizzato per il caso Arianna-Renzi, con la sponda dei giornali amici di destra che evocando complotti e indagini della magistratura contro la sorella della premier Giorgia Meloni hanno alzato ancora di più il livello della tensione, è solo la prova generale.
La prova generale del nuovo corso comunicativo che hanno intenzione di lanciare dalle parti di Palazzo Chigi contro i «nemici» esterni, sinistra e magistratura, ma anche interni alla maggioranza.
Nel fortino dove sempre più si sentono assediati la presidente del Consiglio e il suo cerchio magico, dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari alla sorella Arianna passando per il ministro-cognato Francesco Lollobrigida, si pensa a un cambio di passo «mediatico» a pochi mesi dal giro di boa di questa legislatura ed esperienza di governo: proprio nel momento più difficile, quando la luna di miele delle promesse va scemando e inizia quella delle risposte vere ai problemi del Paese con conseguenti tensioni anche nella coalizione di governo, come si sta registrando in questa estate dove fioccano le proposte fuori «programma » di Lega e Forza Italia.
«Adesso va messo un limite a difesa di Giorgia, Arianna e del governo, chi lo oltrepassa sarà attaccato senza peli sulla lingua e senza remore », dice un deputato meloniano molto vicino al fortino in questione.
Lo schema utilizzato dopo gli attacchi di Renzi sul ruolo, o presunto tale, giocato dalla sorella della premier Arianna Meloni nelle nomine del governo è stato molto chiaro: prima il via libera a due senatrici, non di primo piano, che hanno firmato comunicati durissimi contro Renzi e la presidente dei senatori renziani Raffaelle Paita, con quelle frasi sulla «muta di cani» al servizio di «un boss di provincia ».
Poi l’articolo sull’imminente arrivo di un’indagine della magistratura nei confronti di Arianna Meloni firmato da Alessandro Sallusti, direttore de il Giornale, quotidiano entrato dopo la cessione delle quote della famiglia Berlusconi nella galassia del re delle cliniche e della stampa di destra, Antonio Angelucci: deputato della Lega, sulla carta.
E dopo l’articolo un’altra ondata di note e comunicati durissimi da parte di deputati e senatori di Fratelli d’Italia a difesa della sorella della premier: ieri se ne contavano almeno una quindicina e quasi la metà riportava parole su un attacco alla «democrazia» in corso nel Paese da parte di sinistra e magistratura. Alimentando il sospetto di una regia unica in casa Fratelli d’Italia, dove la comunicazione da sempre è considerata argomento delicato e per questo gestita solo dagli uffici stampa dei gruppi meloniani alla Camera e al Senato in stretto raccordo con Palazzo Chigi.
«Adesso la pazienza è finita, anche Giobbe l’ha persa a un certo punto, dobbiamo reagire», ha detto un meloniano di peso ad alcuni deputati. Nei prossimi mesi, insomma, lo schema visto in questi giorni sarà replicato, considerando anche il sostegno mediatico sulla quale può contare Palazzo Chigi: solo la galassia Angelucci oggi raccoglie oltre il Giornale anche Libero, diretto dall’ex portavoce della premier Mario Sechi, e il Tempo. Renzi insomma rischia di essere solo il primo della lista, ma il messaggio lanciato in questi giorni non è solo all’opposizione che «se supera il limite» sarà adeguatamente redarguita, ma anche nei confronti della maggioranza e del mondo che vi gravita.
A partire da Forza Italia di proprietà della famiglia Berlusconi.
(da La Repubblica)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
IL LUNGO POST SUL SUO BLOG DAL TITOLO “IL NOSTRO DNA”
Il Movimento 5 stelle si è sempre ancorato “a tre pilastri imprescindibili: il nostro simbolo, il nostro nome e la regola del secondo mandato”. A scriverlo, in un lungo post intitolato “Il nostro Dna”, è Beppe Grillo.
Grillo si rivolge ai “cari attivisti, portavoce e sostenitori del MoVimento 5 Stelle” e spiega: “Questi tre nostri pilastri non sono in nessun modo negoziabili, imprescindibili e non possono essere modificati a piacimento. Sono il cuore pulsante del MoVimento 5 Stelle, il nostro faro nella tempesta. Cambiarli significherebbe tradire la fiducia di chi ha creduto in noi, di chi ha lottato con noi, di chi ha visto nel MoVimento l’unica speranza di cambiamento reale”.
Il simbolo del Movimento 5 stelle
A proposito del simbolo, Grillo scrive che “non è solo un segno grafico, è un richiamo al cambiamento, è l’emblema di un’intera rivoluzione culturale e politica, la bandiera sotto cui milioni di italiani hanno marciato con noi. È il vessillo sotto il quale milioni di cittadini si sono riconosciuti e con il quale abbiamo combattuto battaglie importanti; da cui sono nate idee, valori e speranze condivise, è il segno visibile della nostra lotta per la trasparenza, la giustizia e la partecipazione. Un partito politico non dovrebbe mai cedere alla tentazione di mutare il proprio simbolo: è la bussola che orienta il cammino verso il futuro, senza mai tradire il passato”.
Il nome
Grillo poi affronta la questione del nome: “Il nostro nome, MoVimento 5 Stelle, non è solo una sequenza di suoni o lettere – dice -: rappresenta la nostra piena identità, è un nome che racchiude storie, significati e speranze, come il nome di ognuno di noi, sin dalla nostra nascita. Quando pronunciamo MoVimento 5 Stelle evochiamo una connessione, riconosciamo la sua essenza, la sua unicità”. Secondo il comico “Cambiare un nome è come rinunciare a un pezzo di quella magia, a un ponte invisibile che collega chi siamo a chi vogliamo diventare. Nella vita ci possono essere molte trasformazioni, ma il nome rimane un ancoraggio, un richiamo costante alla nostra essenza più vera. MoVimento 5 Stelle è il nome che ci ha guidato verso risultati concreti, difenderlo significa difendere la nostra storia e il nostro diritto di essere riconosciuti per ciò che siamo, ieri, oggi e domani”.
La regola del secondo mandato
E poi c’è la regola del secondo mandato. Grillo afferma: “Era l’8 Settembre del 2007: con il V-Day si avviava la raccolta firme per tre proposte di legge di iniziativa popolare, tra cui l’introduzione di un tetto massimo di due legislature. Da cui tutto ebbe inizio. La politica, nella sua essenza più pura, non deve essere un mestiere ma una nobile missione. Trasformare l’impegno politico in una professione perpetua significa tradire la fiducia dei cittadini e sprofondare nel pantano della mediocrità e dell’opportunismo”.
Per il fondatore del Movimento “limitare i mandati significa restituire al popolo la sovranità che gli spetta, è un presidio di democrazia, impedisce che pochi individui si arroghino il diritto di governare in eterno. Questo ricambio garantisce che la politica sia sempre animata da nuove energie, idee fresche e prospettive diverse, preservando così la sua natura dinamica e democratica. È un argine contro la degenerazione del potere e un invito costante al rinnovamento, per evitare che la politica si trasformi in un recinto chiuso, distante dalle vere esigenze di chi davvero ha bisogno”.
Grillo spiega ancora: “La regola del secondo mandato è un principio che ci distingue, che ci ha resi unici, che ci rende liberi dal potere e dalle sue tentazioni. È la garanzia che il MoVimento rimarrà sempre fedele al suo spirito originario: servire i cittadini e non il potere, con rappresentanti che portano avanti le idee e non le proprie ambizioni personali”.
(da agenzie)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
LA RISPOSTA DEL PARROCO
Il sindaco di Como, Alessandro Rapinese, non è nuovo a dichiarazioni e iniziative che sembrano volte a colpire soprattutto le fasce più deboli della popolazione: a ottobre del 2023 si è rifiutato di accogliere dieci minori stranieri non accompagnati, dicendo “non sappiamo dove metterli”; a luglio scorso ha alzato il prezzo delle mense scolastiche, facendo pagare anche chi ha Isee pari a zero; nel frattempo ha escluso delle graduatorie per gli asili nido i figli di chi è in ritardo con il pagamento della Tari.
Insomma Rapinese non sembra essere mosso, almeno politicamente, dalla compassione. E sembra confermarlo ora che ha attaccato una parrocchia che ha deciso di distribuire colazione gratuite ai senzatetto.
Da ieri, domenica 18 agosto, la parrocchia di Rebbio, quartiere di Como, una delle più attività nella beneficenza, serve colazioni a base di cocco ai senzatetto. “Ho pensato che a causa del calore estivo ci volessero colazioni un po’ tropicali ed allora con l’ausilio di amici ho fatto arrivare dalla Costa d’Avorio 240 quintali di noce di cocco”, ha spiegato don Giusto Della Valle. Ma già durante un consiglio comunale di fine luglio il sindaco Rapinese aveva domandato all’Aula perché “distribuire le colazioni ai senza dimora”, etichettandolo come un esempio di accoglienza indiscriminata.
Secondo quanto riferisce il Corriere della sera, ne era nato un acceso dibattito dentro e fuori il Consiglio comunale, a cui – almeno fino al 17 agosto (il giorno prima dell’inizio della distribuzione) – il parrocco aveva preferito non prendere parte. Ora però ha scritto una lettera ai cittadini in cui scrive: “Ho letto con interesse a pag 13 del giornale la Provincia di Como del 27 luglio scorso la proposta del Sig Sindaco della nostra città di far turnare le parrocchie nella distribuzione delle colazioni alle persone in difficoltà della nostra Como”. E poi aggiunge: “Se passati i dieci giorni avessimo delle rimanenze di cocco siamo disponibili a regalarle al comune di Como, primo responsabile della salute dei suoi cittadini perché continui con le “coccolazioni”. E chissà se, a quel punto, il comune li distribuirebbe oppure no ai bisognosi.
(da Fanpage)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
MACRON? ASPETTA SULLA RIVA DEL FIUME PER COSTRUIRE UNA NUOVA MAGGIORANZA CENTRISTA
Se non ci fosse stata la notizia della scomparsa di Delon, i giornali sarebbero stati dominati tra domenica e lunedì dalla clamorosa lettera alla Tribune di Jean-Luc Mélenchon. Il capo della sinistra della France Insoumise ha chiesto la destituzione di Macron, se non darà l’incarico venerdì alla candidata della sinistra del Nuovo fronte popolare, Lucie Castets.
Una bomba che ha disgregato la coalizione. I socialisti si sono immediatamente dissociati dalla provocazione di Mélenchon, e stamane il leader Raphaël Glucksmann ha tuonato, senza mezzi termini: “Giove e Robespierre, è finita! Bisogna voltare la pagina rispetto a Macron e Mélenchon”.
Il leader del partito arrivato terzo alle elezioni di giugno rompe con gli Insoumis, convinto che, proiettandosi sulle presidenziali del 2027, “sarà la socialdemocrazia, non i succedanei del macronismo o un avatar del populismo di sinistra che potrà affrontare il lepenismo”. Glucksmann ha anche criticato la scelta della sua coalizione di scegliere un nome invece di concentrarsi sul programma.
Nei giorni scorsi anche lei, la candidata del fronte unito di sinistra, socialisti, ecologisti e comunisti, Lucie Castets, ha preso le distanze da Mélenchon, anzitutto rigettato la proposta della destituzione di Macron: “non è il mio tema”, ha sottolineato. Ma a questo punto la trentasettenne difficilmente conquisterà la premiership, nonostante il tentativo, nei giorni scorsi, di allargare il consenso al di fuori del recinto del “”Nuovo fronte popolare”, l’alleanza delle sinistre che può contare su 193 deputati (ce ne vogliono almeno 289 per governare).
La scorsa settimana, Castets aveva scritto ai capi di tutti i partiti dell’Assemblea nazionale – tranne a quelli del Rassemblement national di Marine Le Pen – proponendo “cinque grandi priorità” per il suo programma di governo, “dal potere d’acquisto alla questione sociale”, dal salario minimo a 1.600 euro all’”abolizione della riforma delle pensioni”. Ma quest’ultimo obiettivo è un dito nell’occhio per Macron: il riordino del sistema previdenziale francese è stata una delle riforme-bandiera del suo quinquennato. Ed è no dei motivi per cui molti pensano che l’incarico non sarà mai dato a lei.
In ogni caso, il fatto di cercare una sintesi del programma delle sinistre e di contraddire l’imperativo di Mélenchon – che ha sempre insistito per l’applicazione di “tutto il programma” – è stato interpretato anch’esso come una presa di distanza dallo scatenato capo della sinistra radicale. Che neanche nel suo partito sembra convincere tutti: la capogruppo Mathilde Panot ha sottoscritto la “sintesi” di Castets.
Da giorni, però, girano già nomi alternativi per ottenere quella “maggioranza che sia la più ampia possibile e la più stabile possibile, per il bene del Paese”, come ha chiarito l’Eliseo nell’invito per la convocazione di venerdì. Sui giornali sono spuntati i nomi dell’ex commissario europeo che ha negoziato la Brexit, Michel Barnier; dell’ex premier Bernard Cazeneuve, considerato vicino all’ex premier socialista François Hollande, e per questo già impallinato dagli insoumis; degli ex ministri dell’era all’Eliseo del gaullista e fondatore del Repubblicani, Nicolas Sarkozy: Xavier Bertrand e Valérie Pécresse.
Uno scenario che risponde ai desiderata di Macron, che punta alla “strategia dell’omelette” come ha rivelato Anais Ginori su questo giornale. Ossia a tagliare le estreme, teener fuori la sinistra di Mélenchon e la destra di le Pen e costruire una nuova maggioranza centrista. E il gattopardo all’Eliseo ha già ottenuto che nel suo silenzio, il leader degli insoumis si sia isolato da solo.
(da La Repubblica)
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Agosto 20th, 2024 Riccardo Fucile
HA EVITATO DI CALCARE LA MANO SULLE POLEMICHE DEI PRO-PALESTINA PER L’APPOGGIO DI BIDEN A ISRAELE, E HA ELOGIATO KAMALA HARRIS: “HA LAVORATO PER ASSICURARE UN CESSATE IL FUOCO A GAZA”
Quattro anni fa, i Democratici hanno concesso alla rappresentante Alexandria Ocasio-Cortez di New York 90 secondi scarsi per parlare alla loro convention. Lei li usò per nominare simbolicamente il senatore Bernie Sanders alla presidenza e non fece mai il nome di Joseph R. Biden Jr.
Così, quando Ocasio-Cortez è salita sul palco della convention lunedì sera a Chicago, poco prima di Hillary Clinton, il suo intervento in prima serata ha offerto una vivida dimostrazione di quanto il Partito Democratico e la leader della sua ala progressista si siano avvicinati dal 2020.
Accolta da cori urlanti “A-O-C”, Ocasio-Cortez, socialista democratica che si è fatta conoscere sfidando l’establishment democratico, ha reso un affettuoso omaggio a Biden, ha attaccato Donald J. Trump e ha sostenuto con forza la vicepresidente Kamala Harris come paladina dei lavoratori americani.
“Sappiamo che Trump venderebbe questo Paese per un dollaro se questo significasse riempire le sue tasche e ungere i palmi dei suoi amici di Wall Street”, ha detto Ocasio-Cortez. “E io, per esempio, sono stanca di sentire come un sindacalista da due soldi si consideri più patriota della donna che combatte ogni singolo giorno per sollevare i lavoratori da sotto gli stivali dell’avidità che calpestano il nostro stile di vita”.
Il fragoroso applauso che ne è seguito sarebbe stato impensabile solo pochi anni fa. All’ultima convention, i democratici sembravano più a loro agio nel dare risalto ai repubblicani che sostenevano Biden piuttosto che a una giovane di sinistra come Ocasio-Cortez, le cui politiche e la cui retorica temevano avrebbero alienato gli elettori moderati.
Da allora, però, ha lavorato a stretto contatto con la Casa Bianca sulla politica economica e climatica, è stata un surrogato di Biden e ha conquistato sempre più alleati nella leadership democratica – a volte a spese del sostegno della sinistra.
I suoi alleati sostengono che il cambiamento riflette la vena pragmatica di Ocasio-Cortez e la crescente volontà del partito di abbracciare la sua parte sinistra. Un assistente della deputata ha dichiarato che il partito l’ha invitata proattivamente a parlare alla convention e non ha fatto alcuno sforzo per modificare o mitigare le sue osservazioni.
Da parte sua, Ocasio-Cortez, 34 anni, ha evitato le dolorose spaccature con il suo partito sulla guerra a Gaza che hanno gettato un’ombra sulla convention. La deputata ha criticato a gran voce la guerra, che ha ucciso decine di migliaia di palestinesi negli ultimi 10 mesi, e ha guidato le richieste di tagliare gli aiuti militari americani a Israele.
Ma, anche quando i dimostranti pro-palestinesi si sono riuniti a Chicago per protestare fuori dalla convention, la Ocasio ha dato merito alla Harris di aver “lavorato instancabilmente per assicurare un cessate il fuoco a Gaza e riportare a casa gli ostaggi”.
Ocasio-Cortez ha invece concentrato la sua attenzione sugli elettori della classe operaia. Ha fatto leva sulla propria biografia, ricordando agli spettatori che solo “sei anni fa prendevo ordini di omelette come cameriera a New York”. La signora Harris, ha detto, è nata da un background simile.
(da New York Times)
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