Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
UNA POSIZIONE CHE NON PIACE A SALVINI CHE RILANCIA QUOTA 41, CON IL TRUCCO DEL RICALCOLO CONTRIBUTIVO DELL’ASSEGNO…ANCHE FORZA ITALIA PIANTA LA SUA BANDIERINA: ALZARE LE PENSIONI MINIME A MILLE EURO IN STILE BERLUSCONI
Flessibilità sostenibile. Quando si parla di pensioni il ministro leghista dell’Economia Giancarlo Giorgetti non ci gira intorno. «Chi esce prima paga, lo dobbiamo alle nuove generazioni», ragiona. Anzi, «dobbiamo premiare chi resta al lavoro, non chi vuole anticipare l’uscita». Questa la filosofia di fondo che applicherà anche quest’anno al capitolo previdenziale da inserire in una manovra per forza di cose ridotta all’osso.
Altro che abolizione della legge Fornero. Si studiano piuttosto incentivi a non pensionarsi, mirati ad alcune professioni. Una probabile terza sforbiciata alla rivalutazione delle pensioni all’inflazione, per fare ancora cassa. E la rinuncia a buona parte del pacchetto dell’anno scorso da 629 milioni, in scadenza a dicembre: Ape sociale, Opzione donna, Quota 103, aumento delle minime.
In maggioranza, soprattutto Lega e Forza Italia, sponsorizzano già le loro bandierine: Quota 41 e minime. Oltre ad un’idea leghista per i giovani.
Incentivi a chi rest
Consentire una flessibilità in uscita sostenibile per i conti pubblici significa per Giorgetti una cosa sola: penalità sulle pensioni anticipate e “premi” a chi resta. L’ha già fatto l’anno scorso. Rispolverando il bonus Maroni e inventandosi il “bonus medici”. In entrambi i casi, modi per evitare un taglio: quello del ricalcolo contributivo, applicato per la prima volta anche alla nuova Quota 103 (oltre che a Opzione donna), e l’altro taglio piombato su 732 mila dipendenti pubblici, camici bianchi compresi, che ha assicurato già 21 miliardi di risparmi allo Stato entro il 2043.
Quota 41 e giovani
Il partito di cui Giorgetti è vicesegretario, la Lega, non è però del tutto in sintonia col ministro. Non solo rivendica Quota 41 (non potendo abolire la Fornero), sebbene con il trucco del ricalcolo contributivo dell’assegno: significa un taglio, anche importante, che non si sa quanti sono disposti ad accettare, a pochi mesi dal traguardo di legge dei 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne). E un costo sul bilancio dello Stato per l’anticipo di cassa che Giorgetti già l’anno scorso ha fermato.
Ma c’è anche un’altra idea per i giovani, quelli con una prospettiva di pensioni misere a 70 anni e oltre perché precari e intermittenti. Due importanti esponenti leghisti – Claudio Durigon e Federico Freni, sottosegretari al Lavoro e all’Economia – vogliono aiutarli istituendo «l’obbligo» a versare «il 25% della quota mensile del Tfr ai fondi complementari di categoria o ai fondi aperti». Perché «è giunto il momento di rompere il tabù del secondo pilastro», dice Freni.
La possibilità cioè di sommare la rendita “privata” scaturita dai fondi a quella pubblica maturata in Inps così da raggiungere più facilmente il traguardo di uscita dei 64 anni con 20 di contributi. Traguardo che poi però la premier Meloni neanche un mese dopo ha reso in manovra ancora più impossibile, portando la condizione di uscita a 64 anni dei Millennials a un livello da “ricchi”: 3 volte l’assegno sociale anziché 2,8. In pratica si esce solo con una pensione da 1.600 euro. Altro che aiuto ai giovani.
Le pensioni minime
Quota 41 e piano giovani con l’obbligo di versare una parte del Tfr ai fondi non piacciono però a Forza Italia. Un problema politico da non sottovalutare. Dario Damiani, capogruppo in commissione Bilancio al Senato, dice senza mezzi termini che «proporre altre quote è azzardato e deleterio per le generazioni future». E che «introdurre un obbligo, anche solo parziale, di versare ai fondi possa sollevare dubbi di costituzionalità».
Il partito guidato da Antonio Tajani punta all’aumento delle pensioni minime da portare ai mille euro berlusconiani. Non sarà così facile. Perché gli aumenti degli ultimi due anni – 579 euro per tutti e 600 euro per gli over 75 – finiscono il 31 dicembre. E sono costati nel biennio quasi 650 milioni, non proprio bruscolini. Il rischio che le minime si abbassino dal primo gennaio non c’è, perché nel frattempo sono state pure rivalutate all’inflazione.
Quando invece, «noi vorremmo fare un passettino avanti», dice una fonte forzista qualificata. Se si fa Quota 41 leghista, allora si alzano anche le minime: sembra il ragionamento. Il rischio è che non si faccia nessuna delle due. I conti sono stretti.
(da Dagoreport)
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
I MENO AFFIDABILI? TINTORIE, RISTORANTI, AUTONOLEGGI, PELLICCIAI E PESCATORI
Medici e laboratori di analisi cliniche, attori, registi e ballerini, notai e fisioterapisti. Per buona parte di loro l’accordo sulle tasse da pagare che il governo gli ha offerto per quest’anno e il prossimo sarà quasi una passeggiata. In queste categorie, come tra i produttori di carta, commercialisti, informatici, geologi, veterinari e dentisti, la fedeltà al fisco è nella media abbastanza elevata, ed i maggiori redditi che lo Stato gli chiederà di dichiarare con il concordato biennale saranno modesti. Tutt’altro per tintorie, ristoranti, autonoleggi, pellicciai, pescatori: qui oltre il 70% delle dichiarazioni dei redditi sono ritenute «incongrue», e in molti casi aderendo al concordato si rischia una batosta.
È vero che il governo ha reso molto più abbordabile il nuovo meccanismo, prevedendo una tassa piatta tra i 10 e il 15% sui maggiori redditi dichiarati ma il «riallineamento» verso la congruità del concordato, cui è possibile aderire entro fine ottobre, sarà comunque doloroso per la maggior parte dei contribuenti.
Indice Isa
Sui 2 milioni 732 soggetti cui si applicano gli ISA, gli indici di affidabilità fiscale che hanno sostituito gli studi di settore, e ai quali si offre il concordato biennale, 1 milione 526 hanno un indice Isa inferiore a 8 su 10. Il 55,9% di loro per il fisco è dunque poco o molto inaffidabile, e nel giro di due anni dovranno adeguarsi. L’alternativa è scegliere di finire nelle liste selettive di chi rifiuterà il patto, su cui si concentreranno gli accertamenti. Il concordato è anche una sfida per lo Stato: sul suo gettito si conta per finanziare la conferma degli sgravi contributivi, e anche i nuovi sgravi Irpef. L’esito non è scontato. In alcuni casi, secondo un’analisi del «Sole 24 Ore» di giugno, i maggiori redditi che il fisco proporrà di denunciare possono superare di 8 volte quello della dichiarazione 2022. Del resto, soprattutto in alcune categorie, la sproporzione tra i redditi dichiarati dai soggetti più e meno affidabili, è enorme. Considerando solo chi dichiara più di 30 mila euro, in media, i contribuenti con un voto superiore a 8 dichiarano redditi più di 3 volte più alti rispetto a chi ha un voto Isa inferiore a 8. Quelli affidabili dichiarano in media 84 mila euro, quelli non congrui 24 mila. Tra le categorie di soggetti ISA più affidabili troviamo medici, laboratori di analisi cliniche, fiosioterapisti e dentisti (anche perché i contribuenti hanno le detrazioni e pretendono fatture), poi notai, commercialisti e ragionieri. In media il 40% di loro presenta dichiarazioni fiscali attendibili.
Le classifiche
Anche se ci sono grandi differenze dentro le stesse categorie. I notai, ad esempio: nella media dichiarano un reddito di 335 mila euro su ricavi per 708 mila euro. C’è però chi si ferma a 253 mila euro e chi arriva a 406 mila di dichiarato. Ma ce ne sono 142, di notai, che dichiarano un fatturato di meno di 30 mila euro, 121 dei quali dichiarano in media 7.600 euro di ricavi e una perdita di 2.300 euro
Dall’altra parte della classifica ci sono tintorie, autonoleggi, ristoranti, pelliccerie, panettieri, pescatori, dove oltre 7 contribuenti su 10 dichiarano meno del dovuto. Molto meno.
Ristoranti e discoteche
Prendiamo i 97 mila ristoranti soggetti agli Isa. Quasi tutti, 95 mila, hanno ricavi superiori a 30 mila euro. Ben 68.671 di questi, il 72,2% per il fisco dichiarano troppo poco: appena 8.600 euro nel 2022. Gli altri, quelli affidabili dichiarano un reddito di 53.400 euro, sei volte maggiore. Oppure le 986 discoteche: 650 di queste hanno ricavi medi di 325 mila euro, e un reddito misero, pari in media a 3.200 euro. Altre 286, quelle che hanno un voto Isa superiore a 8, dichiarano il doppio di ricavi (594 mila euro), ma un reddito 24 volte più alto (76 mila euro).
(da agenzie)
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
A QUEL PUNTO POTREBBE PARTIRE L’OPA DI VANNACCI: “È IL NOSTRO ASSO PIGLIATUTTO. MA PIÙ CHE PRENDERSI LA LEGA LO IMMAGINO COME LEADER DI UN POLO, UN CARTELLO CON SALVINI”… IL CAPITONE È NERVOSO E HA FATTO UNA SERIE DI TELEFONATE INCROCIATE PER CAPIRE LE INTENZIONI DEL GENERALE
Dissimulare, dissimulare, dissimulare: sembra questo l’ordine di scuderia impartito da via Bellerio ai suoi. La Lega, infatti, nega che ci sia fastidio o preoccupazione per l’ipotesi – sempre più concreta – che il generale Roberto Vannacci possa dare vita a un soggetto politico autonomo dopo l’elezione a eurodeputato nelle file del Carroccio con oltre 500 mila preferenze.
Una possibilità che però negli ultimi giorni si è fatta sempre più tangibile, come ha spiegato ieri in una intervista a questo giornale il colonnello Fabio Filomeni, braccio destro di Vannacci: «Il movimento culturale “Il mondo al contrario”, ispirato al libro del generale diventa un movimento politico», ha precisato prendendo platealmente le distanze dal Carroccio con cui «non abbiamo niente a che fare. E neanche con la Lega del passato».
Il disappunto, però, si legge nelle frasi dei militanti e di qualche dirigente locale al Nord – che vuole rimanere anonimo – quando dicono che andare via «sbattendo la porta dopo la ribalta politica che gli abbiamo offerto sarebbe uno sgarbo a Salvini ma prima di tutto al partito che lo ha accolto». Qualcuno si lascia sfuggire che «la Lega non è un taxi per Bruxelles».
«Staremo a guardare quello che succederà», dice il segretario provinciale di Bergamo Fabrizio Sala. E le sue parole sembrano riprendere quelle di un altro leghista della prima ora come Gian Marco Centinaio che ha tagliato corto dicendo che «starà alla finestra a guardare».
Non sono in molti, comunque, quelli che si strappano i capelli – come si dice – all’idea che il generale fondi un suo partito e tolga il disturbo da via Bellerio («lui che non ha mai preso la tessera neanche da simpatizzante», precisa qualcuno). «E quella è la prima categoria di leghisti», riferisce una fonte vicina al Carroccio. «Non vedono l’ora di poter dire a Salvini “te l’avevo detto”».
Preoccupazione, però, ce n’è. E lo testimoniano alcuni movimenti di Salvini che nei giorni scorsi avrebbe scambiato diversi messaggi con Umberto Fusco, da due anni fuori dalla Lega, che ora segue il generale nell’organizzazione della sua festa a Viterbo. Il segretario federale si sarebbe informato sulle intenzioni della sua “punta di diamante” dopo i rumors sulla fondazione del partito.
Non soddisfatto dalle informazioni- o forse preoccupato per le notizie ricevute – avrebbe fatto partire una serie di telefonate incrociate da via Bellerio per sondare l’effettiva fattibilità dell’operazione. Un atteggiamento «sintomatico di nervosismo» lo definisce una fonte vicina alla Lega.
Chi, fuori dalla Lega, comunque, guarda con interesse al progetto di Vannacci è Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, da tempo alla ricerca di una “casa politica”. «Vannacci può essere un aggregatore per la destra sovranista. Ma prima di altre mosse dovrà chiarirsi con Salvini», aveva detto. Concordano in molti tra i leghisti: «È lui che è venuto da noi, non il contrario. Quindi è a noi che deve rendere conto».
(da La Stampa)
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
LA GARANZIA DI SOPRAVVIVENZA PER L’AD DI TRENITALIA, LUIGI CORRADI? “LA DIFFICOLTÀ DI METTERSI D’ACCORDO SUL NOME DELLA SOSTITUTA, LA MANAGER SABRINA DE FILIPPIS, CHE NEL CURRICULUM VANTA ‘UNA GRANDE AMICIZIA’ CON ARIANNA”
E dunque si capisce che, di tutti i guai del governo Meloni, la crisi dei treni sia non dico la più nascosta, che sarebbe impossibile, ma la più truccata, proprio perché offende la nazione quanto l’autonomia differenziata la tradisce.
Vengono, infatti, spacciate per «inevitabili febbri di crescita» le stazioni assediate, i guasti sulle linee, i bus sostitutivi, l’alta velocità sempre più lenta, le lunghe soste in aperta campagna, la sporcizia e la soppressione dei bagni, le proteste dei passeggeri sfiancati dall’afa e dall’attesa in carrozze surriscaldate senza più l’aria condizionata.
Spudoratamente Salvini è arrivato a complimentarsi per la «puntualità superiore al 90%, nonostante 1400 cantieri aperti». Dunque la destra, che aveva per divinità l’orario e «quando c’era Lui caro lei» esibiva il miracolo della puntualità, ha consegnato il treno futurista di Depero alle bugie di Salvini. E i giornali governativi, la Rai e Mediaset, copiando la solita velina di Fazzolari, hanno scritto – giuro – che «i treni italiani sono più puntuali di quelli tedeschi» e vuoi mettere «la complessità di gestire i successi della rete italiana»?
Questa propaganda kitsch non riesce però a coprire il fallimento, nell’estate sovranista, del più nazionale e patriottico dei mezzi di trasporto.
E allora il governo, che assolve se stesso, si prepara a cacciare l’amministratore delegato Luigi Corradi, un ex grillino diventato leghista, che invece di migliorare i servizi durante i lavori del Pnrr, magari sorvegliandoli in estate, li ha selvaggiamente rafforzati in luglio e agosto «per proteggere – ha fatto sapere – i pendolari», che sarebbero più importanti dei turisti, anche se i treni a loro destinati sono una vergogna, e vedrete in autunno cosa li aspetta con i lavori previsti sino al 2026.
Corradi, in compenso, si è bene applicato alla propria sopravvivenza, sinora garantita dalla difficoltà di mettersi d’accordo – ha rivelato la nostra Giovanna Vitale – sul nome della sostituta, la manager Sabrina De Filippis, che nel curriculum vanta «una grande amicizia» con Arianna Meloni, la quale copre tutti i ruoli come Tina Pica spiegava a Totò in Destinazione Piovarolo: «Sono la casellante, la manovale, la guardasala, la macchinista, e accudisco pure i capostazione celibi…».
Francesco Merlo
per “la Repubblica”
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
DALLA RAI ALLE AUTORITY, A GUADAGNARSI KA BENEVOLENZA DELLA LEADER NON E’ CI LAVORA BENE MA CHI ESEGUE GLI ORDINI…ALLA FACCIA DELLA MERITOCRAZIA
Per gestire un paese non basta la classe dirigente di un partito che per anni si è mosso intorno al 4 per cento. Se ci fosse ancora bisogno di prove, ecco planare sul dibattito agostano il caso Battistini. Un servizio esclusivo a cui è seguita l’indicazione aziendale di far rientrare la giornalista del Tg1 che ha raccontato l’ingresso in Russia delle truppe ucraine, minacciata di procedimenti penali dal regime russo.
La mancanza di comunicazione da parte di Farnesina e palazzo Chigi – pure al lavoro in quelle ore per tutelare i colleghi nella sede Rai in Russia – ha fatto il resto. La conseguenza: offrire il fianco a chi critica la scelta dei vertici incaricati da Meloni come una genuflessione su indicazione governativa a Mosca.
La necessità di figure strutturate e competenze forti l’ha capita anche Giorgia Meloni quando si è trovata a fare i conti con tutte le posizioni da occupare su cui palazzo Chigi ha l’ultima parola. I posti da presidiare sono tantissimi ma, a differenza di altri partiti, per cui vale la sempiterna massima «più sederi che sedie», soprattutto in periodi in cui il consenso si restringe, Fratelli d’Italia ha esattamente il problema opposto. Anche perché la presidente del Consiglio deve tenere sempre ben presente il valore più importante che orienta il modo di pensare e di agire della destra italiana: la fedeltà.
Meloni è dunque costretta dalla consuetudine della sua area culturale a trovare una collocazione a chi l’ha accompagnata nella traversata del deserto di quando il partito faticava a superare la soglia di sbarramento alle elezioni europee, anche nel caso in cui non sia forse del tutto preparato per il compito che gli viene assegnato. Una serie di promesse da onorare, che si sommano alle trattative con i partner di maggioranza. «Meglio uno fidato che uno che sa fare» è il commento caustico che rimbalza per esempio in Rai, dove le parole di chi conosce bene viale Mazzini per la governance proposta dai meloniani – in larga parte già presente in azienda e quasi mai in ruoli da Cenerentola – non sono mai state tenere.
La fedeltà del settimo piano
La partita del servizio pubblico, un po’ per il fatto che chi ha subito l’occupazione della Rai non è rimasto in silenzio e un po’ perché tanti protagonisti di fede meloniana si sono fatti notare per un atteggiamento più realista del re, è stata la prova plastica di come per chi siede in plancia di comando la fedeltà non possa essere l’unica stella polare. Nel complicato anno passato Meloni ha dovuto assistere a passi falsi oggettivamente evitabili. A cominciare dal discorso da militante del direttore degli Approfondimenti Paolo Corsini dal palco di Atreju, il caso Scurati o ancora lo scivolone di Rainews24, che ha scelto di di prediligere il festival delle Città identitarie di Pomezia, prontamente scaricato dal direttore Paolo Petrecca sulla sua vice di turno quella sera. In alcuni casi Meloni è dovuta intervenire in prima persona, come quando ha pubblicato sul suo profilo Facebook l’intervento dello scrittore sull’omicidio Matteotti, sperando di chiudere così il caso. Neanche per idea: alle polemiche incrociate sono seguite interrogazioni, dichiarazioni e risposte incrociate che hanno addirittura peggiorato la posizione, già difficile, dell’azienda. «Bastava lasciarla andare in onda Serena Bortone con la scaletta originaria» è la valutazione che circolava in quei giorni a destra, forte del non detto che in quel periodo gli ascolti di Che sarà non erano ancora stabili: ma ancora una volta, la voglia dei dirigenti di mostrarsi ligi aveva avuto la meglio sulla capacità di leggere il contesto.
Insomma, i suoi colonnelli in Rai nell’ultimo anno a più riprese si sono messi in difficoltà da soli. E allora, nonostante la fiducia che viene in tanti casi da una militanza giovanile condivisa – «una cosa che va oltre l’amicizia» dicono – Meloni in certi momenti si è chiesta se continuare a salvare da sé stessi Giampaolo Rossi, Corsini, Angelo Mellone e Paolo Petrecca: la risposta, però, nell’universo meloniano è scritta sulla pietra, pacta sunt servanda. La squadra non si cambia, anche se a volte provoca scontento: insomma, Rossi a meno di colpi di scena avrà la sua poltrona da ad, nonostante le suggestioni circolate a più riprese. Troppo passato comune alle spalle, troppe le volte in cui il dirigente meloniano ha preso schiaffi (metaforici) per conto del partito, come quando per una gestione spericolata della presidente dell’elezione dei consiglieri in parlamento ha perso il treno per il cda Rai nel 2021.
I ministri
Stesso discorso per Gennaro Sangiuliano. Da un anno si è dipinto un bersaglio sulla schiena con una lunga serie di gaffe. Serve a poco annunciare un libro sui passi falsi degli altri quando ci si gloria con una certa soddisfazione di aver accompagnato alla porta un social media manager colpevole – a dire del ministro – di un errore in un post, salvo tornare pochi giorni dopo sui propri passi e comunicare che il dipendente è stato ricollocato «perché io non metto per strada un padre di famiglia». Ma Sangiuliano è stato un direttore più che compiacente al timone del Tg2, pronto a calcare i palchi di Atreju quando il partito glielo chiedeva: poco importa che i suoi suggerimenti sulle candidature alle comunali di Firenze e Bari di giugno siano stati dei buchi nell’acqua o che il pupillo del presidente del Senato non riesca a rispondere sul suo eventuale antifascismo se non con una controdomanda al cronista.
Anzi, Sangiuliano viene citato come esempio lodevole di gestione di ministero ed enti satelliti, con occupazione di poltrone ogniqualvolta si aprisse l’occasione. Si è prodigato di assumere al vertice di Ales – la società in house del ministero – Fabio Tagliaferri,, già assessore ai Servizi sociali e alla Fragilità e patron di un’azienda di noleggi auto. Tutto lineare. Così come la creazione di una via d’uscita ad hoc per Carlo Fuortes, che con le sue dimissioni in Rai ha lasciato campo libero ai meloniani, rassicurato però dal governo che si sarebbe trovato il modo di accelerare l’uscita di scena di Stéphane Lissner a Napoli per offrirgli quel posto.
Al contrario di Andrea Abodi. Eppure, sul suo curriculum figurava una militanza nel fronte della gioventù che faceva ben sperare: qualche detrattore sussurra che fosse una carta da giocarsi con le ragazze, soprattutto alla luce dei suoi primi due anni da ministro. Il suo staff è decisamente poco riconducibile a Fratelli d’Italia, eccezion fatta per Mario Pozzi, capo della segreteria tecnica vicinissimo al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Il resto è un misto di tecnici e assistenti riconducibili ad altre aree politiche. Una tornata di nomine che non è piaciuta al partito: i Fratelli della vecchia guardia non apprezzano l’autonomia del presunto militante, che spesso non risponde al telefono.
Anche sugli incarichi negli enti paraministeriali si aspetta una reazione più celere da un ministro in quota: un episodio su tutti, la faticosa ricerca di un presidente del cda dell’Istituto del credito sportivo, che i meloniani non vorrebbero vedersi ripetere. Per altro in un momento in cui lo sport – e i soldi che gli girano attorno – sono diventati terra di conquista della maggioranza: alla Lega non dispiacerebbe vedere il suo Luca Zaia alla guida del Coni quando Giovanni Malagò passerà la mano. Che della materia si sia occupato solo marginalmente sembra irrilevante: conta l’occupazione della casella, su cui però FdI promette battaglia. Abodi permettendo.
A ragionare secondo l’assioma della fedeltà è un altro pezzo da novanta del partito, la ministra del Turismo. Le vicende giudiziarie di Daniela Santanchè continuano a preoccupare palazzo Chigi, che però si cautela con l’attesa di un eventuale rinvio a giudizio. Ma intanto la ministra ha fatto uso del suo potere per scegliere un nome di assoluta fiducia per l’Enit, ente paraministeriale su cui Santanchè può dire la sua. Anche nominando una direttrice generale, Elena Nembrini, che non ha esperienza nel settore, ma su cui la ministra può contare.
I parlamentari
Ogni poltrona occupata con il criterio della fedeltà invece che con quello della competenza rischia di riservare brutte sorprese. Ma anche coloro da cui ci aspetterebbe una certa esperienza grazie alle legislature alle spalle spesso e volentieri provocano grattacapi a Meloni e la sua cerchia più ristretta (la sorella Arianna, che ieri secondo giornali di destra e un pezzo di Fdi sarebbe obiettivo di un fantomatico complotto ordito dai magistrati e alcuni giornli, Giovan Battista Fazzolari e Patrizia Scurti).
Basta ripensare a quando Giovanni Donzelli – alla seconda legislatura – raccontava in aula informazioni riservata del Dap, oppure quando il parlamentare Emanuele Pozzolo – alla sua prima legislatura, a onor del vero – a Capodanno rimaneva coinvolto in una sparatoria. Da segnalare anche Federico Mollicone: anche il presidente della commissione Cultura non perde occasione per mostrarsi fin troppo osservante del verbo meloniano, mettendo la premier in difficoltà con le sue strampalate tesi sulla strage di Bologna.
La premier aveva parlato di una strage «che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste», Mollicone era arrivato a mettere proprio in discussione tutto l’impianto giudiziario dei processi per chiedere una riapertura dei casi da parte del ministro della Giustizia. Ma la sua unica legislatura di esperienza – o forse la sua carriera nei municipi romani in quota An – gli basta per continuare a essere presidente.
Per non parlare di Andrea Delmastro Delle Vedove. Già avvocato di Meloni, il sottosegretario ne infila a non finire: dalla presenza alla stessa festa dello sparo alla rissa con un sindaco meloniano. L’ultima è solo di qualche giorno fa, quando Delmastro ha pubblicato la fotografia della sua visita alla polizia penitenziaria – «non mi inchino alla Mecca dei detenuti» il sobrio rifiuto di confrontarsi con le persone recluse, oltre che con le guardie carcerarie – con in mano una sigaretta proprio al segno del divieto di fumo. Ma niente da fare, la fiducia non viene messa in discussione. Meglio prendersela con chi polemizza sul fascismo, come Andrea De Bertoldi, prontamente espulso dal partito. Di lui, per Meloni, non c’è da fidarsi.
(da editorialedomani.it)
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
IUS SOLI ILLIMITATO NEGLI USA E NEL NORD, CENTRO E SUD AMERICA… TEMPERATO IN FRANCIA, GERMANIA, SPAGNA, PORTOGALLO, BELGIO, GRECIA, OLANDA E REGNO UNITO.. COME L’ITALIA SOLO I PAESI DELL’EST
Negli Usa – Per essere americani basta la nascita
Lo ius soli negli Usa è sancito dal XIV emendamento della Costituzione, che nelle prime righe recita: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e sottoposte alla relativa giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono». È uno dei principi cardini su cui si fonda la democrazia americana: chiunque nasca lì è automaticamente cittadino. L’unica eccezione riguarda i figli dei membri dei corpi diplomatici e delle eventuali forze straniere d’occupazione. Da presidente, l’abolizione dello ius soli è stato uno degli obiettivi, mancati, di Donald Trump. Il diritto del suolo illimitato è riconosciuto anche in Nord, Centro e Sud America: dal Canada al Messico, dal Brasile al Perù e all’Argentina.
In Francia – La cittadinanza arriva a 18 anni, ma se nasce da un genitore straniero che a sua volta era nato in Francia, scatta subito
La Francia riconosce il principio dello ius soli temperato, che non è un diritto acquisito (come negli Stati Uniti). A chi è nato sul territorio francese viene riconosciuta la cittadinanza al compimento dei 18 anni se sussistono due condizioni precise: il possesso di un regolare permesso di soggiorno per i genitori al momento della nascita (concessione automatica del diritto di cittadinanza) e residenza stabile in Francia per un periodo di almeno 5 anni al momento del compimento della maggiore età (concessione legata a una richiesta formale). Un bambino nato in Francia da un genitore straniero che a sua volta era nato sul territorio, è invece considerato francese di nascita
In Germania – I tempi ridotti dall’ultima riforma
Anche in Germania il principio dello ius sanguinis convive con quello dello ius soli temperato. Oltre a chi nasce da genitori tedeschi, la cittadinanza è riconosciuta a chi è figlio di stranieri purché almeno uno dei due genitori viva legalmente in Germania da più di 5 anni — erano 8 prima della riforma entrata in vigore a giugno — e abbia un diritto di soggiorno permanente.
I figli possono anche mantenere la cittadinanza dei genitori. Come Francia e Germania, lo ius soli temperato è applicato anche in Spagna, Belgio, Grecia, Portogallo e Olanda.
Nessun Paese europeo applica lo ius soli illimitato come è previsto negli Stati Uniti: l’Irlanda lo ha avuto fino al 2004 ma ha poi cambiato la Costituzione scegliendo lo ius soli temperato.
Nel Regno Unito – I «paletti» per il genitore
Nel Regno Unito le regole per il riconoscimento della cittadinanza non sono soggette a uno ius soli illimitato: è automaticamente cittadino chi nasce sul territorio britannico anche da un solo genitore che è già in possesso della cittadinanza oppure che risiede legalmente nel Paese. La cittadinanza viene riconosciuta anche dopo tre anni di matrimonio con un cittadino britannico.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
E NELL’ARTICOLO SI CITA ANCHE IL CASO DI GIORGIA MELONI: “LA STORIA SI RIPETE? COSA È ANDATO STORTO? E POTREBBE ACCADERE CHE LA DEMOCRAZIA AIUTI LA RICOSTRUZIONE DI UN MOSTRO CHE COSTITUISCE IL SUO PIÙ GRANDE TERRORE?”
I volti di Bjoern Hoecke, Marine Le Pen e Donald Trump, e il titolo “Come inizia il fascismo. Gli Hitler segreti”. Fa discutere in Germania l’ultima copertina del settimanale Spiegel, che anche in vista delle amministrative nei Laender dell’est, dove si annuncia una forte affermazione di Alternative fuer Deutschland a settembre, propone un’analisi sulla minaccia di una rinascita del fascismo.
E nell’articolo si cita anche il caso di Giorgia Meloni in Italia, immortalata a sua volta nelle pagine interne fra le foto di Trump, Putin e Orban. “Il ritorno del fascismo è la paura atavica della società democratica moderna. Ma ciò che a lungo suonava come un qualcosa di isterico e inimmaginabile, sembra diventato nel frattempo serio e reale”, si legge nel magazine, che poi procede a una lunga lista di esempi prima di analizzare in particolare la situazione americana.
“Le ambizioni imperialiste di Wladimir Putin. Il governo nazionalista di Nerendra Modi. La vittoria di Giorgia Meloni in Italia. La strategia di normalizzazione di Marine le Pen in Francia. La vittoria di Javier Milei in Argentina. La dominanza autocratica di Viktor Orban in Ungheria. Il comeback di FPOE in Austria o di Geert Wilders in Olanda. Afd nell’est della Germania. Il dominio autocratico di Nayb Bukele a El Salvador, passato per lo più sotto traccia ma incredibilmente determinato, dove il parlamento è stato costretto con la violenza delle armi alle decisioni. Il rischio di una rielezione di Donald Trump”.
“La questione se si rischi il ritorno del fascismo viene adesso discussa seriamente. In politica, nei media, fra cittadine e cittadini, nei thinktank, fra politologi e filosofi – continua – La storia si ripete? C’è un nuovo fascismo? Aiutano le analogie storiche? Cosa è andato storto? E potrebbe accadere che la democrazia aiuti la ricostruzione di un mostro che costituisce il suo più grande terrore?”.
(da agenzie)
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
A PREOCCUPARE È L’AUMENTO DELLA POPOLARITÀ DI PERSONAGGI COME ANDREW TATE, LO YOUTUBER ARRESTATO IN ROMANIA CON L’ACCUSA DI ADESCAMENTO E STUPRO… LA MINISTRA DEGLI INTERNI YVETTE COOPER: “L’INCITAMENTO ALL’ODIO DI OGNI TIPO CREA ROTTURE E STRAPPI NELLA MAGLIA SOCIALE DELLE NOSTRE COMUNITÀ”
I laburisti di Keir Starmer, che hanno preso in mano il timone del Paese all’inizio di luglio, hanno subito annunciato nuove regole contro l’estremismo, allargando la definizione alla misoginia estrema fisica e online, che potrebbe presto rientrare tra le ideologie pericolose cui si applica la legge contro il terrorismo
Sulla scia dei violenti disordini delle ultime settimane contro profughi, minoranze e centri d’accoglienza per migranti, la ministra degli Interni Yvette Cooper ha chiesto al suo dicastero «una revisione rapida delle norme» per combattere meglio una minaccia sempre più preoccupante.
«Per troppo tempo vari governi non sono riusciti ad affrontare l’ascesa dell’estremismo online e sulle nostre strade», ha sottolineato. «Abbiamo visto un’impennata nel numero di giovani che vengono radicalizzati su Internet. L’incitamento all’odio di ogni tipo crea rotture e strappi nella maglia sociale delle nostre comunità e la nostra democrazia».
Sir Mark Rowley, commissario capo della Metropolitan Police, aveva chiesto recentemente che la violenza contro le donne fosse definita «un pericolo per la sicurezza del Paese», sulla scia di un rapporto dopo il rapimento, lo stupro e l’assassinio nel 2021 da parte di un agente in servizio di Sarah Everard, una donna di 33 anni che stava rincasando a piedi nella zona di Clapham. Rowley aveva parlato di «centinaia di migliaia» di molestatori, stupratori e pedofili e chiesto più risorse.
Dall’inizio dell’anno, sono più di 50 le vittime di femminicidio in Gran Bretagna. Sara Khan, consulente indipendente dell’ex premier Rishi Sunak e commissario contro l’estremismo per i governi di Theresa May e Boris Johnson, aveva accusato gli esecutivi di non aver fatto abbastanza: «Il nostro Paese è impreparato per quella che è una minaccia crescente e pericolosa, ci sono lacune nelle leggi che permettono agli estremisti di operare senza essere puniti».
Preoccupa, ad esempio, la popolarità online di personaggi come Andrew Tate, ex concorrente del Grande Fratello che non fa segreto della sua misoginia e che si trova in Romania con l’accusa di adescamento e stupro.
L’inclusione della misoginia tra gli estremismi che la legge considera terrorismo darebbe agli inquirenti strumenti in più: interrogatori e fermi più lunghi, ad esempio, oltre alla possibilità di congelare introiti e beni. La ministra per le donne Jess Phillips ha precisato che la proposta non rappresenta la criminalizzazione della libertà di parola: «La gente — ha detto ieri — è libera di pensare ciò che vuole ma non possiamo continuare a ignorare la minaccia che rappresenta l’odio espresso per le donne online».
(da agenzie)
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Agosto 19th, 2024 Riccardo Fucile
NEI BORGHI TRA I TURISTI MORDI E FUGGI… VIA DELL’AMORE A 10 EURO, C’E’ CHI RINUNCIA
A mezzogiorno in punto nel centro di Riomaggiore la temperatura percepita sfiora i quaranta. Si suda. Un fiume di gente arranca per la salita che attraversa il bellissimo borgo delle Cinque Terre, una salita circondata da case color pastello. Fa caldo, eppure una panchina è occupata da una famiglia, madre padre e due adolescenti. Inglese con accento americano. Tutti e quattro hanno in mano un enorme cartoccio di pesce fritto, la «specialità» delle decine di friggitorie che nel centro storico hanno preso il posto di panetterie, macellerie, negozi di frutta. «It’s extremely hot», commenta Mary Jo, la madre, il sacchetto unto che salta da una mano all’altra perché scotta. «Ma perché mangiate questo e non una pasta al pesto?», chiedo. La risposta è spiazzante: «Ma non è questo qui il piatto tipico? Pesce fritto, così credevo».
Eppure, forse, è nelle parole di Mary Jo che si annida la spiegazione dell’invasione turistica nelle Cinque Terre, ormai dibattuta da mesi: ogni giorno a Vernazza, Riomaggiore, Monterosso e negli altri borghi si riversa una quantità enorme di gente che arriva (via acqua e via terra), scatta qualche foto vista mare, affolla gli stretti «budelli» del centro, mangia un cartoccio di fritto bollente, finisce di sudare nelle stazioni dove il Cinque Terre Express accumula ritardi con puntualità londinese e, infine, quando il sole non è ancora tramontato, queste legioni di americani, tedeschi e francesi svaniscono come lacrime nella pioggia di luce occidentale.
Crociere e tour
Va di moda chiamarlo overtourism, ma Beppe, che a Manarola aveva un piccolo hotel e che oggi non ce l’ha più, preferisce il più efficace «belinata». Lui a quelli che arrivano, mangiano, sudano e se ne vanno darebbe «una sacàgna di botte, ma che ci vuole fare, oggi funziona così». Si chiama «turismo mordi e fuggi» e non si riesce a quantificare, perché ci sono i croceristi americani che arrivano il mercoledì, mentre il giovedì è il turno degli italiani e poi ci sono quelli che vengono dirottati dalla Toscana o dal Piemonte, via treno o via pullman.
«E insomma, alla fine la maggior parte di quelli che arrivano vedono sì e no il 3 per cento del territorio», dice Donatella Bianchi, presidente del Parco delle Cinque Terre, Patrimonio Unesco dal 1997 con la sua bellezza fatta di 4 mila ettari di territorio e 130 chilometri di sentieri.
Ma davvero le Cinque Terre meritano il titolo di «uno dei cinque posti al mondo dove non andare», conferito dalla coppia di influencer americani Thedorcys nel luglio scorso? Sentenza social diventata virale in poche ore: il tempo di un post su Instagram e le bellissime Corniglia e Monterosso si sono ritrovate nella lista nera assieme a Cartagena in Colombia o al Lago Atitlan in Guatemala.
Alex e Eileen (quasi 12 mila follower) sono rimasti però sconvolti dalle legioni turistiche e dal senso di claustrofobia che ogni giorno si respira nelle viuzze strette di questi borghi, un tempo villaggi di pescatori poveri e oggi reami di bistrot dai prezzi proibitivi e, naturalmente, delle friggitorie bollenti.
No, perché il Parco delle Cinque Terre merita altro. Però bisogna fare i conti con i numeri: 3,4 milioni di arrivi registrati nel 2023, quasi 2 mila in un giorno di picco. «Quelli che vengono con le crociere spesso hanno appena venti minuti per visitare un borgo», fa notare Tiziano Pavanini, ricercatore dell’Università di Genova e uno degli autori di un recente studio sul turismo in questo territorio. In venti minuti hanno appena il tempo di un selfie e di un kebab. Ed è proprio un panino alla carne che Anne e Terence Steffison, due turisti americani arrivati qui da Pisa per una escursione in giornata, hanno scelto prima di festeggiare l’anniversario di matrimonio sulla Via dell’Amore, il sentiero sul mare appena riaperto dopo dodici anni nel tratto Riomaggiore-Manarola.
Via dell’Amore
«E l’ingresso contingentato (al massimo cento persone nella via a senso unico, ndr) del sentiero — dice Bianchi — è un primo tentativo di numero chiuso: bisogna prenotarsi e avere la Cinque Terre Card, uno strumento che ti permette di prendere mezzi di trasporto, fare le visite guidate e visitare altri percorsi, avere il wi-fi e tanti altri servizi».
Non è gratis: da 7,50 a 15 euro nell’alta stagione per la giornaliera trekking e da 19,50 a 32,50 nel periodo di alta affluenza per quella treno. E in più ci vogliono dieci euro per fare la Via dell’Amore. Anne e Terence sono qui senza figli e la percorrono teneramente allacciati e senza tante remore da portafoglio, ma la famiglia di Mary Jo, quattro persone, ci ha rinunciato. Tenendo conto che una pasta (ottima, per carità) in uno dei tanti bistrot in centro a Vernazza arriva a costare anche 25 euro.
«Ma magari si fermassero a mangiare e a pernottare — sospira Massimo Giacchetta, presidente di Cna Liguria —. Il punto è che bisogna invogliarli a restare: sconti per chi pernotta, agevolazioni per chi si vuole spostare». Donatella Bianchi va oltre: «A me preoccupa vedere che dai centri storici stanno scomparendo i negozi tradizionali: questo vuol dire che tra non molto sarà impossibile vivere qui per gli stessi residenti, che d’inverno non sapranno dove fare la spesa».
E mentre arriva il via libera alla sperimentazione di droni e totem contapersone all’imbocco dei sentieri del Parco, l’espressione «numero chiuso» non è più un tabù, anzi. Non un ticket come a Venezia (in verità, la Cinque Terre Card è una forma di ticket) ma piuttosto una sorta di semaforo: attraverso un sistema di controllo digitale di arrivi, si proverà a capire quando è il caso di rallentare il flusso verso un borgo per indirizzarlo, magari, verso un altro che in quel momento ha meno presenze. «Il risultato permetterà di aggiornare i visitatori sulle zone troppo affollate e quelle meno, suggerendo itinerari alternativi», dice Bianchi.
E Valentina Figoli, coordinatrice dei Giovani Imprenditori di Cna La Spezia, fa notare che la maggior parte dei turisti in arrivo non sa nemmeno che intorno a Manarola o a Vernazza ci sono «santuari, castelli, ville, zone archeologiche: un mondo da far conoscere, da promuovere meglio». E in effetti, nessuno dei turisti francesi che ho intervistato a Monterosso conosce i luoghi cari a Eugenio Montale o le bellissime limonaie nei dintorni oppure ancora l’Eremo della Maddalena. «C’est vrai?», sgrana gli occhi Lucien quando gli dico che a pochi chilometri dal mare c’è l’area del Giurassico, una sezione di quello che milioni di anni fa era un oceano, la Tetide.
Le soluzioni
Ma, comunicazione a parte, quali potrebbero essere le soluzioni? L’Università di Genova suggerisce prenotazioni obbligatorie e ingressi a numero chiuso sul modello Machu Picchu, proprio perché parliamo di un’area molto ristretta, preziosa per la vegetazione e per la geografia. Riomaggiore ha già inserito l’affollamento turistico nel piano di Protezione civile, anche perché c’è un tema legato alla sicurezza: se una folla incontrollata si riversa su uno stretto sentiero a picco sul mare, come potrebbero fare i soccorritori ad arrivare in tempo in caso di emergenza? A Manarola (frazione di Riomaggiore) la sindaca Fabrizia Pecunia sta studiando accordi con gli operatori ferroviari per controllare gli arrivi. E si pensa di limitare la proliferazione di friggitorie e sexy shop.
Intanto è arrivato il tardo pomeriggio e il Cinque Terre Express, il treno che unisce i cinque borghi, si ferma a Monterosso annunciando che l’ultima fermata, quella di Levanto, è stata soppressa. «Fanno sempre così a quest’ora», sospira una donna che deve tornare a casa. Da Monterosso si prendono altre coincidenze, ma tanta gente che nelle Cinque Terre ci vive, si avvia rassegnata verso la banchina. Dove si resta in attesa tutti assieme: turisti, residenti, giornalisti inviati. Spossatezza, ecco la parola giusta.
(da il Corriere della Sera)
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