Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
IL RILASCIO SAREBBE UNA VIOLAZIONE CLAMOROSA DELLE NORME INTERNAZIONALI: UN FAVORE DEL GOVERNO MELONI AL CAPO DELLE MILIZIE LIBICHE CHE TIRANO LE FILA DEI TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI?
Il viaggio in Italia di Saddam Haftar diventa un giallo internazionale. Dove spuntano doppie identità, un presunto mandato di arresto spagnolo, trattenimenti agli aeroporti e, notizia di queste ore, la chiusura improvvisa di Sharara, il più vasto giacimento petrolifero in Libia. Una storia scivolosa che Repubblica, dopo aver consultato sei fonti qualificate, è in grado di ricostruire dal principio.
Il mese scorso il 33 enne figlio degli generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, è allo stadio dei Marmi di Roma. E’ il 23 luglio. Saddam Haftar, capo della Brigata Tariq Ben Zayed, considerata una delle milizie più feroci responsabile, secondo Amnesty international, di violenze, stupri e traffico di esseri umani, presiede con grande serenità la cerimonia delle Final Six del campionato di calcio libico vinto dall’Al Nasr, la squadra di cui è proprietario.
Attorno a lui ci sono quattro guardie del corpo. Le partite si sono tenute in quattro stadi tra la Campania e l’Abruzzo in base a un accordo siglato tra la premier Giorgia Meloni, il ministro dello Sport Andrea Abodi e le autorità dei due governi libici, durante la visita istituzionale di maggio a Tripoli e Bengasi.
Adesso le agenzie di stampa libiche, citando fonti ufficiali, battono la notizia della chiusura del campo di Sharara decisa da Saddam Haftar come rappresaglia per “il recente tentativo di arresto in Italia dovuto a un mandato di cattura emesso dalla Spagna”.
Sharara è di proprietà e sotto la gestione della Repsol, il colosso petrolifero spagnolo. Le stesse agenzie collocano il tentativo di arresto in questo weekend e a Roma, riferendo che Haftar junior è stato fermato e poi immediatamente rilasciato dalla polizia italiana.
Circostanza che, se confermata, sarebbe una violazione gigantesca delle norme della cooperazione internazionale nonché un trattamento di favore nei confronti di un famigliare del generale libico difficilmente spiegabile al governo di Madrid.
Cosa è successo veramente? Stando a quanto risulta a Repubblica, il 21 luglio un jet privato atterra all’aeroporto di Genova. A bordo ci sono cinque passeggeri libici forniti di passaporti, nessuno dei quali, però, porta il nome di Saddam Haftar.
Gli agenti di frontiera sottopongono i cinque al controllo di routine: non ci sono degli alert specifici legati a quei nomi. Quanto dura la procedura non è certo, ma niente che possa far pensare a un fermo di polizia.
I cinque fanno un altro volo sullo stesso aereo, questa volta lo scalo è a Capodichino. Qui la faccenda si complica, viene fuori che tra i cinque libici c’è anche Saddam Haftar. La fonte consultata da Repubblica ricorda che sia stato lui ad essersi rivelato con quella identità. A quel punto il trattenimento dura più di un’ora, perché, a differenza dei nomi scritti sui passaporti, il database si accende su Saddam Haftar.
Nella banca dati comune risulta una richiesta di segnalazione di “riservata vigilanza” inserita dal governo spagnolo: è un atto di cooperazione che impone alle forze di polizia del circuito Schengen di avvertire l’autorità che ha emesso la segnalazione nel caso ravvisino la presenza del soggetto attenzionato sul proprio territorio. Motivo per cui Saddam Haftar rimane all’aeroporto di Napoli per più di un’ora.
Nel 2023 infatti la Spagna lo ha accusato di essere coinvolto in un traffico di armi destinato alla sua milizia. A gennaio di quest’anno il quotidiano spagnolo Cronica ha pubblicato un rapporto investigativo secondo cui la Policia Nacional aveva intercettato il carico, che era in viaggio verso gli Emirati Arabi Uniti e poi verso Bengasi con bolle di transito falsificate che attestavano, al posto delle armi, il trasporto di cibo e altra merce. Anche allora il figlio del generale libico, per reazione, fece chiudere il giacimento di Sharara per una settimana.
Come detto, però, le agenzie di stampa libiche parlano proprio di un mandato di arresto e, implicitamente, di un favore fatto dall’Italia. E ribadiscono che il tutto si sia svolto negli ultimi giorni, non a luglio. E’ una storia scivolosa e da trattare con cautela
Chi conosce come funziona il sistema della cooperazione europea ritiene impossibile che la nostra polizia possa aver fatto passare un soggetto di cui uno stato membro dell’Ue chiede l’arresto.
E’ un fatto, però, che Saddam Haftar, rientrato a Bengasi, ha ordinato alla sua milizia di chiudere Sharara, che produce quotidianamente 350 mila barili di greggio. E’ il più grosso e redditizio giacimento singolo in Libia.
(da La Repubblica)
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
IL GIUDIZIO TRANCHANT SU ORBAN: “PACHIDERMA FARABUTTO”
Probabilmente, Giorgia Meloni pensa che la sua visita in Cina di cinque giorni sia stata speciale. Ai cinesi, tuttavia, sarà sembrata fin troppo di routine. La Cina, dopo tutto, si definisce il “Regno di mezzo”, il luogo attorno al quale tutto il mondo ruota, proprio come ai tempi dell’Antica Roma il Mediterraneo fu chiamato il “Mare al centro della Terra”.
Di conseguenza, i governi cinesi si sono sempre aspettati che i visitatori andassero a trovarli e, volendo usare le loro parole, facessero “kow-tow”, si inchinassero ai loro piedi
Forse, un andirivieni di europei che fanno “kow-tow” sembra ordinario.
E di che andirivieni stiamo parlando! Soltanto dall’inizio di aprile, il presidente Xi Jinping e i suoi collaboratori hanno ricevuto visite dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, dal presidente polacco Andrzej Duda, dal Primo ministro ungherese Viktor Orbán e adesso dal Primo ministro italiano.
Ulteriore particolarità è che dal 13 al 15 giugno, quasi a metà di questo flusso di visite europee, Giorgia Meloni ha ospitato il summit annuale del Gruppo dei Sette – comprendente Italia, Germania, Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Giappone e Canada – nel sontuoso resort di Borgo Egnazia.
In Puglia i leader occidentali non sono stati assolutamente cordiali nei confronti della Cina, come questo andirivieni di visitatori europei a Pechino potrebbe lasciar supporre.
Nella dichiarazione conclusiva del summit, i leader del G7 hanno infatti dichiarato di essere contrari ad «attori in Cina» che «sostengono concretamente la macchina bellica russa» nella sua guerra contro l’Ucraina, e hanno espresso «le loro preoccupazioni in merito alle sue persistenti politiche industriali e pratiche non di mercato che mettono gravemente a rischio i nostri lavoratori, le nostre industrie, la resilienza e la sicurezza economica».
Nei suoi colloqui riservati con il presidente Xi Jinping, negli incontri pubblici tra imprenditori italiani e cinesi che si sono accompagnati alla sua visita, Giorgia Meloni avrà ripetuto e ribadito queste affermazioni?
A quanto sembra, ha insistito sul punto riguardante la macchina da guerra russa, anche se non sappiamo quanto seriamente. Sappiamo però che gli incontri pubblici erano dedicati alla firma di accordi, più che a esprimere preoccupazioni. Sappiamo anche che alcuni di quegli accordi, compresi quelli sulle automobili elettriche, l’intelligenza artificiale e il settore della cantieristica navale, a prima vista sembrano essere in contrasto con le politiche dell’Ue e presumibilmente non saranno gradite nemmeno agli Stati Uniti.
Questo è il motivo per cui la reazione più probabile dei cinesi alle visite dei leader europei è la soddisfazione, più che lo sconcerto. Queste missioni, coronate da quella di Giorgia Meloni, confermano l’opinione dei cinesi secondo cui la politica europea nei confronti di Pechino è frammentaria, contraddittoria e dominata perlopiù dal desiderio di ricavarne soldi.
Senza dubbio, la visita di Giorgia Meloni ha mostrato meno incoerenza di quella di poche settimane prima di Viktor Orbán, che detiene in questo periodo la presidenza a rotazione del Consiglio europeo, e che si è tolto lo sfizio di contraddire le politiche estere e della sicurezza dell’Ue nei confronti sia della Russia sia della sua partner strategica “senza limiti”, la Cina, ogni volta che ha potuto.
Comunque, tutti sanno che Orbán è un pachiderma farabutto. Nei circa due anni da quando è in carica, Giorgia Meloni è sembrata voler enfatizzare il suo rigoroso allineamento con la Nato, con l’Ue e con gli Usa. Questa sua visita a Pechino ha messo in dubbio parte di quell’allineamento.
Tutte queste visite finalizzate a siglare accordi da parte dei leader europei acuiscono lo scetticismo che Washington prova nei confronti degli stati membri dell’Ue in merito alla loro volontà precipua di affrontare le minacce economiche e per la sicurezza che la Cina pone. Ciò vale sia per i repubblicani sia per i democratici; quindi, la visita di Giorgia Meloni a Pechino non le avrà attirato i favori di Donald Trump o della candidata che ormai dovrebbe essere considerata la frontrunner per le elezioni di novembre, Kamala Harris.
Ciò è particolarmente vero se si tiene conto di quanto è piccolo il ruolo che le forze militari italiane hanno nella difesa dell’Europa o nel contributo alla sicurezza dell’area indo-pacifica, entrambe preoccupazioni prioritarie per l’America a prescindere da chi diventerà presidente nel gennaio 2025.
È un vero peccato, perché con il progetto congiunto con Giappone e Regno Unito, finalizzato a mettere a punto e realizzare un aereo da combattimento di nuova generazione, l’Italia ha un’occasione per ricavare vantaggi enormi dagli sforzi volti a migliorare la sicurezza di entrambe le regioni. In ogni caso, presumendo che il Global Combat Air Programme veda sopravvivere la collaborazione tra Leonardo, Mitsubishi Heavy Industries e BaE Systems, i suoi risultati non arriveranno prima degli anni 2030.
Avendo portato a termine i suoi cinque giorni di “kow tow” e di stipule di accordi, ciò a cui Giorgia Meloni farebbe bene a pensare adesso è come contribuire più tempestivamente e positivamente alla politica per la sicurezza occidentale nei confronti sia della Cina sia della Russia.
Considerato che sembra piacerle molto il simbolismo politico, c’è un esempio calzante a cui potrebbe ispirarsi ben presto. In questo periodo, la portaerei Cavour e una flotta d’attacco di navi italiane e di altri Paesi della Nato che le si accompagna stanno navigando nell’Oceano Indiano e nell’Oceano Pacifico, facendo tappa in Paesi alleati in Australia e in Giappone. Più avanti, nel corso dell’anno, quando dovranno navigare dal Giappone alle Filippine, Giorgia Meloni dovrebbe ordinare alla portaerei Cavour di condurre una “Freedom of Navigation Operation”, un’operazione di libera navigazione, solcando parte delle acque del Mar cinese meridionale il cui controllo la Cina sta cercando di estorcere alle Filippine.
Se la portaerei Cavour si assocerà alla causa delle Filippine, Xi Jinping ne resterà seccato – e questo sarà il punto di questo gesto simbolico: fare qualcosa di concreto per dimostrare che, tra tutti questi visitatori europei, almeno Giorgia Meloni riesce a rivendicare alcuni principi.
Oltre a ciò, il compito più importante consiste nel creare sostegno all’interno dell’Ue per un considerevole aumento della spesa per la Difesa
Quando i leader europei si recano in visita a Pechino e contraddicono oppure oscurano le politiche dell’Ue, compromettendo allo stesso tempo gli sforzi congiunti con gli Stati Uniti, rendono quel compito perfino più arduo.
Bill Emmott
per “La Stampa”
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
SONO GIA’ 14 I QUARTI POSTI DELL’ITALIA ALLE OLIMPIADI: POCHE VOLTE NELLA VITA SI VINCE, PIU’ SPESSO SI IMPARA SOFFRENDO
Non è solo perché al cinema abbiamo sempre preferito la malinconia dell’Harry Dean Stanton di Paris Texas al testosterone degli agenti speciali impegnati in missioni impossibili.
E neppure il fatto che, per fortuna, esiste ancora qualcuno a cui piace tifare per chi perde. Le lacrime trattenute a stento dal tiratore Tammaro Cassandro. Quando ha creduto di poter vincere, ha sbagliato due colpi di seguito. E poi quelle risalenti del judoka Antonio Esposito, che arrivato a un passo dalla medaglia è stato spazzato via in un minuto. E la naturalezza della nuotatrice Benedetta Pilato, che ha accettato il suo destino con grazia, venendo criticata da chi invece è convinto che il mondo appartenga solo ai vincitori, rivelando così una visione quasi darwinista dell’esistenza.
Sono ricordi che ci porteremo via da Parigi, non meno belli dei morsi alle medaglie dati dai loro colleghi di spedizione. Alla fine di questi Giochi, noi italiani saremo obbligati a interrogarci sul valore del quarto posto. O almeno, dovremmo farlo. Finora, ne abbiamo collezionati quattordici, se i nostri calcoli sono esatti, e siamo primi per distacco in questa speciale classifica, così come guidiamo anche quella dei quinti posti.
E lo sappiamo, che il vincitore si prende tutto. Titoli in home page, gloria, una effimera notorietà, i complimenti del politico di turno. Al medagliato di legno, perifrasi per altro orrenda, restano solo i rimpianti per quel che poteva essere. Funziona così. Ma la verità è che poche volte si vince, più spesso si impara soffrendo.
Non ci si deve vergognare, o sentirsi fuori posto per aver dato tutto, senza riuscire a raggiungere la meta. Succede alla maggior parte di noi. Roger Federer è stato il più umano degli dèi, perché ogni tanto tremava. Come dimostra la velista Marta Maggetti, spesso il quarto posto è il preludio di un trionfo a venire. C’è sempre stata molta più vita vera negli occhi tristi di Harry Dean Stanton che in quelli dei super eroi di Hollywood.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
LE DUE NUOTATRICI RIFIUTANO LA CULTURA DEL SUCCESSO, CONSIDERANO IL TEMA DEL RAZZISMO SUPERATO COME MENTALITA’ DA PALEOLITICO E VOGLIONO ESSERE VOCE DI UNA GENERAZIONE
Impegno, unghie colorate, treccine, voglia di farsi ascoltare: una generazione che nuota molto più veloce di chi giudica.
Non è leggera, ma rivendica la leggerezza come modo di vivere; vede un mondo stressato dove chi non vince non conta niente e lo rifiuta, Simone Biles con il suo passo indietro è l’atleta di riferimento; affronta temi come il razzismo con la faccia di chi pensa ad abitudini del paleolitico sopravvissute chissà come tra noi.
Cosa ci dicono dei giovani Pilato e Curtis
Benedetta Pilato a 19 anni è già una veterana di questa Nazionale: Mondiali a 14 anni, record del mondo (poi battuto) a 16, le Olimpiadi di Tokyo andate male, e queste? Dipende da che parte le si guarda.
Sara Curtis, 17 anni, è al suo debutto olimpico: mamma Helen è di origini nigeriane, papà Vincenzo è italiano, lei vive e si allena a Savigliano (Cuneo): non si è mai percepita come la prima italiana di colore che nuota, ma come una che andava veloce: ieri ha mancato la finale dei 50 stile (24’’77), ma certo non si fermerà. «Mi hanno buttato in acqua a due anni, a sei facevo agonismo: è stato amore a prima vista».
Benedetta dopo tutte le polemiche per il suo 4° posto per un centesimo nei 100 rana accolto con gioia esce dalle Olimpiadi con la staffetta 4×100 mista squalificata in batterie, ma con una convinzione: «Ho capito che sono innamorata di quello che faccio, ho gli occhi a cuoricino».
Ora: la ricerca del risultato resta il faro di chi fa sport, Benedetta lo sa. «Chiariamo, io non sono una che si accontenta, a nessuno piace perdere, ma se arrivo quarta non posso che fare i complimenti alle prime tre, non è che posso chiedere di rifare la gara o l’intervista».
Si è trovata un microfono e ha parlato per conto di una generazione. «Penso che a noi giovani servisse una svegliata: l’episodio che è successo a me, sgradevole, succede in tanti altri ambiti, nel lavoro, a scuola, all’Università. Ci dicono che siamo svogliati, che non vai bene se non finisci la laurea triennale in tre anni, ma ognuno ha i suoi tempi. Ho sentito tanti giovani in questi giorni che si sono sentiti colpiti personalmente, spero di aver smosso un po’ questa generazione, questa è la mia vittoria più bella». Ancora: «Io non mi permetterei mai di parlare di qualcuno di cui non conosco il percorso».
Benny sa che il suo è partito con un record di precocità. È una ragazza intelligente, conosce il rischio: «Spero di non stufarmi presto visto che ho iniziato presto. Dal punto di vista tecnico sono contenta della serenità con cui ho affrontato questa Olimpiade. Di solito sono una che non crede tanto in sé stessa ma qui ho capito quanto valgo».
Sara ha ancora molta strada davanti a sé. Dopo una settimana di raffreddore, gioia per Simone Biles («Concordo con lei, la salute mentale degli atleti è la priorità»), e attesa, la finale è sfuggita: «L’adrenalina era altissima. La leggerezza si costruisce: io sono una tipa solitaria, devo stare nella mia bolla, ascolto la musica, rapper americani, Sza, Billie Eilish, Kendrick Lamar, la trap italiana proprio non mi piace».
In Nigeria non è mai stata, forse ci andrà a dicembre con la madre, se gli impegni scolastici (frequenta l’istituto turistico), glielo consentiranno. Ha detto più volte che è felice di rappresentare questa Italia mista.
Il razzismo? «Domanda particolare…», dai ragazzi, ancora parlate di queste cose? Il viaggio verso Los Angeles non ha tempo da perdere.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
SENZA LA PRESENZA DELLE ONG I MORTI SAREBBERO STATI MOLTI DI PIU’… OLTRE 10,500 GLI ARRIVI DALL’INIZIO DELL’ESTATE… RIMPATRI: SOLO 92 IN PIU’ RISPETTO ALLO SCORSO ANNO
Dall’inizio del 2024 fino al 2 agosto, gli sbarchi sulle coste italiane hanno portato nel Paese 33.896 persone migranti. Questa è la stima del ministero dell’Interno: un dato decisamente più basso dell’anno scorso (quando in questo periodo si era arrivati a quota 89mila persone) e anche del 2022 (42mila), mentre è più alto del 2021 (28mila), del 2020 (14mila) e del 2019 (appena 4mila persone).
Controllando i numeri, dall’inizio dell’estate – o meglio, dal 15 giugno a oggi, come permettono di fare i dati ministeriali – sono sbarcate poco più di 10.500 persone nel giro di un mese e mezzo. Come è normale che sia, considerando le condizioni meteo più favorevoli alle traversate.
In questi mesi la rotta del Mediterraneo centrale non ha smesso di essere mortale, come dimostrato da decine di eventi di cronaca.
La stima dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni è che dall’inizio dell’anno al 27 luglio siano morte 408 persone in questo tratto di mare. Altre 512 risultano disperse – un’indicazione che spesso significa solamente che il loro corpo non è stato ritrovato, e quindi non è possibile considerarle ufficialmente tra le vittime.
Va ricordato che il flusso delle persone migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo per arrivare in Italia non è dettato dalle politiche del governo italiano, ma da moltissimi fattori che comprendono il meteo, le condizioni nei Paesi di partenza e non solo.
Un fattore che certamente finora non ha contribuito alla gestione dell’accoglienza in Italia sono i centri d’accoglienza costruiti in Albania, che secondo il governo Meloni avrebbero dovuto essere attivi prima a maggio, poi dal 1° agosto. Per il momento, la data della loro entrata in funzione resta incerta.
Da parte sua invece il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha rivendicato “il costante impegno” dell’esecutivo per quanto riguarda i rimpatri delle persone migranti che risultano non avere il diritto legale di restare in Italia: “Salgono a 79 i cittadini stranieri, irregolari sul nostro territorio, rimpatriati nei loro Paesi d’origine questa settimana, grazie ad operazioni straordinarie per il contrasto all’immigrazione illegale”, ha scritto Piantedosi sui social. Poche settimane fa, in un bilancio più ampio, lo stesso ministro aveva vantato un risultato piuttosto modesto: 92 rimpatri in più rispetto al 2023.
Geo Barents soccorre 73 persone, diretta a Ravenna
Uno dei motivi per cui la conta dei morti nel Mediterraneo non è ancora più alta sono gli interventi delle organizzazioni non governative che effettuano operazioni di soccorso in mare. Tra queste, la nave Geo Barents (di Medici senza frontiere) ha salvato ieri sera le 47 persone che si trovavano a bordo di una barca in vetroresina in acque internazionali: “Durante le operazioni di soccorso, due persone si sono rifiutate di essere soccorse. Sono stati visti salire su due barche nere non contrassegnate che si sono identificate come ‘Guardia Costiera Libica’ e hanno lasciato l’area”, ha fatto sapere la Ong.
La Geo Barents si è poi diretta verso Ravenna, la città indicata dal governo italiano per lo sbarco. Questa mattina ha soccorso un’altra imbarcazione, con 26 persone a bordo. La nave procede quindi, con 73 persone sopravvissute. L’arrivo a Ravenna è atteso mercoledì sera, dopo giorni di navigazione a causa della distanza del porto assegnato.
Chi invece è già arrivata a destinazione è la Ocean Viking, della Ong Sos Mediterranee. Arrivata nel pomeriggio di oggi ad ancona, la nave trasportava 196 persone migranti naufraghe. Tra questi c’erano una donna, undici minori non accompagnati e uno accompagnato. Due persone a bordo hanno gravi fragilità e patologie, secondo quanto fatto sapere dopo i controlli medici di rito. Nelle prossime ore avverrà la redistribuzione sul territorio italiano: cento persone dovrebbero essere accolte in Piemonte, 46 in Abruzzo e le restanti 50 nelle Marche.
Lampedusa, donna sbarca con due figli e ha un malore: la salvano i medici
Oggi, a Lampedusa, la vita di una donna che accompagnava i suoi due figli è stata salvata dopo lo sbarco dall’intervento dei medici presenti. Subito dopo il triage avvenuto sul molo, la 49enne aveva avuto un malore con forti dolori allo sterno. I medici del poliambulatorio di Lampedusa, intervenuti, hanno capito che si trattava di una sindrome coronarica acuta. Così, è scattato il trasferimento immediato al reparto di cardiologia dell’ospedale Ingrassia di Palermo.
La donna è stata portata in elicottero insieme ai figli, e dopo il ricovero in terapia intensiva è stato possibile salvarla: “La signora adesso sta bene ed ha subito instaurato uno splendido rapporto con il personale del reparto che ha, anche, accudito i figli della paziente. La diagnosi tempestiva al Poliambulatorio di Lampedusa ed il trasferimento all’Ingrassia hanno consentito di intervenire efficacemente, salvando, di fatto, la signora. Il sogno della donna è di potersi presto ricongiungere, insieme ai figli, ai parenti che vivono in Germania”, ha fatto sapere il direttore della cardiologia all’ospedale palerminato, Sergio Fasullo.
(da Fanpage)
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
L’ITALIA E’ PRESIDENTE DI TURNO DEL G7 MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI VA IN GIRO A PARLARE DI CARCERI E DI FORZA ITALIA
Antonio Tajani mangia una, poi due pizzette alla buvette della Camera. Intorno si addensa la calca di fedelissimi di Forza Italia, in testa il big del partito nel Lazio, il deputato Francesco Battistoni. Il mondo brucia, da Teheran promettono vendetta per l’uccisione, da parte di Israele, del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Il contesto generale è più che mai caotico ma il ministro degli Esteri italiano pasteggia. Quindi ordina e sorseggia un caffè. Quantomeno trasmette tranquillità.
L’istantanea di Montecitorio risale e mercoledì scorso, al termine del rituale question time (quando i deputati illustrano le interrogazioni rivolte ai ministri con tempi contingentati), dopo la scioccante operazione di Tel Aviv che ha fatto esplodere la tensione con la Repubblica islamica. E Tajani che fa? Alza lo sguardo al cielo di fronte alle domande dei giornalisti che alla spicciolata gli si avvicinano cercando lumi sull’evoluzione degli eventi futuri. Come a dire “non c’è tanto da fare”. «E un caffè, grazie».
Immagini di una giornata estiva qualunque in parlamento, che consegnano l’impotenza della diplomazia di Roma, peraltro durante la presidenza di turno del G7. Un’impotenza confermata dall’appello che il ministro ha rivolto ieri all’Iran invitando il governo di Teheran alla «moderazione e a contribuire a una fase di de-escalation in tutta la regione». Chissà se verrà ascoltato.
Più Transatlantico che Iran
In fondo per qualche minuto in più trascorso in buvette ci potrebbe essere una ricaduta politica importante, almeno in ottica nostrana. Il suo presidio in Transatlantico è stato utile per marcare il territorio durante la “campagna di rafforzamento” del gruppo, visto che alcuni deputati di Azione e Italia viva, sono in procinto di passare con Forza Italia, amareggiati per il naufragio del Terzo polo. E se qualcuno cercava qualche spiegazione, un motivo in più per andarsene, il leader azzurro era lì, pronto a dare l’ultima spinta per convincere gli interlocutori. Insomma, va bene il clima surriscaldato in Iran, ma una pattuglia più forte di parlamentari merita attenzione. Specie per un segretario di partito.
La dottrina non è tanto dissimile da quella di Giorgia Meloni, che ha preferito attizzare la polemica su Angela Carini e l’incontro di boxe con l’atleta algerina, Imane Khelif, invece di spendersi con la stessa vivacità sui dossier internazionali. Tajani si è adeguato e ha seguito lo stile alla camomilla, quello che lo ha puntellato al comando del partito fondato da Silvio Berlusconi facendo addirittura crescere i forzisti con tanto di boom di tessere e bilancio in attivo.
Per carità, nella successiva intervista al Corriere della Sera ha garantito un impegno «senza sosta» per cercare una mediazione. Tra una dichiarazione e l’altra sulle tensioni internazionali, qualche ora dopo è andato a parlare con gli industriali della nautica al Club nautico Versilia, benedicendo la candidatura di Ciro Costagliola a sindaco di Viareggio.
E al momento non sono all’ordine del giorno iniziative particolari per tentare la missione quasi impossibile di frenare l’escalation. È chiaro: la partita si gioca su altri tavoli. Per questo Tajani non ha disdegnato di presenziate a un talk, organizzato a Campiglia Marittima, in provincia di Livorno, per raccontare gli obiettivi futuri di Forza Italia. Nel frattempo, il vicepremier ha pure continuato il tour per le carceri, come annunciato nei giorni scorsi, visitando la casa di reclusione di Paliano, in provincia di Frosinone.
In un’estate di campagne politiche e di comunicazione, la battaglia garantista sarà il marchio distintivo di Tajani, a braccetto con i Radicali italiani (da non confondere con quelli di +Europa).
Sovranisti di periferia
C’è perciò il paradosso del governo sovranista, che vuole riportare l’Italia al centro dell’Europa, ma di fronte al conflitto in Medio Oriente non riesce a essere affatto la grande nazione, vaticinata da Giorgia Meloni e dagli alleati, ma un paese piccolo, collocato alla periferia dell’occidente. Peraltro, se Bruxelles è afasica, Roma come potrebbe mai sgolarsi, è il ragionamento pragmatico che rimbalza dai corridoi di governo. «Bisogna essere realisti», è il discorso fatto a microfoni spenti. Ma è pur vero che l’aura non è quello di un governo Meloni votato al dialogo, aduso alla mediazione.
Non funziona nemmeno tanto il fatto che storicamente le relazioni tra Italia e mondo arabo siano state proficue. I governi italiani – nei decenni – sono stati un punto di riferimento in questo senso. Poi il capitale di fiducia reciproca si è eroso ed è stato dilapidato.
Dal ministero degli Esteri c’è l’ammissione che davanti a uno scenario così complicato, non si può fare granché. Ma d’altra parte c’è la rivendicazione di quanto è stato fatto nei giorni scorsi, un bilancio considerato positivo. La versione della Farnesina racconta di una diplomazia italiana che ha provato a lasciare il segno soprattutto per una tregua a Gaza.
Contatti costanti e colloqui informali stavano apparecchiando il tavolo per un percorso verso la pace, per questo Roma era stata scelta come sede del confronto. La concomitanza di eventi non ha aiutato: prima le operazioni contro Hezbollah, che hanno ucciso Fouad Shukr, fidato consigliere di Hassan Nasrallah, leader indiscusso dell’organizzazione sciita.
Lo sforzo italiano è stato orientato a normalizzare i rapporti proprio al confine tra Libano e Israele, allontanando di decine di chilometri Hezbollah dalla blu line, nell’ottica di mettere in sicurezza la zona e i militari italiani di stanza in quell’area. Così come ci sono state telefonate con i ministri degli Esteri di paesi arabi, dagli emiratini ai libanesi, e con una intensa conversazione con i libanesi.
Poi l’eliminazione di Haniyeh ha rovesciato il tavolo, i negoziati di pace si sono trasformati in una scalata impossibile. Allora Tajani ha preferito passare qualche ora alla Camera. Almeno si stava più tranquilli.
(da editorialedomani.it)
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
NOI E L’EUROPA: ALTROVE CONTROLLI RIGIDI E TETTI PIU’ BASSI
L’Italia è messa meglio o peggio rispetto al resto d’Europa riguardo al finanziamento pubblico o privato? Economicamente non c’è una risposta, ogni Paese ha dovuto affrontare i suoi problemi ma “la trasparenza è sostanza”, scriveva Openpolis nel 2019. Cinque anni dopo, anche se non si può creare una classifica definitiva, l’Investigative Reporting Project Italy (Irpi) che ha analizzato i dati del progetto Transparency Gap coordinato dalla piattaforma di giornalismo investigativo olandese Follow the Money, rivela che l’Italia ha un triste primato: non compare direttamente nel confronto tra i transparency gap dei diversi Paesi perché “i partiti mancano di omogeneità nel modo in cui redigono i propri bilanci in virtù del loro status giuridico”. Sono, infatti, “associazioni private non riconosciute, ciascuna dotata di statuti, regolamenti interni e una certa autonomia – un’eccezione rispetto al resto d’Europa”.
Quello che sappiamo è che tra il 2019 e il 2022, lo stesso lasso di tempo analizzato per gli altri Paesi, i partiti italiani hanno incassato da privati “71 milioni di euro (83 milioni, se si contano le quote versate dagli iscritti ai partiti)”, il 52 per cento dei soldi che affluisce nelle casse dei partiti.
Le norme, si legge, almeno non sono male. Le spiega approfonditamente una recente analisi dell’Osservatorio Conti pubblici italiani (Cpi) dell’Università cattolica del Sacro Cuore – ma dopo il caso Toti ne sono fiorite di nuovo in quantità. Nel 2014 in Italia, dopo le forti critiche ai finanziamenti pubblici, si è passati a una forma indiretta di finanziamenti, ai parlamentari e ai gruppi parlamentari, tramite donazioni o tramite il 2 per mille nel secondo caso, mantenendo i rimborsi elettorali.
Le donazioni da privati oggi godono di un trattamento fiscale agevolato, cioè una detrazione del 26% dell’ammontare donato per importi fino a 30 mila euro. Le donazioni non possono però eccedere i 100 mila euro all’anno. Un situazione che ha spinto alla nascita di fondazioni e associazioni create dai leader politici e utilizzate per finalità parapolitiche per ovviare ai limiti.
Nel 2019 per cercare di fare chiarezza è intervenuto il governo Conte I con l’approvazione della cosiddetta legge Spazzacorrotti. Il testo si indirizzava ai reati contro la Pubblica amministrazione, ma, ricorda Irpi, coinvolgeva anche i partiti, rendendo obbligatoria la dichiarazione di tutte le donazioni ricevute superiori ai 500 euro (il caso della Fondazione Open collegata a Matteo Renzi, ricordiamo, sarebbe esploso nel 2021) estendeva le regole di trasparenza dei partiti a fondazioni e associazioni politiche. Anche all’estero ci sono zone d’ombra.
In Francia la legge che si occupa di finanziamenti risale al 1988. I fondi pubblici sono distribuiti in base al numero dei voti ottenuti nelle elezioni legislative e dei parlamentari eletti. Le donazioni private sono permesse, ma le donazioni individuali non possono superare i 7.500 euro all’anno. I partiti inoltre, spiega il Cpi, devono presentare resoconti annuali allaCommission nationale des comptes de campagne et des financements politiques(CNCCFP). A fronte di questi obblighi, non hanno una legge che obblighi a rivelare i donatori, ricorda Irpi.
In Spagna i nomi dei donatori sono pubblici sopra i 25 mila euro, ma i tesserati possono andare oltre e non essere resi noti. “Il solo Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) – riporta l’inchiesta Irpi – del primo ministro Pedro Sánchez incassa ogni anno oltre undici milioni di euro di donazioni di cui non deve dichiarare l’autore”.
In Germania i partiti ricevono finanziamenti in base ai voti e agli iscritti. Le donazioni private, si legge nell’analisi dell’università, non hanno un tetto massimo ma sono comunque regolamentate: sopra i 10 mila euro devono essere dichiarate immediatamente. Il problema, segnala Irpi, sono quelle piccole. Dei 641 milioni di euro totali – la cifra più alta in Europa –, 329 provengono da imprese e privati cittadini e 312 dagli stessi politici: circa il 75% delle donazioni di cui non è pubblico l’autore in Europa risulta effettuato in Germania.
Il Regno Unito non fa parte dell’area Ue, ma rimane uno dei termini di paragone più citati. Il finanziamento pubblico è molto limitato, e le donazioni private non hanno tetti, ma soprattutto solo quelle superiori a 7.500 sterline, ricorda il Cpi, devono essere dichiarate alla Commissione Elettorale, l’autorità indipendente di vigilanza. Dovunque si vada a scavare, conclude Irpi, il risultato rischia di essere deludente, e questo si traduce in una pessima opinione sui politici. Non solo: “Potrebbe avere ripercussioni anche sull’affluenza alle urne”. Lo scrivevano in vista delle Europee e l’8 e 9 giugno l’Italia ha registrato l’affluenza più bassa mai registrata.
(da agenzie)
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
IL SONDAGGIO: A POCHI PIACE L’ABBRACCIO CON ITALIA VIVA E AZIONE
Ricalcare l’ipotetico fronte popolare anti-destra che ha evitato la vittoria di Marine Le Pen in Francia sembra più complicato del previsto, come spiega l’analisi di Noto Sondaggi per Repubblica.
Se da un lato può sembrare naturale agli elettori di centrosinistra un’alleanza tra i partiti di opposizione per sostituire il centrodestra al governo alle prossime Politiche, dall’altro non sono pochi a ricordare le liti e gli scontri che hanno portato ai rapporti gelidi tra, per esempio, Pd e Italia Viva o tra M5s e Azione.
Cosa pensano gli elettori Pd e M5s
L’analisi dell’Istituto Noto spiega che lo scoglio più difficile da superare è lo scetticismo dell’elettorato Pd e del M5s. Davanti all’ipotesi di un’alleanza con Matteo Renzi, solo il 29% degli elettori di Elly Schlein e il 19% di quelli che sostengono Giuseppe Conte dicono che potrebbero anche accettare un accordo con Italia Viva.
L’antipatia cala a proposito di Azione: il 43% degli elettori dem si dice favorevole a un’alleanza con Carlo Calenda. Non migliora invece l’umore tra i grillini, di cui solo il 20% accetta l’idea di accordarsi con il leader di Azione.
È vero anche che gli elettori del M5s sono i più scettici a qualsiasi tipo di alleanza. A metterli d’accordo è solo un’intesa con il Pd, su cui sono favorevoli per il 60%, e con Avs per il 54%.
Cosa pensano gli elettori di Italia Viva e Avs
Per quanto lo stesso Renzi speri che non ci siano più i veti incrociati per un’alleanza con Pd e M5s, tra i suoi elettori pare non tutti la pensino come lui. Tra chi vota Italia Viva, solo il 16% si dice favorevole ad aderire al Campo largo con il M5s, solo il 29% se ci fosse Avs.
D’altro canto, gli elettori di Verdi e Sinistra italiana non vorrebbero un accordo con Renzi e Calenda. Da parte degli elettori di Italia Viva comunque c’è largo favore per un’alleanza con il Pd, vista di Nuon occhio dal 69%. Secondo Noto, gli elettori di +Europa e Azione sono i più predisposti per sostenere un Campo larghissimo, con tutti i partiti che sono interessati.
(da agenzie)
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Agosto 4th, 2024 Riccardo Fucile
QUANDO CONTA LA RETE DI SOLIDARIETA’: “E’ UN GRANDE PASSO VERSO LA RINASCITA”
Il ciel t’aiuta ma la brava gente di più. Non ha lasciato indifferenti l’articolo del Corriere sull’ex ristoratore milanese diventato clochard a 50 anni, vittima nel 2022 di una truffa operata dal socio che ha svuotato la «cassa» con bonifici per 400mila euro verso società a lui riconducibili prima di scomparire calpestando una storica amicizia.
«Avevo investito tutto in quel locale», raccontava il senzatetto dal suo giaciglio a Lambrate, sotto i portici di via Muzio Scevola, condannato ai bassifondi dopo aver perso anche la casa di Monza acquistata con il mutuo. «Ne avrei un’altra in via Padova, era di mia nonna, ma è occupata da una famiglia che da tempo non paga l’affitto».
Si era confidato mantenendo l’anonimato, un po’ per vergogna e perché non tutti i parenti sapevano della rovinosa caduta, ma ora che c’è un lieto fine, riconoscente alle tante persone che gli hanno telefonato per un lavoro o un alloggio, ci mette almeno il nome: Andrea. Da lunedì 5 agosto, Andrea lascia il giogo della strada e riprende il «gioco» della vita, non più fantasma ma operaio in un centro logistico a Liscate. «Ho firmato fino al 31 ottobre, se le cose andranno bene il contratto sarà rinnovato, ancora non ci credo».
La macchina del Bene si è attivata in tempi rapidissimi. Richieste di colloqui, messaggi di conforto, l’impegno dei City Angels, l’incontro con il consigliere regionale Marco Bestetti per valutare l’inserimento in graduatoria per una casa popolare: «Mi servirà una residenza fittizia e dovrò presentare il modello Isee, ho preso appuntamento al Caf, ma nel frattempo posso dormire in ostello grazie alle donazioni dei privati: letto comodo, doccia, specchio, aria condizionata»
Quali privati? «Un mondo a me sconosciuto mi si è aperto» continua emozionato Andrea, contattato da Mirco Gasparotto che guida Arroweld Italia, azienda leader nella distribuzione di prodotti industriali — per la saldatura — con sede a Zanè (Vicenza) e diverse filiali tra cui quella lombarda a Cormano. «Ma in questo caso, con me, Gasparotto si è qualificato come fondatore di un’associazione di imprenditori, un network pronto ad aiutare quelli in crisi. Dalle parole ai fatti, in poche ore mi hanno garantito l’affitto mensile di una stanza e i soldi per andare dal barbiere a darmi una sistemata».
Il network si chiama Osa community ed è basato sulla condivisione di esperienze e saperi tra proprietari di piccole e medie imprese: «Ho alle spalle 40 anni di carriera ma non sono un figlio di papà — spiega Gasparotto —. Ho iniziato come fattorino trasportando bombole di gas, sono stato bravo e fortunato, ora voglio restituire qualcosa facendo rete con altri colleghi per favorirne la crescita.
Oggi Osa, attiva dal 2016, può contare su 14 “sedi” italiane (per le riunioni evento) e un seguito di 7 mila imprenditori. Abbiamo inoltre istituito un fondo da destinare a quelli in difficoltà, e in questo caso ne ha beneficiato Andrea. Poi abbiamo chiesto ai nostri membri chi potesse dargli da lavorare».
Ci ha pensato Technobuild, un consorzio specializzato in logistica con sede a Melzo che movimenta soprattutto alimentari e prodotti tecnologici. «Da lunedì sarà impiegato in un magazzino di Liscate — spiega il ceo Antonio Guttilla —. Difficilmente chi cade riesce a rialzarsi da solo, è un falso mito, e lui meritava una chance, ho percepito la sua voglia».
Tornerà ad avere giornate piene, Andrea, la sensazione di valere qualcosa, a fare i conti con orari e spostamenti, a sognare una compagna. «Non sto più nella pelle, è un grande passo verso la mia rinascita: fisso in continuazione la divisa da lavoro, le scarpe, il badge. Voglio ringraziare tutti gli imprenditori che si sono interessati alla mia vicenda, siete angeli caduti dal cielo, e quando tornerò del tutto indipendente vorrei spendermi per chi vive in strada, dare una speranza, ché il sacco a pelo non è un ergastolo. Posso testimoniare la forza e l’importanza delle associazioni. Ho promesso al presidente dei City Angels, Mario Furlan, che diventerò uno di loro. Mai avrei pensato che un articolo di giornale potesse connettermi a tante persone fantastiche, come Paola Mortara che mi sta dietro come una mamma. Mi viene in mente una frase di Paulo Coelho: non ti arrendere mai, di solito è l’ultima chiave del mazzo quella che apre la porta. Sono felice. Se il sorriso è un po’ strozzato è per i denti persi, spero che anche questo problema si risolverà. Ah, ne resta poi un altro: ricordarsi di mettere la sveglia, domani si riparte».
(da agenzie)
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