Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
IL DEEP STATE È PREOCCUPATO DA UN VITTIMISMO OSSESSIVO DIETRO CUI NASCONDERE UN’AZIONE DI GOVERNO GIUDICATA SEMPRE PIÙ DELUDENTE
Nessuno, dopo la vittoria schiacciante alle ultime europee, poteva immaginare che per la premier Giorgia Meloni l’estate sarebbe stata così avara di sorrisi. E che i segni di debolezza della sua leadership si sarebbero mostrati in tempi così stretti e in modo così evidente.
Il turning point è stato l’improvvida decisione di bocciare il bis dell’amica Ursula von der Leyen.
Uno svarione politico a cui sono seguiti altri gravi errori di valutazione: puntare molto sulla vittoria di Marine Le Pen in Francia e sottovalutare la voglia di rivalsa dei due fratelli Berlusconi.
A luglio i due dominus di Forza Italia hanno infatti imposto al reggente Antonio Tajani una svolta “di tono” su diritti e nomine rovesciando l’appeasement che ha caratterizzato finora i rapporti tra gli azzurri e Meloni, aprendo d’improvviso una stagione assai più muscolare con l’inquilina di Palazzo Chigi.
Il nervosismo dell’ex missina si è plasticamente manifestato nella scelta surreale di cavalcare la fake news costruita dal suo biografo Alessandro Sallusti, in merito a un presunto complotto contro Arianna Meloni ordito dalla magistratura insieme alle opposizioni e la stampa avversa.
Una balla sesquipedale usata dolosamente per “avvisare” il potere giudiziario, che però ha creato tensioni anche nel deep state del paese, preoccupato da un vittimismo ossessivo dietro cui nascondere un’azione di governo giudicata sempre più deludente.
Se le fake news vengono usate dalla premier per una narrazione tossica ci sono notizie verissime che i vertici di FdI preferiscono tenere ben nascoste.
Come quella dei soldi girati dalla Fondazione An, cassaforte del partito della premier, ai neofascisti dell’associazione Acca Larenzia, che ogni anno organizzano il rito del “Presente”.
La questione è la pistola fumante che dimostra una volta per tutte i legami strettissimi, addirittura economici, tra gli attuali capi di Fratelli d’Italia è la peggiore feccia fascista del paese. Meloni, quando lo scorso gennaio le immagini dei camerati di Acca Larentia con le braccia tese finirono sui media di tutto il mondo, preferì non condannare l’episodio.
Viceversa attaccò la stampa che chiedeva numi sulla sua posizione: «Il mio silenzio su Acca Larentia?
In cambio avete parlato voi, regalando un grande assist alla propaganda russa», disse. I 30mila euro donati ai filonazisti chiariscono meglio l’atteggiamento del presidente del Consiglio, che difficilmente avrebbe potuto censurare i camerati generosamente finanziati appena sei mesi prima dalla fondazione che fa riferimento al suo partito.
Possibile che la leader o i vertici di FdI non fossero al corrente dell’operazione? Improbabile: nel board della cassaforte siedono (o sono stati seduti) tutti i fedelissimi della fiamma magica di Giorgia: prima il cognato Francesco Lollobrigida e il mentore Ignazio La Russa, oggi la sorella Arianna Meloni, il maestro Fabio Rampelli e plenipotenziario per le relazioni istituzionali romane di FdI Luca Sbardella
Infine, mette in risalto le ipocrisie della premier che ama autodefinirsi «non ricattabile».
Dopo l’inchiesta di Fanpage Meloni dichiarò infatti di aver «ripetuto decine di volte che non c’è spazio in FdI per posizioni razziste o antisemite, come non c’è spazio per i nostalgici dei totalitarismi del ’900 o per qualsiasi manifestazione di stupido folklore».
Parole a cui seguì la sospensione delle dirigenti di Azione giovani immortalate a inneggiare al Duce e Hitler. Un’impostura a tutti gli effetti, scopriamo oggi, visto che la fondazione dove siede la sorella della moralizzatrice i razzisti e i nostalgici li finanzia in segreto.
Emiliano Fittipaldi
per “Domani”
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
“HA PRESO DI MIRA LE ISTITUZIONI CULTURALI DEL PAESE ANNUNCIANDO DI VOLERLE DI ‘LIBERARE’ DALLA SINISTRA. UNO DEI SUOI PRIMI ATTI DA PRIMO MINISTRO È STATO QUELLO DI NOMINARE GIAMPAOLO ROSSI, NOTO PER AVER DIFESO TRUMP, PUTIN E ORBÁN, A CAPO DELL’EMITTENTE PUBBLICA”
Il 26 maggio 2023, quasi un anno dopo aver vinto le elezioni nazionali del 2022 per diventare primo ministro italiano, Giorgia Meloni ha tenuto un discorso politico a Catania, in Sicilia. Prima donna a governare l’Italia e politico di estrema destra dai tempi del dittatore fascista Benito Mussolini, la Meloni ha detto ai suoi sostenitori che, nonostante il successo elettorale, la vittoria non era ancora completa. C’è un’ultima resistenza di sinistra nella società italiana, ha detto la Meloni: il settore culturale.
“Voglio liberare la cultura italiana da un sistema in cui si può lavorare solo se si appartiene a un certo schieramento politico”, ha detto. È stato un chiaro segnale di intenti, un colpo minaccioso nelle guerre culturali del Paese e la promessa di una controffensiva di destra alla presunta egemonia della sinistra sulle scene cinematografiche, televisive e artistiche italiane.
La Meloni è sembrata essere fedele alla parola data. Uno dei suoi primi atti da primo ministro è stato quello di nominare Giampaolo Rossi, un giornalista noto per aver difeso Donald Trump, Vladimir Putin e il leader dell’estrema destra ungherese Viktor Orbán, a capo dell’emittente pubblica italiana Rai. Rossi ha dichiarato di voler “riequilibrare la narrazione mediatica” e recuperare gli spazi mediatici “usurpati dalla sinistra”.
Sono seguite altre nomine. Gennaro Sangiuliano, un altro giornalista di destra, è stato nominato ministro della Cultura e ha parlato di contrastare “la cultura anglosassone della cancellazione e la dittatura della wokeness”
Il critico conservatore Alessandro Giuli ha assunto la direzione del Maxxi, il più importante museo d’arte contemporanea di Roma. Pietrangelo Buttafuoco, probabilmente il più acclamato intellettuale di destra italiano, è stato nominato presidente della Biennale di Venezia, l’istituzione che sovrintende a una vasta serie di eventi culturali, tra cui la Mostra del Cinema. “In questa stagione gli steccati verranno abbattuti”, ha dichiarato Buttafuoco prima della sua nomina. “Verrà data una casa a chi finora non l’ha avuta”.
Mentre il mondo del cinema scende al Lido per l’81ª Mostra del Cinema di Venezia e l’inizio non ufficiale della stagione dei premi, qual è lo stato delle guerre culturali in Italia? Quale impatto potrebbe avere l’estrema destra italiana sull’industria? I registi italiani sono preoccupati.
La scorsa estate, praticamente tutti i registi più importanti del Paese, tra cui Luca Guadagnino (Challengers), Paolo Sorrentino (La grande bellezza), Matteo Garrone (Gomorra) e Alice Rohrwacher (La Chimera), hanno firmato una petizione per protestare contro l’intenzione del governo Meloni di assumere la gestione del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, la più antica – e tuttora una delle migliori – scuola di cinema del mondo, interpretandola come un tentativo “violento e rozzo” di imporre una nuova ortodossia politica.
A maggio di quest’anno, alcuni giornalisti dell’emittente statale Rai hanno inscenato uno sciopero di 24 ore per protestare contro le minacce alla libertà di parola e i casi di sospetta censura da quando il governo Meloni è salito al potere. Lo sciopero è avvenuto pochi giorni dopo che il gruppo di controllo dei media Reporter senza frontiere ha declassato l’Italia nel suo indice annuale sulla libertà di stampa, facendo passare il Paese nella categoria “problematica” insieme all’Ungheria, che sotto il primo ministro Orbán ha subito forti restrizioni alla libertà di espressione politica.
“C’è un’evidente perdita della pluralità delle voci e dell’offerta [in Rai]”, dice Giuseppe Candela, giornalista che lavora per le testate online Dagospia e Il Fatto Quotidiano e che è specializzato nel settore televisivo. “Chi non si allinea al governo viene inimicato”.
“Ma l’Italia non è l’Ungheria, almeno non ancora”, afferma Tommaso Pedicini, giornalista culturale italiano con sede in Germania. “In Rai ci sono sicuramente meno voci critiche nei confronti del governo, ma non sono scomparse del tutto. E le proteste della sinistra si sono fatte più forti”.
Andrea Minuz, professore di storia del cinema all’Università La Sapienza di Roma e membro del consiglio di amministrazione del Centro Sperimentale, osserva che le nomine politiche in Italia sono la regola, non l’eccezione. Quando sono al potere, i governi di sinistra hanno messo i loro uomini ai posti di comando. Con la Meloni e il nuovo ministro della Cultura Sangiuliano, “si è parlato della volontà della destra di vendicarsi, di regolare i conti [con la sinistra]”, dice Minuz, ma finora ritiene che l’impatto sia stato minimo perché la maggior parte della “burocrazia” culturale italiana rimane solidamente di sinistra. “Se ciò che sta sotto la superficie non cambia, non cambierà nulla”, afferma.
Il principale piacere culturale della Meloni sembra essere quello dei romanzi fantasy. È una superfan del Signore degli Anelli che una volta ha posato accanto a una statua di Gandalf per un servizio fotografico su una rivista.
Lo scorso dicembre, la Meloni ha ospitato per quattro giorni un raduno politico a tema fantasy per il periodo natalizio, con una lista di ospiti che comprendeva Elon Musk e Santiago Abascal, il leader del partito di destra spagnolo Vox. Le storie di J.R.R. Tolkien sono state, in modo alquanto bizzarro, fatte proprie da una parte della destra italiana negli anni Settanta, che le ha interpretate come una voce della tradizione contro il progresso, rappresentando la lotta per difendere l’identità occidentale e cristiana contro la modernizzazione, la globalizzazione e l’invasione straniera
“La destra ha ragione quando dice che le istituzioni culturali sono dominate dalla sinistra”, osserva Pedicini, ”ma anche se la destra volesse impadronirsi [delle industrie culturali], non ha il personale. Le istituzioni culturali italiane sono state dominate dalla sinistra per decenni e non ci sono abbastanza intellettuali di destra, persone qualificate, per sostituirli”.
Secondo Pedicini, il presidente della Biennale Buttafuoco è uno dei pochi “qualificati” della destra culturale: “È un intellettuale in buona fede e un eccellente scrittore e pensatore”.
Non è però un ideologo della Meloni. Buttafuoco ha difeso l’idea di una profonda “tradizione di destra” in Italia, ma è anche un recente convertito all’Islam e ora musulmano praticante
“Se si guarda alla sua politica, non è tanto un nazionalista italiano alla Meloni quanto un anarchico di destra”, osserva Pedicini. “Molte delle sue opinioni sono in contrasto con quelle del governo Meloni”.
“Sta facendo molto bene”, aggiunge Minuz. “Guardate la decisione di nominare Willem Dafoe come nuovo direttore artistico della sezione teatrale della Biennale: è un’ottima scelta”.
I timori che la nomina di Buttafuoco a presidente della Biennale segnasse l’inizio di una nuova agenda di estrema destra alla Mostra del Cinema di Venezia non si sono finora concretizzati
A maggio, Alberto Barbera, direttore artistico di lunga data della Mostra del Cinema e nominato dalla sinistra, ha rinnovato il suo contratto per altri due anni, fino al 2026. A Barbera si attribuisce il merito di aver rilanciato Venezia e di aver reso il festival un trampolino di lancio imperdibile per la stagione dei premi.
“Ho sentito un’immediata intesa con Alberto Barbera e ho grande rispetto per la competenza, la professionalità e la passione che ha dimostrato negli anni in cui ha diretto la Mostra del Cinema”, ha dichiarato Buttafuoco in un comunicato dell’epoca. “Sono estremamente lieto che la Biennale continui questo percorso con lui”.
In vista del Festival di quest’anno, Barbera ha inchiodato i suoi colori politici all’albero maestro, annunciando su X che avrebbe lasciato la piattaforma di social media dopo una serie di post di Musk in cui inveiva contro la candidata democratica alla presidenza Kamala Harris e sosteneva che il Regno Unito fosse sull’orlo di una guerra civile in seguito alle rivolte anti-immigrati scatenate da agitatori di estrema destra.
“Dopo le ultime dichiarazioni del proprietario di Twitter (o meglio, scusate, di X), ho definitivamente perso il desiderio (già affievolito) di rimanere su una piattaforma di cui non condivido più gli obiettivi e le finalità”, ha scritto Barbera.
Nelle sue selezioni festivaliere, Barbera ha continuato a mostrare la sua indipendenza politica dal governo Meloni. L’anno scorso ha scelto diversi titoli, tra cui Io Capitano di Garrone e Green Border di Agnieszka Holland, che guardano alle sofferenze dei migranti che cercano di entrare in Europa e possono essere letti come un diretto rimprovero alle politiche anti-immigrati di Roma. La selezione per il 2024 include M. Son of the Century di Joe Wright, una serie televisiva sulla vita di Mussolini, basata sul romanzo di Antonio Scurati, autorevole critico della Meloni.
“Non c’è stata censura, non c’è stato un giro di vite, non c’è un’evidente agenda di destra”, osserva un importante critico cinematografico italiano e frequentatore della Biennale. “Ma il governo Meloni ha appena due anni. Temo che sia solo all’inizio”.
(da Hollywood Reporter)
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
LO SCRIVE LA GIUDICE NELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA A CINQUE ANNI… BONVIN ESPLOSE UN COLPO DI PISTOLA DAL BALCONE DI CASA CONTRO UN MOLDAVO CHE STAVA PORTANDO VIA UNA MACCHINETTA CAMBIAMONETE CHE CONTENEVA 3 MILA EURO
Franco Iachi Bonvin, il tabaccaio di Pavone Canavese non sparò per legittima difesa, ma «facendosi sostanzialmente giustizia da solo». Lo scrive la giudice di Ivrea Valeria Rey nelle motivazioni della sentenza di condanna a cinque anni di reclusione avvenuta con il rito abbreviato.
La notte del 7 giugno 2019 Iachi Bonvin aveva ucciso con un colpo di pistola (Taurus calibro 357) Ion Stavila, un moldavo che, insieme a dei complici, stava caricando sul furgone una macchinetta cambiamonete che conteneva 3 mila euro, appena rubata nel bar sotto casa di proprietà del tabaccaio
Nelle cinquanta pagine la giudice ricostruisce lo stato d’animo di Iachi Bonvin e mette ancora per iscritto che «l’imputato, quindi, gravemente turbato, frustrato e in stato d’ira perché lo stabile di sua proprietà era nuovamente oggetto di effrazione, aveva deciso di opporsi ai malviventi con l’arma da lui lecitamente detenuta».
La ricostruzione della giudice è quella sostenuta dalla procura di Ivrea sposando la tesi dello sparo avvenuto dall’alto, ovvero dal balcone del soggiorno del tabaccaio, come ricostruito dai consulenti della pubblica accusa (Roberto Testi per la consulenza medico-legale e Stefano Conti per quella balistica).§
Poiché – scriva ancora la giudice – «Iachi Bonvin ha sparato dal balcone del suo soggiorno a dei ladri presenti in cortile, la sua reazione non era necessaria e non era diretta a salvaguardare la propria o altrui incolumità. Nessuno infatti aveva minacciato né lui né i suoi familiari».
E ancora, «la sua reazione, inoltre, non era utile, perché le forze dell’ordine erano state informate dell’intrusione (era scattato l’antifurto) e se si l’imputato si fosse limitato a non fare nulla, nessuno avrebbe recato nocumento a lui, alla sua famiglia e alle sue proprietà»
Nel ricostruire la dinamica di quella notte la giudice scrive che «Iachi Bonvin, sparando al buio, non essendovi illuminazione, senza occhiale, ed esplodendo più colpi (3 o 5) almeno uno dei quali diretto verso il basso, così accettando il rischio di poter colpire mortalmente i malviventi – ciò che infatti avveniva».
A fine maggio si è arrivati, dunque, alla condanna in primo grado. In un primo momento l’accusa nei confronti di Iachi Bonvin era di omicidio colposo per eccesso di legittima difesa. Fu il primo caso dell’entrata in vigore della norma voluta da Matteo Salvini che aveva lanciato l’hashtag “Iostocoltabaccaio”. E qualche sera dopo, a Pavone, venne organizzata una fiaccolata a sostegno di Iachi Bonvin.
Inizialmente l’allora procuratore capo di Ivrea, Giuseppe Ferrando, aveva indagato anche altri due complici che avevano aiutato Jon Stavila. Uno di questi venne rintracciato tramite un mandato di cattura internazionale, ma con l’ingresso della riforma Cartabia la sua posizione fu successivamente stralciata in quanto non venne mai presentata querela da parte dei titolari della tabaccheria.
Il terzo uomo non venne mai identificato. Poi dopo tre notifiche per eccesso colposo, all’inizio dell’anno ecco la richiesta da parte del tribunale di riformulazione del reato in omicidio volontario.
(da La Stampa)
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
PREOCCUPANTI ANCHE I DATI SULLA DISOCCUPAZIONE: A GIUGNO CI SONO STATE 177.365 DOMANDE TRA NASPI E DISCOLL, CON UN AUMENTO DEL 9% SU BASE ANNUA… ALTRI SEGNALI DI CRISI, DOPO IL CALO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE (-2,6%) A GIUGNO
Forte aumento a luglio delle richieste di cassa integrazione e dell’utilizzo dei fondi di solidarietà da parte delle aziende. Crescono anche le domande di disoccupazione. Dall’ultimo Osservatorio dell’Inps arriva un altro segnale di crisi, dopo il calo della produzione industriale (-2,6%) a giugno, con segnali di discesa che si prolungano a luglio.
In totale, le ore di cassa integrazione autorizzate a luglio sono state 36,6 milioni, in leggero aumento rispetto a giugno (35,3 milioni, più 3,71%), ma in forte rialzo rispetto al luglio del 2023 (28,6 milioni, più 27,9%). A crescere è in particolare la cassa integrazione ordinaria: le ore a luglio sono 26,1 milioni (dai 25 milioni di giugno, più 4,1%).
E comunque l’aumento della Cig ordinaria è una costante: nel primo semestre le richieste sono state di 292,77 milioni di ore, con un aumento del 20,12% rispetto allo stesso periodo del 2023. In difficoltà soprattutto l’industria, con 166 milioni di ore (+51,30%).
Non meno preoccupanti i dati sulla disoccupazione: a giugno l’Inps ha ricevuto 177.365 domande tra Naspi e Discoll, con un aumento del 9% rispetto allo stesso mese del 2023. Rialzo consistente, del 5,5%, anche nel confronto tra i primi sei mesi di quest’anno e dell’anno scorso. «Nonostante i trionfalismi del governo siamo un Paese che affonda in una crisi drammatica», osserva Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
NON SOLO CONTE E IL M5S, ANCHE FRATOIANNI CONTRO MATTEONZO – “LA DISCUSSIONE SU RENZI È RIDICOLA, GOVERNA CON LA DESTRA. IL TEMA NON SI PONE”
L’altra sera alla Festa nazionale dell’Unità di Reggio Emilia è bastato che Pier Luigi Bersani nominasse Matteo Renzi perché dalla platea si levasse un coro di mugugni e borbottii infastiditi. Sì, perché nella base del Pd, quella che da 20 giorni lavora per garantire lo svolgimento dell’evento (fino all’8 settembre), praticamente nessuno lo vuole come compagno di ventura nella costruzione dell’alternativa al centrodestra.
“Se la Schlein apre a Renzi allora sono io a uscire dal partito: quello è un gallo cedrone, vuole esserci solo lui”, dice Angelo Rinaldini, uno dei 400 volontari impegnati tutte le sere nei ristoranti, nei bar e nei servizi generali della festa, nella grande area del Campo Volo, alla periferia della città. Rinaldini è in buona compagnia. Non una delle persone impegnate nelle cucine o destinate al servizio ai tavoli dei cinque punti di ristoro, che sono stati allestiti insieme a due bar presenti, risparmia critiche velenose all’indirizzo del fondatore di Italia Viva. “Un’alleanza con lui? Quello che tocca Renzi si secca – dice Claudio Manghi, 63 anni, volontario al ristorante Gente di Mare –. E credo che tutti gli italiani se ne siano accorti, almeno lo spero. È un novello Berlusconi, anzi è il delfino del Cavaliere”.
Alle 18, i volontari – molti sono pensionati ma ci sono anche giovani – sono già al lavoro, pronti ad accogliere gli avventori che iniziano ad arrivare. Ma se gli chiedi cosa pensano di una alleanza tessuta senza veti e senza ambiguità – parole di Bersani –, se evochi la figura dell’ex segretario del partito tutti si fermano. E il giudizio è corale, tra commenti che si accavallano.
“Renzi ci ha già fatto perdere troppi voti e con lui le cose possono solo peggiorare”, dice Loretta Sabattini, 72 anni, una che ha cominciato a 16 anni a mettersi a disposizione del partito, quando si trattava di allestire stand o tirare la sfoglia.
Nessuno gli perdona la legge che ha cambiato la normativa sul lavoro, il Jobs Act. Né, persino, il vecchio viaggio ad Arcore per incontrare Berlusconi (sono trascorsi quasi 14 anni eppure quell’incontro per tanti vecchi militanti del Pd pesa ancora come un’onta) o gli elogi, più recenti, spesi per il primo ministro dell’Arabia Saudita Mohammad bin Salman. “Ecco, che se ne torni là, in Arabia Saudita: glielo faccio io il passaporto, vada là e non si faccia più vedere”, sbotta Manghi, secondo il quale la Schlein “dovrebbe ascoltare la base, che proprio non lo vuole”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
SI LAVORA A UNA MEDIAZIONE: LA LEGA POTREBBE CEDERE IL VENETO AI MELONIANI IN CAMBIO DEL COMUNE DI VENEZIA, CON LUCA ZAIA CANDIDATO SINDACO. E FORZA ITALIA POTREBBE AVERE TOSI COME CANDIDATO SINDACO A VERONA FRA TRE ANNI
Antonio Tajani sceglie la giornata conclusiva del maxi raduno degli scout Agesci per dire che alle prossime regionali Forza Italia proverà a prendersi il Veneto e che il candidato presidente è Flavio Tosi. Ed è il suggello di una campagna palesemente in contrasto con la Lega, che nessuno ormai cerca neanche più di nascondere. I fronti aperti sono numerosi e ciò che complica la situazione è che non si tratta di una partita a due. Tutt’altro.
Luca Zaia, governatore leghista dalle percentuali bulgare (76% all’ultima tornata elettorale), si avvia a concludere quello che al momento sembra essere il suo ultimo mandato. Tra un anno, massimo un anno e mezzo, saranno indette nuove elezioni per la presidenza di una delle regioni locomotiva d’Italia. La corsa per la successione si è già aperta, ma chi pensava che la partita fosse solamente tra Lega e Fratelli d’Italia è stato smentito dai fatti.
È piombata infatti Forza Italia con Tosi come dirigente regionale, ingaggiato da Silvio Berlusconi circa un anno prima di morire. L’ex leghista, che nel curriculum vanta anche due mandati come sindaco di Verona e uno come assessore regionale alla Sanità, ha una serie di conti in sospeso con quelli che un tempo erano i suoi compagni di partito.
Primo tra tutti Luca Zaia, colui che lascia libera una casella così importante perché il limite dei mandati gli impedisce di proseguire. «Faremo di tutto per tenerci il Veneto», promette il giovane segretario regionale Alberto Stefani, uno dei possibili nomi spendibili per questa candidatura. Uno ma non l’unico. Anche il sindaco di Treviso Mario Conte è un nome spendibile, anche se non fa parte della “scuderia” di Matteo Salvini.
All’orgoglio leghista si contrappongono le mire espansionistiche di FdI, che alle ultime europee in Veneto ha segnato addirittura un 37,6%, percentuale più alta d’Italia.
Nell’ottica di uno scacchiere nazionale, con la Lega già presente al vertice in Lombardia e Friuli Venezia Giulia e Forza Italia ben salda in Piemonte con Cirio, i Fratelli recriminano quote al Nord. «Più di un veneto su tre ha messo la croce sul nostro simbolo che rappresenta una comunità politica con molte personalità che hanno esperienza e capacità per vincere e ben governare la Regione », si affretta a dire Raffaele Speranzon, veneziano, senatore di FdI e soprattutto molto vicino a Giorgia Meloni.
Ma Tosi ribatte sicuro: «Il vicepremier Tajani sta facendo fare un salto di qualità al partito, la crescita è costante, siamo la seconda forza del centrodestra a livello nazionale: abbiamo il diritto di avanzare le nostre proposte».
Dunque con la Lega che non vuole mollare, Forza Italia che preme e Fratelli d’Italia che stavolta ci crede davvero, come trovare la quadra?
C’è chi ipotizza possa essere siglato un accordo che prevede lo scambio tra i partiti del centrodestra. La Lega potrebbe cedere la Regione Veneto a FdI in cambio del Comune di Venezia, con Luca Zaia candidato ad amministrare la città unica al mondo dopo Luigi Brugnaro. E Forza Italia, invece, potrebbe strappare un accordo analogo per prossime elezioni amministrative a Verona (per cui però mancano ancora tre anni), con Tosi candidato in pectore
(da La Repubblica)
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
“IL COMITATO SCIENTIFICO È DA RIDERE. NE FA PARTE L’INSUPERABILE FRANCESCO PALMAROLI IN ARTE OSHO, LA MATITA PIÙ AMATA DALLA PREMIER, IL CURATORE DELLA MOSTRA È GABRIELE SIMONGINI MA NON DICE NULLA PERCHÉ “DEVE PRIMA PARLARE IL MINISTERO” (MARINETTI SORRIDI, HAI TROVATO I TUOI EREDI!)
Il futuro è di Genny Sangiuliano, Genny ‘o futurista, Genny in love. La mostra più scombinata del 2024-2025, la mostra per celebrare il mito Meloni, e il movimento Futurista, ve la prepara lui, il Filippo Tommaso Marinetti del Vesuvio, il velocipede della Cultura, Genny Depero, patumpampam!
E’ una mostra, titolo “Il tempo del Futurismo”, che si merita già il certificato d’ avanguardia: non si capisce un tubo metallico. Il comitato scientifico è da ridere. Sul serio. Ne fa parte l’insuperabile Francesco Palmaroli, la matita più amata dalla premier, Palmaroli in arte Osho.
Il grande evento lo ospita la Gnam, la Galleria Nazionale di arte moderna di Roma, ma alla Gnam, se chiedete, vi rispondono: “Non sappiamo che dirle sulla mostra, se ne occupa direttamente il ministero della Cultura. Direttamente”
Il funzionario storico che curava l’ufficio stampa della Gnam è stato sostituito e il nuovo, non si è capito neppure chi sia, vi rimanda al curatore della mostra che è Gabriele Simongini. Il curatore può dire poco perché “deve prima parlare il ministero”.
Al ministero fanno sapere che la persona giusta nel fornire dettagli è la direttrice della Gnam, Cristina Mazzantini, ma la direttrice, come spiega il curatore di questa strabiliante mostra, “è in Giappone per lavoro”.
Va bene che i Futuristi hanno scompaginato la logica, ma Genny Depero, il ministro stantuffo, fa saltare gli schemi. La mostra sta così a cuore al maestro-ministro che ha scelto personalmente il curatore. E’ Gabriele Simongini, docente dell’Accademia di Belle Arti di Roma, critico del Tempo, persona garbata, ma vicino alla destra. Ad aiutarlo, e qui già si complica, è Alberto Dambruoso, che è stato vicepresidente della Fondazione Boccioni.
Si è dimesso in malo modo litigando con il presidente, ma si sa che il mondo dell’arte è un mondo di narcisi. Peccato che la destra li scova con il lume. La comunità dell’arte, quando ha saputo della nomina di Simongini e Dambruoso, si è imbronciata. Perché non scegliere come curatrice la più grande esperta, a detta di tutti, la professoressa Ester Coen? L’altra grande questione riguarda la Gnam, e la sua direttrice Mazzantini, che ha curato il progetto “Quirinale Contemporaneo”, studiosa che nella mappa romana sarebbe in quota Mattarella.
Mazzantini l’ha voluta Sangiuliano che non amava la precedente, Cristiana Collu, ma da quanto raccontano al ministero se n’è pentito e lamenta la scarsa presenza della nuova direttrice. Mazzantini qualche ragione per infastidirsi ce l’ha, eccome se ce l’ha. Da che mondo è mondo, nell’arte, è il museo che gestisce i prestiti, ma nel caso della mostra “Il tempo del Futurismo”, la Gnam è stata commissariata.
A gestire i prestiti è Massimo Osanna, il direttore dei musei, il franceschiniano che si era consegnato l’otto settembre alla destra (ha scritto la riforma del ministero convinto che Genny lo avrebbe nominato capo dipartimento e invece, nulla: zang tumb tumb!). La Gnam alla richiesta di informazioni, le più banali, come questa, “perdonateci, ma il comitato scientifico della mostra, da chi è composto?”, rimanda a Simongini: “Vi chiamerà Simongini”.
Sono passati più di quindici giorni e Simongini lo abbiamo chiamato noi anche perché l’unico che si è scoperto occuparsi davvero di questa mostra è Osho. In questi mesi, l’insuperabile Osho spedisce mail agli operatori del settore, si presenta come componente del “comitato scientifico istituito dal ministero della Cultura per l’organizzazione della grande mostra sul Futurismo”.
La Coen no e Osho sì? Simongini dice che del comitato scientifico fanno parte “altissimi studiosi come Günter Berghaus, Riccardo Notte, Giovanni Lista e pure lo storico Francesco Perfetti”. E Osho? “Lui non fa parte del comitato scientifico ma si occuperà di comunicazione, con idee originali”. Al momento è lui l’unico che fatica. Genny Depero è alle prese con la dieta, e le consigliere, Lollo, solitario, parla la notte con le mucche. Resta solo Osho, il futurista stimato dalle sorelle Meloni, le sorelle Marinetti, che come lo scrittore hanno fatto loro questa massima: “Il matrimonio è il comune purgatorio di tutti i temperamenti rigogliosi e potenti”. Lollo, un biglietto per la mostra?
(da il Foglio)
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
NEL 2011 ERA LUI AD ESSERE ACCUSATO DI FASCISMO DA BOSSI
Tra i partiti di destra e centrodestra è scattata la corsa per trovare il successore di Luca Zaia, presidente della Regione Veneto dal 2010 e in scadenza di mandato nel 2025. Tra i nomi dei possibili candidati per sostituire il governatore leghista c’è anche quello di Flavio Tosi, coordinatore veneto di Forza Italia ed ex sindaco di Verona, da poco eletto al Parlamento europeo. «Il mio nome è sul tavolo. Vediamo gli altri quali sono», ha detto Tosi in un’intervista a La Stampa. La sua candidatura è stata rilanciata nei giorni scorsi dal leader degli Azzurri, Antonio Tajani, che ha presentato Tosi come un candidato «che ha le carte in regola per vincere e governare bene».
L’attacco a Vannacci
Nel candidarsi ufficialmente alla presidenza del Veneto, Tosi ha parlato anche del suo rapporto con la Lega, forza politica per cui ha militato dal 1994 al 2015 (quando ancora compariva la parola “Nord” nel nome). «Ormai la Lega è tutto e il contrario di tutto. Salvini è stato strategico a candidare il generale Vannacci alle Europee perché sennò andava al 7%. Ma Vannacci, per la Lega, è e sarà un problema», sostiene il coordinatore veneto di Forza Italia.
Secondo Tosi, Roberto Vannacci rappresenta «l’esatto opposto rispetto al Carroccio che ho conosciuto io». Non solo: c’è un’altra caratteristica dell’eurodeputato leghista su cui Tosi sembra voler richiamare l’attenzione. «Bossi diceva: “Mai con i fascisti”. Non so se Vannacci si definisce fascista, ma per tutti i richiami che fa e per le posizioni che assume di fatto lo è», sottolinea il coordinatore veneto di Forza Italia.
Le parole di Bossi su «Tosi fascista»
La presa di posizione di Tosi su Vannacci ricalca grosso modo le numerose critiche che da mesi Forza Italia fa piovere sull’esponente del Carroccio. Ma tra i nostalgici della Lega di Umberto Bossi c’è chi ha rispolverato alcune parole del fondatore del partito per screditare l’attuale coordinatore veneto di Forza Italia.
«Tosi è uno str**zo, ha tirato nella Lega un sacco di fascisti, cosa che non può essere sopportata per molto», tuonava Bossi nel lontano 2011, quando Tosi era ancora sindaco di Verona.
In un intervento a Tagadà del 2023, Tosi è tornato a parlare del suo rapporto con il fascismo, definendosi una persona «di destra» e con «tanti amici nell’estrema destra». Per quanto riguarda la sua opinione sul fascismo in sé, ha aggiunto: «È ovvio che ci sono giudizi negativissimi, come per le leggi razziali, sull’essere entrati in guerra con Hitler». Allo stesso tempo, Tosi ha ritirato fuori una sua personale versione del sempreverde “Mussolini ha fatto anche cose buone”, citando l’istituzione dell’Inps e dell’Iri come esempi di cose positive avvenute durante il Ventennio.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2024 Riccardo Fucile
IMMAGINARE CHE SU QUESTO CLIMA POSSA SCENDERE IL SERENO È UN’ILLUSIONE
Domani o al più tardi venerdì dovrebbe essere convocato il consiglio dei ministri della ripresa politica e praticamente tutti si aspettano l’indicazione del ministro degli Affari Europei Fitto come commissario. Ma che questo segni l’inizio di una schiarita sarà tutto da vedere.
Né Tajani né Salvini infatti hanno intenzione di porre fine al fuoco d’artificio praticato per tutta l’estate nei confronti della premier, che volontariamente o no vi ha aggiunto l’implosione del suo partito familiare: le voci, finora rivelatesi prive di fondamento, sull’avviso di garanzia per la sorella Arianna; l’annuncio, sempre della stessa sorella, della separazione dal marito ministro Lollobrigida, una posizione da «separati in casa», dato che tutti, compreso l’ex-compagno della premier Giambruno, hanno trascorso insieme le vacanze in Puglia.
Immaginare che su questo clima di tensioni di vario genere possa scendere il sereno è un’illusione. E non perché il governo rischi la crisi. Tutt’altro: sono proprio gli alleati di Meloni per primi a escluderla. Ma proprio Tajani e Salvini non si rammaricano che le conseguenze di un certo tasso di logoramento riguardino soprattutto la premier.
Di qui l’insistenza del leader di Forza Italia sullo ius scholae. E parallelamente il posizionamento del Capitano leghista sulla prossima legge di stabilità, con la richiesta di riduzioni impossibili dell’età di pensionamento.
Inoltre per gli alleati non è pacifica, non tanto la partenza di Fitto per Bruxelles; ma la redistribuzione delle sue deleghe all’interno del governo, che la premier vorrebbe lasciare all’interno della cerchia stretta dei suoi collaboratori. Alla scadenza dei due anni insomma, per Meloni comincia una stagione più difficile.
(da agenzie)
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