Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
“VOGLIAMO L’ACQUA DAL RUBINETTO, NO AL PONTE SULLO STRETTO”
“Vogliamo l’acqua dal rubinetto, no al Ponte sullo Stretto”. Queste le poche, ma incisive parole che hanno fatto da motto per la manifestazione messinese contro la costruzione della grande opera, a cui hanno partecipato diversi comitati e organizzazioni.
La protesta ha visto migliaia di cittadini sfilare in corteo verso Piazza del Popolo. Il messaggio dietro allo slogan della dimostrazione è un chiaro riferimento al grave stato di siccità in cui versa la Sicilia, le cui provincie negli ultimi giorni sono state costrette ad attuare pratiche di razionamento dell’acqua.
Le proteste di questo fine settimana si collocano sulla scia di un grande moto di dissenso che ha interessato il progetto del Ponte sullo Stretto sin dal suo concepimento, che tra le altre cose chiede anche che quei 13,5 miliardi vengano utilizzati per altri scopi, considerati maggiormente utili per la comunità, come, appunto, il potenziamento della rete idrica regionale.
La manifestazione contro il Ponte sullo Stretto si è tenuta sabato 10 agosto e ha visto la partecipazione di oltre 3.000 persone. Alla manifestazione hanno partecipato vari comitati e organizzazioni, tra cui anche un membro della Freedom Flotilla, approdato a Messina a bordo di Handala, la barca con la quale l’equipaggio salperà per rompere l’assedio a Gaza. Il corteo è stato organizzato dalla Rete No Ponte e chiede con forza che la società “Stretto di Messina Spa venga chiusa. Definitivamente“.
I manifestanti hanno marciato sotto il coro “vogliamo l’acqua dal rubinetto, no al Ponte sullo Stretto”. Tale slogan fa riferimento all’emergenza siccità che investe la Sicilia da mesi. A Messina, nello specifico, per limitare l’utilizzo di acqua potabile, è iniziata da qualche giorno la sua erogazione a giorni alterni. Con questo motto, i No ponte intendono sottolineare come i soldi destinati alla grande opera potrebbero venire utilizzati per scopi più vicini a quelle che sono le reali necessità dell’isola: “i 14 miliardi di euro che il governo vuole impegnare per un’inutile e devastante infrastruttura, devono invece essere utilizzati per ammodernare la rete idrica, per una sanità migliore che smetta di funzionare secondo logiche aziendali e di profitto”, e “per la messa in sicurezza del territorio dal rischio incendi, idrogeologico e sismico”, scrivono gli organizzatori sui social.
Quella di sabato 10 agosto non è la prima contestazione contro il progetto della grande opera sullo Stretto di Messina e Reggio Calabria. La costruzione del Ponte sullo Stretto è infatti contestata sin dal suo concepimento. Esso dovrebbe venire a costare (per ora) 13,5 miliardi di euro. Ad aprile è iniziato l’iter di esproprio, contro cui oltre cento cittadini hanno intentato una causa, portando in tribunale la società Stretto di Messina SPA. Già a maggio, tuttavia, il piano di aprire i cantieri nel 2024 è naufragato, così come la stessa possibilità di consegnare entro i termini il progetto completo dell’opera. La scadenza per la presentazione del piano era infatti fissata il 31 luglio, ma, non essendo il progetto ancora pronto, il Governo ha presentato delle modifiche al cosiddetto “DL Infrastrutture” autorizzando l’approvazione dell’opera “per fasi costruttive”, ossia a pezzi.
(da lindipendente.online)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
L’OPERA FINANZIATA CON I FONDI DEL PNRR BLOCCATA DUE MESI DOPO L’APERTURA DEL CANTIERE, POLITICI E BUROCRATI ORA TEMONO CONSEGUENZE PENALI… E IL CONSORZIO BREAKWATER GIA’ CHIEDE 180 MILIONI DI SPESE AGGIUNTIVE SU 1,3 MILIARDI DI APPALTI
Il violinista genovese Niccolò Paganini non concedeva bis. Neanche il miracolo del nuovo ponte Morandi, realizzato e inaugurato nei tempi previsti nell’agosto del 2020, si ripeterà con la diga del porto di Genova che doveva essere pronta per il 30 novembre del 2026.
Eppure molti dei protagonisti sono gli stessi. È lo stesso il costruttore, il gruppo Webuild che guida il consorzio PerGenova Breakwater con Fincantieri, Fincosit del gruppo Mazzi e Sidra. È lo stesso il commissario straordinario, il sindaco Marco Bucci.
Ma il quadro politico-giudiziario non potrebbe essere più diverso dopo l’arresto del presidente ligure Giovanni Toti tre mesi fa con le recenti e soffertissime dimissioni della giunta che porteranno la Liguria al voto il 27-28 ottobre. Una settimana dopo inizierà il processo con giudizio immediato.
L’intervento della magistratura ha avuto un effetto risonanza anche sulla diga, opera colossale e incomparabilmente più difficile del nuovo viadotto sul Polcevera.
Lunedì 29 luglio, cinque giorni dopo l’affondamento in mare del terzo cassone dei 93 previsti dal progetto firmato da Technital (gruppo Mazzi), la Guardia di finanza si è presentata in Regione per sequestrare carte dopo l’esposto del M5S che denunciava la possibile presenza di fanghi nocivi e pericolosi relativi alla posa dei cassoni.
Il rischio che i materiali di dragaggio creino danni gravi all’ecosistema è concreto dopo decenni di attività industriale forsennata. Liberare durante i lavori gli idrocarburi, i metalli pesanti, i residui delle attività del carbonile e altri agenti inquinanti potrebbe avere conseguenze disastrose. Nella migliore delle ipotesi c’è il rischio di finire come con il nodo ferroviario dell’alta velocità a Firenze, quando lo smaltimento dei materiali per il tunnel sotterraneo e per la nuova stazione dell’alta velocità ha provocato un’inchiesta della magistratura e il blocco dei lavori per anni con conseguenze micidiali per i bilanci delle imprese appaltatrici.
Alla fine, il ragionamento che si raccoglie negli ambienti dell’imprenditoria, della burocrazia e della politica è piuttosto semplice: la Procura non scherza, il modello Genova è al capolinea e la prudenza non è mai troppa. Chi si firma è perduto.
Per una bizzarra coincidenza, lo stesso giorno del blitz dei finanzieri il Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso del consorzio Eteria (Gavio, Caltagirone, Acciona e Rcm) contro Breakwater sulla legittimità della procedura di assegnazione.
Ma se ormai il titolare dell’appalto non ha nulla da temere dalla giustizia amministrativa, lo scenario complessivo rimane molto incerto. Le analisi a campione degli scavi sottomarini non sono gratis. Ancora più costosa sarebbe la necessità di scartare il materiale dragato per utilizzare in modo sistematico gli inerti caricati a grande distanza dal bacino portuale genovese, come sta accadendo adesso con ghiaia presa non soltanto da cave liguri, ma anche dalla zona di Piombino e addirittura da Cartagena, città portuale del sud-est della Spagna.
Il risultato matematico di questa situazione è che, a poche settimane dalla posa del primo cassone il 25 maggio, Breakwater ha già segnato 178 milioni di euro di riserve su un appalto che vale 1,3 miliardi, tutti pubblici.
Le riserve sono le somme aggiuntive che le imprese ipotizzano di chiedere allo Stato per extracosti e imprevisti vari. Nel caso della diga di Genova la cifra sfiora il 15 per cento in tempi da sprint olimpico. È un record anche per l’abituale moltiplicazione delle spese fra preventivo e conto finale. Insomma, le critiche mosse lo scorso marzo dall’Anac sull’aumento dei prezzi, duramente contestate dal governo, si sono rivelate profetiche.
Tira una brutta aria anche fra il consorzio Breakwater e l’autorità portuale che pure è un’anatra zoppa dopo il passaggio di consegne fra Paolo Emilio Signorini, incarcerato a maggio, e Paolo Piacenza, anch’egli indagato per i favori agli Spinelli, il padre Aldo e il figlio Roberto, da decenni signori delle banchine sotto la Lanterna.
Anche i ministeri competenti, le infrastrutture del vicepremier leghista Matteo Salvini e l’ambiente del forzista Gilberto Pichetto Fratin, sembrano avere preso due strade divergenti. Da una parte, c’è l’accelerazione del Mit. Dall’altra, il manzoniano “adelante con juicio” del ministro del partito berlusconiano, dove Toti è cresciuto prima di mettersi in proprio con un altro ex ministro delle infrastrutture, Maurizio Lupi.
Il freno principale sui materiali per riempire le vasche di cemento arriva dalla Regione dove politici e personale amministrativo temono di mettere il piede in fallo e si disputano le competenze con i ministeri e il commissario straordinario.
Il summit del primo agosto a Roma fra Salvini, il suo vice Edoardo Rixi e Bucci è stato dedicato proprio al tema degli extracosti e dei ritardi che dovrebbero fare slittare il completamento dell’opera di un anno, al novembre 2027. Il quadro è complicato dalle altre opere colossali che gravitano sul territorio di Genova, come la Gronda che Autostrade per l’Italia (Aspi) dovrebbe realizzare al nuovo prezzo di 8 miliardi, raddoppiato rispetto al preventivo, e come il tunnel subportuale di 3,2 chilometri per 700 milioni di investimento dove la stessa Aspi ha avviato i lavori in marzo.
Webuild non ha voluto commentare la composizione delle riserve con l’Espresso. Ma la mossa ha due significati possibili. La prima ipotesi è che il progetto del consorzio avesse limiti tecnici. Dal punto di vista ingegneristico, l’opera non ha precedenti ed è in parte sperimentale. Nelle dighe costruite in modo simile i cassoni poggiano su fondali di una trentina di metri. Davanti alla Lanterna si scende fino a cinquanta. La differenza è consistente e si riflette sia sulle dimensioni enormi dei cubi di cemento armato necessari per sostenere la diga lunga 6,2 chilometri, sia sui lavori di scavo del fondale e di invasamento delle selle di appoggio. Il terzo cassone, affondato il 24 luglio dopo quello del 29 giugno e quello del 25 maggio, doveva essere zavorrato al momento dell’arrivo nelle acque del porto con materiale già sottoposto ai test.
Non è stato così e, fino al riempimento, il rischio è che una mareggiata sposti la scatoletta da diecimila tonnellate. Raddrizzarla in mare aperto non è una passeggiata, anche se una tempesta a inizio agosto è improbabile e nessuno se la augura, nemmeno i gufi messi all’indice da Salvini.
Però a fine settembre del 2023 una tempesta si è portata via venti metri dell’attuale diga all’altezza di Pegli. Con altri novanta cassoni di dimensioni crescenti da consegnare, uno ogni venti giorni in ogni stagione dell’anno, il problema è serio. Lo si è visto all’inaugurazione del 24 maggio 2024 con l’affondamento del primo e più piccolo dei cassoni a 25 metri di fondo rinviato in condizioni di mare appena mosso.
La seconda ipotesi, molto più consistente, è che la mania inaugurativa abbia accelerato i tempi in modo maldestro barattando le esigenze ingegneristiche con le necessità della propaganda.
Il vicepremier leghista, che già aveva tenuto una prima inaugurazione della diga a maggio del 2023 con Toti, Bucci e Signorini, ha bissato quest’anno pochi giorni prima del voto europeo, dove peraltro la Lega ha tenuto un faticoso 9 per cento grazie all’effetto Vannacci e non alla campagna di taglio del nastro del suo leader, messo all’angolo da Giorgia Meloni sul ponte fra Sicilia e Calabria, un’altra opera che non ha precedenti comparabili sulla faccia della terra.
La bizzarria squisitamente italiana è che non solo i soldi della diga sono dello Stato, fra Pnrr, fondo complementare e fondo infrastrutture, più un’ottantina di milioni di contributo regionale, ma nell’azionariato delle stesse imprese realizzatrici c’è una presenza forte del ministero dell’economia.
In Webuild la maggioranza è di Pietro Salini ma Cdp equity ha il 21,3 per cento. La stessa Cdp equity controlla Fincantieri con il 71,4 per cento. In sostanza, il rischio del costruttore rispetto a eventuali imprevisti è zero mentre, come accade per la quasi totalità degli investimenti in infrastrutture, le aggiunte al conto finale finiranno a carico del contribuente magari sotto forma di tagli a servizi essenziali come scuola e sanità.
Ma la percezione di questo rapporto causa-effetto non ha influito più di tanto sulle alternanze di governo nelle amministrazioni locali e certo in Liguria non si sono viste grandi differenze di indirizzo fra i governi orientati a sinistra e quelli più a destra.
Per il successore di Toti la situazione è complicata dagli equilibri interni all’esecutivo. Da qualche tempo aleggia la candidatura del viceministro delle infrastrutture, il leghista Rixi. Il suo pregio rispetto al presidente dimissionario, viareggino cresciuto a Marina di Massa, è di essere genovese. Ma un altro leghista alla conquista di una regione del Nord sembra improponibile per il partito di maggioranza relativa che ha semmai il problema di farsi largo nelle aree più ricche del paese. Rixi stesso si è chiamato fuori ma il pressing sul viceministro continua.
Un alto nome lanciato nella mischia è quello di Marco Scajola, 54 anni, totiano di ferro e figlio dell’ex ministro Claudio, attuale sindaco di Imperia dopo una condanna a due anni nel 2020 dichiarata prescritta lo scorso 9 luglio dalla corte d’appello di Reggio Calabria. Nella giunta Toti Scajola junior era assessore all’urbanistica ed è un sostenitore accanito del “modello Liguria”, ossia il modello Genova esteso da Levante a Ponente.
Fin dalla liberazione di Toti, il primo agosto, si è messo al lavoro per la lista dell’ex presidente che non ha alcuna intenzione di mollare la presa su un potere, a suo avviso, perso ingiustamente. L’altro nome che si fa, non a caso, è quello di Ilaria Cavo, ex giornalista Mediaset come Toti, assessora regionale per sette anni e oggi deputata per Noi moderati, il movimento politico di Toti e Lupi. Ma non è facile che un Toti bis sotto diverso nome sia accettato dal resto del centrodestra e da Fdi in particolare.
Intanto a sinistra non dovrebbe avere rivali la candidatura del democrat spezzino Andrea Orlando. Meno certo è l’assetto della coalizione. L’ex Guardasigilli sarebbe la punta di lancia di un campo largo, forse larghissimo e profondissimo. Come la diga di Genova.
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
“INGIUSTIFICATE RENDITE DI POSIZIONE DEGLI ATTUALI TITOLARI”… VERGOGONSO CHE IL GOVERNO CONTINUI A RINVIARE L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE PER FARE UN FAVORE A UNA LOBBY AMICA
Evitare ulteriori proroghe e rinnovi automatici, ricorrendo invece “a modalità di assegnazione competitive delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali”.
E’ il richiamo che l’Antitrust, garante della corretta competizione, invia all’Anci e alla Conferenza Stato-Regioni. Nel parere, l’Antitrtust sottolinea che “il continuo ricorso” alle proroghe viola i principi della concorrenza e “favorisce gli effetti distorsivi connessi a ingiustificate rendite di posizione attribuite ai concessionari”.
L’Autorità sollecita quindi gli enti “affinché tutte le procedure selettive per l’assegnazione delle nuove concessioni siano svolte quanto prima”, con una assegnazione dei nuovi titoli “non oltre il 31 dicembre 2024″
Il rinvio al 2025
Nella segnalazione pubblicata sul proprio bollettino settimanale, l’Autorità ricorda che il Milleproroghe del 2022, disponendo la proroga al 31 dicembre 2024 delle concessioni in essere, ha anche previsto la possibilità di spostare ulteriormente il termine al 31 dicembre 2025,
Questo, “nel caso in cui le amministrazioni non riescano a completare nei termini le procedure di gare per motivate ragioni oggettive”. Alla luce di queste norme, molte amministrazioni hanno deciso di adottare provvedimenti di proroga al 31 dicembre 2024 motivandoli con
– la complessità del quadro giurisprudenziale e normativo;
– l’impossibilità di espletare le gare prima del riordino delle concessioni e prima che fossero dati chiarimenti sulla scarsità o meno della risorsa demaniale.
La disapplicazione
L’Antitrust precisa quindi di aver fornito pareri motivati, in cui chiariva che le amministrazioni concedenti “avrebbero dovuto disapplicare la normativa nazionale” perché il contrasto con la Direttiva Servizi dell’Unione europea, e procedere alle gare.
In numerose occasioni, inoltre, l’Autorità ha contestato gli argomenti degli enti a sostegno della proroga, “considerata l’infondatezza degli stessi”.
La norma infatti “circoscrive la possibilità di differire ulteriormente la durata delle concessioni a ipotesi del tutto eccezionali connesse a specifiche circostanze che impediscono la conclusione della procedura selettiva”.
Ma “in nessuno dei casi esaminati dall’Autorità le amministrazioni concedenti avevano avviato una procedura selettiva per l’assegnazione delle concessioni”.
Con riferimento alle proroghe, del resto, anche il Consiglio di Stato ha riaffermato il principio per cui si può ritenere compatibile con il diritto dell’Unione solo la proroga “tecnica” limitata per il tempo strettamente necessario allo svolgimento delle gare, specifica ancora il Garante.
Un bene scarso
L’Antitrust “condivide peraltro le conclusioni cui sono pervenuti il giudice amministrativo nazionale e la Commissione europea secondo cui è evidente l’attuale situazione di notevole scarsità (in alcuni casi inesistenza) che caratterizza le aree demaniali a disposizione dei nuovi operatori”.
La penuria di spazi liberi “è ancor più pronunciata se si considerano gli ambiti territoriali comunali o comunque si prendono come riferimento porzioni di costa ridotte”.
Il concetto di scarsità “deve essere interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della “quantità” del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti”.
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
“È UNA SCELTA NETTA E NON PIÙ RINVIABILE”
“Ho rassegnato con effetto immediato le dimissioni dal gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia. Alla ripresa dei lavori farò assieme alla mia famiglia politica le valutazioni per individuare la mia prossima allocazione, che non potrà che essere improntata ai valori della moderazione, e del cattolicesimo liberale.
La mia decisione è frutto di un lungo processo di dissenso politico dal partito nata per difendere le ragioni della mia Provincia autonoma dalla volontà di accentramento decisionista del partito. Ho inoltre più volte chiesto chiarezza su alcuni importanti temi, che da cattolico mi stanno a cuore, ma non sempre ho osservato la risposta che speravo. Mi sono spinto ad aprire un dibattito, che però è caduto nel vuoto”.
Lo dichiara in una nota Andrea de Bertoldi, deputato eletto nel collegio uninominale del Trentino- Alto Adige. “L’unica risposta – aggiunge – è arrivata dai probiviri, con un’indagine strumentale e senza alcun fondamento, su fatti che ho già avuto modo di chiarire ampiamente. Oggi arrivo a leggere che ci sarebbe un provvedimento di espulsione. La mia libertà politica e professionale mi hanno consentito una scelta netta che non è più rinviabile. Su questa vicenda sono peraltro pronto ad agire in ogni sede opportuna a tutela della mia reputazione e della mia integrità personale e professionale”.
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
88 MILIONI DI EURO, FONDI DEL PNRR, SONO STATI DESTINATI ALL’ACQUISTO MEZZI “GREEN”. LA GARA D’APPALTO PER LA COSTRUZIONE DELLE COLONNINE DI RICARICA NON SI È MOSSA VELOCEMENTE COME L’AZIENDA TURCA CHE HA COSTRUITO I BUS, CONSEGNATI E FERMI A PRENDERE POLVERE IN UN’AUTORIMESSA (ALMENO FINO IN AUTUNNO)
Pochi giorni fa la Commissione europea ha pagato all’Italia la quinta rata del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza: 11 miliardi di euro destinati al raggiungimento di altri 53 obiettivi. Più o meno nelle stesse ore, la nostra Sandra Figliuolo, su Dossier PalermoToday, ha scoperto dove sono finiti 88 milioni dello stesso Pnrr: nei garage di una concessionaria.
Quei soldi sono infatti stati destinati all’acquisto di 125 autobus elettrici da mettere in servizio entro giugno 2026. E i primi 35 mezzi sono stati puntualmente consegnati al Comune del capoluogo siciliano. Solo che la gara d’appalto per la realizzazione delle colonnine di ricarica non si è mossa con la stessa velocità. Così la costosa flotta di pullman (704 mila euro ciascuno) è costretta a rimanere parcheggiata nell’autorimessa. Mancando, letteralmente, il caricabatterie.
La storia, piuttosto grottesca, dimostra quanto sia a volte complesso il processo di transizione verso una mobilità verde. Ma, a essere ottimisti, i 35 pullman elettrici, più tutti gli altri che eventualmente saranno consegnati, non si muoveranno da dove sono prima di ottobre.
“Gli autobus sono stati acquistati attraverso Consip – spiega a Dossier Roberto Biondo, dirigente della pianificazione mobilità nell’ufficio Traffico del Comune e responsabile unico del procedimento, chiamando in causa la centrale appalti del ministero dell’Economia -.
Proprio in virtù delle procedure particolarmente snelle previste dal Pnrr, i primi mezzi sono arrivati molto velocemente”. Forse troppo. Dei 35 pullman già consegnati, 27 sono lunghi otto metri, 8 bus sette metri e sono stati tutti costruiti dall’industria turca Otokar.
Ora si attende la realizzazione del grande impianto di ricarica dentro il deposito dell’Amat, l’azienda pubblica di trasporto, e di altre stazioni per la ricarica veloce lungo i percorsi. I manager del Comune sperano di avviare il servizio entro l’autunno. “Le due procedure sono partite insieme – assicura Roberto Biondo -. Ma per ordinare gli autobus è bastato un clic. Per gli impianti di ricarica è stata invece tutta un’altra storia. Servono decine di gare d’appalto per realizzare le colonnine e ogni step, se va tutto bene, dura quattro o cinque mesi”.
(da Today)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
PRIMA REPLICA STIZZITO AL MINISTRO DELLO SPORT ABODI: “È STATO FUORI LUOGO A PARLARE DELLA SCADENZA DEL MIO MANDATO”. POI FA CAPIRE CHE LE FEDERAZIONI STANNO CON LUI: “L’INDICAZIONE DEL MONDO DELLO SPORT È MOLTO CHIARA”… IL GOVERNO VUOLE NEGARGLI IL QUARTO MANDATO, MA LA SCADENZA È TROPPO IN PROSSIMITÀ DEI GIOCHI DI MILANO-CORTINA
Giovanni Malagò ha un foglietto per le mani, con scritti, in grande, tutti i numeri in modo da non poter sbagliare: 40 medaglie, 20 discipline, 12 ori, il primato per i quarti posti. Come sempre le cifre hanno però diversi piani di lettura e, in questo caso, il presidente del Coni non vuole parlare di medagliere ma di politica: dopo mesi passati ad annusarsi e a cercare un compromesso, forte dei risultati sportivi, Malagò è pronto a un muro contro muro con il Governo Meloni qualora la maggioranza non gli conceda una proroga al limite dei mandati (Malagò è al terzo).
«L’indicazione del mondo dello sport è molto chiara: ci sono consensi per una certa governance del Coni» dice. Un muro contro muro che potrebbe essere sanguinoso perché, come ha fatto notare il presidente, le procedure di rinnovo delle cariche si concluderanno qualche mese prima dell’inizio delle Olimpiadi invernali di Milano- Cortina.
«Possiamo sostenerlo?» si è chiesto ieri Malagò nel mezzo della conferenza stampa a Casa Italia, una specie di circolo di Roma Nord (c’è il ristorante stellato, gli arazzi e i vini scelti dagli amici del presidente) ricreato nel mezzo del Bois de Boulogne, il parco di Parigi assediato dalle prostitute.
I toni scelti da Malagò – uomo felpato, navigatore esperto – hanno sorpreso tutti, a Parigi e soprattutto a Roma. Ha abbandonato i convenevoli ed è andato allo scontro diretto con il ministro dello Sport, Andrea Abodi: «È stato fuori luogo a parlare della scadenza del mio mandato», ha detto. «Non è solo un problema di stile. Io non l’avrei mai fatto».
La scadenza naturale della carica di Malagò è a maggio del 2025: è al terzo mandato e la legge non consente un ulteriore rinnovo. «Ma quella legge è stata cambiata per due volte negli ultimi dieci mesi» ha detto ieri il presidente del Coni, consentendo ai presidenti delle singole federazioni per esempio un quarto mandato qualora il 75 per cento dei delegati siano d’accordo.
Malagò chiede lo stesso trattamento per il Coni ma fino a questo momento la maggioranza (e in parte anche l’opposizione) non hanno offerto sponde. Da qui, l’ombra su Milano-Cortina, che sta molto a cuore di Malagò: l’ex ad Vincenzo Novari, indagato, ha raccontato di aver ricevuto 500 curricula dal presidente.
«Il mandato del Coni scade il 30 maggio del 2025 – ha spiegato Malagò – ci sono ancora 10 mesi. Non è che il primo giugno, uno si siede e inizia a dire facciamo questo o quello: c’è tutta una dinamica elettorale che passa dal Quirinale, da Chigi, dalla Corte dei Conti. Quante volte ci sono state delle nomine e l’operatività è avvenuta molto dopo? A quel punto siamo a circa 90 giorni dall’inaugurazione di Milano-Cortina, il 6 febbraio 2026. Il rappresentante del Coni è la persona che inaugura la sessione che apre i Giochi Invernali. Faccio fatica a trovare qualcuno che sa dove mettere le mani su Milano- Cortina».
Proprio per questa coincidenza temporale c’era chi aveva ventilato l’ipotesi di un rinnovo biennale ma il Governo non ha alcuna intenzione.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti e quello dello Sport, Andrea Abodi, sono convinti che la norma non vada cambiata. Fino a qualche ora fa c’era l’idea di poter arrivare a una successione in qualche maniera concordata con Malagò, con una figura come quella della vicepresidentessa vicaria, Silvia Salis, che piace anche alla premier Giorgia Meloni.
Alla Lega non dispiacerebbe entrare a gamba tesa, da qui l’ipotesi di Luca Zaia, raccontata ieri da questo giornale. C’è però la difficoltà dei voti: il presidente lo scelgono le Federazioni, oggi completamente in mano a Malagò, anche sulla base di un curriculum sportivo che Zaia non ha. Qualcuno ha immaginato di svuotare ulteriormente le competenze del Coni (andando però a un rischio conflitto con il Cio), rafforzando Sport e Salute, a cui non a caso ieri Malagò ha riservate parole di carta vetrata, seppur senza mai citarla.
Qualcosa si muove anche all’interno del Coni: i due grandi oppositori, Angelo Binaghi della Federtennis e Paolo Barelli della Federnuoto sarebbero due candidati naturali, «ma abbiamo troppi nemici» scherzavano loro stessi nei giorni scorsi. Si fanno i nomi di Franco Chimenti della Federgolf, che ha 85 anni. E di Marco di Paola, presidente degli Sport equestri. Sarà un anno lungo. E non ci saranno secondi e terzi posti.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
COSA HA FUNZIONATO E COSA NO… I NUMERI DANNO RAGIONE AL PRESIDENTE FRANCESE
Come la tregua olimpica, che questa volta non c’è stata, termina alla fine dei Giochi, così anche la pax interna e l’entusiasmo ecumenico per lo sport evaporano appena la torcia passa di mano per iniziare il suo nuovo viaggio. C’è da aspettarsi che sarà così anche per le Olimpiadi di Parigi 2024. Ma il ritorno alla normalità non potrà cancellare ciò che le Olimpiadi 2024 hanno rappresentato per la Francia, che le ha ospitate: un successo. Lo dicono i numeri, i primi che è possibile reperire a poche ore dalla cerimonia di chiusura – fastosa e impermeabile alle polemiche, al contrario di quella di apertura -, e alcune considerazioni che è possibile fare mentre sulla competizione cala il sipario, che si riaprirà tra quattro anni a Los Angeles. Senza dimenticare cosa era in gioco a Parigi 2024 e perché non deve stupire che tante polemiche abbiano accompagnato lo svolgimento della manifestazione. «Sono fiero dei francesi. C’è soltanto uno sconfitto, lo spirito dei perdenti», ha detto Emmanuel Macron, «tutti quelli che ci hanno spiegato, per 7 anni, che era una follia ospitare le Olimpiadi, che la cerimonia di apertura sulla Senna era un’incoscienza dal punto di vista della sicurezza, che non avremmo avuto abbastanza medaglie, che sarebbe stato finanziariamente una voragine, che non saremmo riusciti a tuffarci nella Senna: alla fine, invece, ci siamo riusciti, l’abbiamo fatto! È straordinario ed è il frutto di un lavoro collettivo. È la dimostrazione che la Francia, quando è unita, sa fare grandi cose».
Parigi 2024, i numeri del successo
Nell’edizione che ha ospitato nella sua capitale, a 100 anni dall’ultima volta, la Francia si impone come regina europea del medagliere. Un successo sportivo che si evidenzia anche nel nuovo record nazionale di medaglie collezionate in una singola edizione dai cugini d’Oltralpe: 64, quasi il doppio di Tokyo 2020, con 16 ori, come mai prima d’ora se si esclude Parigi 1900. Gli atleti Bleus sono stati trainati anche dall’entusiasmo del proprio pubblico, che ha riempito stadi, palazzetti, lungo Senna e altri spalti segnando il record di biglietti venduti alle Olimpiadi per assistere alle centinaia di competizioni.
I ticket staccati sono stati attorno ai 10 milioni, acquistati a non meno di 100 euro e fino a 1.500 per le cerimonie di apertura e chiusura. Il pubblico televisivo, ha fatto sapere il presidente del Cio Thomas Bach, è stato di 4 miliardi di persone, con metà della popolazione mondiale che ha assistito ad almeno una gara dei Giochi.
Numeri che si convertono poi in denaro tra sponsorizzazioni, diritti venduti, licenze, partnership commerciali, nelle Olimpiadi più seguite di sempre. Anche all’insegna della sportività, come racconta chi ha vissuto da vicino il tifo la Francia nella semifinale maschile del volley contro l’Italia, che è stata un incitamento ai propri atleti senza insulti agli avversari, e come è stato riscontrato in tantissime altre competizioni. E ancora
Le stime negative sulla presenza turistica nelle due settimane delle Olimpiadi, con un calo delle prenotazioni degli alberghi di circa il 15%, vanno lette però anche alla luce del +19% (1,73 milioni) di turisti stranieri sullo stesso periodo del 2023, come riporta la Repubblica, e del più 400% di prenotazioni su Airbnb. Secondo le stime dell’ente nazionale di statistica francese, l’Insee, tutto ciò si tramuterà in una crescita del Pil di 0,3-0,4 punti percentuali tra luglio e settembre.
Se si guarda poi oltre le polemiche, la cerimonia di apertura di Parigi 2024 rimarrà nella storia per la sua originalità. La sfilata degli atleti sulle imbarcazioni nella Senna, con i meravigliosi monumenti della Ville Lumière a far da sfondo, è stata tra le immagini più evocative dei Giochi. Senza contare che quelle scenografie, dalla Tour Eiffel al Pont Alexandre III, dal Grand Palais a Les Invalides fino a Versailles, sono state le cornici di tantissime gare, dal fioretto, al nuoto, al beach volley. Vinta anche la sfida della sicurezza: il lavoro di intelligence, sorveglianza e ordine pubblico, per garantire l’incolumità di pubblico e atleti alla fine ha dato i suoi frutti e non si sono verificati incidenti. Le paure legate al terrorismo si sono sublimate solamente nei sabotaggi dei treni dei primi giorni messi in atto dagli ambientalisti radicali, e Macron ha lodato le forze di sicurezza che hanno ostacolato «centinaia di azioni» potenzialmente pericolose.
Parigi 2024, cosa non ha funzionato
Questo non vuol dire che tutto sia stato perfetto, perché non è così. L’azzardo di far gareggiare i nuotatori nelle acque della Senna è rimasto tale, e probabilmente sarebbe stato meglio evitarlo. Cibo e assenza di aria condizionata hanno indispettito diversi atleti, che dovrebbero essere gli unici protagonisti dei Giochi, ma una parte di loro ha bocciato il Villaggio olimpico green all’insegna della sostenibilità. L’immagine di Sergio Mattarella e dei capi di Stato sotto la pioggia nella cerimonia di apertura mentre Macron era all’asciutto è stata una sbavatura che si doveva affrontare con maggiore cura. Mettiamoci anche gli errori arbitrali, contestati a gran voce soprattutto in Italia, e che pure non sono responsabilità del Paese ospitante. Quello che non deve sfuggire però è che si trattava di un mega evento, con una preparazione di anni e una coda di settimane, anche per le Paralimpiadi, e che in due settimane concentrava centinaia di manifestazioni sportive a cui hanno preso parte oltre 10mila atleti di più di 200 Paesi del mondo, con al seguito staff e famiglie. E che non è stato perfetto proprio come non lo sono state le 32 edizioni precedenti, ognuna con le sue polemiche e problematiche. Il bilancio però alla fine sembra sorridere a chi l’ha voluto e organizzato.
Parigi 2024, le polemiche strumentali
Menzione a parte meritano poi almeno due grandi polemiche che hanno accompagnato i Giochi di Parigi. Vanno annoverate tra le questioni strumentalizzate per intorbidire – più della Senna – il dibattito attorno a queste Olimpiadi che, non si può dimenticare, erano connotate da una forte simbologia. Perché celebrate nel cuore d’Europa e ospitate da un presidente apertamente europeista come Emmanuel Macron. Alle polemiche legittime, si sono aggiunte fake news e disinformazione per provare a dipingere Parigi 2024 come un fallimento, ma anche criticare l’Occidente in crisi di valori, un tasto continuamente battuto da certa propaganda. E così è stato alimentato e ingrossato all’inverosimile lo scandalo dell’Ultima cena queer nella cerimonia di apertura, che però non era l’Ultima Cena ma una festa pagana-dionisiaca, e il caso della pugile algerina Imane Khelif, di cui si è scritto e detto tutto e il contrario di tutto. E sulla cui pelle si è combattuta una battaglia di potere tra l’Iba dell’oligarca russo Umar Kremlev e il Cio che ha sospeso l’affiliazione dell’associazione di boxe con il Comitato nel 2019 per scandali amministrativi e di corruzione. Ma se l’obiettivo era oscurare lo spettacolo e adombrare lo spirito Olimpico, alla fine si può dire che il tentativo sia fallito.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
I PIU’ VIRTUOSI I DEM FORNARO E CASU E IL FORZISTA BATTILOCCHIO… TRA I LEADER DI PARTITO MAGLIA NERA A RENZI E CALENDA
Il Parlamento chiude per la pausa estiva ed è tempo di bilanci. E di pagelle. Anche in termini di presenze. Sul podio dei più assenteisti a Montecitorio ci sono, al primo posto, Umberto Bossi, condizionato però da anni da problemi di salute; al secondo, il leghista e patron delle cliniche romane, Antonio Angelucci, che, dall’inizio della legislatura e cioè dal 13 ottobre 2022, ha disertato nel 99,85% delle volte le sedute d’Aula partecipando, tanto per rendere l’idea, a 13 votazioni sulle 8.777 indette; al terzo, l’esponente di Forza Italia ed ex compagna di Silvio Berlusconi, Marta Fascina mai alla Camera nel 93,87% delle votazioni.
I deputati più virtuosi
I deputati più virtuosi, invece, sono, senza dubbio, Alessandro Battilocchio di Forza Italia, con appena lo 0,05% di assenze, il vicepresidente di Avs Marco Grimaldi che è stato fuori dei radar di Montecitorio solo nello 0,16% delle volte e Italo Tremaglia (FdI) con lo 0,24%. Al terzo posto, quasi a pari merito, i dem Federico Fornaro e Andrea Casu che non sono stati registrati nell’emiciclo della Camera, rispettivamente: solo nello 0,50% e nello 0,64% delle convocazioni.
La classifica dei capigruppo alla Camera
Tra i presidenti dei gruppi parlamentari, il più presente è senz’altro quello della Lega, Riccardo Molinari con lo 0,88% delle assenze. Segue la capogruppo di Avs Luana Zanella, con il 3,50%. Al terzo posto, ma con un certo distacco il rappresentante di deputati di FdI Tommaso Foti che ha ‘marcato visita’ l’8,10% delle volte.
I senatori più presenti
Decisamente più presenzialisti al Senato, anche se spesso il numero delle sedute è inferiore rispetto a quello della Camera. Il record assoluto spetta a tre parlamentari: i due leghisti Giorgio Maria Bergesio e Mara Bizzotto e Antonio Iannone di FdI. Ciascuno può vantare il 100% di presenze a Palazzo Madama. A contendersi il secondo posto sono Gianni Berrino (FdI), Costanzo Della Porta (FdI), Sergio Rastrelli (FdI), Paola Ambrogio e Maria Cristina Cantù (Lega) con il 99,9% delle presenze. Un distacco minimo li separa dai ‘terzi’ classificati: Marco Lisei (FdI) e Vita Maria Nocco (FdI) con il 99,3%. C’è poi il caso del senatore leghista Claudio Borghi, con un percentuale di presenze del 35,10%, con però un buon numero di congedi e missioni per cui è presente per l’87,57 %, essendo un membro del Copasir.
I senatori più assenti
I senatori che si vedono di meno a Palazzo Madama sono Guido Castelli (FdI), con il 14,38% e Francesca La Marca con il 37,3% delle volte in cui hanno preso parte ai lavori d’Aula.
La classifica dei capigruppo al Senato
Nella classifica dei capigruppo è in testa il leghista Massimiliano Romeo con il 99,84%, che ha, in realtà, un distacco minimo dal 5 Stelle Stefano Patuanelli (99,12%) e da Lucio Malan (FdI) (99,06%).
Discorso a parte meritano i senatori a vita. Chi risulta non aver mai messo piede nell’Aula di palazzo Madama per esprimere il proprio voto dall’inizio della legislatura è l’architetto Renzo Piano (0%). Ma Carlo Rubbia non è da meno con lo 0,04% di presenze. Anche in questo caso il distacco con Mario Monti è irrisorio. L’ex premier vanta appena lo 0,81% di partecipazioni in Assemblea. A ‘disertare’ di meno l’Aula è Elena Cattaneo. La biologa registra il 32,40% di volte che ha preso parte ai lavori parlamentari. Mentre Liliana Segre c’è stata nell’1% delle sedute.
I ministri
Ulteriore capitolo a parte è quello degli esponenti del governo, che spesso risultano in missione. Tra loro, i ministri che risultano più attivi in Parlamento sono Giancarlo Giorgetti (assente nell’1,34% delle votazioni) e Raffaele Fitto (2,83%)
I leader di partito
Mentre tra i leader di partito a varcare di meno il portone di Palazzo Madama sono Carlo Calenda, presente solo nel 50,5% delle volte e Matteo Renzi (55,53%).
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
INVECE DI CONDANNARE LA TEPPAGLIA CHE HA PURE GIRATO UN VIDEO PER VANTARSI DELL’IMPRESA DA VIGLIACCHI, IL PRIMO CITTADINO LI DIFENDE PERCHE’ “SONO DI BUONA FAMIGLIA”
Lo accerchiano, lo aggrediscono, lo minacciano, e poi lo costringono a baciar loro le mani: è questo il siparietto, a metà tra l’inquietante e il patetico tentativo di scimmiottare i rituali criminali degli adulti, messo in atto da un branco di bulli a Sirignano, un piccolo paese tra l’Avellinese e il Napoletano.
I ragazzini, tutti tra i 12 e i 13 anni, dopo aver attaccato la vittima mettendola al muro e riempendola di schiaffi e pugni, hanno deciso che valesse la pena immortalare l’impresa. Hanno così girato un video di tre minuti e mezzo che, diffuso anche dal parlamentare napoletano di Avs Francesco Emilio Borrelli, sta facendo non poco discutere.
La difesa del sindaco
Ma se sono in molti a condannare, nei commenti, la vigliacca impresa, la gang di aspiranti malavitosi ha anche chi spezza una lancia a loro favore. E non una persona qualsiasi, bensì il sindaco del paese, Antonio Colucci: «Non è successo niente di che, cose di ragazzi, hanno litigato e fatto un filmino», ha commentato a La Stampa. Ma il video l’ha visto? No. «Non l’ho visto, mi ha informato il vigile. Mi ha detto che i ragazzi stavano giocando e poi hanno litigato, tutto qua. Cose di bambini», ha proseguito Colucci.
Il commento di Borrelli
Bambini che dopo il pestaggio intimavano: «Se lo dici a tua madre ti appendiamo come Cristo in croce». Colucci ha minimizzato appellandosi a due argomentazioni: i ragazzini sono di buona famiglia, e vanno in classe insieme. «Li conosco, hanno 12-13 anni, sono tutti figli di brave persone. La violenza? Eh, ma i ragazzi ogni tanto fanno qualche “male servizio”, si sa, ma non sono bulli, macché. È stato un piccolo litigio. Vanno a scuola insieme, fanno le medie», ha spiegato. Di diverso avviso Borrelli, che in una nota ha sottolineato l’urgenza di «contrastare il bullismo e il cyberbullismo, fenomeni in crescente espansione che hanno già causato gravi danni in passato».
Il fenomeno
E ancora: «Bisogna identificare i bulli e sanzionarli come meritano insieme alle loro famiglie che, auspico, non si sottraggano alle loro gravi responsabilità». D’altronde il bullismo e il cyberbullismo sembrano ancora troppo difficili da estirpare. Secondo il dossier dell’Osservatorio Indifesa, realizzato qualche mese fa da Terre des Hommes in collaborazione con la polizia postale e OneDay group, in occasione del Safer internet day, il 65% dei giovani intervistati (tra i 14 e i 26 anni) ha dichiarato di aver subito una qualche forma di violenza. Tra loro, il 63% ha subito atti di bullismo e il 19% di cyberbullismo.
(da agenzie)
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