Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
COME AL SOLITO, UN TERZO DEI TRE MILIONI DI CONTRIBUENTI CHE AVEVANO ADERITO ALLA ROTTAMAZIONE QUATER NON HA PIÙ VERSATO IL DOVUTO
La storia anche recente ci insegna che quando un governo deve fare cassa non si fa scrupoli a raschiare il fondo del barile varando un condono, o se vogliamo – più elegantemente, negli ultimi anni – una rottamazione, o una «definizione agevolata» come la chiamano all’Agenzia delle entrate. Peccato che puntualmente gli obiettivi vengano miseramente mancati, come in occasione della quarta rottamazione tutt’ora in corso.
Nel 2023 il governo puntava infatti ad incassare circa 12,4 miliardi di euro; finora, scadute le prime 4 rate, secondo le stime ne sono entrati appena 3,2 per effetto della differimento al 2024 previsto dal Milleprorghe contro i 5,3 stimati ed i 6,4 indicati dalla Corte dei Conti nella sua ultima Relazione sul rendiconto generale dello Stato.
Questo perché un 30% circa dei contribuenti che avevano aderito alla nuova sanatoria, per scelta o per necessità, non hanno più versato il dovuto ben sapendo che in questo modo il Fisco avrebbe poi richiesto il pagamento della somma iniziale in un’unica soluzione. In pratica su una platea iniziale stimata in circa 3 milioni di contribuenti, un milione di soggetti ha pagato la prima rata e poi si è fermato.
Con la scusa di evitare la sovrapposizione con altre scadenze fiscali, la scorsa settimana il governo ha deciso di posticipare dal 30 luglio al 15 settembre il versamento della quinta rata nella speranza che i contribuenti, avendo più tempo davanti, possano tener fede ai loro impegni anziché aumentare la schiera di chi rinuncia alla sanatoria.
I precedenti, però, non fanno ben sperare. Dalle prime tre rottamazioni e dal «Saldo e stralcio» messe in campo tra il 2016 ed il 2018 il Fisco si aspettava di incamerare circa 53,4 miliardi, in realtà in cassa ne sono entrati poco più di 20. Un buco pari a 33 miliardi che salgono a più di 35 tenendo conto del nuovo flop della rottamazione quater.
La prima rottamazione, varata nel 2016 dal governo Renzi, puntava a riscuotere ben 19,7 miliardi di euro ma in cassa ne ha portati meno della metà, appena 9,27 ha certificato la Corte dei Conti.
Nel 2017 è toccato poi al governo Gentiloni fare il «bis» con l’obiettivo questa volta di incamerare circa 9,33 miliardi, mentre in realtà nelle casse dello Stato ne sono arrivati appena 2,27.
Col governo Conte I nel 2018 è arrivata poi la «Rottamazione ter» che ha esteso il periodo a cui applicare la sanatoria allargando poi progressivamente la possibilità di adesione anche a chi in precedenza non aveva completato il percorso di regolarizzazione sospendendo il pagamento delle rate previste.
Anche in questo caso il risultato non è stato quello atteso: alla Rottamazione ter hanno infatti aderito 1,4 milioni di contribuenti che hanno versato nelle casse dello Stato 8,89 miliardi contro i 29,4 indicati come obiettivo rispetto ad un ammontare lordo di 49,6 miliardi. Infine, sempre nel 2018, c’è stato il «Saldo e stralcio» a produrre un’altra delusione nonostante consentisse un risparmio che in alcuni casi arrivava anche al 50% delle somme dovute al Fisco. A consuntivo questa misura ha consentito allo Stato di incamerare in tutto 769 milioni di euro contro una aspettativa di 1,43 miliardi.
A poco o nulla sono servite le successive proroghe e riaperture dei termini, tant’è che poi si è arrivati alla «Rottamazione quater» che riguarda i debiti con l’erario relativi al periodo tra il 2000 e giugno 2022. Già a fine marzo era stato introdotto un piano di recupero per consentire di rientrare in questa procedura chi non aveva versato le prime due rate.
Sul filo di lana è poi arrivato lo slittamento della quinta rata a metà settembre, ma vista la fame di risorse che ha il governo da più parti si dà per scontato che in vista del varo della nuova legge di Bilancio verrà introdotta una sanatoria nella sanatoria, facendo rientrare anche questa volta i contribuenti in arretrato coi pagamenti. Oltre a questo la previsione è che nella Rottamazione quater, una volta «pesato» l’effetto dei rinvio a metà settembre, vengano comprese anche le cartelle esattoriali relative al 2023 in modo da ampliare la platea degli interessati.
È bene ricordare che la Rottamazione quater riguarda tutti i carichi affidati all’Agenzia delle entrate a partire dal 2000, incluse le cartelle non ancora notificate, interessati da provvedimenti di rateizzazione o sospensione, ma anche già oggetto di altri interventi di rottamazione o del Saldo e stralcio anche se decadute perché il pagamento non è stato effettuato, lo si è fatto in ritardo oppure in misura insufficiente.
Dalla sanatoria sono invece escluse il recupero degli aiuti di Stato, le sanzioni comminate dalla Corte dei Conti come pure multe, ammende e sanzioni pecuniarie dovute a provvedimenti e sentenze passate in giudicato.
Ma non è tutto perché in previsione del piano di abbattimento del magazzino di tasse finora non riscosse (una montagna di soldi pari a 1.200 miliardi di euro), per l’anno prossimo non è da escludere una Rottamazione 5, con termini e modalità ancora tutte da definire, e che però rischia di perpetuare all’infinito la possibilità di non pagare le tasse, aderire poi ad una sanatoria azzerando le procedure di riscossione coattiva (pratica censurata anche di recente dalla Corte dei Conti), quindi di fermare i pagamenti
(da La Stampa)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
TRA QUELLE CON TRE FIGLI IL 45% RESTA IN CITTA’
Vacanze vietate per una famiglia su tre con uno o due figli. Nelle settimane in cui sembra che tutti siano sulle spiagge o a rilassarsi in qualche baita in montagna, c’è chi in Italia è costretto a rinunciare a partire perché non se lo può permettere. E non sono pochi: il 30% delle famiglie con uno o due figli e il 45% con almeno tre pargoli.
A denunciare la situazione sono i dati diffusi da OpenPolis e Save the Children. Per molti minori che vivono in condizioni di svantaggio socioeconomico i mesi di giugno, luglio e agosto non rappresentano un’opportunità di svago di qualità né di stimolo educativo, perché i genitori non hanno le risorse economiche per permettersi soggiorni fuori dalla propria città o per svolgere attività ricreative, quali sport, arte, musica.
Nel 2022 – ultimo dato disponibile – il 35,9% dei nuclei ha dichiarato di non potersi permettere una settimana di ferie lontano da casa. In presenza di uno o due figli minori, la quota sale attorno al 30% e con almeno tre figli arriva fino al 45,7%. Un lieve miglioramento rispetto al 2021, anno in cui ancora pesava la pandemia, quando metà dei nuclei più numerosi aveva rinunciato alle vacanze.
Ma le cifre, avvertono i ricercatori, sono per difetto: “Il rischio di sottostima va tenuto sempre presente quando si parla di questo tipo di dati sulla deprivazione. Una cautela che la letteratura internazionale ha spesso rimarcato”, ricorda Openpolis. Nel 2012, nella ricerca Misurare la povertà tra i bambini e gli adolescenti, il Centro di ricerca Innocenti dell’Unicef ha infatti sottolineato: “I risultati pubblicati possono sembrare dati obiettivi, ma dietro ogni statistica sulla deprivazione c’è un genitore che deve rispondere se sia in grado o no di permettere a suo figlio di “partecipare a gite ed eventi scolastici”, o di “invitare a casa degli amici per giocare e mangiare insieme”, oppure di avere “un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti””. Ammissioni dolorose.
Stando al rapporto “L’estate è arrivata…e i bambini?” di Save the Children, poi, nel 2022 soltanto il 38,7% dei minori di età compresa tra 0 e 15 anni ha avuto la possibilità di svolgere una vacanza fuori dalla propria città di origine per più di quattro notti consecutive durante il trimestre estivo. Molto forti le differenze territoriali. Nelle regioni meridionali il dato più allarmante. In Calabria si è registrata la percentuale più bassa, 6,7%.
Ad accrescere il problema sono anche i costi dei centri estivi. In quelli privati, una settimana può costare mediamente dai 160 euro a bambino fino a 300 euro per strutture con programmi avanzati con sensibili differenze tra Nord e Sud: a Milano il costo medio nel 2023 era di 207 euro settimanali contro i circa 100 di Bari e Napoli, con un rincaro del 10% rispetto all’anno precedente registrato da Federconsumatori, che nel monitoraggio sul 2024 segnala una media di circa 154 euro a settimana per ogni bambino. Tra le città più care c’è Milano con una media di 218 euro, mentre Bari risulta la più economica con 100 euro a settimana. I centri estivi comunali hanno tariffe più accessibili, che tendono a essere più elevate nei grandi Comuni e piuttosto omogenee da Nord a Sud (95 euro a Torino, 85 a Milano, 80 in media a Roma e 90 in media a Napoli). Nelle piccole realtà i costi sono generalmente più bassi e molto più eterogenei (60-80 euro al Nord e 35-50 al Sud). Tuttavia, la disponibilità di posti nei centri comunali è quasi sempre insufficiente a coprire il fabbisogno.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
ALMENO 300 MORTI NEGLI SCONTRI … IL CAPO DELL’ESERCITO PRONTO A FORMARE UN GOVERNO AD INTERIM
Dopo mesi di proteste e violenze crescenti è giunta a un punto di svolta la crisi politica in Bangladesh, Stato dell’Asia sudorientale stretto tra l’India e Myanmar. La prima ministra Sheik Hasina ha infatti ceduto alle pressioni delle piazze, è fuggita dal palazzo del governo, ha rassegnato le dimissioni e lasciato il Paese. Hasina, 76 anni, era alla guida del Bangladesh dal 2009. La sua leadership è terminata in modo rocambolesco, dopo settimane di strenua resistenza: la donna ha lasciato il palazzo del governo di Dhaka in elicottero poco dopo che l’avanguardia della manifestazione di protesta – sfidando il coprifuoco e il dispositivo di sicurezza – era riuscita a farvi irruzione. Secondo rapporti dei media locali, Hasina sarebbe atterrata in India, dove il governo si è detto pronto a offrirle riparo. A prendere il potere ora dovrebbe essere il capo dell’esercito, per lo meno in via temporanea. Nonappena diffusasi la notizia della fuga e dimissioni della premier, il capo delle forze armate Waker Uz-Zaman ha infatti convocato i giornalisti per far sapere di assumere il controllo del potere nel delicatissimo passaggio. «Mi assumo la responsabilità ora e andremo dal presidente a chiedere di formare un governo ad interim per guidare il Paese in via transitoria».
Le ragioni della piazza e gli scontri
I cittadini che si erano raccolti in piazza a migliaia anche oggi a Dhaka hanno accolto la notizia della fuga e delle dimissioni della premier esultando. Hasina e il suo governo erano accusati soprattutto di aver abusato delle istituzioni per restare al potere e reprimere il dissenso, anche uccidendo attivisti dell’opposizione. La goccia che ha fatto traboccare il vaso nelle ultime settimane è stata una legge che istituiva un sistema di quote per l’accesso agli impieghi pubblici che secondo gli oppositori – in prima fila gli studenti – dava un vantaggio sproporzionato ai discendenti di chi combatté nella guerra d’indipendenza (dall’India del 1971). Le proteste e la dura repressione da parte delle forze di polizia è proseguita anche dopo che che la corte suprema ha cancellato la legge. Secondo l’Afp, è di almeno 300 vittime il bilancio complessivo delle proteste delle scorse settimane: 94 i morti soltanto nella giornata di domenica, la più letale. I manifestanti anti-governativi e i sostenitori della premier si sono scontrati usando bastoni e coltelli, mentre la polizia ha sparato con proiettili veri. Secondo le forze dell’ordine, una stazione di polizia a Enayetpour (nel nord-est) è stata presa d’assalto e 11 agenti sono stati uccisi. E ancora la scorsa notte si sono uditi spari e visti raid di polizia, hanno detto testimoni al Guardian, alla viglia della protesta di massa che era convocata per oggi. Che ha portato però alla vittoria del fronte della protesta. Ora si apre una nuova fase per il Bangladesh, densa di incognite.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
PER IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE CULTURA ALLA CAMERA E’ UN COMPLOTTO DEI GIUDICI CONTRO LA DESTRA … LA DUCETTA NON SOPPORTA CHI ENTRA A POSTERIORI IN UNA POLEMICA SULLA QUALE È GIÀ INTERVENUTA. E QUANDO QUALCUNO LO FA “DOVREBBE LIMITARSI A SEGUIRE LA LINEA ESPRESSA DAL PRESIDENTE”
Ci ha pensato Giovanbattista Fazzolari a sentire Federico Mollicone ieri, per spiegargli che la sortita sulla strage di Bologna è stata quantomeno “fuori sincro” rispetto alla linea che FdI pubblicamente dichiara di sostenere.
E cioè che le «sentenze si rispettano» e che soffiare sul braciere del revisionismo di destra tra l’anniversario della bomba alla stazione e quello dell’orrore dell’Italicus espone il partito della fiamma (e dunque il governo) a una batteria di attacchi che Giorgia Meloni stavolta avrebbe voluto evitare.
Certo, non è la prima volta che i Fratelli tentano di presentare una versione alternativa della storia . Ma intervenire così, contro i verdetti definitivi della giustizia sulla matrice neofascista della strage alla stazione, appena 24 ore dopo l’attacco della leader di FdI al presidente dell’associazione familiari delle vittime di Bologna, è sembrato un autogol. Anche perché Meloni si era detta indignata proprio per l’accostamento tra il governo e «le radici dell’attentato».
Meloni, pubblicamente, resta in silenzio. Tutta FdI ha l’ordine di tacere e difatti non difende il deputato a capo della Commissione Cultura, anche se «il grosso dei parlamentari la pensa così», confida più di un eletto a taccuini serrati.
L’unico a parlare in chiaro è il viceministro agli Esteri, Edmondo Cirielli. E lo fa per prendere le distanze dalle affermazioni del collega: «L’essere stato ufficiale dei Carabinieri mi ha insegnato che le sentenze passate in giudicato non si criticano, si applicano»
Anche l’idea di Mollicone, più volte rilanciata in questi anni, di mettere in piedi una «commissione d’inchiesta sulle stragi» viene considerata, ai piani alti di via della Scrofa, come già archiviata. «Non vedrà mai la luce».
Anzi: Mollicone rischia pure i galloni di presidente della Commissione Cultura. Tra meno di un anno, quando i vertici degli organismi del Parlamento saranno azzerati e rimessi ai voti.
FdI proverà a difenderlo, anche per una ragione di equilibri interni: Mollicone ha strappato uno dei pochissimi incarichi di rilievo assegnati ai “Gabbiani”. Perdere pure quello, rischierebbe di far saltare la tregua siglata da Fabio Rampelli e Arianna Meloni. Ma la manovra resta complicata: l’opposizione farà le barricate. E uscite come questa sulla strage di Bologna potrebbero fargli perdere voti decisivi dai moderati di FI, che ieri sono rimasti silenti, ma piuttosto irritati.
Dentro FdI si auguravano che a mettere in discussione il ruolo dei neofascisti nell’attentato del 2 agosto ‘80 fossero personaggi presentabili come “terzi”, come l’avvocato Valter Biscotti, intervistato ieri a pagina 3 di Libero del gruppo Angelucci. Biscotti in fin dei conti sposa appieno la tesi Mollicone: «La destra non c’entra, il processo è da rifare».
L’uscita del deputato rampelliano ha scompaginato lo schema. Spostando di nuovo il mirino delle polemiche su FdI, com’è già capitato altre volte nel corso di questa legislatura, dalle SS di via Rasella rappresentate dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, come «una banda musicale di semi-pensionati», al ministro Nello Musumeci che giusto un anno fa dava alle stampe un saggio sullo sbarco degli Alleati in Sicilia, descrivendoli come «invasori», «nemici », fautori di «una strategia terroristica ». Non è dunque difficile credere che i più, nel battaglione di deputati e senatori di FdI, la pensi come Mollicone. Ma stavolta, per l’inner circle di Meloni, non era il caso di dirlo.
(da la Repubblica)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
A INNESCARE LE VIOLENZE SONO STATE DELLE FAKE NEWS PROVENIENTI DALLA RUSSIA IN MERITO AL KILLER (CON GENITORI DEL RUANDA) DI DUE RAGAZZINE A SOUTHPORT… LA POLIZIA ASSALTATA, MOLTI AGENTI FERITI, CENTINAIA DI ARRESTI TRA LA TEPPA SOVRANISTA
Caccia all’immigrato, strada per strada. Negozi di stranieri bruciati. Polizia assaltata. Saluti nazisti. Neri pestati da branchi di bianchi tatuati e ubriachi. Moschee assediate. Hotel di richiedenti asilo quasi messi a fuoco. Musulmani quasi linciati. Posti di blocco improvvisati da presunti “patrioti” a Middlesbrough: «Sei bianco? Allora puoi passare».
La melma nera di estrema destra, hooligan e giovanissimi teppisti della working class ha messo a ferro e fuoco l’Inghilterra nel weekend. Scene raccapriccianti, che hanno ricordato i “riots” del 2011 in cui morirono cinque persone. Il primo ministro Sir Keir Starmer promette guerra totale ai facinorosi: «Vi pentirete amaramente di cosa state facendo. Queste non sono proteste. Questa è violenza pura. Sarete puniti dalla Legge con la massima severità, anche coloro che online hanno fomentato i disordini e poi sono scappati… », avverte il leader. A breve Starmer annuncerà tribunali aperti 24 ore su 24 per punire e incriminare i responsabili il prima possibile.
Stavolta, l’efferata strage di tre ragazzine a Southport il 22 luglio somiglia sempre più a una strumentalizzazione per centinaia di vandali per sfogare tutta la loro rabbia razzista, nichilista e xenofoba. Ciò dopo uno tsunami di fake news online (anche vicine alla Russia di Putin) sul 17enne arrestato, nato a Cardiff e di genitori del Ruanda (al 98% cristiano), ma che le bufale hanno invece bollato come «arrivato su un barcone» e «musulmano».
Almeno cento gli arresti. A Liverpool sono stati devastati negozi di telefonini gestiti da immigrati, un nero è stato scalciato alla testa da razzisti ubriachi, e hanno pure bruciato la nuova biblioteca “Spellow Library” aperta solo l’anno scorso. Debbie Stokes, residente locale: «Sono scioccata per aver scoperto quanti miei conoscenti sono razzisti. I nazisti bruciavano i libri. Qui invece bruciano la biblioteca. È disgustoso».
Ad Hull, invece, dove i bianchi sono il 94% della popolazione, “manifestanti” bardati dalla Croce di San Giorgio, la bandiera dell’Inghilterra, hanno razziato negozi di telefoni e scarpe, ma soprattutto aggredito automobilisti “non bianchi”, quasi linciandoli al grido di «uccidiamoli».
Ma anche a Belfast si è assistito a momenti di altissima tensione. A Sandy Row, una delle storiche roccaforti working class protestanti, sono stati demoliti negozi di immigrati e musulmani. La ministra dell’Interno Yvette Cooper ha annunciato una nuova task force di emergenza a difesa delle moschee.
Ieri, invece, i razzisti hanno assediato un hotel per richiedenti asilo a Rotherham, nel Nord dell’Inghilterra, mettendo a fuoco gli ingressi. Fino a sera, non era ancora chiaro se ci fossero vittime. [
(da La Repubblica)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
SCALA LA POPOLARITÀ SPORTIVA COMPRANDO NEL 2006 LA REYER, NOBILE SQUADRA DI BASKET. E SCALA LA CELEBRITÀ POLITICA DIVENTANDO NEL 2009 IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA VENEZIA. IL SALTO DEFINITIVO LO FA NEL 2015 CANDIDANDOSI SINDACO
“Non mi dimetto, non ho fatto nulla di male” dice Brugnaro di Brugnaro, mandando in tilt mezzo consiglio comunale che gli grida: “Buffone, Buffone!”. C’era da aspettarlo, vista la sua storia e il suo carattere. Per una decina d’anni Luigi Brugnaro – Mirano, anno 1961, due mogli, quattro figli – imprenditore di mille imprese, è stato l’indiscusso “paron de Venessia”. Non il sindaco, ma proprio il padrone.
Con una storia che si piega per intero all’insonne malattia degli schei, “i soldi! I soldi!” da fare e da accumulare all’infinito. Lui svelto di chiacchiera barbarica – “non fatemi parlare con lo stronzo che ha parlato prima, cazzo se mi incazzo!” – di prepotenza muscolare, oltre che dotato di quella faccia tosta che serve a raccontare l’eterna favola berlusconiana dei ricchi che una volta voltati in politica, faranno non i loro interessi, ma quelli della povera gente. E il guaio è che la povera gente gli crede.
A questo giro i magistrati lo hanno pescato per “il sistematico perseguimento di interessi personali” e in particolare per vecchie carte che riguardano un terreno da 40 ettari comprato una ventina di anni fa, per 5 milioni di euro, nell’area dei Pili, dalle parti del Ponte delle Libertà, un’area del demanio altamente inquinata.
La madre maestra elementare, il padre Ferruccio, operaio della Montefibre, una colonna della Cisl negli anni delle rivendicazioni, nonché poeta amatissimo, narratore di lotte sindacali e di notti stellate sopra le luci del Petrolchimico.
Studia, si iscrive a Architettura, ma come racconta chi lo frequentava allora “era sempre alla ricerca della trovata per fare i schei”. Incontra un ex marine, Charles Hollomon, che conosce i computer e ha appena fondato a Marghera la prima agenzia per il lavoro interinale in Italia, importando l’idea dall’America.
Si fa spiegare di cosa si tratta: intermediare con le aziende per fornire manodopera a tempo determinato e incassare una percentuale sui contratti. È il 1993 e le agenzie interinali sono ancora fuorilegge. Ma tre anni dopo quando Brugnaro viene a sapere che Tiziano Treu, uomo Cisl, nonché ministro del Lavoro nel governo Prodi, sta per renderle legali, sgama l’idea, bye bye Mister Hollomon, fonda da solo la sua agenzia che in breve moltiplica per dieci in Veneto, per cento in Italia.
La battezza “Umana”, anche se il padre poeta ha fatto anni di battaglie contro lo sfruttamento proprio del caporalato e del lavoro a chiamata, dichiarandolo “inumano”
Dato che guadagna a percentuale sul lavoro altrui, “Umana” offre un flusso di cassa continuo. Brugnaro diventa milionario in un batter d’occhio. Impiega una ventina d’anni a scalare il primo miliardo di fatturato. Da quel momento la trovata è fare i schei con gli altri schei. Compra case, palazzi, terreni, società digitali, imprese di pulizie, parcheggi, allevamenti in Maremma.
Di alta economia non capisce quasi nulla, ma di quella altamente politica tutto. Scala la popolarità sportiva comprando nel 2006 la Reyer, nobile squadra di basket, che vincerà due campionati di seguito. E scala la celebrità politica diventando nel 2009 il presidente di Confindustria Venezia, maneggiando l’ossessione dei comunisti, delle tasse e delle procure.
Il salto definitivo lo fa nel 2015 candidandosi sindaco contro Felice Casson, l’ex magistrato, la toga rossa che spaventa il ceto degli esentasse, esorcizzato in stile berlusconiano “Libertà, libertà!” e con lo slogan: “Non abbiamo bisogno di giudici in politica: riportiamo Venezia in serie A”. Vince il primo mandato, stravince il secondo. Governa da paron. Decide e ordina.
Ce l’ha con gli extracomunitari: “I nostri ragazzi vanno educati, serve una differenza tra loro e quelli che vivono sugli alberi di banane”. Detesta gli omosessuali: “Il Gay Pride mi fa schifo!”.
Mestre scala le classifiche delle morti da overdose, ma il suo approccio resta securitario: polizia, retate, carcere.
Smantella il decentramento amministrativo, concentra tutto nelle mani del Comune e dalla giunta che gli obbedisce come una falange. Non ascolta le opposizioni e va solo una volta l’anno in Consiglio dove parla ore, per metà in dialetto, specie quando insulta i consiglieri: “Disastro de omo, porta sfiga, vai fora, corri!”.
Se la intende con Matteo Renzi proprio sugli schei e incassa dal suo governo i 457 milioni del Patto per Venezia, anno 2016. Distribuisce a pioggia. Ma con il tempo i soldi finiscono e la prepotenza non paga.
Corrono le voci sugli interessi privati negli atti pubblici, i sospetti di corruzione, proprio come stava accadendo nella Liguria di Giovanni Toti, l’alleato con cui Brugnaro si inventa “Coraggio Italia”, il nuovo partito che fondano insieme. E che – tra i due mari di carte giudiziarie – insieme affondano.
(da il Fatto quotidiano”)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
“CI SONO ATLETE CHE FANNO PIU’ PAURA DELLA PUGILE ALGERINA, FATICO A CREDERE CHE CERTI FISICI SI COSTUISCANO IN PALESTRA”
Julio Velasco è abituato ad alzare il livello. Del gioco, delle parole, del discorso. Ha sempre viaggiato alto come sta facendo la sua nazionale femminile ai Giochi: tre partite, tre vittorie con un 3-0 finale alla Turchia che proprio non immaginava.
“Stiamo lavorando per crescere costantemente come singoli e come squadra. Abbiamo imparato anche uno dei miei concetti fondamentali: in campo si può soffrire ma non subire. E nei momenti importanti, quando c’era da soffrire non abbiamo subito, come nel primo set con l’Olanda o nel terzo con la Turchia”. Adesso arrivano i quarti, con un avversario ancora da scoprire: “Non ci dobbiamo nascondere, nessuno crede che un quarto di finale dentro fuori sia una partita come le altre. Sarà una partita dove la troppa motivazione non deve diventare ansia perché se pensiamo solo di spaccare il mondo rischiamo di perdere lucidità“.
Il parco Giochi olimpico sta vivendo un momento particolare per lo sport femminile. Julio Velasco non è uno che scappa di fronte alle domande scomode, anzi gli piace cercare di schiacciare nel campo avversario. Non si tira mai indietro. “ Le Olimpiadi più brutte sono state quelle con i boicottaggi, Los Angeles e Mosca quando si è usato lo sport per questioni politiche e già che non ci siano boicottaggi è una cosa buona. Poi noi viviamo un periodo del pensiero binario, o è bianco o è nero. La complessità dei temi non esiste più tutti abbiamo le idee chiare. Siamo a favore o siamo contro la pugile con una facilità assurda. Molti pur non sapendo bene di cosa si tratti prendono una posizione. Io credo che dovremo accettare l’esistenza di cose complesse e questa dell’identità di genere è una di quelle”. E qui Velasco affonda i colpi: “Tutti stanno parlando della pugile algerina Imane Khelif, ma se uno guarda il suo fisico e quello di altre atlete e non faccio i nomi perché se no finisco come Zeman, beh io avrei più sospetti sui fisici di altri atleti che su quello della pugile. Io faccio fare pesi ai miei giocatori da quarant’anni e faccio fatica a credere che certi fisici si costruiscono solo con il lavoro in palestra. Poi dai controlli antidoping non viene fuori nulla e non possiamo dire nulla, però… Non capisco questo scandalo per la pugile e poi nessuno dice nulla su altre situazioni che solo a vederle…”.
Velasco parla di doping e aggiunge: “Il problema è complesso ed esiste da sempre, un po’ come la corruzione. Non la risolveremo mai, ma bisogna contenerla. Dovremo fare lo stesso con il doping. Il problema è che il doping nasce dalla scienza e nella ricerca scientifica per curare le persone si fanno investimenti mostruosi in tutto il mondo e proprio da certe ricerche poi nascono le idee per il doping come capitato con l’epo. È un’utopia pensare che ci possa essere una struttura all’altezza per combattere il doping, quindi il problema esiste. Bisogna lavorarci continuamente”. Intanto Velasco vorrebbe risolvere un altro problema più semplice. Il doping dei passaporti. Atleti che cambiano nazionalità senza problemi: “Qui è semplice, tutti gli sport dovrebbero avere la stessa regola del calcio dove se un giocatore ha giocato con una nazionale poi non può passare a un’altra. Qui non c’è bisogno si investimenti o scienziati. È semplice. Basta dire che chi ha giocato per una nazionale non può giocare in un’altra anche se cambia nazionalità. Una regola che deve valere per gli sport di squadra, ma anche quelli individuali. Perché se non lo si ferma comincia il mercato che in realtà è già cominciato e guarda caso vedi gli africani diventare inglesi e non viceversa. Il flusso è sempre da paesi poveri a paesi ricchi e non mi sembra vada d’accordo con lo spirito olimpico. Ma lo abbiamo fatto anche noi in Argentina…Messi lo abbiamo fatto debuttare giovanissimo in nazionale per evirare che la Spagna ce lo rubasse, anche se credo lui non lo avrebbe mai fatto”.
Il problema dell’identità di genere nello sport femminile è enorme. “Credo che la forza della pallavolo femminile è che tutte le ragazze del mondo vedono che le giocatrici di pallavolo sono molto femminili. E questo attrae le ragazze e anche le famiglie. Non ho niente contro altri sport, neppure contro il rugby femminile. Le donne guidano i camion e possono giocare a rugby…ci mancherebbe altro. Ma la discussione su chi deve stabilire chi è o non è una donna è una discussione complessa, molto complessa. Io non ho una posizione. In questo caso poi c’è di mezzo una federazione non riconosciuta dal Cio e la situazione è ancora più politica. La situazione è molto complicata anche perché parliamo di uno sport dove si menano. Lo dicevo a tavola: ho visto gareggiare qualche donna che se menasse mi farebbe molto più paura dell’algerina”. Velasco ha alzato la palla. Ha acceso un riflettore sul doping. Non fa nomi. Ma il discorso è chiaro. Guardiamoci attorno.
(da ilfoglio.it)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL VOTO DELLE REGIONALI IN LIGURIA FISSATO PER IL 27 E 28 OTTOBRE
Il processo contro Giovanni Toti, ormai ex governatore della Regione Liguria, inizierà il prossimo 5 novembre. La giudice delle indagini preliminari Paola Faggioni ha infatti accolto la richiesta della Procura per il giudizio immediato.
Il rinvio a giudizio è stato disposto anche per Aldo Spinelli, imprenditore del porto di Genova, e Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’Autorità portuale. Toti è accusato del reato di corruzione e finanziamento illecito dei partiti nell’inchiesta partita lo scorso 7 maggio, quando finì agli arresti domiciliari. Dopo 86 giorni e le sue dimissioni, l’ex governatore ligure è tornato in libertà.
La difesa di Toti e Spinelli: «Vogliamo il rito ordinario»
La decisione della gip contrasta con gli appelli dei legali di Toti e Spinelli che hanno fatto fronte comune: «Vogliamo il rito ordinario», hanno più volte ribadito. Gli avvocati dei due imputati potrebbero quindi fare ricorso.
Temporeggia invece la difesa di Paolo Signorini che sta valutando il da farsi: tra le opzioni a disposizione ci sono anche il rito abbreviato o il patteggiamento. A occuparsi del processo sarà il primo collegio della prima sezione del Tribunale di Genova.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2024 Riccardo Fucile
“CONTE FA QUELLO CHE DICE ELLY PER SALVARE LA SUA POLTRONA E QUALCHE ALTRA DEI SUOI FEDELISSIMI”… IL COMICO E’ ORMAI ISOLATO: SONO IN POCHI A SEGUIRLO E RISCHIA DI PERDERE ANCHE I 300 MILA EURO ANNUI DI CONSULENZA DAL MOVIMENTO
È il periodo più difficile che Beppe Grillo abbia mai vissuto. Non riesce a governare gli eventi, proprio lui che si vantava di essere l’Elevato che con un post sul blog metteva fine a ogni diatriba e imponeva una decisione. [Questa volta ad aleggiare è qualcosa che va oltre: è lo spettro della resa dei conti finale. È isolato il fondatore. Isolato e spaesato.
«È una fase che non capisco. Conte sta facendo tutto di testa sua», va dicendo Grillo nelle sue conversazioni telefoniche Parla con i suoi più stretti collaboratori, parla anche con Virginia Raggi e di tanto in tanto con Alessandro Di Battista, e con quei pochi agganci che gli sono rimasti dentro un Movimento che già somiglia a un partito personale di Conte e che, con l’assemblea costituente in programma a settembre e su cui l’attuale leader stellato punta enormemente, rischia di essere definitivamente de-grillizzato.
Conte è pronto a mettere in discussione i capisaldi 5Stelle e Grillo non ci sta, anche perché non è stato interpellato malgrado sia il Garante. Il fondatore vuole un «ritorno alla forma fisica del 2018», quando M5s correva da solo e non dichiarava alleanze. L’ex premier invece, oltre a collocarsi saldamente nel Campo largo, è pronto a rivedere il limite dei due mandati, il logo e il nome del partito. La democrazia diretta invece è già stata sostituita dalla «democrazia partecipativa e deliberativa» con il supporto della società Avventura Urbana e non più della piattaforma Rousseau.La fine di un binomio composto da Grillo e dal Movimento che ha fondato potrebbe essere vicina, ma sarebbe anche l’inizio di una battaglia: «Conte, da tempo, non sopporta le incursioni di Grillo. La pensano in maniera diversa su tutto e la convivenza è impossibile». In questo contesto all’orizzonte appare quindi la diatriba legale. «Guardate che io mi sono blindato», è rassicurante l’avvocato del popolo quando parla con i suoi: «Lo statuto prevede che il logo non appartiene a Grillo, ma all’associazione quindi a me che sono il presidente».
Il Garante rivendica la proprietà del nome M5s. È convinto che senza il suo benestare non possa essere cambiato e certamente lui non può essere cacciato, a meno che non decida di farsi da parte. Lo stallo, anche giuridico, può portare a una scissione. O più che altro a un addio in massa considerato che, almeno per ora, l’ex premier può contare sull’appoggio dei gruppi parlamentari.
Chi ha parlato con il Garante racconta che il comico è in preda ad ogni tipo di sospetto. L’ex leader è convinto che dietro le mosse di Conte ci sia Elly Schlein. Nelle sue telefonate è un tema ricorrente: «Ormai Conte fa quello che dice Elly per salvare la sua poltrona e qualche altra dei suoi fedelissimi». Grillo telefona un po’ a tutti e trova che un po’ tutti sono politicamente poco generosi nei suoi confronti. E c’è anche l’aspetto finanziario. I 300mila euro che Beppe riceve per le consulenze, considerati i rapporti con Conte, potrebbero non essere più garantiti.
(da la Repubblica)
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