Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
I SOCIAL SI DIVIDONO TRA COLPEVOLISTI E INNOCENTISTI: C’E’ CHI INSINUA UNA MACCHINAZIONE DIETRO AL RITIRO
I social non perdonano, e molti utenti stanno accusando la pugile italiana di non essere nuova a simulazioni di infortuni per uscire da situazioni scomode durante gli infortuni, o almeno questa sarebbe la teoria che sta riscuotendo molto successo sui social.
Il video che dall’alba di questa mattina sta spopolando su X ritrae Angela Carini impegnata in un incontro con la turca Busenaz Surmeneli ai Mondiali di Istanbul del 2022.
Verso la fine del primo round l’azzurra improvvisamente scivola, o cade, comunque va a terra, si accascia, lamenta un dolore fortissimo alla caviglia e non riprende più l’incontro. Lo strano movimento dell’atleta e l’apparente mancata torsione della caviglia hanno alimentato i dubbi sull’infortunio.
Non abbiamo trovato sul web tracce della diagnosi dell’infortunio.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
D’ALTRONDE CARINI HA APPENA ANNUNCIATO L’ADDIO ALLA BOXE (A SOLI 25 ANNI): SUO GRANDE SPONSOR È DON PATRICIELLO, CHE HA UN FILO DIRETTO CON LA PREMIER MELONI
«So che non mollerai, Angela, e so che un giorno guadagnerai con sforzo e sudore quello che meriti. In una competizione finalmente equa». La presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni con un tweet pubblica la foto in cui accarezza la guancia di Angela Carini, l’azzurra di boxe che ieri si è ritirata, dopo appena 45 secondi, dal match olimpico a Parigi contro l’algerina Imane Khelif.
La questione è solo politica. E ci porta dalle Olimpiadi francesi al Parco Verde di Caivano, provincia di Napoli, crocevia dello spaccio di droga e degli orrori contro i minori. Perché arriviamo qui? Angela Carini, 25 anni, è di Afragola, ad un tiro di schioppo da Caivano, lì dove il governo ha deciso di investire molto, politicamente e materialmente, per fare del Parco Verde l’esempio massimo della “cura Meloni”.
Il centro sportivo nel Parco Verde di Caivano è gestito dalle Fiamme Oro, il gruppo sportivo della Polizia di Stato, lo stesso in cui milita Carini, la pugilatrice di Afragola abbracciata da Meloni e protagonista del “caso” delle Olimpiadi 2024. L’impianto, nato all’interno del fu centro sportivo Delphinia, abbandonato dal 2018 e oggi recuperato a tempo di record, è intitolato alla memoria del cantautore Pino Daniele. Nei cinque ettari del Centro sono praticabili 44 discipline sportive. C’è anche il pugilato: corsi di boxe per bimbi dai 4 a gli 11 anni, per adolescenti fino a 13 anni e poi prepugilistica Gym Boxe (over 17) e corsi di Difesa Personale per gli over 17.
Il clamore intorno alla vicenda e quella promessa di Meloni alla atleta: «so che un giorno guadagnerai con sforzo e sudore quello che meriti», rendono possibile una ipotesi di cui si parla insistentemente da ieri sera in ambienti napoletani: Carini punta di diamante e volto del Centro Fiamme Oro nel Parco Verde di Caivano.
L’atleta campana ha peraltro affermato, in una intervista a “La Stampa”, la volontà di dire «ciao alla boxe». Che si prospetti dunque un futuro di testimonial/motivatrice/allenatrice? Fra atleta e premier è peraltro subito scattato il feeling: «Mi ha accolta come una mamma» ha detto Carini ieri sera al Tg1, riferendosi alla Meloni.
Uno dei propulsori dell’operazione sarebbe don Maurizio Patriciello, parroco anti-camorra del Parco Verde e al momento la persona più influente a Caivano, con un filo diretto con la premier Meloni che lo tiene in grande considerazione.
Del resto, proprio il sacerdote aveva suggerito alla pugilatrice di non incrociare i guantoni con l’algerina, allineato con le posizioni di gran parte del governo Meloni: «Un grande abbraccio, Angela. Forza! Ti vogliamo bene. Su quel ring, però, non dovevi proprio salirci», aveva detto pubblicamente.
(da Fanpage)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
“SI E’ FATTA SUGGESTIONARE DA TANTE DICERIE, POTEVA VINCERE”… L’IRLANDESE ARLY L’HA BATTUTA DUE ANNI FA CON VERDETTO UNANIME DELLA GIURIA
Imane Khelif, la pugile algerina davanti a cui si è arresa fra mille polemiche olimpiche l’italiana Angela Carini, nella sua carriera sul ring iniziata nel 2018 ha combattuto 51 incontri ufficiali. Di questi ne ha vinti 38, di cui 6 per ko. Quattro incontri combattuti non sono stati omologati per la squalifica retroattiva decisa dall’Iba per eccesso di testosterone nel sangue, ma nove volte Imane è stata battuta sempre ai punti da altre donne che l’hanno affrontata anche in campionati internazionali. Riammessa alle competizioni nel novembre 2023, Imane ha vinto tutti gli 11 incontri che ha disputato, e solo nel caso di Carini la vittoria è arrivata per ritiro dell’avversaria.
Con l’algerina avevano scambiato pugni due italiane, l’ultima è stata Miriam nel 2022
Nei 51 incontri disputati già altre due volte Imane ha incontrato una pugile italiana. La prima volta a Debrecen in Ungheria il 10 febbraio 2021. In cinque round ha sconfitto Alessia Mesiano, che faceva parte ora della squadra olimpica italiana a Parigi, ed è stata eliminata 5-0 negli ottavi di finale dall’irlandese Kellie Harrington.
L’ultima italiana ad avere affrontato sul ring Khelif è stata la napoletana Miriam Tommasone, che l’ha affrontata non ancora ventenne a Sofia il 22 febbraio 2022, uscendone sconfitta ai punti ma restando sempre in piedi e combattendo fino al quinto round.
«Angela si è fatta suggestionare troppo da tante dicerie. Poteva farcela»
Ho chiesto a Tommasone che effetto le ha fatto il ritiro della sua amica Angela fra tante polemiche, e secondo Miriam «si è fatta suggestionare purtroppo da tante dicerie. Ma Angela poteva farcela», anche se non sarebbe stata una passeggiata. Miriam racconta: «Sì, ho combattuto contro Imane. Come si può vedere i cazzotti erano pesanti e la sua forza era diversa. Sto laureandomi in infermieristica e so bene che ci sono caratteristiche anche cromosomiche negli esami di Khelif che sono identiche a quelle degli uomini. Io non so, ma posso assicurarle che non mi ha fatto paura allora. Ho combattuto fino alla fine e se dovessi ricombatterci lo farei subito ad occhi nudi. Due gambe le ho io e due ne ha lei. Ho due braccia e due ne ha lei. Non ho paura, e sono davvero convinta, anzi sono certa che anche la mia amica Angela poteva farcela».
Tommasone mostra grande coraggio: a parte essere giovanissima (anche sportivamente: 16 incontri alle spalle, 6 vinti e 10 persi di cui uno per ko), fa per hobby anche la modella e l’influencer su TikTok, attività che qualche rischio corrono quando si sale sul ring con tanta grinta. Ha sfilato e gareggiato pure per miss Italia in Campania pochi mesi dopo avere scambiato pugni con Imane e non sembrava affatto averne risentito. È la dimostrazione vivente che su quel ring si poteva resistere, anche se sarebbe stato difficile prevalere.
L’orgoglio della irlandese Amy, l’ultima battere in una finale mondiale la Khelif
Certamente Khelif è una pugile dal pugno forte e di grande tecnica boxistica. Lo dimostrerà anche nel prossimo incontro olimpico dove troverà una pugile ungherese che non ha grande curriculum alle spalle. Imane però non è invincibile, come con orgoglio ha voluto ricordare sui social l’irlandese Amy Broadhurst, che l’ha sconfitta nella finale Iba del campionato del mondo femminile a Istanbul il 19 maggio 2022.
Un incontro dove non sono mancati i colpi duri (ed erano visibili alla fine sul volto di Amy), ma sono stati di più quelli subiti dall’algerina che ha perso con verdetto unanime della giuria.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
A DUE ORE DALLA COMPETIZIONE IL COMPLOTTO DIRETTO DAL RUSSO KREMLEV E UN PRELIEVO DI SANGUE MAI PUBBLICATO
Imane Khelif venne estromessa dalla finale dei campionati del mondo di boxe di Nuova Delhi nel marzo 2023 ad appena due ore dall’inizio della competizione, su mandato diretto del presidente Iba (International Boxing Association), il russo Umar Kremlev, pupillo di Putin, con una mozione proposta dal suo vice, Pichai Chunhavajira, tailandese come l’atleta che Khelif aveva battuto in semifinale.
Questa è la prima verità sulla squalifica della pugile alegina sbandierata dalla (attualmente sospesa da Cio) federazione internazionale.
La seconda verità è che Khelif è stata sospesa dopo un prelievo di sangue, di cui Iba rifiuta di fornire i dettagli (non si sarebbero analizzati i valori ormonali, forse un’analisi cromosomica) ma sopratutto in totale assenza di un regolamento sulle atlete con differenze dello sviluppo sessuale che Iba ha redatto e approvato mesi soltanto dopo le gare. Rivelazioni (confermate dal Cio venerdì mattina) che gettano ombre politiche pesanti sull’esclusione dell’atleta e sul coinvolgimento della Russia.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
I DIKTAT DI BEPPE-MAO NON CONTANO PIÙ NIENTE… ANCHE TRAVAGLIO, PUR NON AMANDO CONTE, HA CAPITO CHE L’ERA DEL “CICLOTIMICO” GRILLO VOLGE AL TRAMONTO
Con l’assemblea costituente prevista per il 4 ottobre, Giuseppe Conte ha deciso di procedere al suo piano originario: trasformare definitivamente il Movimento 5 Stelle in un vero partito.
Al di là dell’enfasi con cui i pentastellati evocano il “percorso di partecipazione”, “il coinvolgimento della comunità politica”, le istanze e le proposte, il punto centrale che segnerà il cambio di passo del nuovo a trazione Conte sarà il superamento del limite del doppio mandato.
Come annunciato da una nota ufficiale “il Movimento 5 Stelle si metterà in discussione come mai ha fatto prima d’ora”. Un preciso pizzino al garante Beppe Grillo, che di fatto ha sempre tenuto in mano le redini della sua creatura, disponendo scelte, nomi e orientamenti in base ai suoi umori (come ha scritto Marco Travaglio, Beppe-Mao è un “ciclotimico”).
“L’Elevato”, abituato a comandare e decidere, questa volta è stato messo ai margini da Conte, che oggi in un’intervista al “Corriere della Sera” ha fatto capire che se ne frega dei diktat del Fondatore, e che le decisioni su nome del partito e secondo mandato saranno prese dalla comunità “senza alcuna intermediazione politica da parte mia e dell’attuale vertice politico” e senza “indebiti condizionamenti”.
Contefa un passo avanti non avendo potuto farne tre, cioè diventare il nuovo leader del “Campo largo”. Bastonato alle europee il suo ambizioso progetto di fare da contraltare al Pd, ora l’ex avvocato del popolo si muove con pragmatismo.
Il Movimento 5 Stelle ha perso voti, e ha smarrito il dna del Vaffa, senza essere riuscito a darsi una nuova fisionomia. Persino la sua leadership è stata oggetto di contestazioni e critiche.
Ecco perché Conte ora deve correre ai ripari, innanzitutto blindandosi all’interno del partito “de-grillizzato” e svuotato di ogni opposizione interna (la stessa Virginia Raggi, che sembrava un’alternativa a Conte, non è riuscita a radunare che quattro gatti), e anche all’interno della coalizione.
Accettando di essere il numero due di Elly, Conte vuole salvaguardarsi per il futuro. Della serie: io oggi accetto di fare campolargo col Pd nelle tre regioni che andranno al voto in autunno, tu domani ricordati degli amici…
Ps. Marco Travaglio, da sempre opinion-maker della galassia grillina, ha ormai capito che il “ciclotimico” Beppe Grillo non conta più nulla, e pur non amandolo si è definitivamente schierato con Conte e il suo progetto di riforma del Movimento in un partito.
(da Dagoreport)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
PUTIN VOLEVA CHIUDERE L’ACCORDO SULLO SCAMBIO DI PRIGIONIERI PRIMA DELLE ELEZIONI STATUNITENSI, PER NON CORRERE IL RISCHIO CHE LA COMPLESSA TELA DIPLOMATICA SI POTESSE DISFARSI
Lo storico scambio di prigionieri tra Russia e Occidente, mai visto per numeri e ampiezza geografica neppure durante la Guerra Fredda, è la prova che un canale tra Mosca e Washington c’è e può funzionare.
Anche nel momento storico più basso dei loro rapporti seguito all’offensiva russa in Ucraina, Joe Biden e Vladimir Putin sono riusciti a raggiungere un accordo allargato anche a Germania, Norvegia, Slovenia e Polonia.
Ancora una volta con la mediazione della Turchia di Recep Tayyip Erdogan che già si era fatta promotrice dei negoziati a Istanbul tra Mosca e Kiev nel marzo 2022 e poi dell’accordo che ha consentito per un anno il passaggio sicuro nel Mar Nero delle navi ucraine cariche di grano. Quanto questo scambio possa aprire spiragli su futuri negoziati per porre fine al conflitto in Ucraina è però tutto da vedere.
Per alcuni osservatori il Cremlino ha visto un’opportunità per “isolare Kiev” dimostrando che può negoziare direttamente con la Casa Bianca, ma l’Occidente ha ribadito più volte che non può esserci un accordo sull’Ucraina senza l’Ucraina. Un ruolo importante lo ha giocato, e potrebbe giocarlo, il fattore tempo. La morte in carcere di Aleksej Navalny lo scorso febbraio aveva già reso più urgente per Usa ed Europa la necessità di strappare a un simile destino uomini e donne detenuti ingiustamente nelle carceri russe.
Avendo rinunciato a ricandidarsi, Biden voleva inoltre concludere il suo mandato potendo rivendicare di aver riportato a casa il reporter del Wall Street Journal Evan Gershkovich, la giornalista di Radio Free Europe Radio Liberty Alsu Kurmasheva e il marine Paul Whelan a dispetto di Donald Trump che aveva detto che «non ci sarebbe mai riuscito» e che al posto suo avrebbe ottenuto il loro rilascio in poche ore.
Anche Putin voleva chiudere l’accordo prima delle elezioni statunitensi di novembre per non correre il rischio che tutta la laboriosa e complessa tela diplomatica che aveva coinvolto ben sette Paesi (Russia, Bielorussia, Stati Uniti, Germania, Slovenia, Norvegia e Polonia) potesse disfarsi.
Lo scambio dà anche a Putin il destro per screditarli come “agenti stranieri” al soldo di quegli Stati che oggi ne hanno ottenuto la liberazione.
Molto si dirà su Biden che, dopo aver barattato il trafficante d’armi Viktor But per la cestista statunitense Brittney Griner, ha sottratto alla giustizia otto criminali in cambio di dissidenti e giornalisti detenuti ingiustamente.
Biden e l’Occidente tutto, però, ne escono vincitori morali. Hanno negoziato non solo per i loro cittadini, ma anche per i detenuti politici russi dimostrando quanto vale per le nostre democrazie la vita di uomini e donne che hanno lottato per la verità a costo della loro libertà.
(da La Repubblica)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
NEI SETTE STATI IN BILICO, HARRIS IN VANTAGGIO IN MICHIGAN, NEVADA, ARIZONA, WISCONSIS, TRUMP IN CAROLINA DEL NORD E PENNSYLVANIA, MENTRE I DUE SONO ALLA PARI IN GEORGIA
Secondo l’ultimo sondaggio Reuters/Ipsos, la candidata democratica in pectore alla presidenza ha un vantaggio di un punto percentuale su Donald Trump. La rilevazione, durata tre giorni, ha mostrato che Kamala Harris è sostenuta dal 43% degli elettori registrati, mentre l’ex presidente Trump dal 42%, entro il margine di errore di 3,5 punti percentuali del sondaggio.
I sondaggi negli Stati in bilico
Secondo gli ultimi sondaggi condotti da Bloomberg News/Morning Consult tra gli elettori registrati, Harris è in vantaggio su Trump in quattro Stati chiave (Michigan +11%, Nevada +2%, Arizona +2%, Wisconsin +2%), mentre il tycoon è in vantaggio in due (Carolina del Nord +2% e Pennsylvania +4%).
Con la Georgia che risulta il più in bilico fra tutti (47% contro 47%).
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
SI VA IN DIREZIONE OPPOSTA AL MONDO OCCIDENTALE. LA CANNABIS LIGHT NON HA EFFETTI PSICOTROPI E SE LA NORMA VUOLE ESSERE ‘PROIBIZIONISTICA’ SBAGLIA BERSAGLIO. E POI LA DESTRA VIOLA LIBERTA’ D’IMPRESA E CERTEZZA DEL DIRITTO
La maggioranza riesce a imporre una stretta sulla cannabis light, che, anche se a basso contenuto di Thc, viene equiparata alle droghe leggere. E l’opposizione ottiene un rinvio della discussione dell’intero provvedimento in Aula a dopo l’estate. Lo scontro si consuma alla Camera, dove le commissioni Giustizia e Affari costituzionali affrontavano il Ddl sicurezza.
La maggioranza impone i tempi contingentati, le opposizioni contestano la scelta perché il provvedimento non è in scadenza e tratta temi che toccano le libertà individuali, e prendono la parola a più riprese per stigmatizzare «intimidazioni e violenze della maggioranza», per dirla con la capogruppo dem Chiara Braga. Risultato, la seduta va avanti a oltranza per tutta la notte e, dopo 12 ore no stop, metà degli emendamenti è approvata
Al termine, la conferenza dei capigruppo fissa lo slittamento a settembre dell’approdo in Aula del disegno di legge, con l’impegno di chiudere l’esame in commissione prima della pausa estiva: i lavori riprenderanno per votare altri 80 emendamenti, martedì. Risolutivo sarebbe stato l’intervento di moral suasion del presidente della Camera, Lorenzo Fontana.
«Il governo, in preda alla furia ideologica, uccide il settore della cannabis light, cancella 11 mila posti di lavoro e pensa anche di aver fatto la lotta alla droga», stigmatizza Riccardo Magi di +Europa.
Naturalmente la maggioranza difende l’emendamento: «Bene le norme per stroncare il mercato della cannabis light — commenta Maurizio Gasparri di FI — un’azione contro filiere para commerciali che finiscono per propagandare l’uso delle droghe». Sottolinea le misure «indispensabili per il governo», la relatrice Augusta Montaruli (FdI).
Ma la stretta sull’impiego della marijuana legale provoca la protesta anche degli imprenditori del settore e delle associazioni di categoria: «È una sconfitta per la libera impresa e si colpisce un settore trainato dai giovani», tuona Cristiano Fini presidente di Cia Agricoltori italiani. Difende un «mercato legale da 200 milioni» Federcanapa. «Si mette a rischio la sopravvivenza di un comparto», sostiene la Coldiretti. La battaglia riprenderà in Aula.
Qualcuno dirà che andiamo in direzione opposta a quella prevalente nel mondo occidentale. Per esempio, negli Usa la marijuana a scopo ricreativo è ormai legale in 24 Stati su 50, l’uso a fini terapeutici in 38. Ma la cannabis light non ha effetti psicotropi e se la norma vuol essere «proibizionista» davvero sbaglia bersaglio.
Il problema semmai ha a che fare con due valori che la maggioranza rivendica storicamente come propri: la libertà d’impresa e la certezza del diritto. Metterne in discussione la liceità con un emendamento estivo mette a rischio posti di lavoro. E conferma l’idea che l’impresa in Italia sia sì libera, ma solo fino a quando il legislatore non si accorge di lei.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile
IL SUO TATTICISMO PRIVO DI VISIONE LA PAGHERANNO GLI ITALIANI
Il pregio maggiore del governo – forse anche l’unico – rimandava alla politica estera. I primi passi sono stati perfettamente in linea con le due tradizionali linee guida adottate da quasi tutti i governi italiani, pur con qualche sbavatura negli anni berlusconiani: fedeltà e allineamento atlantico e sostegno alla Unione europea. Rispetto al conclamato anti-europeismo degli anni dell’opposizione, confermato anche nei primissimi passi post-elezioni – «è finita la pacchia» – Giorgia Meloni ha fatto un’apprezzabile inversione ad U e si è accodata alle posizioni del mainstream comunitario.
Qualche scartamento c’è stato – l’opposizione al Mes e alla ratifica del nuovo Patto di Stabilità – ma tutto sommato il governo ha mantenuto la barra sulla scia europea. Lo attesta anche il comportamento di voto dei suoi eletti al parlamento di Strasburgo nella scorsa legislatura. E poi la fermezza anti-russa e filo-ucraina, con conseguente, rocciosa, adesione alle posizioni Nato, hanno sigillato in senso occidentale, e quindi affidabile, la nostra posizione internazionale.
Un merito per queste posture va riconosciuto al ministro degli esteri, Antonio Tajani, sufficientemente navigato nei meandri europei da evitare sbandamenti. Ma nulla ha potuto quando la premier è intervenuta in prima persona sui tavoli europei. Il voto contro la nomina di Ursula von der Leyen a presidente della commissione Ue, nonostante la sbandierata reciproca cordialità, ha cambiato d’un colpo il quadro. È stato come aver buttato via il biglietto vincente della lotteria.
Più che in Italia, dove si sono mobilitati allo spasimo i mass media filo-governativi per tamponare il disastro, tutto l’establishment internazionale ha reagito con sconcerto unito a disillusione: in sostanza, sarebbe venuta a galla la vera natura nazionalista e sovranista della premier. Un danno reputazionale difficilmente rimediabile che indebolisce la nostra posizione in ambito europeo, con riflessi nella classe dirigente internazionale.
Ma non è finita lì. Meloni continua nei suoi dérapage. Il nuovo disastro l’ha fatto in Cina, non a caso ancora una volta priva del tutoraggio del suo ministro degli esteri. Dopo aver obbedito alla richiesta americana di non rinnovare il memorandum della Via della Seta firmato dal governo Conte I – tema su cui si è montato un Everest di panna montata, come se ci fossimo inginocchiati alla corte del Gran Khan – è andata a Pechino a ricucire i rapporti.
Tutto bene in apparenza. Sorrisi, contratti, foto opportunity. Il passo falso è arrivato alla fine quando Meloni si è arrogata il ruolo di ponte tra Cina e Unione Europea, dimenticando che prima di lei erano andati a Pechino il presidente francese e il cancelliere tedesco, e che entrambi hanno un interscambio, soprattutto i tedeschi, non paragonabile con quello italiano.
Pretendere di essere il partner di riferimento della Cina e, soprattutto, di parlare a nome dell’Unione Europea senza alcun mandato, e per di più quando si è in rotta di collisione con la presidenza della Commissione, significa avere perso contatto con la realtà. O essersi messa in continuità con quei momenti di velleitarismo della politica estera nazionale (la visita del presidente Giovanni Gronchi in URSS nel 1960) che sembravano tramontarti da molti decenni.
Non paga di essersi intestata il ruolo di ambasciatrice europea del Celeste Impero ha trovato anche il modo di irritare ulteriormente il mondo comunitario . Le reazioni stizzite, sopra le righe, al rapporto sullo stato dei diritti nei paesi membri dell’UE sono rimbalzate, con effetto eco molto disturbante, nelle stanze dell’Unione. Di nuovo ci si è posto il problema se il governo italiano sta modificando le sue posizioni sulla spinta dei suo alleato Salvini, emarginando e mettendo in difficoltà l’altro partner di coalizione.
Questo mese horribilis del governo rivela le fragilità politico-ideali della premier, il suo tatticismo privo di visione: del resto, come si fa ad abbandonare d’un tratto quell’approccio nazionalista e sovranista in cui si è vissuto per anni senza una autentica e palese revisione ideologica?
L’allineamento pro-atlantico e pro-europeo era stata la garanzia data alla comunità internazionale di essere affidabile e non più anti-sistema. Il disvelamento delle sue ambiguità e contraddizioni la priva di quello scudo e di quella legittimazione. Il momento Meloni sta tramontando. La vita del suo esecutivo è a scadenza: si consumerà con la consultazione referendaria sulla riforme istituzionali già in porto, quella sull’autonomia differenziata, e in arrivo, quella del premierato, se vedrà la luce.
(da editorialedomani.it)
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