Destra di Popolo.net

ALDO CAZZULLO: “MELONI DOVREBBE SEMPRE RICORDARSI CHE AI LEADER POLITICI NON SERVONO GIORNALISTI AMICI; QUELLI LI TROVERÀ SEMPRE A OGNI ANGOLO; SERVONO GIORNALISTI CRITICI, CHE LE SEGNALINO QUANDO SBAGLIA”

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

“DOVREBBE VALERE PER GIORGIA MELONI LA REGOLA CHE VALE PER OGNI POLITICO: UNA COSA È GIUSTA O SBAGLIATA IN SÉ, NON A SECONDA DI CHI LA DICE”

A noi italiani piace scagliarci contro le varie categorie e dare a ognuna un’etichetta: i dentisti sono esosi, gli impiegati pubblici fannulloni, gli idraulici introvabili; quello non fa la fattura, quello non fa lo sconto, quello non rispetta il preventivo… Ovviamente, le categorie — a parte qualche lobby inscalfibile — non esistono; esistono le persone. Ci sono dentisti esosi e dentisti onesti, impiegati pubblici fannulloni e impiegati pubblici stakanovisti; e talvolta si riesce anche a trovare un idraulico.
I giornalisti non fanno eccezioni. Certo, tutti possono e debbono essere criticati. In particolare i giornalisti, che anche quando lavorano per un privato comunque svolgono un servizio pubblico. A mio giudizio, storicamente il giornalismo italiano è stato troppo legato al potere politico e finanziario. Questo a volte gli ha tolto credibilità e un rapporto diretto con il pubblico; che non sarà — come amava dire Montanelli — il nostro padrone, ma è certo il nostro giudice, quello che decreta il successo di un articolo, di un libro, di una testata, di un’impresa.
Sempre a mio giudizio, oggi le cose vanno meglio che in passato. Eppure non soltanto i giornalisti non sono mai stati così impopolari; la loro condizione economica e sociale è decisamente peggiorata. La grande parte del lavoro giornalistico di cui voi lettori fruite, spesso gratis, è prodotta da giovani pagati poco, che hanno meno opportunità di viaggiare e conoscere il mondo di quelle che avevamo noi cinquantenni alla loro età, che fanno un lavoro duro, e che dovrebbero essere più rispettati.
Per quanto riguarda la presidente del Consiglio, dovrebbe valere per Giorgia Meloni la regola che vale per ogni politico: una cosa è giusta o sbagliata in sé; non a seconda di chi la dice. Ma anche Giorgia Meloni dovrebbe sempre ricordarsi che ai leader politici non servono giornalisti amici; quelli li troverà sempre a ogni angolo; servono giornalisti critici, che le segnalino quando sbaglia.
(da Il Corriere della Sera)

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COSI’ LA LEGGE PER SNELLIRE LE LISTE D’ATTESA FINIRA’ PER FAVORIRE SOLO LA SANITA’ PRIVATA

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

GLI INFERMIERI E I TECNICI DEGLI OSPEDALI DOVREBBERO LAVORARE DALL’ALBA ALLA SERA, COMPRESI SABATO E DOMENICA

Il 24 luglio, la Camera con 171 sì e 122 no ha approvato il decreto che stabilisce alcune misure per ridurre i tempi delle liste d’attesa nella sanità, dopo che una settimana prima il Senato aveva fatto lo stesso, e quel decreto è diventato legge. Una legge che non cambierà nulla, anzi avrà l’effetto di impoverire ancor più il servizio pubblico e favorire il privato.
La legge contiene la cosiddetta norma “salta-fila”, che dovrebbe garantire visite ed esami entro le scadenze di legge: per esempio, quando un medico del Servizio sanitario nazionale prescrive a un cittadino una prima visita o un primo esame strumentale, deve indicare se sia di classe U – urgente – da fare entro 72 ore, di classe B – breve – da fare entro 10 giorni, di classe D – differibile – da fare entro 30 giorni se è una visita e 60 se è un esame, oppure di classe P – programmata – da fare entro 120 giorni.
Se al momento della prenotazione non c’è posto entro i giorni stabiliti in un ospedale pubblico, l’Asl dovrà assicurare che la prestazione venga effettuata nei tempi previsti in una struttura privata accreditata, oppure in un ospedale pubblico ma da medici e tecnici del Ssn che operano in regime di libera professione.
Il paziente dovrà pagare solo il ticket, mentre i costi extra saranno versati dallo Stato. Si potranno effettuare le visite e gli esami nelle strutture pubbliche anche di sabato e di domenica, e verranno prolungate le fasce orarie in cui è possibile fissare gli appuntamenti.
I medici e il personale sanitario pubblico – tecnici e infermieri– che svolgeranno prestazioni fuori orario riceveranno compensi sui quali verrà applicata un’imposta solo del 15 per cento (mentre i normali stipendi sono tassati fino al 43): l’obiettivo è di invogliarli a fare gli straordinari perché meglio pagati e, perciò, di ridurre i tempi di attesa.
L’Agenas – Agenzia per i servizi sanitari – avrà il compito di istituire una piattaforma delle liste di attesa nazionale che dovrebbe facilitare l’accesso ai servizi sanitari per i cittadini, e anche migliorare il monitoraggio delle liste di attesa su tutto il territorio italiano, sia nelle strutture pubbliche sia in quelle private. Infine, il decreto prevede la creazione di un Centro unico di prenotazione (Cup) a livello regionale o infraregionale, che coordinerà le prenotazioni per le varie prestazioni presso tutte le strutture sanitarie.
Questa legge non funzionerà mai
Punto primo. Per snellire le liste d’attesa, i medici, gli infermieri e i tecnici degli ospedali pubblici dovrebbero lavorare di più: all’alba, la sera, e pure i sabati e le domeniche.
Ma i medici e gli infermieri italiani sono quelli che in Europa già lavorano di più e con gli stipendi più bassi. Secondo le stime dell’Ocse, calcolando il valore d’acquisto, un medico italiano guadagna in media 105mila dollari l’anno, un suo collega tedesco 188mila, uno olandese 190mila, uno britannico 155mila, uno belga 140mila e uno francese 120mila.
Peggio di noi fanno solo l’Estonia con 76mila e la Grecia con 64mila. Poi, i medici sono pochissimi: con la legge n. 266 del 2005, il governo Berlusconi varò il blocco del turnover del personale sanitario, confermato da tutti i successivi: così, in media, su 100 medici andati in pensione, 10 non sono stati rimpiazzati. In regioni come il Lazio, la Sicilia e la Campania il numero sale a 30.
Nei prossimi 5 anni, un medico su 3 impiegato negli ospedali pubblici italiani andrà in pensione, e molti non verranno mai sostituiti. Inoltre, circa il 10-20 per cento dei nostri medici neolaureati o neospecializzati ogni anno scappa dall’Italia.
Per gli infermieri le cose non vanno meglio. Molti si rifugiano nel privato o scappano all’estero perché, secondo le stime Ocse, lo stipendio medio di un infermiere italiano è di circa 39mila dollari, contro gli 87mila di uno belga, i 59mila di uno tedesco, i 56mila dollari di uno spagnolo o i 48mila di uno britannico. Dei 264mila infermieri in organico, 21mila andranno in quiescenza entro breve, ora ne mancano già 13mila ma da qui a qualche anno diventeranno almeno 25mila.
Un affare solo per i privati
In pratica, con questa legge lo stato dice: “Cari medici, cari infermieri, se lavorerete 7 giorni su 7, h24, mi aiuterete a snellire le liste d’attesa, e io vi darò qualche soldo in più così potrete guadagnare uno stipendio decente” che resterà sempre più basso della media europea. I medici e i tecnici del sistema pubblico sono pochi, esausti e sottopagati: nessuno lavorerà di più per due miseri spicci.
Punto due. Lo stato dice: “Caro cittadino, se non riesci a fare gli esami o le visite in tempo nelle strutture pubbliche, li potrai fare in una struttura privata, tu pagherai il ticket e io verserò la differenza”. Ma le cliniche e le strutture private funzionano secondo la legge del profitto, perciò si concentrano sulle attività più remunerative e più sicure.
Le cliniche private preferiscono effettuare interventi chirurgici di routine, poco rischiosi e rimborsati con alte tariffe: nel privato si effettua il 78 per cento degli interventi per l’inserimento della protesi del ginocchio (rimborso: 12.101 euro); a Milano il 77 per cento degli interventi di sostituzione di valvole cardiache (17.843 euro), il 67 dei bypass coronarici (19.018 euro) e il 62 degli impianti di defibrillatori (19.057 euro).
Sono private molte delle cliniche per la riabilitazione neurologica e quasi tutte le comunità psichiatriche: per ognuno di quei pazienti lo Stato paga al privato una retta che va dai 150 ai 400 euro al giorno. Invece, pochissimi ospedali privati offrono servizi di pronto soccorso o di terapia intensiva, perché sono reparti molto costosi, dove i ricoveri sono brevi e i rischi di perdere il paziente elevatissimi. In sostanza, le urgenze che sono costose e ad alto rischio toccano al pubblico; delle faccende sanitarie più semplici e remunerative se ne occupa il privato.
Le attese infinite
Cittadinanzattiva ha di recente svolto una indagine per valutare le attese per sei prestazioni: prima visita cardiologica, pneumologica, ginecologica, oncologica, eco addome e mammografia. E ha scoperto che in tutte le regioni e in tutte le Asl le visite e gli esami urgenti (U) negli ospedali pubblici vengono perlopiù eseguiti entro le 72 ore. Per le altre visite ed esami le cose cambiano.
Per esempio, nella Asl Roma 4 per l’eco addome completo in codice B si rispettano i dieci giorni di attesa solo nel 17,8 per cento dei casi; nella Asl Napoli 1 Centro appena il 14 per cento delle visite oncologiche in codice B è erogato entro 10 giorni; nella Asl di Bari solo il 9 per cento delle visite pneumologiche in codice B viene fatto entro i 10 giorni. Ci sono zone d’Italia in cui solo il 20 per cento dei cittadini riesce a fare visite ed esami nel pubblico, specie quelli non urgenti: e il restante 80 per cento a curarsi dove andrà? Si rivolgerà al privato, ovviamente, tanto pagherà lo Stato.
Ma la situazione è catastrofica soprattutto per le visite e gli esami di codice P, da fare entro 120 giorni: nell’Azienda universitaria Friuli Centrale, un cittadino deve attendere in media 498 giorni per una eco addome di codice P, e 394 per una visita ginecologica; in Liguria nell’Asl 3 deve attendere in media 427 giorni per una visita cardiologica; nelle Marche solo il 41 per cento delle mammografie è garantito nei 120 giorni previsti. Dove andranno a fare queste visite e questi esami i poveri cittadini? Nelle strutture private, ora lo prescrive persino la legge.
E andrà sempre peggio: un cittadino che abbia un infarto, un ictus o un tumore si rivolgerà agli ospedali pubblici, che si intaseranno sempre di più; chi potrà aspettare si rivolgerà alle cliniche private – tanto paga lo Stato – o se avrà fretta gli toccherà sborsare soldi di tasca sua. Ammesso che li abbia.
(da editorialedomani.it)

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ALL’OSPEDALE “BARONE ROMEO” DI PATTI, IN PROVINCIA DI MESSINA, I MEDICI BLOCCANO CON UN CARTONE LA FRATTURA DEL PERONE DI UN RAGAZZO: IL MOTIVO? MANCAVANO LE STECCHE PER GLI INTERVENTI D’URGENZA

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA, RENATO SCHIFANI: “VICENDA INACCETTABILE. HO CHIESTO SCUSA ALLA FAMIGLIA A NOME DELLA REGIONE, CHI SBAGLIA DEVE PAGARE”: BRAVO, ALLORA RASSEGNA LE DIMISSIONI INVECE CHE SCARICARE LE RESPONSABILITA’ SUGLI ALTRI

Senza stecche per gli interventi d’urgenza, all’ospedale Barone Romeo di Patti (Messina) i sanitari hanno bloccato con un cartone la frattura del perone a un ragazzo giunto al pronto soccorso per le cure.
Un espediente denunciato dal padre del giovane, come riporta la Gazzetta del Sud che pubblica anche l’immagine della gamba ingessata col cartone. “Ho chiesto all’assessore alla Salute, Giovanna Volo, di avviare immediatamente una ispezione per risalire ai responsabili di questa incredibile vicenda, è inaccettabile. Chi ha sbagliato deve pagare – dice all’ANSA il governatore della Sicilia Renato Schifani – Mi metterò in contatto con la famiglia del ragazzo per porgere le scuse a nome della Regione siciliana”.
A Messina poi i medici hanno sostituito il cartone con un tutore.
(da agenzie)

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IL BACIO ALLA FIDANZATA SOTTO GLI OCCHI DELLA MELONI: “QUANDO SI E’ FELICI SI CORRE DA CHI SI AMA, PER QUALCHE UOMO E’ ANCORA UN FATTO STRAODINARIO. PER FORTUNA NOI DONNE SIAMO MOLTO PIU’ AVANTI”

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

CHI E’ ALICE BELLANDI, ORO DI JUDO: I GOL NEI PULCINI DEL BRESCIA, IL TATAMI. LA BULIMIA E LA DEPRESSIONE, L’AMORE PER JASMINE

Alice che menava i bambini ha trovato da sola la cura per sé stessa. Adesso è sul tatami che piange quando capisce che questa volta ha vinto, adesso bacia con trasporto la sua fidanzata Jasmine Martin sotto agli occhi di Giorgia Meloni, adesso guarda la medaglia d’oro e si commuove di nuovo, perché ancora non ci crede, che è tutto vero.
E tutti quelli che la guardano, sorridono, per questo impasto di naturalezza e forza, che sembra infine liberata. «Quando ero all’asilo, mia madre mi portò in palestra per incanalare la mia aggressività, che atterriva le maestre. A dieci anni poi il Brescia femminile di calcio mi propose un provino perché facevo un sacco di gol. Ma io non mi presentai. Avevo già deciso. Volevo fare la judoka».§Era una predestinata che non arrivava a destinazione. Alice Bellandi da Brescia ha trovato l’indirizzo giusto nel palazzetto provvisorio ai bordi dei Campi di Marte, battendo quattro avversarie, soffrendo solo nei primi due minuti della finale contro l’israeliana Inbar Lanir, che aveva dalla sua parte il pubblico. E salvando così la spedizione italiana di judo, che era arrivata a Parigi con aspettative molto alte, andate tutte deluse. Tranne una. «Ci aspettavamo qualcosa di diverso, e sono contenta di avere in qualche modo reso migliore il bilancio».
La scoperta della sua sessualità è stata forse la parte più facile del suo viaggio. A quindici anni, l’amicizia molto forte con una ragazza divenne una storia. I suoi genitori lo capirono da soli. «L’amore è amore, basta che ci sia» le dissero, ed è una frase che Alice si è sempre portata dietro, non è un caso che la ripeta adesso, con la medaglia d’oro al collo e intorno a sé la curiosità dei giornalisti di mezzo mondo.
«Ho baciato la mia fidanzata perché quando si è felici, è normale baciare le persone che ami. È un gesto normale, che purtroppo qualche uomo considera ancora straordinario. Ma noi donne siamo molto più avanti, per fortuna».
La musica che esce dagli altoparlanti arriva fin nella zona mista. Felicità, in omaggio all’ambasciatore della Federazione Internazionale di judo Albano Carrisi, presente in loco. Certo, ma quanta strada per arrivarci. «Tre anni fa, a Tokyo, uscii dalla sala dell’antidoping e non trovai nessuno ad aspettarmi». Era andata male, un quinto posto come conseguenza di un mezzo furto. Ma non è di sport che sta parlando. Quella medaglia al collo è frutto del suo andare in direzione ostinata e contraria, sostenendo che era lei, e non altri che decidevano per lei, a sapere quel che era meglio per la sua carriera e la sua vita. Gareggiava nei 70 chili. Per stare nel peso, era scivolata nella depressione e nella bulimia. In un certo senso, si salvò con il lockdown della pandemia. «Durante quei mesi di sosta forzata, capii che avevo un problema, e che non dovevo vergognarmi a chiedere aiuto».
Nella solitudine dello spogliatoio di Tokyo, scelse di mettere fine in modo definitivo a quel corto circuito, mangiare e colpevolizzarsi, fino a sentirsi perduta. «Sono passata ai 78 chili, anche se molti intorno a me erano convinti che non fossi all’altezza. Ma sono abituata a convivere con chi mi parla alle spalle. Intanto, avevo accettato il mio corpo, mi sentivo più libera. Sentivo che senza problemi di peso avrei trovato la sicurezza e la fiducia in me stessa che mi hanno accompagnato fin qui a Parigi». Anche per questo, prima Alice Bellandi dedica il suo oro al mondo intero, alla sua squadra, agli amici, eccetera.
Poi ci ripensa. «A me stessa, perché me lo merito più di tutti». Evviva la sincerità. E poi, come dice lei, l’impossibile non esiste. Dopo aver visto il rapper americano Snoop Dogg farsi un selfie con Albano al bordo del tatami, anche noi ne siamo sempre più convinti.
(da il Corriere della Sera)

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IL CASO DI IMANE KHELIF RISCHIA DI INCRINARE I RAPPORTI DIPLOMATICI TRA ITALIA E ALGERIA

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

DOPO L’INIZIO DELLA GUERRA IN UCRAINA, ALGERI È DIVENTATO IL PRIMO FORNITORE DI GAS NATURALE DEL NOSTRO PAESE: ENI HA STRETTO UN ACCORDO CON SONATRACH E SONELGAZ, I DUE COLOSSI ALGERINI DEGLI IDROCARBURI, PER LA COSTRUZIONE DI UN GASDOTTO VIA LA SARDEGNA

Almeno per ora, nessun accenno all’Italia, che finora è stato un partner. Di tipo economico: l’Algeria è diventata, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il primo fornitore di gas naturale del nostro Paese, sostituendo la Russia. Ma un partner anche di natura politica: quello con Roma resta l’unico canale diplomatico aperto con l’Occidente nella difesa delle aspirazioni dei Sahravi, contro la sovranità marocchina sul Sahara occidentale riconosciuta da Usa, Spagna e Francia.
Così, Algeri non pronuncia parole di troppo contro gli «amici italiani», ma si schiera compatta dietro la sua pugile, Imane Khelif, affetta da iperandrogenismo e al centro di polemiche ai Giochi di Parigi.
Poche ore prima dell’incontro con Angela Carini, il Comitato olimpico algerino aveva denunciato «menzogne completamente ingiuste» e la federazione nazionale di boxe «la falsa propaganda e il comportamento immorale contro la nostra campionessa da parte di certi media stranieri».
Il sito Algerie360, media influente nel paese, ricordava ieri sera che «il popolo algerino, nel suo insieme, ha espresso solidarietà alla pugile, facendone un simbolo contro le discriminazioni».
Va ricordato che l’Algeria non riconosce la transizione di genere, criminalizza l’omosessualità ed è governata da un regime autoritario, ma d’altra parte per gli algerini Imane è una donna e basta. Sui social sono postate foto di lei da piccola, una bambina sorridente.
Venticinque anni, originaria di Tiaret, nel Nord dell’Algeria, ha ammesso di aver combattuto «contro i pregiudizi di una regione conservatrice, dove le donne non facevano la boxe». [L’appoggio alla pugile è a 360 gradi.
Khaled Drareni, rappresentante ad Algeri di Reporter senza frontiere, che fu imprigionato per undici mesi per il suo lavoro da giornalista durante le proteste dell’hirak, ha postato su X: «Un nazista come Salvini preferirebbe dei Giochi olimpici hitleriani, riservati esclusivamente ai bianchi, sul modo abietto proprio ai difensori colonialisti della purezza della razza».
Da sottolineare, una coincidenza: ieri l’altro, quando il caso già gonfiava, Eni ha sottoscritto con Sonatrach e Sonelgaz, in Algeria due colossi pubblici degli idrocarburi, un accordo per la costruzione di un nuovo gasdotto diretto via la Sardegna. Business as usual.
(da la Repubblica)

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MESTRE, PROTESTE E CARTELLI SOTTO IL MUNICIPIO: “BRUGNARO DIMETTITI”

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

IL CONSIGLIO COMUNALE ASSEDIATO DOPO LO SCANDALO TANGENTI, CENTINAIA DI CITTADINI IN PIAZZA, CORI DA STADIO

Una nutrita folla – qualche centinaio di persone, in numero crescente – sta protestando davanti alla sede di Mestre del Comune, dove è in corso il consiglio comunale straordinario, inziato alle 10 di oggi, venerdì 2 agosto, con la presenza del sindaco, Luigi Brugnaro, che, sotto la pressione delle opposizioni, ha anticipato la seduta, che intendeva posporre al 9 settembre, dopo lo scandalo suscitato dall’inchiesta per tangenti che ha portato all’arresto dell’assessore ai Trasporti, Renato Boraso, e all’iscrizione nel registro degli indagati della procura di Venezia dello stesso Brugnaro e di molti dei suoi fedelissimi.
La difesa sotto i fischi
«Mi ritengo totalmente innocente – le parole del sindaco in aula -. Per nove anni ho messo tutto l’impegno, anche dodici ore di lavoro al giorno… Ho rischiato di lasciarci le penne nel 2022. Ci ho messo tutto, per questo sono esterrefatto. C’è un diritto e dovere di fare indagini e c’è un diritto e dovere di restare in carica per non tradire fiducia dei cittadini… Le vicende pili/Reyer e quelle di Boraso sono due cose distinete…». Il discorso, amplificato anche all’esterno del municipio, è subissato di fischi.
Polizia e cori
L’area attorno allo stabile comunale è presidiata da un folto schieramento di agenti di polizia, che tanno bloccando l’accesso in sala, limitandolo ai soli consiglieri e ai giornalisti.Durante la protesta, più volte, i cittadini si sono rivolti ai consiglieri che entravano dando loro dei «venduti» e gridando «vergogna, vergogna».
(da Il Corriere della Sera)

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IL GIORNALISTA, IL PREMIO NOBEL, I DISSIDENTI: SEDICI UOMINI LIBERI PER UN KILLER E UNA SPIA

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

LO SCAMBIO DI PRIGIONIERI TRA RUSSIA E OCCIDENTE PIU GRANDE DAI TEMPI DELLA GUERRA FREDDA

Agosto 2019, Tiergarten Park: nel cuore di Berlino. Un uomo in bici ne segue un altro e gli spara in pieno giorno con una Glock, di fronte ai bambini che giocano. Arrestato grazie al terrore dei passanti, il killer si identifica come Vadim Sokolov, turista, e nega di aver sparato. Non cede mai, e alla fine la polizia tedesca lo identifica come Vadim Krasikov, agente del servizio russo Fsb (ex Kgb) distaccato all’estero sulle missioni clandestine più sporche. Come quella del Tiergarten, dove aveva «giustiziato» un ceceno. La sua lealtà è stata premiata: Putin lo ha definito «un patriota», e il suo nome ha avuto un peso massimo nelle pragmatiche trattative, concluse ieri, per il più grande scambio di prigionieri tra Russia e Occidente dai tempi della Guerra Fredda. Quindici detenuti in carceri russe e uno in Bielorussia sono stati rilasciati, in cambio del rimpatrio di otto cittadini russi che erano incarcerati in Germania, Polonia, Norvegia, Slovenia, Stati Uniti. Tra questi Krasikov, alla cui libertà Putin mira da mesi: è ormai noto che fosse previsto uno scambio con Aleksei Navalny, prima della sua morte. Dall’altra parte, l’altro peso massimo Evan Gershkovich, reporter del Wall Street Journal arrestato da innocente a marzo 2023 per «spionaggio», mentre raccoglieva materiale su una fabbrica di armi vicina a Yekaterinburg.
Gli americani
Ieri Gershkovich, 32 anni, si è visto per la prima volta sorridere, in un video della tv russa, sul volo verso Ankara. Nelle carte che ha compilato — in un russo impeccabile, imparato dai genitori esuli e affinato in prigione — ha aggiunto alla richiesta di grazia una preghiera: intervistare Putin. Donald Trump si era vantato che se eletto lo avrebbe fatto liberare, aggiungendo che era una questione «di molti soldi». Alla Casa Bianca, ieri, lo ha accolto Biden, artefice dell’accordo che si è chiuso nei giorni in cui le pressioni erano più forti perché lasciasse la campagna. Con lui sono arrivati anche gli altri due cittadini americani rilasciati, il marine Paul Whelan, detenuto dal 2018 per «spionaggio» e condannato a sedici anni di lavori forzati per una chiavetta Usb contenente materiale classificato che si era trovato in mano senza ben capire come. E Alsu Kurmasheva, russa del Tatarstan con cittadinanza americana a cui toccavano sei anni e mezzo di carcere per aver «diffamato l’esercito russo». Giornalista, Kurmasheva lavorava per la testata internazionale Radio Free Europe. Alla Casa Bianca l’ha aspettata tra gli altri sua figlia, che oggi compie 13 anni. Negli Stati Uniti è volato anche Vladimir Kara-Murza: dopo la morte di Navalny è per molti osservatori il possibile leader di un’opposizione russa, e come Navalny era rientrato in patria nel 2022 sapendo che sarebbe stato arrestato. Oppositore da anni del regime, accusato di alto tradimento e già avvelenato (con danni permanenti al sistema nervoso) era condannato a 25 anni di prigione.
Gli oppositori
Kara-Murza non è il solo dissidente russo scarcerato dal regime. Con lui Ilya Yashin, 41 anni, «allievo» di Navalny e di Boris Nemtsov (oppositore di Putin, ucciso nel 2015). Il diciannovenne russo-tedesco Kevin Lik, incarcerato per aver fotografato siti militari. Le due collaboratrici del «Fondo di Navalny» Lilia Chanysheva e Ksenia Fadeyeva. E Oleg Orlov, «grande vecchio» della dissidenza, tra i fondatori della rete di associazioni Memorial che subito dopo la fine dell’Urss si impegnò per documentare la memoria dei gulag, e da allora lotta per i diritti umani e ha meritato nel 2022 il Nobel per la pace. Orlov ha 71 anni, ed è un dissidente da tutta la vita. Al processo per aver «diffamato» l’esercito russo, a febbraio, ha letto un testo di Kafka e rinunciato a difendersi
I russi e i segnali
Con Krasikov, tornano in Russia altri sette tra hacker, finanzieri e spie. E una famigliola: Artem Dultsev e Anna Dultseva, spie dormienti arrestate in Slovenia, coi loro due figli.
In retrospettiva, molti analisti indicano «segni» della trattativa nelle cronache delle ultime settimane. La grazia inaspettata a Rico Krieger, tedesco arrestato in Bielorussia per terrorismo con un processo di cui si sa assai poco; la scorsa settimana aveva supplicato Lukashenko in tv di rilasciarlo, e il dittatore di Minsk aveva incredibilmente assentito. La rapidità delle sentenze per Gershkovich e Kurbasheva: normalmente i processi politici durano anni, e invece si è giunti subito alle condanne (secondo alcune fonti, senza, non ci sarebbe stata liberazione). La scomparsa «improvvisa» di molti dei detenuti dalle loro celle; l’hanno segnalata i legali di Kara-Murza, ma anche il russo Vadim Konoshchenok, detenuto a Brooklyn per avere esportato in Russia tecnologia militare americana. La sua avvocata è andata a visitarlo pochi giorni fa, ma lui, come Lazzaro, in cella non c’era già più.
(da Il Corriere della Sera)

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LO SCAMBIO STORICO DI 26 PRIGIONIERI CON LA RUSSIA. BIDEN NE ESCE VINCITORE: “UN’IMPRESA DIPLOMATICA, AGONIA FINITA”

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

“LE CRITICHE DI TRUMP? POTEVA FARLO LUI QUANDO ERA PRESIDENTE”

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha confermato che tre cittadini americani e un titolare americano di carta verde, precedentemente imprigionati in Russia, sono finalmente tornati a casa.
I liberati sono l’ex marine americano Paul Whelan, il reporter del Wall Street Journal Evan Gershkovich, la giornalista di Radio Liberty Alsu Kurmasheva e il dissidente russo Vladimir Kara-Murza. «Un’importante impresa diplomatica», così il presidente americano ha definito lo storico scambio di prigionieri – 26 in tutto – provenienti da sette diversi Paesi: Usa, Germania, Polonia, Slovenia, Norvegia, Russia e Bielorussia. I prigionieri, ha affermato Biden in conferenza stampa, «sono stati trattenuti ingiustamente per anni. Tutti hanno sopportato sofferenze e incertezze inimmaginabili. Oggi la loro agonia è finita»
Durante il suo intervento, Biden ha espresso gratitudine ai numerosi alleati che hanno lavorato alle «complesse» negoziazioni e ha citato Germania, Polonia, Slovenia, Norvegia e Turchia. Questo scambio, ha osservato il presidente degli Usa in una nota, «è un potente esempio del perché è fondamentale avere amici in questo mondo di cui ci si può fidare e su cui contare. Le nostre alleanze rendono gli americani più sicuri».
Sollecitato da un giornalista su cosa avrebbe detto all’ex presidente Donald Trump, il quale ha sostenuto che avrebbe potuto negoziare il rilascio dei prigionieri senza concedere nulla, Biden ha replicato: «Perché non lo ha fatto quando era presidente?».
Quanto, invece, alla domanda se si fosse sentito con il presidente della Russia, ha risposto: «Non ho bisogno di parlare con Vladimir Putin». Dal canto suo, il Cremlino non ha ancora commentato. Mentre il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, ha aggiunto ai giornalisti: «Dai tempi della Guerra fredda non c’è mai stato un numero simile di individui scambiati in questo modo e non c’è mai stato, per quanto ne sappiamo, uno scambio che abbia coinvolto così tanti Paesi, così tanti stretti partner e alleati degli Stati Uniti che lavorano insieme».
I prigionieri liberati
Nelle scorse ore, anche la presidenza turca ha confermato che lo scambio è avvenuto ad Ankara e ha rivelato che i detenuti coinvolti provengono da Stati Uniti, Germania, Polonia, Slovenia, Norvegia, Russia e Bielorussia. In totale, dieci persone, tra cui due minori, sono state trasferite in Russia, tredici in Germania e tre negli Stati Uniti. Tra i rilasciati, vi sono anche il cittadino tedesco Rico Krieger, precedentemente imprigionato in Bielorussia, e il politico russo di opposizione Ilya Yashin. Inoltre, è stato confermato il rilascio di Vadim Krasikov, presunto ex agente russo detenuto in Germania con l’accusa di omicidio di un ex comandante ceceno a Berlino.
(da agenzie)

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COME FA GIORGIA MELONI, PRIMO PREMIER DONNA DELLA REPUBBLICA, A NON INTERVENIRE SULL’ORRIBILE VIOLENZA SUBITA DA UN’ALLIEVA DELLA SCUOLA DELLA GUARDIA DI FINANZA DA PARTE DI UN UFFICIALE?

Agosto 2nd, 2024 Riccardo Fucile

DOVE SONO FINITI I DUE “SACRESTANI” DEL GOVERNO: L’OPUS DEI GIORGETTI, DAL CUI MINISTERO DEL TESORO DIPENDE LA GUARDIA DI FINANZA, E IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, L’ULTRA-CATTOLICO MANTOVANO?

Come fa Giorgia Meloni, primo premier donna della Repubblica, a non intervenire sull’orribile violenza subita da un’allieva della scuola della Guardia di Finanza da parte di un ufficiale? Dove sono finiti i due “sacrestani” del governo: l’Opus Dei Giancarlo Giorgetti, dal cui ministero del Tesoro dipende la Guardia di Finanza, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’ultra-cattolico Alfredo Mantovano?
Malgrado il sospetto che la giovane sia stata solo una delle vittime dei quattro capitani-istruttori, solo uno di loro è indagato per stupro e lesioni aggravate, mentre gli altri tre non hanno subito nessun provvedimento disciplinare.
Sia il Generale Bruno Buratti, responsabile dell’istituto aquilano, sia il comandante generale della Guardia di Finanza Andrea De Gennaro, si sono limitati a trasferirli in uffici operativi di altre città.
Secondo quanto riportato dalla denuncia dell’allieva, l’ufficiale le avrebbe proposto la promozione in cambio di un rapporto sessuale: al rifiuto della ragazza, il capitano l’avrebbe stuprata, come accertato dalle visite mediche alle quali la vittima è stata sottoposta in ospedale, a L’Aquila.
(da Dagoreport)

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