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LE CONVERGENZE PARALLELE DI SCHLEIN E TAJANI: IL PD TENDE LA MANO DOPO L’APERTURA DI FORZA ITALIA PER MODIFICARE LA LEGGE DI CITTADINANZA, L’IDEA SAREBBE QUELLA DI CONSENTIRE L’ACCESSO A CHI HA COMPIUTO UN CICLO DI STUDI DI 10 ANNI: LO IUS SCHOLAE O LO IUS CULTURAE

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

SUI TEMI DELLA GIUSTIZIA (DALL’ABOLIZIONE DELLA LEGGE SEVERINO ALLO SVUOTA-CARCERI), COSÌ COME SULLA POLITICA ESTERA, AVANZA IL CAMPO LARGO TRA DEM E FORZISTI

Le convergenze parallele: sono quelle che si verificano sempre più spesso tra Pd e Forza Italia. Il partito guidato da Elly Schlein ha al suo interno svariate anime, da quella più radicale a quella più riformista. Più vicina al centro che alla sinistra. Gli azzurri, a loro volta, sono distanti dalle posizioni di destra estrema di Lega e Fratelli d’Italia. E dunque, finiscono per avvicinarsi ai dem.
L’ultimo caso è la legge sulla cittadinanza, ma sui temi della giustizia (dall’abolizione della legge Severino allo svuota-carceri), così come sulla politica estera, le convergenze sono frequenti.
È di questi ultimi giorni l’apertura di FI rispetto a un’ipotesi di modifica della legge sulla cittadinanza. L’idea sarebbe quella di consentire l’accesso a chi ha compiuto un ciclo di studi di 10 anni: lo ius scholae o lo ius culturae. Lo stesso che venne esaminato nella passata legislatura con una proposta di legge che si arenò alla caduta del governo Draghi.
Diverso è lo ius soli, correlato alla nascita sul territorio dello Stato che dà diritto alla cittadinanza, quello di cui Schlein ha fatto una bandiera. La legge del 1992, attualmente vigente, recepisce invece lo ius sanguinis, concedendo la cittadinanza solo a chi nasce o è adottato da cittadini italiani, o è legato a essi da matrimonio; la cittadinanza può essere richiesta dagli stranieri nati e residenti ininterrottamente in Italia fino ai 18 anni, ma solo dopo aver compiuto la maggiore età.
A settembre è attesa la mozione sullo ius soli del Pd, che ha anche depositato un progetto di legge sullo ius soli sportivo riservato agli atleti. I dem sono disponibili al confronto per allargare il sostegno all’iniziativa. E, dopo l’apertura di Forza Italia, il punto di caduta potrebbe essere proprio lo ius scholae, appoggiato anche da M5S e Avs, mentre è ferocemente contraria la Lega e per FdI la questione “non è all’ordine del giorno”.
Un voto comune tra Pd e Forza Italia c’è stato solo poche settimane fa, sulla modifica della legge Severino: in questo caso sia gli azzurri che la Lega avevano detto sì a un ordine del giorno, presentato da Debora Serracchiani al ddl Nordio, riguardante la norma relativa alla sospensione di sindaci e amministratori locali dai loro incarichi dopo una condanna in primo grado, prevedendola invece solo a sentenza definitiva (tranne che per i reati di grave allarme sociale) equiparandoli così ai parlamentari, ai ministri e ai sottosegretari.
In questi giorni Forza Italia è tornata all’attacco: vorrebbe modificare la legge, cancellando la norma relativa alla sospensione dei sindaci condannati in primo grado, ritenuta dagli azzurri “l’anticipazione di una condanna” e quindi la “negazione” del principio di presunzione di innocenza.
Nel momento di votare il decreto Carceri, il Pd ha poi cercato un terreno comune con FI su una serie di emendamenti fotocopia volti a svuotare i penitenziari. Operazione fallita, visto che la maggioranza ha serrato i ranghi e FI non si è sentita di andare allo scontro frontale con il resto della coalizione.
I dem, inoltre, erano arrivati a chiedere il voto segreto sulla legge Giachetti sulla liberazione anticipata, nel tentativo di attrarre i voti di Forza Italia. Ma poi la norma è stata rimandata in Commissione e sostanzialmente affossata.
Per quel che riguarda la politica estera, tocca a Forza Italia e Pd mantenere la posizione dell’atlantismo ortodosso. Entrambi hanno votato per Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea.
Ed erano stati proprio Peppe Provenzano e Antonio Tajani a fare da sherpa per arrivare – quest’inverno – a una mozione per il cessate il fuoco a Gaza, passata con l’astensione della maggioranza.
(da Fatto Quotidiano)

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INCOERENZA PER CONSERVARE LA POLTRONA, IL DIBATTITO SULLA CITTADINANZA IMBARAZZA “IO SO’ GIORGIA”: “NON È UNA PRIORITÀ POLITICA PER IL GOVERNO DI CENTRODESTRA”. IN REALTÀ IN PASSATO LA DUCETTA PROPONEVA PROPRIO LA CITTADINANZA DOPO LA SCUOLA DELL’OBBLIGO

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

L’OBIETTIVO DELLA PREMIER È BOICOTTARE IL DIALOGO TRA PD E FORZA ITALIA, E NON PERDERE IL VOTO DEI RAZZISTI

La legge sulla cittadinanza non è una priorità politica per il governo di centrodestra: ecco la linea dettata informalmente in queste ore da Giorgia Meloni ai suoi fedelissimi. Cosa significhi una frase del genere, e che effetti possa avere, è facile intuirlo osservando l’atteggiamento dei Fratelli d’Italia: tacciono imbarazzati, non si espongono, prendono tempo o parlano d’altro.
L’obiettivo finale è chiaro: boicottare il dialogo tra Partito democratico e Forza Italia, cercando però nello stesso tempo di non alimentare polemiche in modo da sopire il dibattito. La priorità, infatti, è cancellare dall’agenda il tema o comunque, nella peggiore delle ipotesi, spostare al 2025 l’eventuale calendarizzazione in Aula di una proposta di legge.
Tutto questo perché la presidente del Consiglio ritiene che un esecutivo di destra non possa permettersi di perdere voti dando riconoscimento alla speranza di centinaia di migliaia di ragazzi nati in Italia da genitori stranieri. Il problema, come al solito, risponde a una preoccupazione molto concreta: conquistare il voto sovranista e nazionalista, non regalare consenso a Matteo Salvini.
Un passo indietro, necessario. Correva l’anno 2014 – mese di ottobre, giorno 24 – e l’attuale premier scriveva sui social: «No all’automatismo dello ius soli. Sì allo ius culturae per chi è fieramente di cultura italiana dopo aver finito la scuola dell’obbligo».
In Italia, significa ipotizzare la concessione della cittadinanza all’età di sedici anni, anticipandola di due anni rispetto all’attuale possibilità di ottenerla al compimento della maggiore età. È il progetto annunciato già nella scorsa legislatura da Fratelli d’Italia. Oggi però anche questa riforma light è giudicata poco praticabile da Palazzo Chigi.
A preoccupare è innanzitutto un nodo tattico: lo stato maggiore meloniano non considera utile prendere posizione e ritrovarsi nel mezzo del fuoco incrociato tra leghisti e berlusconiani. Meloni, inoltre, ha ben chiaro il pericolo Salvini, che ha già deciso di cavalcare ogni eventuale “cedimento” della premier sul dossier e non esiterebbe a colpirla se concedesse aperture a Forza Italia su questo terreno.
La presidente del Consiglio, in fondo, non ha voglia di cambiare strategia – non almeno in questa fase – rispetto a quella applicata nei primi due anni di governo, dove mai ha concesso spazio al Carroccio sui temi identitari: è successo sul Mes e, di recente, sull’Europa con il clamoroso no a von der Leyen.
Esistono due passaggi cruciali, però, che Palazzo Chigi deve sminare, limitando quantomeno i danni. Il primo è atteso per ottobre: per allora, il Pd intende presentare una mozione sulla cittadinanza con l’intento di spaccare la maggioranza.
La mozione, però, verrebbe scritta con l’intento di “attirare” Forza Italia, magari permettendo di votare il testo per parti separate, consentendo agli azzurri di esporsi a favore dei diritti. Il secondo passaggio è quello più rischioso. Forza Italia, su indicazione di Antonio Tajani, sta infatti lavorando a una proposta di legge sulla cittadinanza. Sarà pronto a settembre.
Due gli schemi possibili. Il primo prevede la concessione dopo due cicli scolastici, dunque ai quattordici anni di età. Su questo, esiste una netta contrarietà di Meloni. Il secondo immagina invece di legarla alla conclusione del percorso della scuola dell’obbligo, a sedici anni. Sulla carta, sarebbe anche l’idea di Fratelli d’Italia.
Ciononostante, Palazzo Chigi pensa che i rischi politici di questa operazione superino oggi i vantaggi. Per questo, ha già pianificato la reazione, che si concretizzerà nell’invito pressante a rimandare l’eventuale calendarizzazione del testo, con l’intento di spostarlo al 2025 inoltrato.
Un indizio è arrivato nelle scorse ore dal capogruppo di FdI a Montecitorio Tommaso Foti, che ha messo nero su bianco questa posizione: «Al rientro di settembre ci aspettano il disegno di legge sicurezza e quello sul lavoro. Due capisaldi per il centrodestra sui quali c’è massima intenzione di andare spediti in modo da farli diventare legge entro la fine dell’anno».
(da La Repubblica)

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L’EUROPA È L’ASSILLO DI GIORGIA ANCHE DURANTE LE VACANZE, DALLA MASSERIA BLINDATA ARRIVA L’INDISCREZIONE DI UN INCONTRO TRA MELONI E LA PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO, ROBERTA METSOLA, ANCHE LEI IN VALLE D’ITRIA

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

LA DUCETTA È ALLE PRESE CON IL REBUS FITTO: L’ITALIA È UNO DEI 3 PAESI CHE NON HA ANCORA INDICATO IL NOME DEL SUO CANDIDATO E HA TEMPO FINO AL 31 AGOSTO PER FARLO… URSULA VON DER LEYEN HA RISPOSTO PICCHE ALLA RICHIESTA DELLA MELONI DI UN COMMISSARIO CON DELEGHE ECONOMICHE DI PRIMO PIANO

Brindisi-Roma. Nella masseria di Ceglie Messapica dove soggiorna Giorgia Meloni entrano delizie enogastronomiche, giochi per la piscina Davanti all’ingresso è stato avvistato perfino un calesse, ma filtrano poche indiscrezioni.
Tra queste c’è quella di un incontro fra la premier e Roberta Metsola, presidente riconfermata del Parlamento europeo anche con i voti di Fratelli d’Italia e dell’Ecr, che sta trascorrendo qualche giorno in Valle d’Itria.
Un elemento che conferma come, al di là del relax ferragostano con angurie gelate, il dossier europeo sia il chiodo fisso del governo italiano. Di cosa potrebbero parlare Giorgia e Roberta, tra le quali è nata fin dal primo momento a Bruxelles una certa intesa personale prima che politica?
Ora le due leader potrebbero conversare anche dell’imminente composizione della nuova Commissione di Ursula von der Leyen, nella quale è in pole per un ruolo di primo piano il ministro salentino Raffaele Fitto. E tutto ruota intorno al peso della delega che il politico di Maglie potrebbe ricevere. L’agenda della Meloni ha dato priorità all’incontro con la presidente maltese, mentre il vertice estivo nella masseria Beneficio con il vicepremier Matteo Salvini continua a slittare di qualche giorno. Il fu “Capitano” è in vacanza nel Tacco d’Italia, vicino Leuca con Francesca Verdini e gli amici d’infanzia della fidanzata.
Il giorno giusto per scambiarsi idee sulla ripresa di settembre sembra essere diventato domenica, quando Salvini avrà chiuso il soggiorno salentino e sarà in procinto di rientrare. Per Meloni potrebbe essere l’occasione per dimostrare, almeno a favor di selfie, l’unità della coalizione e il rapporto solido con il leader leghista. A partire dal dossier Rai che attende la maggioranza alla ripresa dei lavori a settembre.
Anche se l’assillo di questi giorni, al netto del relax e della difesa d’ufficio nei confronti di Massimo Boldi, resta il rebus della Commissione Ue. La trattativa con von der Leyen non è chiusa. L’Italia non ha ancora indicato formalmente il nome del candidato. C’è tempo fino al 30 agosto, quasi tutti gli altri paesi lo hanno fatto.
Tuttavia la presidente del Consiglio continua a reputare non soddisfacente l’ipotesi di una delega al Pnrr da aggiungere a quella del Bilancio interno. E’ una partita complicata per Meloni perché dopo il no al bis di Ursula, rivendicato con forza, deve dimostrare all’opinione di pubblica di non aver pagato dazio nelle trattative più importanti: quelle che riguardano il peso del commissario.
L’idea di una scelta politica con ripercussioni istituzionali per il blasone italiano resta un assillo per la leader di destra. Il commissario uscente, Paolo Gentiloni, ha avuto i galloni degli Affari economici. E dunque Meloni tratta, fino all’ultimo. E valuta a fronte di una proposta che non ritiene soddisfacente anche l’opportunità di politica di virare su un altro nome (circola sempre l’ipotesi Elisabetta Belloni, capo del Dis e sherpa del G7).
(da Il Foglio)

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IL GOVERNO SI SPACCA ANCHE SULLE CARCERI SOVRAFFOLLATE: DAL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA TRAPELA L’IPOTESI DEI DOMICILIARI PER CHI HA UN RESIDUO PENA DI UN ANNO

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

LA NORMA RIGUARDEREBBE 8 MILA DETENUTI CHE POTREBBERO USCIRE: L’IPOTESI FA SUBITO SCATTARE FDI E LEGA, CHE SI DICONO CONTRARI, MENTRE FORZA ITALIA È FAVOREVOLE

Sulla testa del Guardasigilli Carlo Nordio incombe il suicidio numero 63 (secondo i sindacati sono 66). Le carceri sono una pentola a pressione pronta a esplodere e la maggioranza rischia di spaccarsi su questo tema molto delicato: con il ministro e Forza Italia che aprono a soluzioni che non piacciono però a Fratelli d’Italia.
Le evidenze delle tensioni nel centrodestra ci sono tutte, come è altrettanto chiaro che il decreto sulle carceri, approvato appena una settimana fa, non porta alcun beneficio. Tant’è che lo stesso Nordio è alla disperata ricerca di altre soluzioni.
Il ministro Nordio lavora a un pacchetto di proposte e una trapela dai suoi uffici, anche se lui ne nega la paternità: far scontare ai domiciliari, e non in prigione, chi ha un residuo pena di un anno. Una legge, la 199, che esiste già dal 2010, sfruttata ampiamente durante il Covid. Ma invisa all’ala dura del centrodestra, meloniani e salviniani. Mentre andrebbe bene a Forza Italia, che l’aveva già proposta al Senato come emendamento al decreto.
Ma ecco che rispunta a sorpresa, da fonti rilanciate dall’Ansa . Di mezzo ci sarebbero 8 mila detenuti che potrebbero uscire. Ma non appena trapela la proposta, scattano i distinguo netti di Fratelli d’Italia con il sottosegretario Andrea Delmastro: «Non è nelle corde del governo una misura perché è un un colpo di spugna, il sovraffollamento si combatte con l’edilizia carceraria».
E poco dopo arrivano quelli della Lega con la responsabile Giustizia Giulia Bongiorno che dice: «Non ho visto alcun testo scritto». Il messaggio arriva anche al ministro. E nelle stanze di Nordio si pigliano le distanze. Il ministro non avrebbe «mai detto nulla del genere», mentre avrebbe parlato solo di un’esecuzione differenziata per i tossicodipendenti e i detenuti con problemi psichiatrici, nonché ha proposto più volte di rispedire i detenuti stranieri nei loro paesi d’origine.
Eppure la notizia ha un suo fondamento e risale all’incontro, proprio al ministero della Giustizia, tra il Guardasigilli, il vice ministro Francesco Paolo Sisto, il Garante dei detenuti Felice Maurizio D’Ettore. Era il 7 agosto. Davanti agli esponenti del governo c’è il portavoce dei Garanti dei detenuti Samuele Ciambriello. Nordio in quell’incontro dice che sta studiando «un nuovo piano» che riguarda chi deve scontare un anno di pena. Cita l’ostacolo della mancanza di una dimora fissa, che di fatto blocca l’applicazione della legge. Parla dei magistrati di sorveglianza che devono istruire i singoli casi e sono sempre in ritardo.
Tant’è che vuole parlare con Mattarella in quanto capo del Csm e chiedergli un maggior numero di toghe che facciano questo lavoro. Sisto annuisce a ogni passaggio. Ciambriello indica proprio questa strada — un anno come residuo di pena — come l’unica che possa sgombrare le carceri. Nordio, a questo punto, dà appuntamento al portavoce dei Garanti tra un mese e lo rassicura sul fatto che valuterà questa proposta. Dunque è qui la sua parola che adesso diventa una notizia
Proprio quella che scatena l’ira di Delmastro, che replica con parole dure che gli sono abituali e che fanno trapelare tutto il malumore interno ai meloniani sulle aperture di Nordio e Forza Italia a una riduzione dei detenuti, nell’ambito di una più ampia svolta del partito di Tajani sui diritti: «Il tana libera tutti non rieduca, non riabilita, non garantisce sicurezza, è il già tristemente visto e stancamente vissuto del passato e che ci ha regalato l’attuale situazione».
(da a Repubblica)

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IL MOVIMENTO POLITICO DI VANNACCI ORA HA UN NOME, “EUROPA SOVRANA E INDIPENDENTE”: IL PROGRAMMA INVOCA L’ITALIA FUORI DALLA NATO E VICINA ALLA RUSSIA

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

NELLA LEGA ACCUSANO IL CAPITONE: “TI AVEVAMO AVVERTITO CHE VANNACCI AVREBBE USATO IL CARROCCIO COME UN TAXI”…TUTTI GLI UOMINI DEL GENERALE, A PARTIRE DALL’EX TENENTE COLONNELLO DELLA FOLGORE, FABIO FILOMENI

Hai voglia di negare, gli elementi ormai ci sono tutti e Roberto Vannacci è pronto a lanciare qualcosa di “suo”, politicamente parlando. E perciò nella Lega l’umore è pessimo contro Matteo Salvini, della serie: ti avevamo avvertito.
Per gli auguri di Ferragosto il presidente del comitato culturale il Mondo al contrario, Fabio Filomeni, ex tenente colonnello della Folgore, ha scritto questa mail ai simpatizzanti: «Forza generale, siamo con te e siamo pronti per la nuova avventura politica».
Un partito c’è già, si chiama Europa sovrana e indipendente e ha uno statuto e un regolamento che sono praticamente identici a statuto e regolamento del comitato Il Mondo al Contrario. Stesse parole, addirittura stessa formattazione del file pdf, e stesso presidente dell’associazione culturale che si muove passo passo con l’eurodeputato della Lega.
A tenere il filo di tutto — presidente di Esi ma pure del Mondo al contrario — è il “camerata” Filomeni, forse la persona più vicina in assoluto al generale. La sede registrata del partito eurosovranista si trova in provincia di Pisa, dove è residente Filomeni.
Intanto, per spiegare meglio il contesto, bisogna partire dalla natura del comitato Mondo al contrario. Con innegabile tempismo nasce otto giorni dopo lo scoppio del caso del libro di Vannacci ad agosto dello scorso anno, come realtà “culturale”.
La prima iniziativa avvenne in Calabria, con il generale in collegamento telefonico. Mentre l’assemblea vera e propria in presenza con i delegati si tenne lo scorso 9 marzo a Tirrenia, cittadina costiera tra Pisa e Livorno, con la presenza fisica di Vannacci.
A gennaio di quest’anno il Mondo al contrario aveva aperto anche un tesseramento, 30 euro l’anno per l’adesione come socio ordinario (la stessa cifra che serve per esserlo con Europa sovrana e indipendente). Mentre lo scorso 5 agosto il comitato, con un post sul sito, aveva annunciato di apprestarsi «a divenire una realtà culturale ed anche politica».
In contemporanea a tutto questo, Filomeni e soci — dall’ex parà e dirigente politico di estrema destra Bruno Spatara a Gianluca Priolo, rispettivamente segretario e tesoriere del Mondo al contrario — hanno dato vita al partito. Prima limitato ad una pagina Facebook, poi diventato un sito vero e proprio, munito per l’appunto di statuto e regolamento, oltre che di un programma.
Il movimento vuole «una Europa potenza, libera e autonoma, adeguata a soddisfare le necessità dei nostri popoli, che consenta agli europei di riprendere in mano il proprio destino di civiltà, prosperità e pace»; per farlo propone l’uscita dalla Nato e la promozione dei rapporti con la Russia. Non a caso, la questione della “pace” con la Russia è un cavallo di battaglia di Vannacci, che nel suo primo libro aveva parlato (e bene) del Paese nel quale era stato 18 mesi come addetto militare dell’ambasciata, fino a due anni fa.
Esi ha un vicepresidente, l’ex ambasciatore Luigi Scotto (a maggio dialogò con Vannacci ad un evento pubblico elettorale a Livorno, tema: “scenari internazionali”) e un coordinatore nazionale, Luca Tadolini, neofascista emiliano specializzato in revisionismo storico, sulla strage di Bologna del1981 ad esempio ha scritto un libro per dire che sono stati gli israeliani e non l’eversione nera. Apprezzatissimi tutti gli interventi pubblici di un altro generale, Marco Bertolini, anche lui ex parà della Folgore e candidato alle Europee nel 2019, con FdI.
È quindi palese che comitato e partito siano un po’ due contenitori dello stesso materiale, e che Filomeni risponda direttamente a Vannacci, il quale invece per adesso è costretto a fare l’equilibrista rispetto ai rapporti con la Lega. Quattro giorni fa parlando con Radio radio — voce vicina agli ambienti sovranisti — a domanda su un eventuale partito l’eurodeputato ha risposto: «Se così fosse, per assurdo… Beh riscuoterebbe grande condivisione, ed è temuto da chi milita dalla nostra stessa parte»
Vannacci ha poi ricordato di aver venduto più libri di Giorgia Meloni. Segno di un’ambizione sconfinata. Ora nel Carroccio il generale sospeso, eletto come indipendente, è già inviso ai più. «Gli abbiamo fatto da taxi», è la considerazione generale. Ma era una storia ampiamente annunciata.
(da Repubblica)

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LA STRANA GIUSTIZIA DI FRATELLI D’ITALIA: INSABBIATI I CASI POZZOLO E GIOVENTU’ NAZIONALE

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

I PROBIVIRI SARANNO AL MARE DA MESI, VISTO CHE NESSUN PROVVEDIMENTO E’ STATO EMESSO PER IL DEPUTATO PISTOLERO E PER I DIRIGENTI GIOVANILI CHE FACEVANO BATTUTE ANTISEMITE

Giustizia a due velocità dentro Fratelli d’Italia. Se per il deputato Andrea De Bertoldi l’azione disciplinare non si è fatta attendere (meno di due mesi) con tanto di espulsione finale prima di Ferragosto, per casi ben più clamorosi – ma forse più spinosi – la linea è quella di troncare e sopire. Rimandare. Cercare l’oblio dell’opinione pubblica. Sperare (si suppone) che tutto passi in cavalleria. Una breve, non di più. Se ne riparla a settembre, dunque. Ma magari anche a gennaio, e poi chissà.
La storia più celebre è quella di Emanuele Pozzolo, il deputato piemontese che la notte di Capodanno si presentò al veglione organizzato dalla sorella-sindaca di Andrea Delmastro armato di pistola. Partì un colpo, un uomo rimase ferito. Alla festa erano presenti il sottosegretario alla Giustizia e il suo capo della scorta. Il deputato è stato sospeso dal partito e dal gruppo parlamentare. I probiviri di FdI temporeggiano. Così come per i ragazzi di Gioventù nazionale.
Se per il “caso Pozzolo” ci può essere la scusante che nonostante siano passati otto mesi dal fatto c’è un’azione della magistratura in essere come la richiesta di rinvio a giudizio, per le “mele marce” del vivaio meloniano tutto dovrebbe essere più facile.
Alcuni militanti sono stati scoperti e filmati a inneggiare al Duce, spingendosi fino a saluti nazisti, battute antisemite e braccia tese. A sollevare la vicenda è stata un’inchiesta di Fanpage. Testata giornalistica attaccata in un primo momento dalla premier perché colpevole di usare “metodi da regime” (il banale utilizzo di un cronista infiltrato nell’organizzazione). Poi, dopo un’iniziale difesa d’ufficio dei vertici del partito, è arrivata la lettera della leader di Fratelli d’Italia nella quale si prometteva la linea dura. Tuttavia nulla sembra essere accaduto.
Il clamore è di giugno, gli annunci di tolleranza zero di luglio, poi ecco il silenzio: tutti al mare. Non c’è fretta, la questione può dare benzina all’opposizione
Sotto i riflettori la situazione di militanti come Flaminia Pace, Elisa Segnini (la prima si è dimessa dal ruolo di coordinamento che ricopriva in Gioventù nazionale, la seconda – che però da tempo non risulterebbe iscritta al partito – ha lasciato l’incarico di capo segreteria della deputata Ylenja Lucaselli) e Ilaria Partipilo, leader dei giovani baresi di FdI e collaboratrice di Giovanni Donzelli, responsabile nazionale dell’organizzazione di Via della Scrofa. Rapidissimo la scorsa settimana a cacciare il deputato trentino De Bertoldi, accusato dal partito di consulenze opache.
Al contrario, il procedimento nei confronti “dei ragazzi che sbagliano” di Gioventù nazionale è insabbiato per volere dei vertici del partito. Certo, sono stati segnalati al collegio dei probiviri, presieduto dall’avvocato Roberto De Chiara, sotto il clamore dell’eco mediatica (sulla vicenda si è espressa preoccupata anche la senatrice a vita Liliana Segre, superstite dei campi di concentramento). Ma non si hanno più notizie del fascicolo, gestito da Donzelli in qualità di capo dell’organizzazione, così come quello di Pozzolo che lambisce politicamente anche Delmastro.
Una strategia mediatica e dunque politica antitetica rispetto a quella utilizzata per il parlamentare De Bertoldi, la cui vicenda è stata veicolata alla stampa con dovizia di dettagli. Due pesi e due misure o anche i probiviri del primo partito italiano vanno in vacanza?
(da ilfoglio.it)

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ULTIMO SONDAGGIO NEW YORK TIMES: KAMALA HARRIS CONSOLIDA IL RECUPERO IN QUATTRO STATI CHIAVE GRAZIE A GIOVANI, ISPANICI E AFROAMERICANI

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

ORA E’ IN TESTA IN ARIZONA E NORTH CAROLINA, ALLA PARI IN NEVADA E IN RECUPERO IN GEORGIA

Secondo un nuovo sondaggio New York Times-Siena College, ora guida in Arizona (50% a 45%) e in North Carolina (49% a 47% in uno Stato vinto dal tycoon nel 2020) è testa a testa in Nevada (47% a 48%), mentre l’ex presidente è avanti in Georgia (50% a 46%).
Secondo l’analista del Nyt, Nate Cohn «non è una grande notizia per Trump», che per vincere potrebbe aver bisogno di conquistare Georgia, North Carolina e Arizona.
Esso rappresenta «un enorme cambiamento rispetto all’inizio del ciclo elettorale, quando la relativa forza di Trump su Biden tra i giovani elettori neri e ispanici lo aveva spinto a un sorprendente vantaggio in questi Stati relativamente giovani e diversi».
Nell’ultimo giro di sondaggi Nyt/Siena College a maggio, il tycoon aveva un vantaggio medio di 10 punti sul presidente tra i probabili elettori in Georgia, Nevada e Arizona, tre stati che Biden ha vinto di misura nel 2020. La situazione lasciava al leader dem un percorso stretto verso la vittoria, che passava dalla conquista degli Stati chiave del Midwest relativamente bianchi.
(da agenzie)

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“RICORDATE CHI ERAVAMO”: GLI ULTIMI MESSAGGI SUI SOCIAL DEI CIVILI A GAZA PRIMA DI MORIRE

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

IL QUOTIDIANO ISRAELIANO HAARETZ HA RACCOLTO ALCUNE DELLE STORIE DELLE VITTIME DEI BOMBARDAMENTI CRIMINALI DI ISRAELE

«Se non saremo più in vita, ricordate ciò che abbiamo fatto e i nostri nomi, e scrivete sulla mia lapide in modo ben visibile: “Qui giace qualcuno che amava la vita e ha fatto tutto ciò che era in suo potere per trovare un modo per viverla”». È l’ultimo messaggio di Yaser Barbakh, 26 anni, morto nella sua casa a Rafah insieme alla sua famiglia il 23 ottobre 2023 sotto i bombardamenti di Israele sulla Striscia di Gaza seguiti all’attacco di Hamas di poche due settimane prima. Ed è solo uno dei tanti messaggi affidati ai social dai civili che vivevano nella Striscia e temevano di rimanere uccisi. Peggio: che la loro vita e la loro storia venisse dimenticata per sempre, e che al posto dei loro nomi rimanesse solo il freddo bilancio delle vittime. Il quotidiano israeliano Haaretz ha raccolto alcuni di questi racconti, per esaudire il loro desiderio e raccoglierne la testimonianza. Tra questi c’è Belal Iyad Akel, che ha scritto il suo testamento social nel maggio 2021. Ben prima dell’ultima sanguinosa accensione del conflitto in Medio Oriente, durante l’Operazione Guardiani delle Mura. «Mi chiamo Belal, ho 23 anni e questo è il mio aspetto nella foto del profilo. Non sono un giovane qualunque, né un numero. Mi ci sono voluti 23 anni per diventare come mi vedete ora. Ho una casa, degli amici, un ricordo e tanto dolore», si raccontava, per poi rilanciare il suo messaggio in questi mesi. Akel è poi morto a luglio, sotto le bombe, insieme a gran parte della sua famiglia.
Le altre storie da Gaza
«Vi chiedo scusa per essere sparito negli ultimi giorni ma la situazione qui è molto difficile», diceva invece Yaser Barbakh, laureato in economia e scienze politiche presso l’Università di Alessandria d’Egitto e studente a Gaza, «vi chiedo solo di continuare a far sentire la nostra voce nel mondo, continuate a diffondere la notizia delle sofferenze che stiamo vivendo. Pregate per me». Poi dieci giorni più tardi è morto sotto le macerie. E ancora. Ayat Khaddoura, 26enne residente un paio di chilometri a sud dal confine con Israele nella Striscia, in un video raccontava la sua nuova quotidianità tra rifugi, sirene, allarmi: «È tutto molto spaventoso», confidava con la voce rotta, prima di scoppiare a piangere e chiudere il filmato. Dopo la sua morte, un’altra delle 40mila vittime nella Striscia – secondo i dati diffusi dal ministero della Salute di Hamas -, la famiglia ha tenuto in vita l’account per continuare a raccontare la sua storia. Quella di una ragazza normale, uguale a quella di tante altre ma unica come tutte. Come quella di Mohammed Barakat, «il Leone», così soprannominato per le sue abilità calcistiche, una piccola celebrità a Khan Yunis. Morto l’11 marzo, a 39 anni, quando il suo quartiere è stato bombardato. «Sono in una situazione difficile», diceva nel suo ultimo messaggio lasciato ai social per lasciare un’altra traccia di sé, immaginando che non avrebbe avuto molto tempo ancora, «pregate per me. Madre e padre, mi siete molto cari. Haitham, i miei amati figli, vi saluto. Ora ho finito e vi chiedo di continuare a pregare in silenzio».
(da agenzie)

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SE GLI INVOTABILI TRUMP E VANNACCI DIVENTANO VOTABILI E’ PERCHE’ LA PAROLA NON CONTA PIU’ NULLA

Agosto 17th, 2024 Riccardo Fucile

LA PAROLA E’ DIVENTATA UN GRIMALDELLO, UN PIEDE DI PORCO, UNO STRUMENTO DI RAPINA DELL’INTELLIGENZA E DELLA FIDUCIA DEGLI ELETTORI

Gli invotabili sono una categoria particolare, oggi molto in auge e molto votata. Il macroesempio è Trump, che si dice protetto da Dio per salvare il mondo. Si può votare un tronfio megalomane? Il microsempio è il generale italiano che minaccia di aprire la patta dei pantaloni come atto di gender culture e, dimostratosi maschio in effigie potenziale, vuole dimostrarsi anche bianco affermando con una certa pomposa solennità che Paola Egonu è nera di pelle. Si può votare un uomo dall’intelligenza tanto temeraria? Certo che no. Eppure questa posizione, questo scontato diniego, deve conquistarsi il suo spazio, la sua credibilità intellettuale e politica, insomma bisogna faticare per un obiettivo in apparenza così ovvio, così facile in teoria da raggiungere. Come mai?
Fior di conservatori americani hanno spiegato che Trump non ha a che fare con la cultura conservatrice del Grand Old Party perché è solo un narcisista patologico, un bugiardo, un truffatore seriale, un violento che ha fatto dei repubblicani la grottesca caricatura di sé stessi.
Fior di leghisti, tra quelli che hanno maturato un’impostazione politica di governo e di riforma, avevano spiegato per tempo al senatore Salvini che qualche decimale in più alla Lega alle europee sarebbe stato pagato in contanti con la fondazione di un movimento politico autoprodotto e concorrenziale, un esito improduttivo per una candidatura autolesionista. Eppure in grande e in piccolo e a diversissime latitudini, in diversissimi contesti, demagoghi da quattro soldi minacciano itinerari di relativo successo e anche, nel caso americano, veri sconquassi. Come mai?
Alle origini del tutto sta un fenomeno inflattivo che porta alla svalutazione della parola. La parola ha perso peso grammaticale, sintattico, significato in senso lessicale. Le bugie ci sono sempre state e sempre ci saranno, come le esagerazioni, gli inganni, le elusioni e le contraddizioni. Non è questo il punto. Il punto è che mentre celebriamo scioccamente la parola come rifugio culturale, e facciamo della banale retorica letteraria su testi, ipertesti, decostruzioni, eccetera, il lessico contemporaneo ha perso autorità, non ha più gerarchia, è divenuto istintuale e autoriferito, è chiaramente fuori controllo. La conversazione fra Trump e Musk è indicativa: due ore di chiacchiere e contatti e il candidato sostenuto dal creatore della Tesla, una macchinina elettrica, ha subito dopo decapitato la trazione green esaltando la combustione interna a mezzo di combustibili fossili del vecchio modello di automobile. Che senso hanno avuto tutte quelle parole twitterate, in che ordine politico si possono collocare, quale sarebbe la logica del tutto?
La parola, da costruttiva che era, quando su di essa per esempio si fondava un blocco di interessi o un’alleanza elettorale, e si calibravano proposte, programmi, traguardi indicati ai cittadini, è diventata un grimaldello, un piede di porco, uno strumento di rapina dell’intelligenza e della fiducia degli elettori, distruzione pura. Gli invotabili diventano votabili perché la parola non conta, non organizza non si dica il pensiero ma nemmeno una testimonianza credibile, non fa parte di un repertorio, di un thesaurus, che può essere il nucleo medievale di un’enciclopedia dei significati o una banca dati del mondo digitale.
Rose is a rose is a rose is a rose: è un verso di introspezione cerebrale e poetica di Gertrude Stein, del 1913. Bisognerebbe con semplicità ripartire di lì, e si vedrebbe che il problema non sono i social, il suono e l’immagine della parola diffusa, ma la perdita di peso della parola stessa. Gli invotabili, quelli che dicono il nulla, sono gli indicibili.
Giuliano Ferrara
(da ilfoglio.it)

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