Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
“NESSUNO CI HA AIUTATO IN UNA PIAZZA AFFOLLATA”… NESSUNA PIETA’ PER LA SOLITA FOGNA OMOFOBA CHE POI PIAGNUCOLA IN TRIBUNALE…5 ANNI DI GALERA E GLI PASSA LA VOGLIA: IN ALTERNATIVA SEI MESI IN OSPEDALE
Accerchiate, aggredite e pestate da un gruppo di almeno una decina ragazzi. È quanto accaduto a Giulia e Alessia, due ragazze vittime di un’aggressione transfobica da parte di un gruppo composto da alcuni giovanissimi. Dopo essere state massacrate di botte, hanno deciso di denunciare sui social l’accaduto, raccontando la vicenda mentre si trovavano ancora nell’ospedale Belcolle di Viterbo. “Prima ci hanno rivolto degli apprezzamenti, poi hanno detto che eravamo vestite troppo provocanti e ci hanno picchiate. Nessuno ha fatto niente per aiutarci: si chiedevano soltanto se fossimo ragazze trans”.
I fatti sono avvenuti qualche sera fa durante una festa di paese a Castiglione in Teverina, nella provincia di Viterbo, durante la Festa del Vino. “Siamo state aggredite da un branco di ragazzi – scrivono sui social poche ore dopo l’aggressione – Il più grande avrà avuto 20 anni”.
I fatti, secondo quanto raccontato nel post, sarebbero avvenuti in piazza, davanti ad altre persone. Ma non sarebbe intervenuto nessuno: “L’unica domanda che si facevano le pecore era capire se fossimo donne o trans”, aggiungono ancora.
“Dopo aver chiamato i carabinieri e la sicurezza nessuno è stato in grado di fermare mezzo coglione del branco, soffermandosi sul fatto che avevamo un aspetto provocante: educate i vostri gran figli e insegnategli a rispettare donne come noi, non solo come fate voi, uomini di merda, negli appartamenti, ma anche per strada in una festa. Fate schifo”, hanno poi concluso.
La reazione di TusciaPride
Non appena appreso dell’accaduto, è arrivato il commento da parte del TusciaPride, l’associazione LGBT+ del Viterbese. “Esprimiamo piena solidarietà alle nostre sorelle aggredite, condanniamo con fermezza quanto accaduto e chiediamo a tutte le istituzioni e a tutte le realtà democratiche di fare lo stesso. Per l’ennesima volta i nostri volti sono stati sfregiati, le nostre identità attaccate e le nostre esistenze delegittimate, ma ora basta – scrivono sui social – Non siamo più dispostɜ a subire violenza sui nostri corpi e non mancheremo di gridarlo con forza nei Pride, nelle piazze e ovunque tutti i giorni”.
Non ha tardato ad esprimersi anche l’Arcigay di Viterbo: “Un chiaro episodio di violenza transfobica che non può essere considerato e quindi derubricato quale una semplice lite – hanno fatto sapere – Ci siamo subito messi in contatto con le vittime della violenza, fornendo tutto il supporto necessario. Ci auguriamo che gli autori della vile aggressione vengano identificati al più presto”.
Poi hanno aggiunto: ” Questa escalation di violenza nei confronti delle persone LGBT+ è un evidente segnale di degenerazione sociale e di un’inarrestabile spirale di odio che sta dilagando alimentata da una chiara narrazione politica che guarda alle diversità come un pericolo e non come una ricchezza”.
(da Fanpage)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
“MELONI HA TRADITO I VALORI DEL CONGRESSO DI FIUGGI, LA SUA E’ UNA DESTRA ILLIBERALE, TAJANI E’ SUCCUBE, UN LIBERALE RIFORMISTA CHE CI STA A FARE IN QUESTO PARTITO?”… “L’AUTONOMIA DIFFERENZATA SARA’ LA ROVINA DEL SUD, IO NON VOGLIO ESSERE COMPLICE. SCHIFANI E’ UN VILE A NON DENUNCIARLO”
Trent’anni in Forza Italia. Adesso Gianfranco Micciché, uno dei pionieri del partito di Berlusconi, decide di lasciare. Perché?
“Facciamo un salto indietro, proprio al 1994, a quell’idea del Cavaliere di riunire attorno a un unico progetto le forze liberali, laiche, socialiste, riformiste. Berlusconi nel giro di pochissimi mesi aprì alla destra, con la proposta di votare Fini come sindaco di Roma. Fini prese un impegno che allora mantenne: provare a costruire una destra che si liberasse dalla nostalgia del fascismo, liberale e moderna. Lui, Tatarella, Fisichella, ebbero il coraggio di fare quel passo. Cancellato dalla destra di oggi”
E oggi?
“Oggi, all’interno della coalizione di centrodestra, non si può più neppure parlare di diritti civili. Vietato. Quella di Meloni è una destra che sta rimuovendo i valori del congresso di Fiuggi. Sta facendo repressione. E’ ovvio che la maggior parte degli esponenti di Forza Italia che hanno una concezione riformista e liberale della vita stia male”.
Parla così anche perché in Sicilia non ha il potere che aveva fino a due anni fa?
“Vuole sapere se hanno provato a isolarmi? Ci hanno tentato e ci sono pure riusciti. Ci troviamo di fronte a una gestione del partito fondata sulle epurazioni. E sull’accondiscendenza alla segreteria nazionale: vede, io sono juventino ma quando avevo trent’anni andavo allo stadio con Berlusconi e per farlo contento esultavo per finta ai gol di Van Basten. Ora non lo farei più, non devo compiacere nessuno, ho percorso la mia carriera. Schifani non ha più trent’anni però si comporta allo stesso modo. E lo fa con Tajani”.
Episodio ameno. Ma la politica?
“Secondo lei non è politico il fatto che un presidente della Regione non abbia il coraggio di dire no all’Autonomia differenziata, che sarebbe una rovina per il Sud, solo per non dare un dispiacere a Meloni e Salvini?”.
Quindi va via.
“Beh, Berlusconi non avrebbe mai permesso quello che sta accadendo. Io sto dando un segnale: questa FI non è quella di Berlusconi, è anonima e totalmente succube degli alleati di governo. Ma lei li ricorda i nomi dei ministri di Forza Italia? Si conosce solo Tajani, basta questo per dire che c’è qualcosa che non va. Le scelte le fanno gli altri”.
Pesa di più, nel suo percorso, il ricordo del trionfale 61 a 0 del 2001 o il “tradimento” del 2012, quando si mise in proprio e fece perdere il centrodestra?
“Ma quale tradimento: quando creai un mio partito lo feci con l’assenso di Berlusconi, che voleva una Lega del Sud come contraltare a quella di Bossi e Maroni. Andai contro l’allora candidato Musumeci, che perse. Peccato non averlo fatto pure cinque anni dopo, quando invece vinse. Quanto al 61 a 0, fu ottenuto perché Berlusconi fu capace di fare un passo indietro, nei collegi, e accontentare gli alleati. Una generosità che oggi manca a chi gestisce la coalizione”.
(da La Reppublica)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
I PEZZI DA 90 SE NE STANNO IN COMPLESSI RECINTATI E IPERPROTETTI, I LORO COLLABORATORI VENGONO SBATTUTI IN ALBERGHETTI E I COMUNI MORTALI SI DEVONO ARRANGIARE SULLA SPIAGGIA (ALLA FACCIA DELL’EGUALITARISMO)
«No, lì no. Niente foto». Il ragazzino addetto alla sicurezza si piazza davanti alla fotocamera del telefonino per non farci scattare nulla. Lontano dalle orde di turisti cinesi e russi che ogni estate prendono d’assalto le spiagge di questa tranquilla cittadina che affaccia sul Golfo di Bohai, si scorgono su quel pezzo di costa in lontananza che è vietato fotografare un paio di grandi ville: il buen retiro estivo della nomenklatura comunista.
I sovietici se ne andavano a Yalta, i cinesi vengono a Beidaihe. Agosto, tempo di vacanze. Anche per il Partito. Vacanze di lavoro, però. L’evento non è ufficiale, ma è un segreto di Pulcinella ormai da settant’anni che la leadership sceglie di scappare dalla calura asfissiante di Pechino per rifugiarsi qui, a 300 chilometri dalla capitale, per almeno due settimane fino alla metà del mese: un conclave estivo, occasione per i funzionari di discutere, tramare, tessere strategie per poi decidere la linea da adottare e da far prendere alla Cina al rientro dalle spiagge.
Conversazioni tanto più difficili quest’anno, tra problemi economici e sociali che il Paese sta affrontando sotto la guida di Xi Jinping. Ogni estate vengono invitati esperti su un tema che il Partito considera cruciale: quello di questo 2024 è “patriottismo e impegno per il futuro”. Ne servirà molto.
Hai voglia a far finta che qui non succeda nulla in questi giorni: già all’uscita dell’autostrada, semplici agenti e ufficiali della Pap, la polizia dell’esercito, sono schierati per controllare documenti e ispezionare i bagagliai di ogni macchina. Stessa scena che si ripete prima di avvicinarsi al centro città.
Se poi sul passaporto c’è scritto che lavoro fai, le antenne si drizzano ancor di più. L’assenza dei leader da notiziari dei tg e la sicurezza massiccia sono un chiaro segno che il Partito ha dato il via qui alla sua annuale pausa estiva.
I massimi leader se ne stanno in complessi recintati e iperprotetti dove leggenda vuole che l’acqua del mare sia molto più pulita di quella color fanghiglia delle spiagge pubbliche. Poi ci sono ville, sanatori, hotel per i quadri del Partito e i dirigenti delle grandi industrie statali al livello un po’ più basso.
Infine i semplici villeggianti non proprio la folla più alla moda per quanto riguarda l’ outfit da mare – alloggiati in pensioni più alla buona e che lottano per qualche centimetro di sabbia in più in queste spiagge dove per entrare bisogna passare i metal detector nemmeno fossimo in un aeroporto. La divisione degli spazi e le architetture qui ti fanno capire bene la piramide gerarchica.
Agenti pattugliano strade e bagnasciuga. Dopo esser stati fermati per una foto che era meglio non fare, la seconda volta l’interrogatorio dura 35 minuti, per aver osato chiedere a un ragazzo se sapesse che qui ci vengono in vacanza pure i leader della Cina. «Quella domanda lo ha messo a disagio», dice il poliziotto. «Per fare interviste dovete avere il permesso del ministero. E basta foto per piacere».
Risultato: per il resto della giornata agenti in borghese ci seguono a piedi un po’ impacciati facendo finta di guardare il cielo. Nel vialone che porta al parco dalla cui sommità si vedono le ville che ospitano i leader si viene fermati ancora: «Non si può continuare».
La spiaggia preferita da Mao Zedong: sopra una delle colline che sovrasta la baia l’iscrizione rossa su una pietra ricorda che era da qui che “Mao amava guardare l’alba”. Un luogo di importanti decisioni e di misteri. Da qui il Grande Timoniere ordinò, nel ’58, di sparare 40mila colpi di artiglieria contro l’isola di Kinmen – avamposto dei nazionalisti rifugiatisi a Taiwan – che darà il via alla seconda crisi sullo Stretto. [
Alcuni pechinologi affermano che le conversazioni in questa capitale estiva sono note per essere piuttosto franche, a volte conflittuali, per evitare poi disaccordi pubblici che potrebbero danneggiare la facciata di unità. Cosa riserveranno Xi e compagni ora?
Per rilassarsi in spiaggia di certo non ne hanno: sfide demografiche, un’economia da rilanciare stimolando i consumi, dispute commerciali, e non solo, con Usa e alleati.
A fine giornata lo stesso poliziotto che ci ha fermato al mattino ci incrocia di nuovo e sorridendo chiede se abbiamo pranzato. Sempre col sorriso ci avverte di stare attenti, sta arrivando un temporale. Un modo gentile per dirci che è meglio se ce ne andiamo. Tre macchine ci seguono fino all’imbocco dell’autostrada. «Ci avete dato un bel da fare oggi».
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA FOTO IMBARAZZANTE DI JD VANCE CON PARRUCCA BIONDA E GONNELLONA: L’IMMAGINE È STATA SCATTATA A YALE NEL 2012 ED È STATA RICONDIVISA DAGLI ACCOUNT DELLA “BESTIOLINA” DEMOCRATICA, CON HASHTAG #SOFALOREN…. VANCE È NOTO PER LA SUA CONTRARIETÀ ALL’ABORTO E AI DIRITTI LGBT
Un’immagine di JD Vance vestito da donna e con una parrucca bionda è stata postata su X, precedentemente noto come Twitter, domenica. L’immagine si è rapidamente diffusa e ha iniziato a fare tendenza con l’hashtag #SofaLoren, un riferimento all’iconica attrice italiana Sophia Loren e alle false affermazioni secondo cui il senatore repubblicano avrebbe fatto sesso con un divano.
Un portavoce del candidato repubblicano alla vicepresidenza non ha negato l’autenticità della foto quando è stato contattato dal Daily Beast e non ha offerto ulteriori commenti.
La fonte che ha diffuso la presunta foto, Travis Whitfill, afferma che l’immagine è stata scattata da un compagno di classe di Yale nel 2012, quando Vance frequentava la facoltà di legge dell’università, e gli è stata inviata da un altro amico. Whitfill l’ha poi inviata al conduttore del podcast Matt Bernstein, che l’ha pubblicata su X.
“Proviene da una chat di gruppo di compagni di classe di Vance ed è di un amico di un amico”, ha dichiarato al Daily Beast. “Credo sia stata presa da Facebook e scattata a una festa di Halloween”. Whitfill ha anche scritto del suo ruolo nel portare alla luce la foto, condividendo gli screenshot della conversazione di testo in cui ha ricevuto la foto per la prima volta.
Molti commentatori online hanno collegato la presunta storia di travestitismo di Vance con la sua storia legislativa, da tempo motivo di preoccupazione per i gruppi di difesa LGBTQ+.
Il senatore dell’Ohio ha introdotto il “Protect Children’s Innocence Act”, che mira a criminalizzare le istituzioni mediche che forniscono cure per l’affermazione del genere ai minori.
Il candidato repubblicano alla vicepresidenza sostiene anche misure volte a limitare la discussione in classe dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere e ha definito “battipista” i critici della cosiddetta legge “non dire gay”
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
LE OLIMPIADI HANNO CONSACRATO L’AZZURRA COME MIGLIORE GIOCATRICE DEL MONDO, GRAZIE ANCHE AL SUO CT
L’America sembravamo noi. Non solo per il livello stratosferico del gioco; per la mescolanza. L’unità nella differenza. Ekaterina Antropova, nata in Islanda da genitori russi, abbraccia Sarah Fahr figlia di uno skipper tedesco e cresciuta sull’isola d’Elba, che abbraccia Myriam Sylla nata a Palermo da genitori ivoriani e cresciuta a Valgreghentino in provincia di Lecco, che abbraccia Alessia Orro avvolta nella bandiera sarda – «me l’ero portata da casa ma qui a Parigi è pieno di sardi e tutti mi offrivano una bandiera dei quattro mori »-, che abbraccia Paola Egonu nata a Cittadella da genitori nigeriani, il padre camionista di Lagos la madre infermiera di Benin City, già capitale di un grande impero africano.
Tutte indossano la maglia azzurra. E tutte abbracciano Julio Velasco: padre peruviano morto di pancreatite quando aveva sei anni, madre argentina, un fratello desaparecido; arrivato in Italia nel 1983, nel 1989 già allenatore della nazionale maschile. Inseguiva un oro olimpico da allora. Sostiene di non pensare mai alla finale persa ad Atlanta 1996, quando sembravamo imbattibili; in realtà ci ha pensato tutti i giorni. Ha dovuto attendere Parigi 2024 per dimenticarla, e conquistare il primo oro olimpico della pallavolo italiana.
Quando due numeri uno si incontrano, non è detto finisca bene. Questa Olimpiade ha consacrato Paola Egonu come la più forte pallavolista in attività: un torneo perfetto con la squadra perfetta, 22 punti in finale, in pratica un set vinto solo con le sue schiacciate. Velasco è da decenni l’allenatore più quotato. Spiega Giuseppe Manfredi, presidente del volley italiano: «Paola Egonu è sempre stata un fenomeno. Prima però c’erano le altre giocatrici, e c’era Paola Egonu. Adesso c’è Paola Egonu che gioca con le altre».
In mezzo c’è stato Velasco. Uno che conosce la solitudine dei numeri primi, per averla sperimentata. «É successo anche a me; solo che adesso ho più di settant’anni, e non me ne importa più nulla – racconta -. Paola è un personaggio. E quando diventi un personaggio, il personaggio vive di vita propria. Non sei più tu. Non lo controlli. Appartiene ad altri. E questo può essere un problema. Paola forse è ancora di più: è un’icona. Le offrono le pubblicità, la invitano a Sanremo. Fa bene ad andare. Però poi diventa una cosa da gestire».
Le questioni sono tre. La prima è tecnica. Spiega Velasco che, essendo la Egonu l’attaccante più forte, prima si tendeva a farle arrivare troppi palloni, il che implicava troppa responsabilità e troppe avversarie pronte a murarla; «così ho detto che bisognava far arrivare a Paola solo i palloni giusti, anziché cercarla necessariamente ogni volta».
La seconda questione è mentale. Velasco ha lavorato per togliere un po’ di pressione alla sua giocatrice più rappresentativa, per prenderla su di sé, come faceva Mourinho nell’Inter del Triplete, e anche per valorizzare l’altra opposto, la Antropova — ventun anni, quattro in meno della Egonu —, che lo storico presidente del volley Carlo Magri considera il nostro vero fenomeno.
Della terza questione oggi nessuno parla. Ed è la questione politica.
Paola Egonu in questi anni si è esposta molto, con coraggio. Ha denunciato il razzismo che esiste in Italia, come qui a Parigi ha ribadito Fiona May: e ha fatto benissimo. Ha querelato il generale Vannacci, e forse ha fatto meno bene, perché dire stupidaggini può non essere considerato reato. In questi Giochi la Egonu non ha mai parlato. Ieri ha accettato per la prima volta di fermarsi all’uscita dal campo a rispondere alle domande. L’ha fatto con un filo di voce. Ha confermato l’importanza di Velasco sia sul piano tecnico, sia sul piano psicologico. Ma è parsa emotivamente coinvolta solo quando ha parlato di suo nonno scomparso da poco, cui ha dedicato la medaglia; «perché si è sempre preso cura di me, mi ha voluto bene, mi ha sostenuto, e mi ha detto che avrei vinto. Come si chiamava il nonno? Preferirei non dirlo».
Anche Velasco oggi evita la politica. Il giornalista che lo conosce meglio, Flavio Vanetti del Corriere, racconta che una volta a tavola cominciarono a fargli domande su Che Guevara; finì alle tre del mattino. A chi scrive accadde di trovarselo seduto accanto ai Giochi di Pechino 2008, all’indomani della cerimonia inaugurale, che Velasco era stato tra i pochissimi a criticare: «Una cerimonia di regime. E il peggior regime è il regime che funziona».
Lui ha conosciuto una dittatura inefficiente sul piano militare ed economico, ma efficientissima nella repressione. Velasco era tra i repressi. «Sono ancora un uomo di sinistra, ma non ideologico; forse perché lo sono stato troppo in gioventù. Non voglio stare tra le veline intellettuali: per questo in Italia non ho mai fatto politica, tranne quando ho dato una mano a Veltroni candidato premier, perché sapevo che avrebbe perso. C’è un errore che la sinistra non dovrebbe commettere: rinunciare al merito, e anche all’autorità. In Italia se un maestro sequestra il telefonino all’allievo gli danno del fascista. Ci si atteggia ad anarchici, per poi rifugiarsi nell’autocrazia: vent’anni di Duce, vent’anni di Togliatti, vent’anni di Berlusconi…».
In realtà, Julio Velasco e Paola Egonu hanno fatto politica anche portando questa squadra mista e perfetta all’oro olimpico. Perché da oggi chi nega che l’Italia possa essere un Paese multietnico ha un argomento in meno.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
PAOLA EGONU ELOGIA IL CT DELLA NAZIONALE, JULIO VELASCO: “LE SUE LEZIONI OGNI GIORNO SONO SERVITE, ABBIAMO AVUTO TANTA VOGLIA DI DARE IL MASSIMO ANCHE NELLE PICCOLE COSE. LUI È RIUSCITO A CREARE UNA SQUADRA, A METTERE INSIEME OGNI PUNTO FORTE DELLE ATLETE IN MODO DA SAPER AFFRONTARE ANCHE LE DIFFICOLTÀ”… MIO NONNO IN NIGERIA MI DISSE CHE UN GIORNO AVREMMO VINTO”
Paola Egonu, è campionessa olimpica con una finale magnifica: è il momento più felice della sua vita?
“Sì, è la giornata più bella”.
Il percorso, com’è stato?
“Sono contenta perché questo è l’obiettivo che avevamo, partire da non qualificate e vincere in Nations League per conquistare Parigi, poi arrivare in finale e vincere, lì è iniziato il cammino che ci ha fatto arrivare fino a qui, ci siamo concentrate partita dopo partita, punto dopo punto, senza mai pensare a quel che poteva essere o poteva essere stato”.
Per lei che significato ha?
“Vale tanto: vale essere riuscita ad alzarmi (dopo le polemiche della scorsa estate e la rinuncia al preolimpico, ndr) per intraprendere un’altra avventura con questa squadra”.
Quanti meriti ha Velasco?
“Tanto di quest’oro è merito suo, è stato bravo a unirci tutte e costruire quella squadra che mancava da un po’ di tempo. Le sue lezioni ogni giorno sono servite, abbiamo avuto tanta volontà e tanta voglia di dare il massimo anche nelle piccole cose. Lui è riuscito a creare una squadra, a mettere insieme ogni punto forte delle atlete in modo da saper affrontare anche le difficoltà”.
L’impressione è che Velasco sia stato utile anche nel toglierle un po’ di pressione, è stato un alleato in questo senso.
“Sì”.
Quando hai capito che stavate costruendo qualcosa di magico? È arrivata in squadra nella seconda settimana di Nations League, ha intuito subito che stava succedendo qualcosa?
“Dai primi giorni, dalla tranquillità con cui abbiamo vissuto quest’estate, da quanto si stava bene insieme, aiutandosi nelle giornate più buie”.
Cosa le disse suo amatissimo nonno, capotribù in Nigeria, scomparso tre anni fa?
“Mi ha detto che un giorno avremmo vinto”.
(da Repubblica)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA SVOLTA A MAGGIO IN NATIONS LEAGUE CONTRO LA TURCHIA QUANDO SOTTO DI UN SET JULIO URLA: “SE AVETE PAURA DI LORO, ANDIAMO A CASA, SENZA PERDERE TEMPO”. VINCEMMO 3-1 E INIZIO’ IL CICLO CHE HA TRAVOLTO TUTTE
I sogni sanno essere molto pazienti. Quel giorno di 28 anni fa, ad Atlanta, c’erano Velasco e Bernardi, mentre l’Olanda festeggiava l’oro olimpico del volley maschile e l’Italia della generazione di fenomeni guardava la festa degli altri. Per quelli che amano la pallavolo la finale di Parigi è stata la partita della vita, del cuore e del destino. La gara di tutte e di tutti, giocata in campo da una squadra magnifica. L’oro di Parigi è il lieto fine di quel sogno, perduto nell’afa di un’olimpiade americana, con la Nazionale maschile, che si realizza, poi, con la Nazionale femminile, perché nessuno sport come il volley sa unire e chiudere così i cinque cerchi
C’era una volta Julio Velasco e c’è ancora, quello che appena un anno fa aveva deciso di tornare ad allenare, dopo aver detto che voleva solo fare il nonno, in panchina a 72 anni, alla faccia delle crisi senili, abbracciando una squadra da risollevare della A femminile, Busto Arsizio. Felice di quel gruppo, perché la sua grande capacità è quella di sapersi gustare ogni avventura.
A pochi mesi dal suo ritorno, quando aveva già preso casa a Busto, arriva il tracollo azzurro di Mazzanti — le liti con Egonu, l’epurazione di Bosetti e De Gennaro, la mancata qualificazione olimpica a ottobre 2023 — che porta la federazione all’esonero del ct. Ma la panchina resta vuota per un po’.
Non tutti pensano che Velasco sia adatto, anche se ora, che ha proprio vinto tutto, sembra impensabile. Ci sono dubbi e candidati apparentemente più brillanti, qualcuno invoca Bernardinho, mago brasiliano. Poi, a fine novembre, la scelta. Julio in poche settimane costruisce uno staff pazzesco, con Bernardi e Barbolini, e rimette la squadra al centro del villaggio. Lo fa, con il suo stile di sempre, convincendo le giocatrici in un modo semplice: facendole migliorare.
Niente è più seduttivo per un atleta che allenarsi, e faticare faticare e faticare ancora, scoprendo però di imparare ogni giorno qualcosa in più. Velasco ha parlato con Egonu ma nemmeno troppo: le ha detto tu sei l’opposta titolare se giochi al tuo livello, sennò c’è Antropova. A Sylla ha rinforzato la ricezione, a Orro il gioco al centro, ha richiamato Bosetti e De Gennaro, ha dovuto rinunciare, senza dirlo mai, a Pietrini, Degradi e Bonifacio che si sono fatte male prima di Parigi.
Ma la consapevolezza sfrontata della finale, 3-0 agli Usa, senza soffrire quasi mai, conquistando l’oro con un solo set perso in tutta l’Olimpiade, è maturata in pochi mesi, partendo da una gara di Nations League, il 18 maggio, quando la Nazionale, senza molte titolari, batte la Turchia, campione d’Europa, dopo aver perso il primo set. Sotto anche nel secondo, Velasco chiama time out e urla: «Se avete paura di loro, andiamo a casa, senza perdere tempo. O cominciate a schiacciare forte o sennò, se buttate delle pallette di là, ci arrendiamo e basta».
L’Italia non si arrende, ovviamente, e la ribalta, vincendo 3-1. È la gara della svolta, che apre la strada di Parigi. Fine dei discorsi sulla psicologia delicata delle ragazze, perché il problema semmai è che «le ragazze sono più autocritiche e si responsabilizzano troppo», come spiega Velasco.
(da La Repubblica)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
HA RIMESSO INSIEME I COCCI DI UNA SQUADRA SFASCIATASI NELLA GESTIONE DEL TECNICO MAZZANTI: MOLTE GIOCATRICI NEANCHE SI PARLAVANO… HA MESSO SU UN GRANDE STAFF E HA MIGLIORATO LE RAGAZZE CON IL DURO LAVORO
In un attimo prende forma il miracolo di una squadra dotata di enorme talento, ma incapace di sfruttarlo pienamente fino a disgregarsi la scorsa estate, al punto che molte non si parlavano più. Poi è arrivato un 72enne nato in Argentina, italiano per meriti sportivi guadagnati quando molte di loro non erano nemmeno nate. «Ha aperto il vaso e fatto sprigionare tutto quel che noi avevamo dentro» scandisce Myriam Sylla, che canta “Olè Olè Olè” e fuori dal campo è esattamente com’è in campo: un ciclone.
È l’Olimpiade del Qui e ora , il mantra assorbito dalle giocatrici, che l’hanno fatto loro togliendolo a Velasco che l’aveva coniato. C’era tanta ruggine alle spalle: bastava rimuoverla. C’era rivalità tra Egonu e Antropova, imposta titolare la scorsa estate, appena completate le pratiche per la cittadinanza. Velasco ha deciso che Paola è titolare e la 21enne Kate riserva con ampio spazio nei cambi: le due ne sono uscite con un braccio assassino che non cala di intensità dalla zona dell’opposto.
Poi c’erano le reiette, tagliate dalla Nazionale per ridurre al minimo le possibilità di fronda: è bastato richiamarle e dar loro compiti precisi. «Tante di noi che non c’erano l’anno scorso, come s’è visto qui, hanno meritato di giocare queste partite» concede Caterina Bosetti. «Eravamo una squadra fortissima da anni, purtroppo ci è sfuggito qualcosa. Questa Olimpiade ci ha mangiato a livello nervoso».
Era fuori anche il miglior libero dei Giochi di Parigi, Monica “Moki” De Gennaro, ormai 37enne ma soprattutto “sorella maggiore” di Egonu nella visione del precedente ct Mazzanti
Dopo la vittoria hanno formato un cerchio, stringendosi in un abbraccio sul campo. Sylla e Danesi si sono scambiate la medaglia, «siamo amiche sin da piccole, ci vogliamo bene» spiega Myriam, a cui Velasco ha tolto la fascia per darla proprio ad Anna.
Una squadra simbolo, mille colori e mille culture, ma soprattutto un gruppo di donne a cui Velasco ha parlato come un uomo che si lascia alle spalle la società in cui è nato: «Non cercavo una rivincita con voi, vi voglio autonome e autorevoli».
(da agenzie)
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Agosto 12th, 2024 Riccardo Fucile
SOLDATI CON DIVISE DA RUSSI EFFETTO SORPRESA E VELOCITÀ NEL BLITZ DEL GENERALE SYRSKY
Velocità e azioni imprevedibili. Da sei giorni l’esercito ucraino va avanti in un’offensiva nel cuore del territorio russo che le forze messe in campo da Mosca non riescono ad arginare.
L’elemento chiave del piano concepito dal comandante in capo di Kiev, il generale Syrsky, è la sorpresa. «L’obiettivo è sconvolgere l’avversario e travolgerlo dove è più debole o dove non se l’aspetta – ha scritto il generale australiano Mick Ryan, uno dei più attenti analisti del conflitto – . Questo rompe la coesione del nemico e la capacità di rispondere in modo efficace, che può essere sfruttata per occupare larghe quantità di terreno e distruggere le postazioni difensive».
Esattamente quello che hanno fatto le brigate ucraine con l’assalto iniziale nella notte tra lunedì e martedì scorso: adesso continuano a mantenere vivo l’effetto sorpresa con una serie di azioni tattiche.
Ci sono piccole unità ucraine, in genere composte da quattro-cinque veicoli blindati, che si inseriscono in profondità nella regione di Kursk, colpendo nelle retrovie dei reparti schierati dal Cremlino per respingere l’attacco. Allo stesso tempo, questi nuclei corsari complicano il lavoro del quartiere generale russo perché non permettono di decifrare le direttrici dell’avanzata. Alcune di queste sortite [fanno ipotizzare che Kiev possa aprire un secondo fronte.
Ci sono stati diversi raid, con video diffusi sui social, occupando alcune località nel distretto Belovsky: si trova più a Sud dell’offensiva in corso. Alcune fonti russe pensano che sia una mossa diversiva per creare confusione; altre temono che nelle prossime ore possa scattare una nuova carica di mezzi corazzati diretti verso Suzda, la cittadina dove più intensi sono i combattimenti, tentando di chiudere in una morsa i battaglioni russi.
Qualcosa di simile potrebbe avvenire anche più a Nord del fronte principale: a Tetkino due giorni fa ci sono state scaramucce, sostenute però dal fuoco dell’artiglieria ucraina. Proprio la presenza dei cannoni semoventi e di altre colonne corazzate in prossimità del confine potrebbe essere la premessa a un’irruzione massiccia. In questo caso, l’obiettivo sarebbe accerchiare le truppe di Mosca che presidiano Korenevo, città da cui parte l’autostrada per Kursk minacciata dalle avanguardie ucraine.
L’unica certezza è la “nebbia di guerra” che avvolge tutta la zona degli scontri e rende difficile trovare notizie confermate. Si parla addirittura di squadre ucraine con divise e mezzi russi che compiono sabotaggi dietro le linee, sul modello dei commandos tedeschi in uniforme americana guidati dal generale nazista Otto Skorzeny durante la battaglia delle Ardenne.
Il territorio saldamente occupato dagli ucraini è di circa 450 chilometri quadrati, all’interno del quale i soldati di Kiev adesso stanno occupando i villaggi uno ad uno ed eliminando sacche di resistenza. Secondo diversi blogger russi, gli “invasori” starebbero costruendo trincee e postazioni per affrontare il contrattacco ordinato da Putin.
Il ritardo nella reazione pare legato anche alla volontà di non distogliere brigate dal Donbass, dove il rullo compressore di Mosca anche in queste ore continua a togliere terreno agli ucraini. Una scelta strategica che però rischia di lasciare troppo spazio all’avanzata di Kiev. E se l’appello del presidente Zelensky per ottenere il via libera all’impiego delle armi occidentali a lungo raggio nella campagna di Kursk venisse accolto, la situazione per i russi potrebbe diventare insostenibili .
Già ora, il risultato d’immagine ottenuto dal governo Zelensky è di grande rilievo: fino a una settimana fa, la vittoria russa sembrava inevitabile. Adesso gli ucraini hanno ripreso in mano l’iniziativa, trasformando una lenta campagna di logoramento in una battaglia di movimento in cui stanno umiliando gli avversari. Lo sfregio alla credibilità di Putin è pesante e ci potrebbero volere settimane per liberare la regione di Kursk. Per questo l’intelligence di Kiev teme una rappresaglia missilistica contro le metropoli, nel tentativo di incidere sul morale della popolazione. In questo scontro di armi e di propaganda, resta sempre uno spettro: lo scenario di una risposta nucleare russa .
(da La Repubblica)
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