Destra di Popolo.net

LA GEO BARENTS DI MEDICI SENZA FRONTIERE LASCIA IL MEDITERRANEO CENTRALE: “COLPA DI LEGGI ASSURDE E INSENSATE”

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

NEGLI ULTIMI DUE ANNI LA NAVE DELLA ONG HA SUBITO QUATTRO FERMI DA PARTE DELLE AUTORITA’ ITALIANE… HA SALVATO 12.675 PERSONE IN 4 ANNI, QUELLI CHE LA FOGNA SOVRANISTA VOLEVA VEDERE AFFOGARE

La nave di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere Geo Barents, lascia il Mediterraneo centrale «per colpa di leggi assurde e insensate». Negli ultimi due anni l’imbarcazione umanitaria ha subito quattro sanzioni da parte delle autorità italiane, per un totale di 160 giorni in cui è stata sottoposta a fermo amministrativo «per aver semplicemente adempiuto al dovere di salvare vite in mare», fa sapere l’organizzazione non governativa.
«La prassi di assegnare porti lontani, spesso al nord, per lo sbarco delle persone soccorse in mare – spiega Msf – ha ulteriormente minato la capacità della Geo Barents di soccorrere vite e di essere presente dove è più necessario».
Dall’entrata in vigore del decreto Piantedosi del 2023 al suo inasprimento del dicembre di quest’anno, la nave ha infatti trascorso «metà dell’anno navigando da e verso porti lontani invece di assistere le persone in difficoltà».
Anche il “decreto Flussi”, voluto dal governo Meloni e approvato in via definita al Senato il 4 dicembre scorso, mira ad ostacolare il lavoro delle navi umanitarie nel Mediterraneo con sanzioni, lunghi fermi amministrativi e multe più salate, fino alla confisca dei mezzi.
«Invece di utilizzare la capacità di soccorso, le autorità italiane ne hanno minato l’operatività. Le leggi e le politiche italiane esprimono un vero e proprio disprezzo per le vite delle persone», afferma Margot Bernard, coordinatrice del progetto di Msf.
A giugno dello scorso anno, ad esempio, le autorità hanno ordinato alla Geo Barents, che può ospitare fino a 600 persone a bordo, di dirigersi a La Spezia, in Liguria, – a più di mille chilometri di distanza – per sbarcare 13 persone migranti, sopravvissute a un naufragio, nonostante la disponibilità di porti molto più vicini.
Le operazioni nel Mediterraneo
Da giugno del 2021 la nave umanitaria ha salvato 12.675 persone in 190 operazioni. La decisione di sospendere le operazioni in mare è però temporanea, assicura Msf. «Torneremo il prima possibile per salvare vite nel Mediterraneo centrale», dove oltre 31mila persone sono morte o disperse dal 2014. L’ultimo naufragio è avvenuto pochi giorni fa, a dieci miglia da Lampedusa, e che è costato la vita a 44 persone provenienti dalla Tunisia. L’unica sopravvissuta, Yasmine, una bambina di 11 anni della Sierra Leone, è stata salvata proprio da una nave umanitaria di una ong tedesca.
«Torneremo per testimoniare e denunciare le violazioni commesse contro le persone migranti dall’Italia, gli stati membri dell’Unione europea a altri attori», conclude Juan Matias Gil, capomissione di Msf per la ricerca e il soccorso in mare.
(da agenzie)

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“SE ACCETTASSI DI TESTIMONIARE RISCHIEREI DI ESSERE UCCISO”: MOLTE PERSONE CONVOCATE IN AULA PER IL PROCESSO SULLA MORTE DI GIULIO REGENI SI SONO TIRATE INDIETRO PER PAURA CHE QUALCUNO POTESSE FARE LORO DEL MALE

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

ALCUNI TESTIMONI EGIZIANI SONO STATI ARRESTATI DOPO AVER PARLATO CON I PM ITALIANI (ALLA FACCIA DELLA COOPERAZIONE SBANDIERATA DAL CAIRO)

La sua identità è riservata, il suo nome è protetto dietro la lettera “Gamma” dell’alfabeto greco ma le sue parole, il racconto di quello che ha visto nell’estate del 2017, sono state rivelate durante il processo sulla morte di Giulio Regeni.
Il testimone Gamma ieri in aula ha detto di aver sentito due uomini parlare del ricercatore italiano in questi termini: «Lo abbiamo fatto a pezzi. Lo abbiamo distrutto». Uno dei due commensali sarebbe Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, ufficiale dell’intelligence accusato di essere l’uomo chiave del sequestro Regeni.
Il racconto di Gamma inizia in un ristorante di Nairobi, al Sippers. È qui, 5.200 chilometri a sud del Cairo, che l’agente della Nca egiziana incontra un poliziotto keniota. Parlano a margine di un incontro antiterrorismo tra 007 africani. E Gamma, seduto al tavolo vicino, sente tutto.
Ascolta i loro discorsi sulle ingerenze europee, sulle manifestazioni che andrebbero represse col pugno di ferro. E anche le parole pronunciate dall’egiziano seduto al tavolo, «Ibrahim Sharif», lo chiamava il poliziotto che era con lui. Sharif parlava di un «accademico italiano».
«Pensavamo fosse un agente della Cia o del Mossad — riferisce — era un problema perché godeva di una certa popolarità tra la gente comune». Gamma ricorda le parole di uno dei due uomini: «Diceva: lo abbiamo fatto a pezzi, lo abbiamo distrutto». E ancora: «L’ho colpito, lo abbiamo picchiato ». «Crash, crashing, crashed», ripetevano.
Il resoconto di Gamma coincide con il verbale del poliziotto seduto a quel tavolo. Ed è importante non solo per la ricostruzione dei fatti ma anche per il messaggio che lancia: Gamma ha trovato il coraggio di testimoniare. Altri si sono tirati indietro. E la corte li ha “giustificati”.
Qualcuno è arrivato in aula stanco da notti insonni, altri non sono proprio venuti. «Se accettassi di testimoniare sarei esposto al pericolo di ritorsione, l’arresto, la tortura o anche l’uccisione», dicevano ricordando di essere stati arrestati dopo aver parlato con i pm italiani.
Per questo motivo la corte d’Assise di Roma ha acquisito i loro verbali. Un fatto inusuale dettato da un timore fondato. I giudizi espressi da «Ong, da governi internazionali, da autorità giurisdizionali di massimo livello e, persino, dagli organi tecnici del governo italiano», dice la corte, «concordano sul fatto che il Paese egiziano è connotato da significative violazioni dei diritti umani… che si traducono in esecuzioni arbitrarie o illegali, comprese esecuzioni stragiudiziali, sparizioni forzate, torture, punizioni crudeli, inumani o degradanti da parte del governo, condizioni carcerarie dure e pericolose per la vita; arresti e detenzioni arbitrarie»
I testimoni sono in pericolo se parlano contro le autorità. Lo dice anche la scheda con cui il ministero degli Esteri ha considerato l’Egitto un paese sicuro.
(da agenzie)

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LE PRIORITÀ DEL GOVERNO: AUMENTARE LO STIPENDIO DEI MINISTRI: VOGLIONO INSERIRE NELLA MANOVRA UN’EQUIPARAZIONE TRA L’INDENNITÀ DEI MINISTRI CHE SONO ANCHE PARLAMENTARI E QUELLI CHE NON LO SONO

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

IL PD HA GIOCO FACILE AD ANDARE ALL’ATTACCO: “MENTRE IL PAESE LOTTA PER ARRIVARE A FINE MESE, IL GOVERNO DECIDE DI DESTINARE RISORSE PUBBLICHE PER GLI STIPENDI DEI MINISTRI”

Spunta l’ipotesi di un’equiparazione tra l’indennità dei ministri che sono anche parlamentari e quelli che non lo sono. Secondo quanto viene riferito da diverse fonti della maggioranza, l’ipotesi sarebbe emersa, insieme a diversi altri temi, durante i confronti all’interno della coalizione sulla manovra e la proposta potrebbe essere contenuta in un emendamento dei relatori.
“Mentre il Paese lotta per arrivare a fine mese, il governo decide di destinare risorse pubbliche all’aumento degli stipendi dei ministri. Una scelta che lascia increduli e appare ancora più grave alla luce di una manovra di bilancio che non investe in sanità, scuola, lavoro e casa.
Il governo fa finta di non capire: noi chiediamo un miglioramento delle condizioni e degli stipendi degli italiani, non di quelli dei ministri e dei membri del partito della presidente Meloni”. Così il capogruppo democratico nella commissione bilancio della camera, Ubaldo Pagano, commenta l’ipotesi di una modifica in manovra sugli stipendi dei ministri non parlamentari.
(da agenzie)

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DELMASTRO: “CALCI NEL SEDERE A CHI OCCUPA LE CASE, FIERO DI ESSERE LIBERTICIDA”

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

ANM: “LINGUAGGIO FUORI DALLE REGOLE BASILARI DEL DIRITTO”… UN ASSIST PER LE OPPOSIZIONI

Parole shock. “Noi vogliamo prendere per la pelle del culo chi occupa la casa degli anziani, dargli un calcio nel sedere e ridare il possesso della casa all’anziano”. Così Andrea Delmastro ospite di Atreju, dove partecipa al dibattito “La via italiana per garantire la proprietà privata”. Affermazioni che provocano le proteste di opposizioni e associazione nazionale dei magistrati.
Torna dunque a far discutere il sottosegretario alla Giustizia che giusto un mese fa aveva provocato una bufera politica dopo aver detto di provare gioia nel togliere il respiro ai detenuti in regime di massima sicurezza.
Il motivo di tanta durezza nei toni? “Oggi un anziano è terrorizzato che mentre sta in ospedale gli occupano casa e poi aspetta 6-7 anni per lo sfratto e intanto finisce sotto un ponte”, afferma Delmastro. Il sottosegretario difende il ddl sicurezza che, tra le misure, prevede un inasprimento delle pene per chi occupa gli immobili: “È liberticida? temo di no, ma se fosse liberticida quel ddl sono fiero di essere liberticida, per tutelare quell’Italia normale che fino a oggi è stata mortificata e umiliata da una sinistra che difende lo Ius salis”
Insorge Avs: “Amico di Casapound. Conosce solo lo Ius fasci”. Il Pd parla di “linguaggio inaccettabile”, “d’odio e penosamente volgare”. Mentre per Giuseppe Santalucia, presidente di Anm, quello del sottosegretario “è un linguaggio che si pone al di fuori delle regole basilari del diritto. Il diritto non è violenza e rispetta i diritti di tutti”.
(da agenzie)

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“GIORGIA MELONI È ANDATA AD ACCOGLIERE CHICO FORTI, MA A ME NON HA SCRITTO NEANCHE UN BIGLIETTO”: PARLA BENIAMINO ZUNCHEDDU, VITTIMA DI UNO DEI PIU’ GRAVI ERRORI GIUDIZIARI ITALIANI. E’ STATO ASSOLTO A GENNAIO DOPO 33 ANNI IN CARCERE DA INNOCENTE PER LA STRAGE DI SINNAI (3 OMICIDI)

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

“IL MIO PRINCIPALE ACCUSATORE AVEVA MENTITO E UN POLIZIOTTO HA TENUTO NEL CASSETTO PER PIÙ DI 30 ANNI IL VERO IDENTIKIT DELL’ASSASSINO”

Il sorriso timido e gli occhi curiosi. Sono le prime cose che colpiscono di Beniamino Zuncheddu, 60 anni, vittima del più grave errore giudiziario italiano. Quasi trentatré anni in carcere: fu arrestato che ne aveva ancora ventisei. Il 25 novembre di un anno fa gli sospendono la pena. Per l’assoluzione, che chiuderà il processo di revisione, bisogna aspettare il 26 gennaio. Da allora, ha ripreso almeno dieci chili, si è operato di cataratta, si è occupato dei suoi denti: gliene era rimasto solo uno.
Ci incontriamo a Burcei, cinquanta minuti di curve da Cagliari, nella casa di famiglia sulla strada che porta verso il monte Serpeddì a mille metri di quota. Nel salotto che è anche soggiorno e cucina, ci riscalda la stufa a legna ricavata da uno scaldabagno usato: il tubo di scarico passa per il comignolo del caminetto. C’è anche Augusta, la sorella di due anni più grande che non si è mai arresa alla sentenza che a tempo di record aveva giudicato il fratello colpevole per la strage di Sinnai (tre omicidi, un sopravvissuto): 30 giorni per il primo grado, 7 per l’Appello; la Cassazione si pronunciò meno di due anni dopo gli omicidi.
Adesso come passa le giornate?
«Sono un pensionato senza pensione. Dunque faccio qualcosa qui a casa, poi esco, vado ad aiutare mio fratello Damiano con le pecore…».
E sua nipote Maria Luigia, la figlia di Augusta, non l’aiuta con le capre?
«No, lei non mi vuole, dice che sono anziano».
Davvero ogni pastore conosce a memoria tutti i nomi dei suoi animali?
«Certo. Le capre di Maria Luigia si chiamano Betta, Agostena, Gianduia, Sitzigorru, che in sardo vuol dire lumaca… Qualche giorno fa si è impuntata con il padre che voleva far allattare un capretto dalla mamma sbagliata. Aveva ragione lei!».
La sera esce?
«Mi vedo con i miei amici, gli stessi di prima del carcere. Loro però ora hanno una famiglia. Mi piace ascoltarli».
La cosa più bella della nuova vita da uomo libero?
«Entrare e uscire di casa, aprire e chiudere la porta, quando lo decido io».
Ha rivisto Antonio, il ragazzo tetraplegico che aveva confermato il suo alibi per la sera della strage
«Sono riuscito ad andarci un mese fa, prima ero sempre impegnato. Si è commosso.
Conserva ancora il giornale di quando mi hanno arrestato».
E, invece, dopo la sentenza di revisione, ha rivisto Luigi Pinna, il sopravvissuto che con la sua falsa testimonianza l’aveva fatta condannare, o Mario Uda, il poliziotto che gli aveva mostrato la sua foto prima del riconoscimento, condizionandolo?
«No, delle persone dell’ingiustizia non ho più sentito nessuno».
Da chi le sarebbe piaciuto ricevere un messaggio?
«Intanto devo ringraziare tutte le persone del mio paese, il sindaco, il parroco e gli sconosciuti che continuano a manifestarmi il loro affetto. Mi hanno scritto anche alunni delle elementari di altri paesi: le loro lettere mi fanno felice. Giorgia Meloni è andata ad accogliere Chico Forti che tornava dall’America, ma a me non ha scritto neanche un biglietto. Mi sarebbe piaciuto riceverne uno da Mattarella».
Però ha incontrato il Papa. Era la seconda volta!
«Sì, la prima nel 2013, nella cattedrale di Cagliari: io ero tra i detenuti. Ad agosto, invece, siamo andati con mia sorella, mio cognato, mia nipote e la famiglia al completo del mio avvocato, Mauro Trogu».
È stato il suo sesto avvocato e ha lavorato pro bono. Appena otterrà il risarcimento sarà il primo da rimborsare.
«I consulenti lo stanno definendo, ma nessun risarcimento sarà mai abbastanza: ho vissuto più dentro il carcere che fuori. Sognavo una famiglia con figli e nipoti, e per quello è troppo tardi. Comunque, con quei soldi devo togliere subito i debiti e l’avvocato è in cima ai miei pensieri.Poi ci sono i periti che hanno lavorato gratis, e mia sorella e suo marito, che stanno continuando a prendersi cura di me. Senza di loro, una volta uscito dal carcere sarei stato un delinquente in più, perché non avevo nulla».
Se le avanza qualcosa per sé, cosa desidera fare?
«Mi piacerebbe aprire un caseificio in paese. Ma non tanto per me: lo vorrei fare per dare lavoro ai giovani».
I giudici di Roma l’hanno assolta in base al comma 2 dell’articolo 530 del Codice di procedura penale, che si applica «quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che l’imputato abbia commesso il fatto».
«Questa cosa mi fa arrabbiare, perché mi fa sentire innocente a metà. E poi nelle motivazioni non hanno tenuto conto che il mio principale accusatore aveva mentito, che non potevo avere il movente che mi attribuivano, che un poliziotto ha tenuto nel cassetto per più di 30 anni il vero identikit dell’assassino»
Trogu ha presentato istanza di rettifica al giudice.
«È stata respinta. Ha fatto opposizione al presidente della Corte di Appello di Roma, che lo stesso l’ha respinta. Ora farà ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché la motivazione dei giudici lede la presunzione di innocenza».
Si è chiesto perché è successo proprio a lei?
«Sì, e sono arrivato alla conclusione che ero il più fragile, uno che non si sarebbe potuto vendicare. Secondo l’avvocato e secondo me, quella strage era legata al sequestro di Giovanni Murgia. Altrimenti non mi spiego come mai Giuseppe Boi, condannato per essere uno degli organizzatori di quel rapimento, dopo abbia occupato l’ovile dove erano stati compiuti i delitti».
Ha girato tre carceri: a Cagliari, a Nuoro e a Uta. Come è riuscito a non farsi vincere dalla rabbia?
«Pensavo: se sbatto la testa al muro poi la testa si rompe e il muro resta come è».
Ha preso antidepressivi?
«Mai, niente. In carcere ti danno solo l’Aulin: per il mal di testa, per il mal di denti o se ti fa male un dito».
La fede l’ha aiutata?
«Sì, molto. Trogu è nato il giorno di santa Rita, la santa dei casi disperati. Per me, comunque, essere cristiani non significa solo credere in Dio, ma aiutare gli altri. Perché la fede non vale nulla se non ci sono pure le buone azioni. E io in carcere cercavo sempre di aiutare i miei compagni».
«Sì, bravissima. Si è data da fare perché mi venisse garantita l’assistenza medica. Quando ho visto che continuavano a rimandare le udienze per la revisione ho cominciato a scoraggiarmi: la piorrea mi ha fatto cadere i denti, avevo sempre mal di testa. Grazie a lei è partita la campagna mediatica».
Dal libro si farà un film?
«Sì, è venuto il regista con gli sceneggiatori. Hanno fatto il sopralluogo in campagna».
Chi vorrebbe che la interpretasse?
«Eh, non sono pratico. Speriamo che riesca a parlare con l’accento sardo».
(da agenzie)

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IN ITALIA NON CI FACCIAMO MANCARE NIENTE, NEMMENO IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA CONDANNATO

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

ANDREA DELMASTRO CONFERMA CHE IN PASSATO È STATO CONDANNATO: “MA IL REATO È ESTINTO”. PERCHÉ GIÀ CHE C’È NON CI DICE ANCHE QUAL ERA IL REATO?

Quando i cronisti lo hanno avvicinato fuori dall’aula del Tribunale di Roma per chiedergli se avesse mai ricevuto qualche condanna, Andrea Delmastro Delle Vedove, onorevole di Fratelli d’Italia, ha solo risposto: “Il mio casellario giudiziario è immacolato, il vostro?”
La domanda dei giornalisti non nasceva per caso: che avesse riportato una condanna “ma il reato è estinto” lo aveva dichiarato lui stesso ai magistrati il 17 febbraio 2023, quando è stato interrogato nell’inchiesta per rivelazione di segreto d’ufficio per il cosiddetto “caso Cospito”.
È vero, il casellario di Delmastro è bianco. Ma a che condanna faceva riferimento quando ha risposto alle domande dei pm? Lo abbiamo richiesto all’onorevole, anche per messaggio, ma ha continuano a non rispondere.
Di questa “condanna” ne hanno parlato ieri in aula gli avvocati dei parlamentari del Pd, parti civili nel processo a Delmastro. Il sottosegretario è accusato di aver riferito al collega Giovanni Donzelli informazioni sul contenuto dei colloqui dell’anarchico Alfredo Cospito con alcuni detenuti.
Conversazioni in cui si parla dell’abolizione del 41 bis e che vengono riportate da Donzelli alla Camera il 31 gennaio 2023. Per questi fatti la procura aveva iscritto il solo Delmastro, richiedendone poi l’archiviazione. Ma il gip ha disposto un’imputazione coatta e ora il sottosegretario si ritrova imputato.
Ieri, dunque, Delmastro ha parlato in aula. Gli avvocati dei dem gli hanno chiesto di questa condanna, ma il giudice ha accolto l’opposizione dei legali di Delmastro per i quali non era oggetto del processo.
(da agenzie)

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PRIMAVERA CALDISSIMA PER GIORGIA MELONI, AUTONOMIA, JOBS ACT, CITTADINANZA, SICUREZZA SUL LAVORO: I QUESITI REFERENDARI POTREBBERO SALDARE TUTTI I MONDI OSTILI ALLA DESTRA E TERREMOTARE LA MAGGIORANZA

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

PER QUESTO, LA “NUOVA” STRATEGIA DI GIORGIA MELONI SULL’AUTONOMIA PUNTA A SABOTARE A TUTTI I COSTI IL REFERENDUM, FACENDOLO PASSARE COME UN PROBLEMA DELLA LEGA, MINIMIZZANDO UN’EVENTUALE BATOSTA – LA VITTORIA DEL SÌ METTEREBBE IN CRISI IL GOVERNO: DELEGITTIMATO DALLA BOCCIATURA DELLA RIFORMA BANDIERA DELLA LEGA, SALVINI DIVENTEREBBE UNA MINA VAGANTE

Premessa: c’è grande confusione nel centrodestra. Una legge sull’Autonomia sostenuta e spinta con furore identitario da un partito (la Lega), maldigerita dagli altri due partiti di governo (Fratelli d’Italia e Forza Italia) si trascinerà dietro per mesi l’incognita del referendum.
A meno che – ma ci credono in pochi – la Corte costituzionale, a gennaio, non cassi la consultazione popolare. È complicato ricostruire lo stato emotivo delle forze della coalizione. L’unica riflessione che ha accomunato i partiti della coalizione è la convinzione che di fronte all’ineluttabilità del quesito sull’abrogazione totale dell’Autonomia, l’obiettivo debba essere far fallire il quorum.
Lo dice esplicitamente il governatore del Veneto Luca Zaia, che invita a disertare una votazione che si potrebbe tenere nella finestra primaverile tra aprile e giugno 2025. Ma dentro FI e FdI lo pensano senza ammetterlo in tanti, perché tarano le conseguenze di una sconfitta, soprattutto se si dovesse politicizzare troppo la sfida.
Paradossalmente questo lo sostiene chi della legge Calderoli farebbe volentieri a meno: è la paura, per esempio, del leader azzurro, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, e, in parte minore, della premier Giorgia Meloni, che da mesi lamenta i problemi che avrebbe comportato l’accelerazione leghista.
È stata facile profeta: perché, con la tagliola del referendum, non c’è materialmente il tempo di accordarsi e far approvare alla Camera e al Senato le modifiche sui sette capitoli dell’Autonomia, bocciati dalla Consulta a metà novembre.
Per capire meglio cosa pensi la presidente del Consiglio, ieri i parlamentari di maggioranza hanno letto e riletto le dichiarazioni rilasciate all’agenzia Agi dal presidente della commissione Affari Costituzionali in Senato, Italo Balboni, delegato di Meloni ai dossier costituzionali: «Il referendum si deve fare e sono convinto che verrà respinto. Ora c’è la certificazione anche della Cassazione che la legge è legittima, con i correttivi della Corte costituzionale, che per me sono assolutamente ragionevoli».
Anche il presidente del Senato, cofondatore di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa, durante i saluti natalizi alla stampa parlamentare, afferma di non temere la parola data ai cittadini: «La democrazia diretta è la cosa migliore».
Di fatto, il partito di Meloni si sta preparando alla sfida del referendum con lo spirito di chi pensa che possa rivelarsi il male minore. Perché scaricherebbe sulla volontà degli elettori le difficoltà di negoziare con la Lega in Parlamento uno stravolgimento della legge, che FdI e FI pensano sia punitiva per il Sud, proprio come gli avversari dell’opposizione.
La strategia del disimpegno, agli occhi di Meloni, è l’unica strada possibile per far deragliare una riforma che ha promesso controvoglia al segretario leghista Matteo Salvini e che è impressa nel contratto di governo. […] Il mandato di Meloni è quello che ancora di più vale per l’altra riforma, «la madre di tutte le riforme», come lei stessa ha definito il premierato: evitare in tutti i modi di appesantire il referendum di una valenza politica. Restare freddi, distaccati, quasi indifferenti alle sorti di una legge a cui ha legato il proprio destino la Lega.
Per Meloni ci sono, dunque, due possibilità: che non venga raggiunto il quorum, dimostrando la disaffezione degli italiani per un tema complicato e dall’appeal poco mediatico. Oppure che l’Autonomia venga definitivamente travolta da una valanga di No. In entrambi i casi, il problema – sostiene – «sarebbe della Lega». Nel secondo, però, sarebbe anche un po’ il suo, visto che è lei a guidare governo e maggioranza.
(da agenzie)

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LEGA NORD, MAXI RISARCIMENTO ALL’EX AVVOCATO DEL CARROCCIO BRIGANDI’

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

LA VECCHIA LEGA DOVRA’ VERSARGLI 3 MILIONI DI EURO PER PRESTAZIONI LEGALI MAI PAGATE

Vecchia Lega e nuova Lega, così vicine ma così lontane. Abbastanza, almeno, da non far ricadere sulla Lega di Matteo Salvini le colpe – giudiziarie – di quella di Umberto Bossi. A dirlo, con una formula ovviamente in punta di diritto – è il tribunale civile di Milano, che ha condannato la Lega Nord per l’indipendenza della Padania a risarcire con oltre 3 milioni di euro Matteo Brigandì, storico legale del Carroccio e dello stesso Senatur.
Per fatti che oggi sembrano preistoria, visto che il risarcimento di 3 milioni è “a titolo di compensi professionali, oltre interessi sul compenso forfettario di 250mila euro dal 31 dicembre di ciascun anno (dal 2000 al 2012) e interessi” dovuti “dall’anno 2000 al mese di ottobre 2012 in forza della scrittura del gennaio 2012 a firma dell’avvocato Brigandì e dell’onorevole Bossi”.
A stabilirlo è la Quinta sezione civile del tribunale, con un provvedimento della giudice Sarah Gravagnola, che condanna però lo stesso Brigandì – che aveva chiesto il pagamento dei compensi fino al 2020 – a rimborsare alla Lega Salvini Premier le spese di lite poiché non è superabile la “distinta soggettività giuridica dei due partiti politici” quindi non può essere l’attuale partito il responsabile sul piano negoziale delle obbligazioni assunte, peraltro ben prima della sua fondazione, dalla Lega Nord.
Era stato l’ex legale del Carroccio, assolto penalmente dalle accuse di patrocinio infedele e autoriciclaggio, ad avanzare una causa civile lamentando di non aver ricevuto le parcelle annuali da 250 mila euro, per gli anni dal 2000 al 2020, in qualità di capo dell’ufficio legale interno del partito.
Il documento, di cui è stata contestata la validità dagli avvocati della Lega Nord, è stato dichiarato autentico in relazione alla firma del “Senatur” dopo una consulenza tecnica d’ufficio. Non è stata accolta dal giudice un’analoga richiesta di Brigandì nei confronti della Lega Salvini Premier.
“È innegabile – si legge nella sentenza – che la comune leadership dello schieramento politico, la condivisione di percorsi elettorali sotto un comune contrassegno di coalizione e all’insegna della medesima visione sociopolitica, la possibilità per i militanti di tesserarsi ad entrambi i partiti e di vedere riconosciuta la propria anzianità, la scelta di mantenere la sede nel medesimo complesso immobiliare sono dati significativi dell’unitarietà politico elettorale delle ‘due leghe’ ma non consentono di ritenerle un unico partito né tanto meno un unico centro di imputazione dei rapporti giuridici”.
(da agenzie)

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IL DDL LAVORO PREVEDE FAVORI ALLE IMPRESE E MAZZATE AI DIPENDENTI, IN PIENA SINTONIA CON UN GOVERNO PRONO AI POTERI FORTI

Dicembre 13th, 2024 Riccardo Fucile

MENO LIMITI AI CONTRATTI STAGIONALI, PORTE SPALANCATE ALLA SOMMINISTRAZIONE, ASSENXZE INGIUSTIFICATE UGUALE DIMISSIONI

Ci vuole coraggio, molto coraggio, e anche una buona dose di faccia tosta, per affermare come fa la ministra del Lavoro, Marina Calderone, che il ddl Lavoro, collegato alla Manovra, e definitivamente approvato ieri dal Senato, è “all’insegna della semplificazione e della stabilità del lavoro, non certamente di un aumento della precarietà”.
Il provvedimento presenta almeno tre norme che vanno nel senso di un allargamento dell’area del lavoro precario e povero, con l’obiettivo di favorire le imprese e azzoppare ancora di più, se possibile, le tutele dei lavoratori.
Peraltro non c’era da aspettarsi di meglio da chi ha cancellato il Reddito di cittadinanza e da chi continua a dire no al salario minimo.
Le norme che allargano l’area del lavoro povero e precario
Si parte dal potenziamento dei contratti di somministrazione. Vengono esclusi dal tetto del 30% previsto per i lavoratori in somministrazione a tempo determinato rispetto al totale dei contratti stabili, i lavoratori assunti dalle agenzie per il lavoro a tempo indeterminato o lavoratori con determinate caratteristiche o assunti per determinate esigenze (svolgimento di attività stagionali o di specifici spettacoli, start-up, sostituzione di lavoratori assenti, lavoratori con più di 50 anni).
Vengono stabiliti meno limiti al lavoro stagionale. Rientrano tra le attività stagionali, quelle organizzate per far fronte a “intensificazioni” dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
Assenze ingiustificate uguale dimissioni
Spazio a quelle che le opposizioni hanno ribattezzato come “dimissioni in bianco”. L’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto o, in mancanza di previsione contrattuale, oltre i quindici giorni, comporta la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore e in tal caso non si applica la disciplina sulle dimissioni telematiche.
Non scatta se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza.
“Il collegato Lavoro è l’ennesima opera di stravolgimento delle tutele già fragili di lavoratrici e lavoratori italiani. La maggioranza ha scelto di comprimere la discussione del provvedimento, quasi a voler soddisfare più le richieste di Confindustria che salvaguardare i diritti dei lavoratori”, ha affermato nell’Aula del Senato il capogruppo del M5S in X Commissione, Orfeo Mazzella.
“Il Governo ha deciso di percorrere la via della riduzione dei costi del Lavoro: una scelta che non solo danneggia i lavoratori ma compromette anche la capacità competitiva della nostra intera economia. La possibilità di utilizzo illimitato della somministrazione si muove in tale direzione: da oggi le aziende potranno scegliere di dotarsi unicamente con lavoratori ‘usa e getta’, riducendo drasticamente le opportunità di un impiego stabile e dignitoso”.
“Altresì – ha concluso il senatore pentastellato – l’introduzione dell’assenza ingiustificata come dimissioni rappresenta un ulteriore attacco ai diritti di donne e uomini, esponendoli a licenziamenti senza giusta causa”.
Duri anche i sindacati. “Il governo e la maggioranza parlamentare, con il voto definitivo al cosiddetto collegato Lavoro, hanno deciso scientemente di peggiorare le condizioni di milioni di lavoratrici e lavoratori”, afferma la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli.
Il provvedimento “è di una gravità inaudita – prosegue la dirigente sindacale – perché non farà altro che ridurre le già fragili tutele nel lavoro, aumentando la precarietà, i contratti brevi e il lavoro povero e indebolire la contrattazione”.
(da lanotiziagiornale.it)

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