Destra di Popolo.net

LA PROVOCAZIONE DI OPEN ARMS: MELONI NAUFRAGA NEL NUOVO SPOT

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

TRA GLI ALTRI PERSONAGGI RAFFIGURATI CI SONO TRUMP, MUSK MARINE LE PEN E ORBAN

«Giorgia, salveremmo anche te». La scritta appare su una foto prodotta con l’intelligenza artificiale, che ritrae la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con un giubbotto salvagente mentre sta per affogare in un mare in tempesta.
Ed è una delle card della nuova campagna di comunicazione sui social dell’ ong spagnola Open Arms. «Hai creato centri di detenzione in Albania per i migranti. Ma sai una cosa? Se la tua vita fosse in pericolo non esiteremmo a rischiare la nostra per salvare la tua» si legge ancora nella card rivolta alla premier.
Tra gli altri personaggi raffigurati allo stesso modo ci sono il neo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Elon Musk, Marine Le Pen, Viktor Orban. In un video appare anche il ministro Matteo Salvini, che Open Arms ha portato a processo per sequestro di persona per un caso del 2019
A spiegare il senso della campagna di comunicazione, destinata a far discutere, è la stessa ong: «Anche al nostro peggior nemico o ai più grandi portavoce dell’odio diremmo: Salveremmo anche te. Perché siamo soccorritori. Quando una vita è in pericolo, non esitiamo a rischiare la nostra per salvarla. Aiutaci a continuare, Diventa parte della famiglia di Open Arms».
(da agenzie)

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“LE VALUTAZIONI SULLA LEADERSHIP DI GIORGIA MELONI IN UE SONO ESAGERATE”: IL “FINANCIAL TIMES”, CON UN COMMENTO FIRMATO TONY BARBER, SMONTA L’IMMAGINE DELLA DUCETTA COME UNICO LEADER STABILE IN EUROPA

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

IL GIORNALE METTE IN DUBBIO CHE “POSSA COLMARE IL VUOTO APERTO DAI PROBLEMI DI BERLINO E PARIGI. ANCHE PER MARIO DRAGHI, NON VI È NESSUN’ALTRA LEADERSHIP OLTRE A QUELLA FRANCO-TEDESCA, SEPPUR INDEBOLITA, IN GRADO DI GUIDARE L’EUROPA VERSO UN FUTURO COMUNE”

Giorgia Meloni “non è la sola a suggerire che il 2025 potrebbe essere l’anno dell’Italia in Europa e sulla più ampia scena internazionale” ma “alcune affermazioni” a favore della premier e di Roma “sono esagerate”. Lo scrive Tony Barber, in un commento che parte dalla “leggera frecciatina a Francia e Germania” della presidente del Consiglio che “ha contrapposto la ‘straordinaria’ stabilità del suo governo con ‘la turbolenza politica che stanno affrontando diverse grandi nazioni europee'”.
“È vero – ammette Barber – la Francia è in paralisi politica e la coalizione guidata dai socialdemocratici tedeschi è crollata. Ma l’Italia non è diversa dalla Francia e dalla Germania nel temere l’impatto delle tariffe statunitensi sulle esportazioni europee. Allo stesso modo, il sostegno di Meloni all’Ucraina potrebbe non essere perfettamente in linea con le priorità di politica estera di Trump
(da agenzie)

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LA RESISTENZA AI NAZISTELLI AUSTRIACI LA FANNO QUELLE CHE HANNO PIU’ MEMORIA STORICA: A VIENNA, DAVANTI ALLA CANCELLERIA, SCENDONO IN PIAZZA LE “NONNE CONTRO LA DESTRA”, PER PROTESTARE CONTRO L’INCARICO DI GOVERNO AFFIDATO AL LEADER DELL’FPO, HERBERT KICKL

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

LA FONDATRICE DEL MOVIMENTO, SUSANNE SCHOLL: “CHI HA VISSUTO LA STORIA E LE SUE TRAGEDIE NON RESTI A GUARDARE. NON POSSIAMO PERMETTERE CHE IL NOSTRO PAESE FACCIA UN PASSO INDIETRO NELLA DEMOCRAZIA”

Le ‘Nonne contro la Destra’ scendono in piazza con una grande manifestazione davanti alla Cancelleria a Vienna, in Piazza Heldenplatz, per protestare contro l’avanzata dell’ultradestra, con l’incarico di governo al leader dell’Fpo, Herbert Kickl, e la crescente deriva del Partito Popolare austriaco (Övp).
“In un momento come questo, in cui l’ultradestra sta prendendo piede in tutta Europa, è fondamentale che chi ha vissuto la storia e le sue tragedie non resti a guardare. Non possiamo permettere che il nostro Paese faccia un passo indietro nei confronti dei diritti civili e della democrazia,” sottolinea all’ANSA Susanne Scholl, fondatrice delle ‘Nonne contro la destra’, l’associazione nata nel 2017, dopo che il FPÖ è entrato al governo con il Partito Popolare austriaco (Övp).
“Siamo indignate per la direzione in cui il nostro Paese sta andando, e non possiamo restare in silenzio. Il nostro obiettivo, ora più che mai, è quello di testimoniare la nostra preoccupazione per il futuro dell’Austria: le ‘Nonne contro la Destra’ rappresentano una voce di resistenza, ma la loro missione va oltre la protesta. E’ un appello alla mobilitazione di tutte le forze democratiche e progressiste, affinché l’Austria non perda i suoi valori fondamentali di solidarietà, uguaglianza e diritti umani”, aggiunge Sholl sottolineando il ruolo “cruciale” della società civile.
“Anche l’Övp sta diventando sempre più un partito di destra. Questo è un altro motivo per cui ci battiamo. L’Austria ha bisogno di un partito che sostenga i valori conservatori, ma anche i valori europei e democratici che ci hanno resi un Paese forte e rispettato a livello internazionale. Siamo molto preoccupate per il futuro,” conclude la leader spiegando che “non sono solo le nonne a essere preoccupate per il futuro dell’Austria.
Abbiamo visto crescere una rete di persone di ogni età, dai giovani agli anziani, che si uniscono al nostro movimento. La nostra lotta è una lotta per tutti, non solo per una parte della popolazione. Vogliamo un’Austria aperta, inclusiva, che rispetti i diritti e la dignità di tutte le persone”.
(da Ansa)

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BEFFA PENSIONI, L’INPS: DAL 2027 SI ESCE TUTTI TRE MESI PIU’ TARDI: MODIFICHE SENZA ALCUN PREAVVISO

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

DAL 2029 PER ANDARE IN PENSIONE OCCORRERANNO 43 ANNI E 3 MESI DI CONTRIBUTI O 67 ANNI E 5 MESI DI ETA’

Dal 2027 3 mesi in più e dal 2029 altri 2 mesi per andare in pensione, quando per lasciare il lavoro serviranno ben 43 anni e tre mesi di contributi (contro i 42 anni e 10 mesi di oggi) oppure 67 anni e 5 mesi, anziché 67.
Lo ha scoperto la Cgil che in una nota «esprime profonda preoccupazione per la recente modifica unilaterale dei requisiti pensionistici operata dall’Inps sui propri applicativi, senza alcuna comunicazione ufficiale da parte dei Ministeri competenti e in totale assenza di trasparenza istituzionale» come dichiara Lara Ghiglione segretaria confederale della Cgil nazionale.
I nuovi criteri
Dalle verifiche effettuate, spiega a sua volta Cigna Ezio responsabile delle politiche previdenziali, risulta infatti che l’Inps abbia aggiornato i criteri di calcolo delle pensioni, introducendo un aumento dei requisiti di accesso. Il risultato è che dal 2027, per accedere alla pensione anticipata, saranno necessari 43 anni e 1 mese di contributi, mentre dal 2029 il requisito aumenterà ulteriormente a 43 anni e 3 mesi. Anche per la pensione di vecchiaia si registrano incrementi, con l’età minima che passerà a 67 anni e 3 mesi nel 2027 e a 67 anni e 5 mesi nel 2029.
Dalla Ragioneria stime diverse
Secondo Ghiglione «tali modifiche, se confermate, non trovano alcun riscontro nei documenti ufficiali attualmente vigenti. L’unico riferimento fin qui valido, per le stime future, erano rappresentate nel 25° Rapporto della Ragioneria Generale dello Stato del 2024, che prevedeva infatti per il 2027 nessun incremento e per il 2029 un aumento di soli 1 mese». Insomma, aggiunge la segretaria confederale, «a pochi giorni dall’approvazione della Legge di Bilancio, ci troviamo di fronte all’ennesimo peggioramento del quadro previdenziale che si aggiunge alle scelte già sbagliate di questo governo sul tema delle pensioni. Nonostante i continui slogan e le promesse elettorali di una riforma del sistema previdenziale, come il tanto annunciato superamento della legge Monti-Fornero e il pensionamento con 41 anni di contributi per tutti, la realtà dimostra l’opposto: nuove restrizioni e ulteriori sacrifici a carico delle lavoratrici e dei lavoratori- attacca la segretaria confederale».
Rischio nuovi esodati
Secondo la Cgil «se confermata, questa decisione avrà conseguenze gravissime, aumentando il numero di persone che si troveranno senza tutele, con il rischio di nuovi esodati, come coloro che hanno aderito a piani di isopensione o scivoli di accompagnamento alla pensione. Ghiglione prosegue denunciando «con forza la totale mancanza di trasparenza e chiede immediati chiarimenti all’INPS e ai Ministeri competenti: è inaccettabile che decisioni di tale impatto sociale vengano prese senza un chiaro riferimento normativo e senza un’adeguata informazione».
(da la Stampa)

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I CONTATTI CON I VERTICI DEI SERVIZI IRANIANI DEL GENERALE CARAVELLI DOPO IL SÌ CONDIZIONATO DI TRUMP ALLO SCAMBIO CON ABEDINI (IL TYCOON HA CHIESTO CHE VENISSE FATTO PRIMA DEL SUO INSEDIAMENTO, SCARICANDO L’IMBARAZZO SULL’USCENTE BIDEN)

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

IL PATTO CON LA CIA: GLI 007 ITALIANI HANNO GARANTITO IL TRASFERIMENTO DI TUTTE LE INFORMAZIONI CONTENUTE NEI DISPOSITIVI MOBILI SEQUESTRATI DALLA DIGOS AD ABEDINI… MA C’E’ UN ALTRO “DO UT DES” SUL PIANO POLITICO (L’ACCORDO CON SPACE X PER I SATELLITI DI MUSK)

Per una volta è lui l’uomo-copertina della vicenda, nonostante il suo principale compito sia quello di agire dietro le quinte: ha sbloccato l’impasse con la Repubblica Islamica, dopo aver ricevuto il via libera politico, direttamente da palazzo Chigi, sulla possibilità di offrire come moneta di scambio la scarcerazione – prevista nei prossimi giorni – di Abedini Najafabadi.
Ricevuto il semaforo verde per la liberazione di Abedini, è ri-entrato in scena Caravelli, che ha avviato – fin dal 19 dicembre, giorno della carcerazione di Sala – i contatti con i vertici dei servizi iraniani (il ministero preposto è stato affidato a Esmail Khatib dal presidente Masoud Pezeshkian) che conosce da lustri. È proprio Caravelli che ha convinto i colleghi di Teheran a fidarsi, e ad anticipare il ritorno della giornalista.
La trattativa ha visto fin dall’inizio in campo tre attori. L’Italia e l’Iran e, ovviamente, gli Stati Uniti, che avevano chiesto e ottenuto l’arresto di Abedini per la sua responsabilità nella costruzione dei droni usati dall’esercito della Repubblica islamica.
La richiesta sull’asse Roma-Teheran era palese: la liberazione della giornalista, detenuta nella terribile prigione di Evin, in cambio della scarcerazione dell’ingegnere.
Un sostanziale baratto di prigionieri. Italia e Iran si sono subito accordati sulla possibilità dell’operazione. Inizialmente gli ayatollah hanno detto che non avrebbero liberato Sala se non dopo il ritorno di Abedini: prima vedere cammello.
Dopo il blitz di Meloni da Trump e il sì condizionato del tycoon allo scambio (Trump ha chiesto che venisse fatto prima del suo insediamento, scaricando qualsiasi imbarazzo sull’uscente Biden), Caravelli ha potuto muoversi con più forza nei confronti di Teheran. Chiedendo di invertire l’onere della fiducia: dateci Sala, dopo vi daremo Abedini. Il regime ha accettato.
Ma cosa ha convinto il futuro inquilino della Casa Bianca a digerire il “no” italiano all’estradizione dell’ingegnere considerato un terrorista, reo di aver contribuito a far uccidere militari statunitensi?
Due rassicurazioni da parte di Roma. In primis, l’intelligence italiana ha garantito alla Cia il trasferimento di tutte le informazioni contenute nei dispositivi mobili, pc e smartphone sequestrati dalla Digos ad Abedini il giorno della cattura.
Materiale preziosissimo per gli agenti di Langley: possono impiegarlo per operazioni di contro-spionaggio e conoscere le tecnologie adoperate dagli ayatollah, oltre che la rete di contatti dell’iraniano.
Fin qui il do ut des sul piano dell’intelligence.
Ma c’è un altro livello, quello politico. Come emerso, la missione di Meloni a Mar-a-Lago è stata necessaria a fornire adeguate garanzie al futuro inquilino della Casa Bianca: il governo italiano rischia di dover pagare un prezzo politico che sarà tutto da calcolare nella lealtà all’amministrazione repubblicana. C’è chi mette in relazione questa vicenda anche con il possibile accordo con SpaceX per i satelliti di Musk. Restano ipotesi, la realtà sarà tutta da vedere.
(da editorialedomani.it)

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PESSIME NOTIZIE PER I CONTI PUBBLICI (E PER GIORGETTI): NEL 2023 L’EVASIONE IVA È AUMENTATA DI 7,8 MILIARDI DI EURO RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE. E QUESTO RENDERÀ PIÙ DIFFICILE TAGLIARE LE TASSE

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

CON IL CALO DELLE “RISORSE AGGIUNTIVE” DA UTILIZZARE PER RIDURRE LA PRESSIONE FISCALE, IL MEF DOVRÀ TROVARE FATICOSAMENTE ALTRE COPERTURE, FACENDO SEMPRE I CONTI CON IL NUOVO PATTO DI STABILITÀ

Non è solo un problema statistico e un grattacapo politico. L’aumento dell’evasione Iva che secondo la Commissione europea si è registrato nel 2023 (leggi) in Italia e in altri grandi Stati Ue potrebbe avere nei prossimi anni ricadute non indifferenti sui nostri conti pubblici e sulle tasche dei contribuenti. Perché quel dato è direttamente collegato con l’ammontare delle risorse a disposizione per tagliare le tasse.
E’ proprio partendo dal recupero di evasione calcolato nella relazione che il Mef stabilisce quanta parte di quelle somme può essere considerata una maggiore entrata permanente ed essere trasferita in un fondo speciale da utilizzare per ridurre la pressione fiscale.
Stando alle ultime relazioni, l’evasione Iva è fortemente calata tra 2017 e 2021 scendendo da 35,6 a 17,8 miliardi, anche grazie a fatturazione elettronica, meccanismi contabili come lo split payment, misure che rafforzano la tracciabilità delle operazioni e ampliamento dei bonus edilizi. Lo scorso ottobre, nel Piano strutturale di bilancio che ha sostituito la Nota di aggiornamento al Def, i tecnici del Mef usando una metodologia meno accurata sono arrivati invece alla conclusione che nel 2023 c’è stato un netto peggioramento della compliance, cioè il rispetto delle norme fiscali.
Il report della Commissione pubblicato a dicembre contiene cifre più preoccupanti, pur con tutti i caveat del caso (i dati sulla riduzione del tax gap negli anni segnati dalla pandemia potrebbero essere poco solidi). L’evasione Iva nel 2023 sarebbe salita di ben 7,8 miliardi rispetto all’anno prima.
Se dalla relazione 2026 arriverà la conferma di quella inversione di tendenza, magari accompagnata anche da un aumento del gap relativo all’Irpef da lavoro autonomo che percentualmente è salito già nel 2021, le carte in tavola cambieranno.
Le maggiori entrate permanenti si riveleranno, ex post, temporanee. E non ci saranno risorse aggiuntive da utilizzare per il taglio delle tasse. Occorrerà trovare faticosamente altre coperture, facendo sempre i conti con il nuovo Patto di stabilità.
La speranza del ministero di via XX Settembre è che quello scenario non si materializzi. La possibile scappatoia è legata a differenze metodologiche tra le stime Ue e quelle prodotte dalla commissione nominata dal Mef. Quest’ultima tiene conto anche della variazione dello stock dei crediti Iva, cosa che spiega anche il divario tra i rispettivi dati in valore assoluto
Proprio l’andamento dei crediti nel 2023 potrebbe aver contribuito a una riduzione dell’imposta di competenza e quindi della distanza tra l’Iva attesa e quella riscossa. Tradotto: l’aumento dell’evasione Iva sarebbe stato più contenuto rispetto a quanto fanno temere le valutazioni di Bruxelles. Al momento la spada di Damocle resta.
(da agenzie)

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LA CRISI SENZA PRECEDENTI DELLA SANITA’: PERSI 28 MILIARDI DI EURO IN 11 ANNI

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

NEL 2023 E’ RADDOPPIATA LA SPESA PER I MEDICI A GETTONE

La sanità pubblica italiana sta affrontando una «crisi del personale sanitario senza precedenti», che ha portato negli ultimi undici anni a oltre 28 miliardi di euro persi, di cui più della metà nel solo periodo 2020-2023. A lanciare l’allarme è Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, durante l’audizione alla commissione Affari sociali della Camera. L’indagine conoscitiva della fondazione ha rivelato che tra il 2012 e il 2023 «il capitolo di spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente è stato quello maggiormente sacrificato».
La spesa del Ssn per il personale sanitario
In termini assoluti, si è passati dai 36,4 miliardi di euro del 2012 ai 40,1 miliardi del 2023. Ma se si guarda alla spesa in termini percentuali sulla spesa sanitaria totale, si passa in undici anni dal 33,5% al 30,6%. «Il Servizio sanitario nazionale – ha detto Cartabellotta nel corso dell’audizione – sta affrontando una crisi del personale sanitario senza precedenti, causata da errori di programmazione, dal definanziamento e dalle recenti dinamiche che hanno alimentato demotivazione e disaffezione dei professionisti verso il Ssn». Secondo il presidente della Fondazione Gimbe c’è bisogno di un rilancio delle politiche per il personale sanitario. Altrimenti, avverte, «l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni di salute delle persone, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute»
Il fenomeno dei “gettonisti”
Tutto ciò mentre nel 2023 la spesa per i gettonisti, un fenomeno che il governo si è impegnato a contrastare, è raddoppiata rispetto all’anno precedente. Si tratta, in poche parole, di liberi professionisti che prestano servizio presso gli ospedali ricevendo un compenso per coprire singoli turni, che in genere è molto più elevato di quanto percepiscono i medici dipendenti. Secondo un report dell’Autorità nazionale anticorruzione, nel 2019 la spesa per i medici a gettone era di quasi 580 milioni di euro. Nel 2020, il valore è crollato a 124,5 milioni, per poi risalire negli anni 2021-2022, fino a raggiungere, nel solo periodo gennaio-agosto 2023, 476,4 milioni di euro, un valore doppio rispetto all’anno precedente. «La crisi del personale sanitario – ammonisce ancora Cartabellotta – non è solo una questione economica, ma una priorità cruciale per la sostenibilità del Ssn. Liste di attesa interminabili, pronto soccorso affollati, impossibilità di trovare un medico di famiglia hanno un comune denominatore: la carenza di professionisti sanitari, la loro disaffezione e il progressivo abbandono del Ssn».
(da Open)

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CARI DATORI DI LAVORO, SE VOLETE PERSONE QUALIFICATE LE DOVETE PAGARE

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

SECONDO IL REPORT ANNUALE DI EUROCHAMBRES, L’ASSOCIAZIONE EUROPEA DELLE CAMERE DI COMMERCIO, IL COSTO DEL LAVORO E LA MANCANZA DI LAVORATORI CON COMPETENZE PIÙ RICHIESTE DAL MERCATO SONO LE PREOCCUPAZIONI PRINCIPALI DELLE 42 MILA IMPRESE DEI 27 PAESI UE

Per tre anni di seguito le difficoltà di accesso all’energia e alle materie prime a costi ragionevoli sono state in cima alle preoccupazioni degli imprenditori europei, certificate dal report annuale di Eurochambres, l’associazione europea delle Camere di Commercio. Ma quest’anno sono le preoccupazioni legate al lavoro a balzare ai primi due posti.
Dall’indagine 2025, diffusa a fine dicembre dall’ultimo numero di “Unioncamere Economia & Imprese”, emerge che il costo del lavoro e la mancanza di lavoratori dotati delle competenze più richieste dal mercato sono considerate le due sfide di maggior peso dalle 42 mila imprese dei 27 Paesi Ue che hanno partecipato all’indagine. Al terzo posto le pastoie burocratiche
I salari nominali sono previsti in crescita in media di un 3% annuo nei prossimi trimestri. Un tasso non eccessivo, al quale però vanno aggiunti anche gli altri costi legati al lavoro: tassi, sussidi, contributi sociali e di sicurezza.
I datori di lavoro subiscono anche l’impatto della fine definitiva dei sussidi dovuti alla pandemia. La carenza di lavoratori è altrettanto grave, dovuta a una combinazione tra invecchiamento generale della popolazione e riduzione progressiva dei giovani: la caccia al lavoratore in un mercato sempre più “ristretto” è una ulteriore spinta verso l’alto dei salari, perlomeno per le figure più richieste.
E ci sono poi le nuove professionalità che servono per far fronte alla transizione energetica, climatica e digitale: solo nel settore green serviranno da qui al 2030 dai 30 mila ai 100 mila nuovi specializzati, secondo le previsioni della Commissione Ue.
Preoccupazioni pienamente condivise anche dagli imprenditori italiani (che forse però sono meno inclini rispetto ai loro colleghi del resto della Ue a considerare il new normal gli ennesimi rincari dell’energia): lo scorso dicembre su 356mila assunzioni previste dalle imprese, certifica Unioncamere, circa 174mila profili risultavano di difficile reperibilità, pari al 48,9%. Se poi si guarda a settori come quelli degli operai specializzati, il tasso di difficile reperibilità supera il 70%.
(da la Repubblica)

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ALTRO MIRACOLO DI SGARBI: UNA COPIA DEL PERUGINO TRAMUTATA IN ORIGINALE

Gennaio 9th, 2025 Riccardo Fucile

IL QUADRO RESTAURATO E AUTOCERTIFICATO

Togli una freccia, taglia la tela e salta fuori un “Perugino”. Il risultato finale resta alquanto dubbio ma soprattutto non c’è esperto nel campo dell’arte che sia disposto a crederci.
Nella Valle dei Templi di Agrigento fino a pochi giorni fa c’era una mostra intitolata “I tesori d’Italia” curata da Vittorio Sgarbi e impreziosire l’offerta culturale un martirio di San Sebastiano attribuito al Perugino, il più importante pittore del Rinascimento. A organizzarla è il sodale Gianni Filippini, insieme alla moglie Florinda Vicari, con cui Sgarbi è a processo ad Imperia per aver tentato di esportare illecitamente un Valentin de Boulogne: chi entra nel Parco archeologico paga 15 euro di biglietto e tre, anche senza metter piede alla mostra, vanno agli organizzatori.
Il dipinto è forse il pezzo forte delle sette opere prestate dalla Fondazione Cavallini-Sgarbi, tanto che nelle carte di Imperia era una delle alternative da vendere per “fare cassa”: “Vittorio mi scrivi i prezzi del Perugino e del De Boulogne per favore?” chiedeva Filippini in quel febbraio 2020. Peccato che ad attribuire quella tela al Perugino sia sempre e solo Vittorio Sgarbi, che incidentalmente ne è anche proprietario. E che pure questa, come quella del Manetti per cui rischia il processo a Macerata, ha una storia alquanto singolare fatta di alterazioni materiali e riproduzioni digitali.
Il soggetto riprende un motivo classico di Perugino – quello del supplizio di San Sebastiano – già codificato in un originale ed autografo, datato al 1490 ca., custodito del museo Nazionale di Stoccolma. Rispetto a quello, però, la versione di Sgarbi presenta alcune differenze: il perizoma del Santo è rosso anziché grigio, un iris in basso a destra diventa uno stemma con scudo cardinalizio color porpora. Da dove arrivi quel “tesoro d’Italia” nessuno lo dice, ma arriva dalla Francia.
Una tela molto (ma molto) simile fu battuta a Parigi nel 2010. Era però datata 1500-1599, le sue dimensioni erano192 cm di altezza e 82,5 di larghezza. La scheda la indicava come opera di un “seguace del Perugino”, come copia coeva o successiva. L’attribuzione non è un dettaglio ma vale la differenza tra 10mila euro e un milione. E infatti, è stata aggiudicata per 9.666.
Nel 2014 una tela molto (ma molto) simile compare in una mostra al Castello di Miradolo, ai piedi delle colline di Pinerolo. Il catalogo firmato dallo stesso Sgarbi non indica la provenienza e la presenta come “inedito” e “autografo del Perugino”. Accidenti però, sembra proprio la stessa venduta quattro anni prima a Parigi per meno di 10mila euro, salvo alcuni particolari: manca la freccia piantata nel costato sinistro del Santo, misura in altezza 20 cm in meno. E qui la storia, a quanto pare, si ripete.
Quella tela per due anni è stata nel laboratorio di Gianfranco Mingardi, lo storico restauratore di oltre 200 opere di Sgarbi, compreso il Manetti, che risulterà identico a quello rubato a Buriasco e il Valentine esportato illecitamente. A Mingardi arriva a settembre 2012. L’incarico è di ripulirla e sistemarla. “Sgarbi la comprò da un antiquario della zona di Pinerolo – racconta al Fatto – . Gliel’ho sempre detto che non è un Perugino. Era di epoca successiva, un dipinto su tavola trasportato nell’800 su tela e rifoderato a cera negli anni Sessanta, il peggio che un quadro possa subire, perché la cera penetra e altera il tessuto cromatico. Lui mi chiese di pulirlo e così feci”. La fattura che Sgarbi non pagò mai recita: stuccature, rimozione rintelli a cera-resina, consolidamento supporto e colore, telaio nuovo, ritocco abrasioni… Del resto era di 11mila euro, più del prezzo di acquisto.
Stando alle foto delle lavorazioni eseguite da Mingardi fino alla riconsegna, a ottobre 2014, l’intervento non si era limitato alla sola pulitura. “Sgarbi mi chiese di riportarlo il più possibile allo stato originario”. In che modo? “Tolsi quella freccia perché nell’originale non c’era, così come 20 cm di tela superiore che erano stati aggiunti”. Il risultato è che il dettaglio diverso sparisce e l’altezza, portata a 174 cm, ora coincide esattamente con la versione originale di Stoccolma, cui Sgarbi nel catalogo paragona il suo. Riappare poi nel 2017 a Urbino nella mostra “Rinascimento segreto” dove Sgarbi la accredita sempre al Perugino paragonandola a quello svedese. Anche così, però, non c’è esperto al mondo disposto a riconoscerlo come tale.
“Vittorio è anche un amico, ma son certa sia una copia” dice Vittoria Garibaldi, docente alla Sapienza che fu ispettore e sovrintendente in Umbria e Marche, direttrice della Galleria Nazionale dell’Umbria. Sul Perugino ha curato fior di mostre, monografie e cataloghi. “Saltano all’occhio enormi differenze stilistiche e tecniche, dai colori alla composizione del paesaggio, tutto”. Raddoppia Antonio Natali, per 10 anni direttore degli Uffizi: “E’ solo un’opera che si rifà all’altra, sull’autografia non spenderei un euro”. Entrambi rimandano a Francesco Mancini, già docete di storia dell’arte a Perugia, tra più autorevoli studiosi del Perugino. “Mai visto prima, è una discreta copia dell’epoca. Per questo, forse, appare in mostre periferiche che sfuggono alle obiezioni degli esperti”. Sarà un caso, ma quando fu proposto a una nota banca, gli esperti la bocciarono come non originale.
Una certezza però c’è: nel 2022 Sgarbi fece portare quel dipinto a Correggio ai titolari di G-Lab per farlo riprodurre, così come fece con la Cattura di San Pietro di Rutilio Manetti. Lo scopo dei cloni non è ancora stato ancora chiarito. Di certo però nel 2021 a Lucca finì in mostra la copia, mentre l’originale, stando anche alle carte di Imperia, era candidato alla vendita all’estero così come il “Perugino”. Oltralpe fini poi il de Boulogne, privo pero di un attestato di libera esportazione.
(da ilfattoquotidiano.it)

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