Destra di Popolo.net

LA SANTADECHÈ SMENTITA IN DIRETTA: LA “PITONESSA” HA DETTO CHE LE SUE DICHIARAZIONI RIPORTATE SU QUATTRO GIORNALI, OGGI, ERANO “RICOSTRUZIONI FANTASIOSE”, E DI NON AVER MAI PRONUNCIATO IL “CHISSENEFREGA”

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

MA “LA STAMPA” PUBBLICA L’AUDIO INTEGRALE DEL COLLOQUIO CON I QUOTIDIANI. E C’È TUTTO, COMPRESO IL “CHISSENEFREGA” RELATIVO ALLE CRITICHE DEL PARTITO, E LA SBERLA ALLA DUCETTA (“L’IMPATTO SUL MIO LAVORO LO VALUTO IO”)

La nota de La Stampa”
“La ministra Daniela Santanché ha detto che «i giornali posso scrivere quello che vogliono ma non scrivere quello che non ho detto». Ha poi parlato di «ricostruzioni fantasiose di mie dichiarazioni che non hanno niente a che fare come me» e di «pregiudizio di certa stampa che non si ferma davanti a niente».
Infine ha rivelato di essere «fortunatamente in possesso di una registrazione che dimostra quale sia la verità», del colloquio avvenuto lunedì 27 gennaio 2025 sulla banchina dello Yacht Club di Gedda, in Arabia Saudita.
Ecco, certi di rispecchiare questa volontà di Santanché, qui pubblichiamo l’audio per dimostrare l’assoluta fedeltà della nostra intervista, senza pregiudizi, senza fantasia. Solo domande e risposte. Parola alla ministra”
(da La Stampa)

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PERCHE’ MOLTI HANNO RINUNCIATO ALLE PENSIONI ANTICIPATE DOPO LE RIFORME DEL GOVERNO MELONI

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

INASPRENDO I REQUISITI INVECE CHE ALLENTARLI COME PROMESSO, I SOVRANISTI HANNO PRESO GLI ITALIANI PER I FONDELLI

Nel 2024, circa 215mila persone hanno scelto di lasciare il lavoro prendendo la pensione anticipata. Decisamente meno dei 255mila che lo avevano fatto nel 2023. Invece le pensioni di vecchiaia sono rimaste sostanzialmente sullo stesso livello: circa 255mila. Sono lontani i tempi in cui, sulla spinta di Quota 100 lanciata nel 2019, a scegliere la pensione anticipata era quasi il doppio di chi aspettava la vecchiaia. Oggi il sorpasso è chiaro, e lo hanno certificato gli ultimi dati Inps sui flussi di pensionamento.
I motivi di questo declino essere molti, ma è probabile che abbia a che fare anche con le riforme restrittive varate dal governo Meloni. Anche se Fratelli d’Italia è arrivato alle elezioni del 2022 promettendo di aumentare la flessibilità delle pensioni, e la Lega si è impegnata più volte a superare la legge Fornero, di fatto l’esecutivo finora ha reso più difficile accedere alle pensioni anticipate, mentre non ha messo in discussione la norma varata dal governo Monti.
La legge Fornero prevede due modi per lasciare il lavoro. La pensione di vecchiaia si raggiunge con 67 anni di età e 20 anni di contributi versati. Quella di anzianità (o ‘anticipata’) arriva con 42 anni e 10 mesi di contributi – un anno in meno per le donne. Nel tempo, diversi governi hanno lanciato delle possibilità alternative per permettere di lasciare il lavoro in anticipo anche a chi non raggiungeva questi requisiti.
Le modalità principali a disposizione oggi sono Quota 103 (per andare in pensione con 62 anni di età e 41 di contributi), Opzione donna e Ape sociale. Il governo Meloni con la legge di bilancio varata a fine 2023 ha reso gli ultimi due metodi molto difficili da raggiungere, di fatto riservandoli a una nicchia di persone. Questo è vero soprattutto per l’anticipo pensionistico riservato alle donne, che è stato quasi cancellato: nel 2024 solamente 3.489 lavoratrici hanno utilizzato Opzione donna, mentre erano state quasi 12mila l’anno prima e 20mila nel 2021 e 2022
Per quanto riguarda Quota 103, i requisiti sono rimasti gli stessi ma altri cambiamenti hanno scoraggiato i lavoratori. Ad esempio, l’importo dell’assegno. Dall’anno scorso, chi sceglie questa strada riceve una pensione ricalcolata interamente con il metodo contributivo, anche se ha versato dei contributi prima del 1996 e quindi avrebbe diritto a un metodo misto (in parte contributivo e in parte retributivo). In sostanza, questo quasi sempre significa che per andare in pensione prima bisogna accettare un assegno più basso, in alcuni casi di molto.
E non solo. Nel 2024 si è allungata anche l’attesa per ricevere la pensione con Quota 103. La finestra infatti è stata di 7 mesi per i lavoratori privati e di 9 mesi per i dipendenti pubblici, mentre l’anno prima era di 3 e 6 mesi rispettivamente. Perciò bisogna raggiungere i 41 anni di contributi richiesti, e poi aspettare fino a nove mesi di tempo. Non è strano che ci sia chi ha preferito la pensione anticipata della legge Fornero, che con 42 anni e 10 mesi (o anche solo 41 anni e 10 mesi, per le donne) permette di tenersi l’assegno pieno.
Insomma, i mezzi per andare in pensione in anticipo sono diventati più restrittivi e, per chi può accedervi, meno convenienti. Con la legge di bilancio per quest’anno, poi, il governo Meloni non ha cambiato le cose. Ci si può aspettare quindi che anche nel 2025 continuerà la rinuncia alla pensione anticipata. Proprio mentre, nelle ultime settimane, si è iniziato a parlare di un possibile aumento dei requisiti della legge Fornero a partire dal 2027.
(da Fanpage)

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IL RADUNO EUROPEO DEI NEONAZISTI SI TERRA’ IN ITALIA. PAROLA D’ORDINE REMIGRAZIONE

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

APPUNTAMENTO IL 17 MAGGIO A MILANO, L’ORGANIZZA MARTIN SELLNER, ESTREMISTA GIA’ ALLONTANATO DA SVIZZERA E GERMANIA

Ora c’è l’ufficialità, come anticipato da Fanpage.it l’incontro europeo dei sostenitori delle politiche di remigrazione si terrà in Italia, più precisamente a Milano il prossimo 17 maggio. L’annuncio è arrivato questa mattina, con la possibilità di acquistare i biglietti online a 25 euro. C’è anche una formula vip, che costa 100 euro, che permetterà di partecipare a una cena “esclusiva” con i relatori che arriveranno da altri paesi europei, ma anche dagli Stati Uniti.
“Negli USA le deportazioni sono una realtà. In Inghilterra e Germania il dibattito sta ribaltando la situazione. La remigrazione è sulla bocca di tutti. Il 17 maggio daremo a questa visione una forma politica!”, annuncia la mail. Dietro l’evento c’è Martin Sellner, estremista di destra austriaco, che ha fatto dell’impegno per diffondere la parola d’ordine della remigrazione la sua priorità. Dichiarato persona non gradita in diversi paesi, come la Germania e la Svizzera, da cui è stato espulso prima che potesse tenere le sue conferenze, ora ha deciso che l’Italia del governo di Giorgia Meloni è un paese sicuro e fertile per la sua propaganda.
Per l’estrema destra l’espulsione di massa di migranti dagli USA è un’ottima notizia, e la speranza è che le prossime elezioni in Germania e nel Regno Unito possano portare all’affermazione di Alternative für Deutschland e di Reform UK. Ultimamente l’idea della remigrazione sta prendendo piede anche in Italia, l’hanno citata diversi esponenti di Lega e Fratelli d’Italia, compresi il sottosegretario di FdI alla Giustizia Andrea Delmastro, e il deputato leghista Rossano Sasso. Grazie alla trasmissione condotta da Mario Giordano su Rete Quattro, Fuori dal Coro, il dibattito sulla remigrazione è arrivato anche in prima serata.
Ma cosa si intende con remigrazione? L’espulsione non solo dei richiedenti asilo e dei “clandestini”, ma di tutta la popolazione “non bianca” considerata inassimilabile, compresi dunque migranti con posizioni regolari e i loro figli nati in Italia. Un’idea ormai propagandata apertamente da AfD in Germania, con il sostengo di Elon Musk.
n Italia Martin Sellner si appoggia a un piccolo gruppo di militanti “identitari” guidati dal giovanissimo Andrea Ballarati, fuoriuscito da Gioventù Nazionale, la giovanile di Fratelli d’Italia, per fondare l’associazione Azione Cultura Tradizione, attiva tra Como e Milano. Una realtà piccola, quasi insignificante in termini di numeri e peso sul territorio, ma che sta consentendo a Sellner di avere una base operativa in Italia.
(da Fanpage)

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BILL GATES VA ALL’ATTACCO DI MUSK: “È FOLLE, I PAESI STRANIERI DOVREBBERO ADOTTARE MISURE DI SALVAGUARDIA PER ASSICURARSI CHE I SUPER-RICCHI NON INFLUENZINO LE LORO ELEZIONI”

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

“DOVREBBE USARE IL SUO TALENTO PER DARE UNA MANO, INVECE CHE LASCIARSI ANDARE ALL’AGITAZIONE POPULISTA”

Il miliardario Bill Gates attacca l’uomo più ricco del mondo. Senza giri di parole, il fondatore di Microsoft ha criticato Elon Musk per aver promosso politiche di estrema destra negli Stati Uniti e all’estero: «È folle», ha detto in un’intervista, invitando i Paesi stranieri ad adottare delle misure di «salvaguardia per assicurarsi che i super-ricchi non influenzino le loro elezioni».
Definendo Musk «super intelligente», Gates ha osservato come il miliardario dovrebbe usare il suo talento per «pensare a come dare una mano» invece di lasciarsi andare «all’agitazione populista».
Vuole «promuovere la destra ma poi dice che Nigel Farage non è abbastanza di destra. Lui sta con l’AfD», ha spiegato Gates riferendosi all’attenzione di Musk per quanto avviene nel Regno Unito e in Germania, dove è schierato con il partito di ultradestra, ritenuto «l’unica speranza» per il Paese.
L’attacco di Gates apre una crepa nel fronte compatto dei miliardari big tech schierati in prima fila al giuramento di Donald Trump
Ma non è isolato. Fra le poche voci che finora si sono alzate pubblicamente contro il ‘first buddy’ c’è quella di Steve Bannon, l’ex controverso stratega della Casa Bianca durante il primo mandato di Trump.
Da mesi Bannon attacca Musk e il suo strapotere: lo ha chiamato una «persona malvagia» che punta solo ai soldi e si è impegnato a tenerlo lontano dalla Casa Bianca perché, a suo dire, troppo pericoloso. Gates e Bannon sono gli unici ad aver puntato il dito contro Musk, divenuto un fedelissimo di Trump dopo averlo aiutato a conquistare la presidenza a suon di milioni di dollari.
(da agenzie)

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“LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI RIDURRÀ LE GARANZIE PER CHI VA A PROCESSO” : MARGHERITA CASSANO, PRIMA PRESIDENTE DI CASSAZIONE, SI SCHIERA CONTRO LA RIFORMA VOLUTA DAL MINISTRO NORDIO

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

“IL CITTADINO POTREBBE SUBIRE GLI EFFETTI NEGATIVI DI INIZIATIVE DI UN PM AUTOREFERENZIALE CHE NON CONDIVIDE CON I GIUDICI LA CULTURA DELLE GARANZIE DEI DIRITTI FONDAMENTALI”

Margherita Cassano, allieva di Pier Luigi Vigna e Gabriele Chelazzi, la toga che in Suprema Corte scrisse la sentenza definitiva per Dell’Utri sul concorso esterno in associazione mafiosa, è prima presidente di Cassazione, ruolo mai conquistato prima, in Italia, da una donna.
Lei continua a pensare, anche dopo le rassicurazioni fornite da governo e Guardasigilli, che la separazione delle carriere tra pm e giudici danneggi i cittadini?
«Dico che rischia di tradursi, per una eterogenesi dei fini, in una diminuzione delle garanzie del processo».
Perché?
«Perché il cittadino potrebbe subire gli effetti negativi di iniziative di un pubblico ministero autoreferenziale che non condivide con i giudici la cultura delle garanzie dei diritti fondamentali».
Insomma, pm e giudici non andrebbero divisi.
«Più si separano i mondi del giudice e del pubblico ministero, maggiore è il rischio che non vengano rispettate alcune garanzie basilari introdotte dalla recente riforma del processo penale intervenuta nel 2022».
Si riferisce alla riforma Cartabia.
«Quella riforma aveva rafforzato i presupposti per l’iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato a sua tutela, aveva reso inderogabile la completezza delle indagini tese anche alla ricerca di elementi a favore della persona accusata, e imposto scelte ponderate tra archiviazione e richiesta di rinvio a giudizio secondo prognosi anticipate di probabilità di condanna».
La presidente Meloni contesta alle toghe la chiusura al dialogo, “vedono l’apocalisse”. È così?
«Mi auguro che possano realizzarsi positive condizioni di dialogo che richiedono pacatezza, equilibrio, ed effettiva disponibilità a prendere in esame il contributo dei magistrati e degli altri attori del processo».
Il ministro Nordio in Senato ha presentato la riforma come soluzione allo “strapotere dei pm”.
«La riforma Cartabia mira a responsabilizzare il pm attraendolo verso la cultura della giurisdizione a tutela della presunzione di non colpevolezza e della dignità della persona. Mi pare che le scelte che il Parlamento nella sua sovranità si accinge ad operare vadano in controtendenza».
In futuro, vede il rischio che il pm sia sottomesso alla politica?
«La creazione di una magistratura inquirente separata, dotata di poteri assai rilevanti e autoreferenziale anche nella gestione delle carriere grazie alla creazione di un distinto Csm, è destinata inevitabilmente a ingigantire il rilievo del corpo dei pm: creando così i presupposti per successivi interventi di riequilibrio».
(da La Repubblica)

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TRUMP E IL DECLINO DEL POPOLO USA

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

POVERI E INSICURI…LA POLITICA DI TRUMP E’ UNA RISPOSTA SCADENTE E TRUFFALDINA AL RISENTIMENTO DI UN POPOLO ANGOSCIATO E DEMORALIZZATO

Il discorso inaugurale di Trump e i suoi primi decreti esecutivi sono il tipico esordio di un capo populista che promette al popolo di riscattarlo dall’ambascia in cui è caduto e di guidarlo dentro un cammino di rinascita.
Quante volte l’abbiamo visto questo squallido spettacolo, da Mussolini a Hitler a Berlusconi, agli odierni capetti xenofobi europei? In quanti hanno promesso di far tornare grandezza nazionale e prosperità in virtù del loro carisma personale per poi crollare ignominiosamente, e talvolta tragicamente, di fronte a crisi economiche, guerre e revulsioni da parte degli stessi interessi che li avevano favoriti?
È vero che Trump è arrivato al potere grazie a elezioni democratiche, ma la sua vicenda non fa che convalidare il principale argomento contro la democrazia elettiva. Fu Platone a sollevarlo per primo nei confronti di una Agorà ateniese preda di demagoghi al guinzaglio dell’uno per cento dell’epoca (cui Platone stesso peraltro apparteneva).
I processi elettorali sono vittima di forze irrazionali perché presuppongono una capacità degli elettori di valutare candidati e programmi che è palesemente inesistente. Tesi confermata dalla famosa battuta di Churchill, che il più grande argomento contro la democrazia è una chiacchierata di cinque minuti con l’elettore medio. E compensata dall’altrettanto celebre battuta, che il convento non offre di meglio.
La democrazia è vulnerabile alla manipolazione delle oligarchie che sfruttano a loro vantaggio la bassa partecipazione politica e la diffusa disinformazione. Tutto ciò, tuttavia, fino a un certo punto, perché sono poi i disastri finali delle politiche populiste a far ravvedere gli elettori. Dopo averne pagato il prezzo.
Una delle interpretazioni più superficiali del successo di Trump consiste nell’attribuirlo a una reazione dell’elettore americano contro l’immigrazione incontrollata e la cultura woke, come se questi non fossero i triti capri espiatori di una trita tradizione demagogica e fascistoide.
I pontificatori più vacui si spingono fino al punto di spiegare il voltafaccia pro-Trump da parte dei tycoon dell’informazione, fino a ieri democratici, al loro possesso di antenne speciali in grado di captare la rivolta antigay, antistranieri e antiestablishment dell’America profonda, e non al classico salto sul carro del vincitore, anche questo visto chissà quante volte.
Perché l’avventura di Trump finirà come quella dei suoi tristi predecessori europei? Perché la sua formula politica è una risposta scadente e truffaldina al risentimento di masse popolari angosciate e demoralizzate da avversità pesanti come pietre: l’impoverimento del ceto medio e della classe operaia, il degrado della qualità della vita, l’insicurezza verso il futuro, il senso di diritti fondamentali minacciati o perduti come la salute, il lavoro, la dignità personale.
Trump promette una nuova età dell’oro a una popolazione americana il cui degrado psicofisico è sconcertante. Tra i soloni italiani che sproloquiano sugli Stati Uniti ci sono personaggi che parlano di una società americana che non esiste più da cinquanta anni. Gli studi che escono dalle università più prestigiose degli Stati Uniti cercano di spiegare perché una popolazione tra le più longeve, sane e ottimiste del pianeta – quella degli Stati Uniti fino agli anni 70 – si è trasformata in un mezzo ospedale Cottolengo, dove le aspettative di vita si accorciano di anno in anno invece di crescere come nel resto del mondo: 6 anni e mezzo di vita in meno rispetto all’Italia (76,4 contro 82,9) e 3,7 rispetto all’Europa (80,1).
Gli americani di oggi campano quasi due anni e mezzo in meno del 2010 perché campano male. La loro salute fisica e mentale è a pezzi, a causa dell’aumento di povertà, droghe pesanti legalizzate (Fentanyl e simili), suicidi, alcolismo, obesità e Ptsd (disordini mentali dovuti in prevalenza a postumi di guerra).
L’overdose da oppiacei è diventata la prima causa di morte degli americani con meno di cinquanta anni, con oltre 100 mila decessi l’anno (settemila in Europa) equivalenti a due guerre del Vietnam perse ogni anno, e una platea di 10 milioni di consumatori (meno di un milione in Europa). I suicidi sono del 45% superiori alla media europea e in crescita contro un trend mondiale in diminuzione. Gli omicidi, pur decresciuti, sono 5 volte quelli europei e 10 volte quelli italiani, per non parlare del tasso di violenza privata. I sofferenti di gravi stress (Ptsd) sono 16 milioni, il 5% della popolazione: il regalo di decenni di militarismo e di aggressioni estere. Nel Paese più ricco del pianeta la mortalità infantile dal 2019 aumenta invece di diminuire, e nel 2023 è quasi il triplo di quella dell’Italia del Nord (1,9 contro 5,4 nati vivi per mille). I senza casa e senza fissa dimora sono un paio di milioni quasi fuori controllo in California.
I dati sulla statura di una popolazione ricalcano da vicino quelli sul suo reddito e sulla sua salute. Essi documentano come l’americano alto, magro e vigoroso dei film di Hollywood anni 50 esista solo nei sogni di qualche giornalista italiano bisognoso di aiuto. La statura media dei maschi Usa è oggi inferiore di 3-8 centimetri rispetto a quella europea, poiché ha smesso di crescere negli anni 60 assieme al benessere, alla salute e a tutto il resto. I cittadini statunitensi di oggi sono più piccoli, grassi e vulnerabili di quelli europei.
Questi dati non provengono dalla sinistra radicale americana (peraltro scomparsa) ma dagli studi di Putnam (Harvard), Deaton (Princeton) e di una schiera di demografi, storici, sociologi, economisti ignorati dai media mainstream. Questi studiosi mettono in rilievo che il degrado della sostanza umana e naturale della società si è accompagnato negli Stati Uniti a un degrado dell’economia, oggi in mano al capitale finanziario e priva delle infrastrutture indispensabili per ricrescere, a un deterioramento dell’ambiente e a un crollo della coesione sociale di base, cioè della forza vitale di una civiltà.
Ora, per ricostruire un sistema così scassato ci vogliono tempi lunghi, ingenti risorse e progetti politici complessi e di vasto respiro. All’America non mancano certo tempo e risorse. È e rimarrà a lungo una potenza di prima grandezza, dotata delle risorse naturali e tecniche sufficienti a sostenere una rinascita.
Sono i progetti che mancano. Per rigenerare gli Stati Uniti occorrerebbero strategie a tutto campo, visioni del futuro credibili, simili a quelle che hanno salvato il capitalismo americano negli anni 20 e 30, e simili a quelle che lo hanno rilanciato dopo il 1945, nelle vesti di un governo mondiale. Strategie e visioni imperiali, certo. Ma adeguate alle sfide in campo, efficaci e portatrici di prosperità, sia pure a spese altrui.
Non mi pare che le quattro sparate di Trump contro gli immigrati, i competitori commerciali, le energie rinnovabili e le diversità siano anche vagamente assimilabili a una strategia di uscita dal declino. Ma lo stile paranoide della politica americana è un problema del popolo di quel Paese.
La questione per noi rilevante è capire se il populismo trumpiano avrà fine cruenta o pacifica al di fuori dei confini statunitensi.
(da ilfattoquotidiano.it)

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SALVINI STA A TRUMP COME LA RUOTA DELLA FORTUNA STA AL PENTAGONO

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

CRAVATTA ROSSA E FRASI A SOGGETTO: LA MACCHIETTA DELLA LEGA SI VESTE COME IL PRESIDENTE AMERICANO MA SENZA STRATEGIA

Ora si veste come Donald Trump. E ripete le stesse cose che dice Trump. Tipo: “Anche l’Italia come l’America deve uscire dall’Oms”. Solo non fa in tempo a dirle pure lui che quello, l’americano, che non è uno zuzzurellone della politica ma un brutale professionista, ha già cambiato idea perché mica diceva sul serio: minacciava e parlava per ottenere. Mentre lui, l’italiano, parla tanto per parlare. Ragione per la quale, in tutta evidenza, malgrado la cravatta rossa e la camicia bianca, o anzi forse proprio per questo, Matteo Salvini sta al presidente degli Stati Uniti all’incirca come la Ruota della Fortuna sta al Pentagono. Ecco. Il fatto è che c’è rimasto – cosa rara in questi tempi gravi – un sia pure limitato margine di spasso, rappresentato proprio dalle parole (e dalle azioni) del ministro dei Trasporti, vicepremier e segretario della Lega.
Un uomo che nella sua vita ha un solo motivo per essere ottimista: constatare ogni giorno come il suo partito (ma pure il suo governo, le ferrovie e in definitiva il suo paese) possa fare a meno di lui. Egli da qualche mese parla sempre vestito da festa dell’insediamento alla Casa Bianca (alla quale non era invitato), affascinato da parole delle quali sarebbe azzardato dire che conosca il senso. Appagato, si direbbe, dal loro suono. Chissà. Certamente incurante di ciò che queste possano voler dire. O dalle conseguenze che potrebbero avere. Fateci caso. Aveva appena sentito pronunciare a Trump quella frase netta, dura, chiara chiara che risuonava così: “Gli Stati Uniti da oggi sono fuori dall’Organizzazione mondiale della sanità”, che subito, precipitoso come una metropolitana (e soprattutto felice come un bambino) aveva trasformato la mossa del presidente americano in un atto politico italiano. Così: de botto, senza senso. “Abbiamo presentato questa mattina la proposta di legge della Lega per uscire dall’Oms”. E poi: “Quell’organizzazione difende la lobby del farmaco”. Ecco. A parte il fatto che in Veneto il leghista Luca Zaia non sa cosa sia la “lobby del farmaco” ma sa bene che l’Oms ha proprio nel Veneto la sua unica sede europea, a parte questo dettaglio intrapadano, per così dire, la cosa più fantastica è che non appena Salvini ha pronunciato quelle parole, nemmeno dodici ore dopo, Trump ha cambiato idea: “Penso di rientrare nell’Oms”. Quello fa la mossa – ingoia la banana per farne panzana – e lui imita in eccesso. Per mettersi la buccia in testa. Abbiamo una teoria. A noi sembra che Salvini, quando parla, si domandi dentro di sé: “Sarò mica meno di Meloni che va a Washington io?”, e concluda che quando uno non è da meno di Meloni deve imitare Trump. Altrimenti chi glielo faceva fare di trasferirsi a Roma e lasciare il dolce Giambellino, suo quartiere sconsideratamente natio?
(da ilfoglio.it)

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SCHLEIN SENZA CLAMORE HA INIZIATO IL TOUR TRA GLI IMPRENDITORI: OBIETTIVO RICONNETTERE IL SUO PD AL MONDO DELL’IMPRESA

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

DOPO L’INCONTRO CON IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, INIZIA UN VIAGGIO TRA I LUOGHI DELLA VOCAZIONE INDUSTRIALE DEL PAESE, QUELLO DELLE ECCELLENZE E QUELLO DELLE CRISI

Con i lavoratori precari e gli operai in lotta davanti alle fabbriche, certo. Ma anche con gli imprenditori, piccoli e medi, con gli industriali, con chi crea lavoro e produce ricchezza. Il mantra di veltroniana memoria torna utile a Elly Schlein, che in cima alla lista dei buoni propositi per il 2025 ha messo quello di riconnettere il suo Pd con il mondo dell’impresa.
La segretaria è pronta ad avviare una fase di confronto e di ascolto, a occuparsi di più di politiche industriali, dopo aver parlato per due anni principalmente di salario minimo e lotta al precariato.
Del resto, ha iniziato a cambiare registro da qualche mese: a inizio settembre, chiudendo la festa dell’Unità a Reggio Emilia, tra le cinque priorità del suo «progetto per l’Italia», aveva inserito «la politica industriale per la conversione ecologica». Un paio di giorni dopo aveva fatto il suo esordio in presenza al Forum Ambrosetti a Cernobbio e poi, a fine settembre, in un hotel di Milano aveva incontrato una dozzina di banchieri, imprenditori, manager di fondi d’investimento: un paio d’ore a parlare dei rischi della bassa crescita dell’Italia e dei costi sempre più alti dell’energia, che penalizzano le imprese. Un tasto su cui, non a caso, è tornata spesso nelle ultime settimane, incalzando il governo e Giorgia Meloni.
D’altra parte, non è casuale nemmeno la scelta di ripartire in tour per l’Italia scegliendo come prima tappa del nuovo anno il Nord-Est, locomotiva industriale del Paese. Tra venerdì e sabato non ha rinunciato ai suoi “luoghi del cuore”, fermandosi a parlare con gli operai davanti ai cancelli del petrolchimico di Marghera e poi a un presidio di fronte all’ospedale di Santorso, vicino a Vicenza.
Ma gli incontri pubblici tra Mestre, Belluno e Vicenza sono andati un po’ nella direzione auspicata dieci giorni fa da Paolo Gentiloni, al convegno dei riformisti di Orvieto: «Non sono contrario alla propensione della sinistra a rivendicare la vicinanza agli ultimi – l’avvertimento dell’ex premier – però, se non ci facciamo carico dei penultimi, non andiamo da nessuna parte».
La segretaria è consapevole di dover imprimere un cambio di passo, anche comunicativo e di immagine, su questo terreno, per non dare fiato a chi parla di un Pd troppo spostato a sinistra, troppo schiacciato sulle posizioni di Landini e della Cgil, a maggior ragione in vista della campagna referendaria per cancellare il Jobs Act.
Una battaglia, quella sull’articolo 18, non proprio popolare tra gli imprenditori. E, allora, ecco il piano, che vede come regista l’ex ministro Andrea Orlando. A lui Schlein, un mese e mezzo fa, ha affidato il compito di «guidare il percorso che ci vedrà attraversare i luoghi della vocazione industriale del Paese, quelli delle eccellenze e quelli delle crisi».
Orlando, dopo aver lasciato il Parlamento per restare consigliere regionale in Liguria, si è dato da fare. Ha incontrato le parti sociali, sindacalisti come Landini e il collega della Uil Bombardieri, ma anche il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, mentre questa settimana vedrà la presidente dell’Ance Federica Brancaccio.
(da La Stampa)

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SANTANCHÈ “VADO AVANTI ME NE FREGO DEL PARTITO. LA RUSSA SEMPRE CON ME”

Gennaio 28th, 2025 Riccardo Fucile

IL DELIRIO DI ONNIPOTENZA, CHE COPPIA…”NON MI DIMETTO”

«Non vedete come sto? In formissima!». Sorrisone. Svapando con la sigaretta elettronica al molo degli yacht del porto di Gedda, Daniela Santanchè risponde punto su punto alla pioggia di critiche e pressioni che l’ha investita da quando è stata rinviata a giudizio per falso in bilancio.
Replica addirittura con un sonoro «chissenefrega» al pressing di un pezzo importante di Fratelli d’Italia che la vorrebbe dimissionare al più presto; giura che «Ignazio La Russa non mi abbandonerà mai»; a Giorgia Meloni che vuole un confronto e le ha chiesto di considerare bene «l’impatto» del caso Visiblia, risponde così: «Magari devo essere io a valutarlo». Anzi, ha già valutato: «Non mi dimetto, vado avanti, sono innocente».
«Quello che dice Meloni va benissimo, quello che ho dichiarato io è perfetto », esordisce così, in pausa sigaretta, alla cerimonia d’inaugurazione del “Villaggio Italia”.
E perché nel suo partito invece tanti la criticano?
«Ma chissenefrega! Pazienza».
Non si sente lasciata sola?
«Ma è tutta la vita che io conto su me stessa. Io sono quello che sono, nel bene e nel male».
La sua valutazione l’ha già fatta dunque?
«Io non faccio nessun passo indietro, non mi dimetto, l’ho detto chiaro. Ero innocente ieri, sono innocente oggi, sarò innocente domani. Poi se per me si vuole cambiare il diritto e uno è già colpevole con un rinvio a giudizio, si accomodino».
Non è la storia di FdI, sembra essere la sua riflessione.
«Il mio è un partito garantista, che ha sempre avuto questo nel programma di governo, che sta facendo una riforma della giustizia. Mi stupirei se qualcuno chiedesse le mie dimissioni per questo».
Meloni, proprio da Gedda sabato scorso, ha detto che il rinvio a giudizio di per sé non basta per un passo indietro, ma anche che Santanchè dovrà valutare «l’impatto della vicenda Visibilia sul proprio lavoro da ministro». Cosa replica?
«Ma magari l’impatto sul mio lavoro lo valuto io».
Con Ignazio La Russa, suo grande sponsor politico, che si è detta?
«La Russa è un mio amico, abbiamo un rapporto umano, ognuno nel rispetto del suo ruolo, lui come presidente del Senato, seconda carica dello Stato, io come ministro. Una cosa è certa: Ignazio non mi abbandonerà mai. Mai. Ma non come politica: come amica. In politica è molto difficile avere amici, io ho pochi amici. La Russa lo è. E lo saremo nei secoli come i carabinieri».
(da La Repubblica)

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