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MATTARELLA SUONA LA SVEGLIA ALL’EUROPA E AI SOVRANISTI SALVINI E MELONI: “IL ‘NESSUN DORMA’ DI PUCCINI POTREBBE APPLICARSI ALL’UE”

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

L’ASSILLO DI MATTARELLA È L’INERZIA. COMINCIANDO DALLA DIFESA EUROPEA. E CIÒ CHE A QUALCUNO SEMBRA ESAGERATO, OVVERO GLI 800 MILIARDI PER FINANZIARE IL PIANO DI RIARMO, PER IL CAPO DELLO STATO RAPPRESENTA SOLO IL MINIMO SINDACALE

L’Europa dorme sonni profondi ma, quel che è peggio, nessuno la butta giù dal letto. Non si vede traccia di iniziative tese a rendere più salda e più forte l’Unione, al massimo si fa fronte alle urgenze, insomma l’ordinaria amministrazione in tempi che non lo sono, e Sergio Mattarella non maschera l’impazienza da europeista tutto d’un pezzo.
Sembra domandare: se non ora, quando? Significativo che nel simposio annuale con Portogallo e Spagna, ieri a Coimbra, il presidente si sia allontanato dal discorso scritto per segnalare: «La romanza ascoltata poc’anzi, Nessun dorma, potrebbe applicarsi alla nostra Unione».
Per favore qualcuno provveda, le dia una scossa, è l’appello rivolto a 360 gradi e non solo ai leader di casa nostra anche se, certo, Mattarella sarebbe felice di vedere l’Italia protagonista, nel drappello di testa anziché nelle retrovie.
In attesa che recuperi posizioni, il presidente valorizza le proposte formulate da due italiani su incarico della Commissione Ue.
Quelle sulla competitività a firma di Mario Draghi (il capo dello Stato e l’ex premier del «suo» governo sono arrivati al summit insieme, quasi tre ore di chiacchiere durante il volo) e quelle per migliorare il mercato interno presentate da Enrico Letta, già presidente del Consiglio nonché ultimo segretario Dem prima dell’era Schlein. Le proposte ci sono, osserva il presidente: cosa si aspetta a dare un seguito?
L’assillo è l’inerzia, l’inconcludenza, l’inazione. Incominciando dalla Difesa europea. Settant’anni di solenni chiacchiere da quando, fa i conti Mattarella, «nel maggio 1952 fu firmato il Trattato che istituiva la Comunità Europea di Difesa», rilanciata sempre a parole prima dello scadere del millennio: un
esempio da manuale di immobilismo.
E ciò che a qualcuno sembra esagerato, ovvero gli 800 miliardi messi a disposizione da Bruxelles per finanziare il piano di riarmo ribattezzato Readiness2030, per il capo dello Stato rappresenta solo il minimo sindacale. «Un primo fondamentale passo», lo definisce, che testimonia «piena consapevolezza della posta in gioco» e dà prova dei «concretezza».
Altri passi dovranno seguire perché «siamo in ritardo, in rincorsa rispetto agli eventi». Anche qui: nessun riferimento a fatti o a persone, ma tra i politici di casa nostra qualcuno si sentirà fischiare le orecchie.
(da agenzie)

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IL COMMISSARIO UE ALLA DIFESA, KUBILIUS: “GLI STATI EUROPEI HANNO BISOGNO DI INVESTIRE NELLA DIFESA: LE MINACCE DELLA RUSSIA SONO CHIARE”

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

“GLI 007 DI GERMANIA, DANIMARCA E ALTRI PAESI PREVEDONO CHE LA RUSSIA POSSA ESSERE PRONTA PER UNA NUOVA AGGRESSIONE CONTRO GLI STATI MEMBRI DELL’UE E DELLA NATO PRIMA DEL 2030”… È COMPRENSIBILE CHE 340 MILIONI DI AMERICANI NON VOGLIANO DIFENDERE PER SEMPRE 450 MILIONI DI EUROPEI CONTRO 180 MILIONI DI RUSSI, CHE IN TRE ANNI DI GUERRA NON RIESCONO A SCONFIGGERE 38 MILIONI DI UCRAINI”

«Dobbiamo adottare un approccio da “big bang” nella nostra preparazione alla difesa e questo richiede un’azione molto urgente. Ecco perché le nostre consultazioni con i governi sono molto importanti». Il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius, lituano, oggi e domani è a Roma per una serie di incontri e per partecipare alla riunione «E5» dei ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Polonia e Regno Unito. Visiterà anche gli stabilimenti di Leonardo.
Di cosa discuterete?
«L’E5 è un formato molto produttivo. Mostra una sorta di leadership collettiva in Europa, di cui c’è molto bisogno. […]».
Macron si è detto pronto a discutere del dispiegamento in Polonia e Germania dell’ombrello nucleare. Cosa ne pensa?
«Sono gli Stati membri che devono concordare tra loro il tipo di strategie di difesa. L’Ue non competerà mai con la Nato e con gli Stati membri che stanno definendo i loro piani di difesa. Ma possiamo aiutare le industrie a produrre ciò che serve per la difesa».
«I servizi di intelligence di Germania, Danimarca, di altri Paesi prevedono che la Russia possa essere pronta per una nuova aggressione contro gli Stati membri dell’Ue e della Nato prima del 2030. Questo richiede da parte nostra azioni molto urgenti. C’è però una sfida più a lungo termine: la crescente influenza cinese potrebbe richiedere una maggiore presenza Usa nell’Indo-Pacifico, gli americani potrebbero valutare di ridurre la loro presenza in Europa. Da questa prospettiva, gli Stati membri devono pensare a tutto, anche all’ombrello
nucleare, e non devono avere paura di parlarne. La discussione proposta da Macron è abbastanza naturale».
La maggior parte dell’opinione pubblica italiana è contro il riarmo. Perché il piano serve anche all’Italia?
«Per me la questione è: l’Italia sostiene o meno la necessità di rafforzare, in generale, la nostra difesa? Tutti gli Stati Ue hanno bisogno di investire nella nostra difesa perché le minacce della Russia sono abbastanza chiare. Ma le minacce, innescate dalla Russia, possono arrivare facilmente anche da sud: si sa quanto siano fragili Nord Africa e Medio Oriente».
Perché l’Italia dovrebbe essere interessata al piano?
«Perché Readiness 2030 mette a disposizione prestiti sicuri che permettono agli Stati di investire nella loro industria della difesa: significa anche creare nuovi e interessanti posti di lavoro. L’Italia ha una delle industrie della difesa più forti d’Europa e l’economia italiana può beneficiarne molto».
L’urgenza viene dalla guerra in Ucraina?
«È comprensibile che 340 milioni di americani non vogliano difendere per sempre 450 milioni di europei contro 180 milioni di russi, che in tre anni di guerra non riescono a sconfiggere 38 milioni di ucraini. Compete a noi: dobbiamo rafforzare le nostre capacità di difesa a un livello tale da scoraggiare qualsiasi aggressione».
L’Ue deve diventare indipendente dall’industria Usa?
«In caso di aggressione, bisogna essere in grado di riparare i sistemi d’arma, di mantenerli, di produrne di nuovi sul proprio territorio. Ma il mercato europeo della difesa è frammentato, il 20% degli acquisti è stato finora Made in Eu e il 60% dagli Usa».
La soluzione è «comprare europeo»?
«È un obiettivo a lungo termine. Non è protezionismo. Ma per ora ci sono sistemi d’arma che la nostra industria non sta producendo, quindi sicuramente ci approvvigioneremo dagli Usa. Stiamo valutando anche partnership più forti con le industrie di Gran Bretagna e Canada».

(da agenzie)

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LA NUOVA VITA DI PAOLO GENTILONI; VIA LIBERA DEL COMITATO ETICO DELLA COMMISSIONE UE AL SUO NUOVO LAVORO DA LOBBISTA E CONSULENTE

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

L’EX PREMIER E’ DIVENTATO CONSULENTE PER THE EUROPEAN HOUSE AMBRISETTI: UN CONTRATTO DA 30.000 EURO CON L’OK DI BRUXELLES

Archiviata l’esperienza da commissario europeo all’Economia, c’è chi avrebbe scommesso che Paolo Gentiloni sarebbe diventato presto il nuovo segretario del Partito democratico. Elly Schlein, invece, è rimasta saldamente alla guida dei dem, costringendo l’ex premier a cercarsi un nuovo lavoro. Un’impresa
tutt’altro che ardua per chi, come lui, può vantare nel proprio curriculum cinque anni trascorsi alla Commissione europea e un anno e mezzo a Palazzo Chigi. E infatti, pochi mesi dopo il suo ritorno in Italia, Paolo Gentiloni ha iniziato a lavorare come speaker e consulente per The European House Ambrosetti, lo stesso think tank che organizza ogni anno il Forum di Cernobbio.
Il via libera del comitato etico di Bruxelles
Per cominciare questa nuova avventura professionale, scrive Euractiv, Gentiloni ha dovuto richiedere il via libera del Comitato etico indipendente della Commissione europea, chiamato a esprimersi proprio sulla compatibilità con i trattati delle attività che i commissari intendono svolgere al termine del loro incarico. Le regole europee impongono di non rivelare informazioni raccolte durante l’esperienza a Palazzo Berlaymont e di non fare lobbying sulle istituzioni europee su materie di cui loro stessi si sono occupati in passato, almeno per i primi due anni trascorsi lontano da Bruxelles. Il panel della Commissione Ue ha concesso il proprio via libera a Gentiloni per il suo nuovo incarico da Ambrosetti, invitandolo però a gestire «con particolare attenzione» i suoi contatti con gli colleghi dell’esecutivo comunitario.
I precedenti
Daniel Freund, un eurodeputato tedesco eletto con i Verdi, ha criticato la decisione della Commissione europea di autorizzare il nuovo lavoro di Gentiloni. «È completamente assurdo», ha detto l’europarlamentare a Euractiv. In realtà, la decisione di Gentiloni di diventare lobbista/consulente è tutto fuorché insolita. Nel 2016, per esempio, l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso si unì a Goldman Sachs, mentre Charles Michel – ex presidente del Consiglio europeo – è diventato visiting professor della China Europe International Business School. Gentiloni, scrive Euractiv, ha firmato un contratto della durata di un anno con The European House Ambrosetti, che gli frutterà un modesto compenso di 30mila euro.
(da agenzie)

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EMANUELE POZZOLO CACCIATO DA FDI DOPO LO SPARO DI CAPODANNO: “BULLISMO POLITICO, IL PARTITO E’ OSTAGGIO DI QUALCHE DUCETTO”

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

“DA ME SOLO LEALTA’, DA FDI SOLO PRESE IN GIRO”

Emanuele Pozzolo è stato espulso da Fratelli d’Italia. Finisce così la militanza del deputato nel partito di Giorgia Meloni, che ha votato all’unanimità per la sua estromissione. Pozzolo era balzato agli onori della cronaca poco dopo il veglione di Capodanno 2024, quando a Rosazza (Biella) un colpo di pistola ferì Luca Campana, compagno della figlia del caposcorta di Andrea Delmastro, anche lui esponente di FdI. Il colpo partì proprio dalla pistola di Pozzolo, che fu sospeso dal partito e indagato per porto illegale di armi e munizioni.
Pozzolo contro FdI
«Il partito che ho contribuito a fondare e che da sempre riunisce una bellissima comunità di persone e idee, rischia di diventare ostaggio di qualche ducetto che utilizza il bullismo politico per affrontare vicende che meriterebbero altro trattamento», commenta oggi Emanuele Pozzolo in un’intervista a La Stampa. Il deputato mostra una certa insofferenza nei confronti della decisione presa da FdI. E aggiunge: «Alla mia lealtà mi sembra che ultimamente siano corrisposte solo prese in giro».
La ricerca di un nuovo partito
Pozzolo dice di non comprendere le motivazioni della sua espulsione da FdI. Ma assicura che i suoi valori e le sue convinzioni ideologiche non sono cambiati. «Qualcuno si onora di non aver ma cambiato partito nella vita. Io mi onoro di essere rimasto fedele alle mie idee», dice il deputato, lasciando presagire il passaggio a un altro gruppo politico.
Forza Italia e Noi Moderati hanno smentito trattative per un suo eventuale ingresso. E Pozzolo, almeno per il momento, assicura: «Non mi sono posto il problema di andare a cercare un altro partito in cui fare politica».
L’espulsione dopo l’intervista a Report
L’espulsione di Emanuele Pozzolo da Fratelli d’Italia arriva poco dopo le confidenze rilasciate dallo stesso deputato a Report su quanto accaduto al Capodanno 2024. Lui ha ribadito di non aver sparato. E ha pronunciato una frase che forse ha convinto i vertici del partito della premier ad allontanarlo una volta per tutte. «Eravamo tutti dentro», ha detto Pozzolo, smentendo di fatto la versione di Delmastro, che ha sempre sostenuto di non essere presente all’interno del locale al momento dello sparo.
(da agenzie)

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L’INUTILITA’ DELLE PAROLE

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

IL GENOCIDIO DEL POPOLO DI GAZA E LA VIGLIACCHERIA DELL’OCCIDENTE

La morte lenta della gente di Gaza, la fame e la sete dei bambini, il blocco dei soccorsi, non hanno più niente a che fare con una rappresaglia fuori controllo e forse neppure con una guerra. Siamo di fronte a un assedio brutale e implacabile, i cui artefici ammettono ormai esplicitamente che sarà tolto solo quando gli assediati saranno scacciati per sempre dalle loro case.
Siamo arrivati al paradosso, pochi giorni fa, dei vertici militari israeliani che hanno cercato di calmierare, almeno in parte, il furore dei ministri ultraortodossi assatanati. I soldati conoscono direttamente l’orrore del sangue e il peso della morte. Non possono permettersi la leggerezza oscena con la quale i capi politici mandano in guerra il loro popolo, a morire o a uccidere gli altri.
Se si ritiene giuridicamente sbagliata o politicamente inopportuna la parola genocidio, una possibile alternativa è: cancellazione. La cancellazione di Israele, così spesso invocata lungo i decenni da molti dei governi arabi circostanti, ha trovato la sua orrenda simmetria nella cancellazione effettiva, operativa, dei palestinesi di Gaza: che è in atto ora, in questi giorni, adesso
Spiegare la storia tutta intera è sempre importante, ma più importante sarebbe cercare di fermarla quando la storia impazzisce. Emergenza umanitaria vuol dire emergenza umanitaria. Vuol dire che muoiono i civili, le donne e i bambini, e non nella folgore feroce di un attentato o di un pogrom: in un macello lento, lucido e progressivo. Possibile che non si possa fare qualcosa per fermarlo, a parte le stucchevoli parole di condanna, come queste?
(da Repubblica)

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PRESSIONI INTERNE, SPYWARE, COMMISSARIAMENTI: LO STATO DEL GIORNALISMO ITALIANO FINISCE SOTTO ESAME AL PARLAMENTO EUROPEO

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

LA COMMISSIONE LIBERTÀ CIVILI, GIUSTIZIA E AFFARI INTERNI (LIBE) DELL’EUROCAMERA CHIAMA IN AUDIZIONE SIGFRIDO RANUCCI E FRANCESCO CANCELLATO, IL DIRETTORE DI “FANPAGE” SPIATO CON PARAGON… IL CONDUTTORE DI “REPORT” HA RACCONTATO LE QUERELE INTIMIDATORIE, SPIEGANDO DI NON AVER MAI VISSUTO UN CLIMA COSÌ OPPRIMENTE IN 35 ANNI DI CARRIERA, E HA RIFERITO DI VOCI DI TAGLI AL SUO PROGRAMMA

Lo stato di diritto in Italia all’esame del Parlamento europeo. L’audizione in commissione per le Libertà Civili, la Giustizia e gli Affari Interni (LIBE) dell’Eurocamera ha sollevato tutti i dubbi delle istituzioni europee, della politica e delle organizzazioni non governative in tema di libertà civili, diritti umani, giustizia e indipendenza dei media.
Invitati anche i ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, che però hanno preferito disertare la seduta inviando due funzionarie dei rispettivi dicasteri.
Presenti, invece, il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, che ha denunciato numerose pressioni interne alla Rai, e il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, che ha denunciato di essere stato spiato col software-spia israeliano Paragon.
I due reporter hanno parlato dei propri casi in apertura di audizione e proprio Ranucci ha descritto un clima opprimente all’interno dei corridoi dell’azienda radiotelevisiva pubblica.
Una situazione che, ha precisato, non ha mai vissuto in 35 anni di carriera in Rai. Ha poi ricordato l’elenco delle querele ricevute da diversi esponenti della maggioranza, tra cui Ignazio La Russa e Adolfo Urso.
A rispondergli è stato l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini: “Se la Rai la mantiene e se le rinnovano il contratto tutte le sue accuse diventano non vere”.
Pronta la risposta: “Veramente sono un dipendente Rai e quindi non mi devono rinnovare il contratto. Al massimo mi possono licenziare”.
Il conduttore di Report, a precisa domanda, ha inoltre dichiarato che starebbero circolando voci su possibili tagli al suo programma. Cancellato, invece, dice di essere ancora in attesa di una risposta dal Copasir su chi ha autorizzato l’uso di Paragon sui suoi dispositivi.
(da agenzie)

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UN REGALO PER TRUMP, UNA FREGATURA PER I CONTRIBUENTI: PER CONVERTIRE IL BOEING 747 CHE IL QATAR HA DONATO AL PRESIDENTE, SERVIRANNO LAVORI PER PIÙ DI 1 MILIARDO DI DOLLARI: VA SMONTATO, RIMONTATO E ADEGUATO AI LIVELLI DI SICUREZZA ADEGUATI AL CAPO DELLA PRIMA POTENZA MONDIALE

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

DOHA, PER COMPIACERE ANCORA DI PIÙ IL CALIGOLA DI MAR-A-LAGO, HA ORDINATO ALTRI AEREI BOEING PER 200 MILIARDI DI DOLLARI … L’APPROCCIO DI TRUMP AL MONDO, PIÙ CHE TRANSNAZIONALE, È “TRANSAZIONALE”: SE CI GUADAGNA QUALCOSA, FIRMA ACCORDI E ASCOLTA, ALTRIMENTI, BYE BYE

Convertire l’aereo del Qatar nel nuovo Air Force One potrebbe costare più di 1 miliardo di dollari, con centinaia di milioni probabilmente pagati dai contribuenti americani.
E’ quanto hanno spiegato esperti di aviazione a Nbc News, secondo i quali riadattare il jet che la famiglia reale regalerà a Donald Trump con i sistemi di sicurezza e comunicazione adeguati ad un presidente Usa potrebbe richiedere anni.
E forse non sarebbe completato neppure entro la fine del mandato del tycoon nel 2029. “Si prende un 747, lo si smonta, lo si rimonta e poi lo si porta a un livello molto alto”, afferma l’analista e consulente per l’aviazione commerciale e militare Richard Aboulafia a proposito della conversione in quello che Nbc definisce “l’aereo più complicato del pianeta”.
L’Air Force One è progettato per fungere da centro di comunicazione sicuro in volo e prevede anche il comando e il controllo delle armi nucleari, nonché la possibilità per il presidente di impartire ordini alle agenzie militari e governative in caso di guerra o altre emergenze. Gli esperti ritengono che l’idea non abbia alcun senso né dal punto di vista finanziario né pratico, dato che Boeing è già impegnata in un’operaione pluriennale per convertire due 747 in altrettanti velivoli Air Force One.
(da agenzie)

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“MI HANNO VENDUTO AI LIBICI PER MENO DI UNA CAPRA”: LE TESTIMONIANZE DEI MIGRANTI SALVATO DA SOS MEDITERRANEE A BORDO DELLA OCEAN VIKING

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

MIGRANTI CARICATI SU PICK-UP E VENDUTI ALLE MILIZIE LIBICE, UN SISTEMA DI ABUSI RESO POSSIBILE ANCHE DALLE POLITICHE EUROPEE DI ESTERNALIZZAZIONE DELLE FRONTIERE

Intercettati in mare dopo essere partiti da Sfax, riportati con la forza in un Paese non sicuro – proprio la Tunisia – e infine caricati a forza su un pick-up verso un nuovo inferno. Portati al confine con la Libia, sono stati consegnati a uomini armati, picchiati, rinchiusi, ricattati. Non è un episodio isolato. Le testimonianze raccolte da SOS Méditerranée a bordo della nave Ocean Viking
raccontano una prassi ricorrente, brutale, che coinvolgerebbe membri degli apparati statali tunisini nella consegna di persone migranti subsahariane a milizie libiche. “La polizia tunisina ci ha venduto a rapitori, a banditi libici”, racconta Charly, un pittore del Camerun. “Il prezzo era di 150 dinari, circa 25 euro. Meno del costo di una capra”.
Un passaggio di corpi e violenze che si inserisce in una filiera di abusi: arresto in Tunisia, deportazione al confine, prigionia in Libia. Non si tratta più solo di respingimenti o abbandoni nel deserto, ma di un trasferimento forzato.
Diversi sopravvissuti parlano di veicoli della “polizia”, di consegne dirette a “banditi” libici, di centri di detenzione non ufficiali. In questo scambio, i migranti diventano merce: uomini e donne ridotti a oggetti di scambio, strumenti per estorcere denaro alle famiglie, carburante di un’economia fondata sulla violenza.
Francesco Creazzo, portavoce di SOS Méditerranée, ha confermato a Fanpage.it la gravità di quanto emerge. “Le storie che ci raccontano coincidono con quanto altre fonti umanitarie e giornalistiche stanno documentando da diverso tempo”, spiega. “Secondo le testimonianze che abbiamo raccolto a bordo e che sono la nostra unica fonte – chiarisce Creazzo – è possibile che pezzi di apparati statali tunisini, come già avviene in Libia, facciano parte di questo sistema”.
E tutto questo avviene all’interno di un sistema europeo di esternalizzazione delle frontiere che, osserva Creazzo, “produce sempre più sofferenza e sempre più illegalità”.
Avete raccolto numerose testimonianze che confermano una vera e propria rete di tratta, con autorità tunisine coinvolte nella vendita di migranti alle milizie libiche. Possiamo parlare di una pratica sistematica?
Queste sono le prime testimonianze di questo tipo che abbiamo raccolto, anche perché la maggior parte dei soccorsi che effettuiamo avviene sulla rotta libica. Sono le prime testimonianze da noi raccolte in cui inizia a emergere con chiarezza questa dinamica, anche se è una realtà che conosciamo già da fonti giornalistiche e umanitarie. Emerge certo con forza un ulteriore passaggio nella tratta rispetto al passato: persone che partono dalla Tunisia e vengono vendute alle milizie libiche. Una cosa gravissima. Negli anni abbiamo raccolto infinite
testimonianze di persone che affrontano abusi di questo tipo in Libia, ma questa dinamica specifica della “vendita” oltre confine è relativamente nuova.
Considerando che SOS Méditerranée opera principalmente nel contesto della rotta libica, come siete riusciti a entrare in contatto con queste vittime della tratta partite dalla Tunisia?
Le testimonianze che raccogliamo arrivano dalle persone che soccorriamo. Alcune delle persone soccorse, in questo caso, sono partite dalla Libia, dove sono arrivate proprio dopo essere state vendute.
Libia e Tunisia, Paesi con cui l’Italia e l’Europa continua a stringere accordi…
Sì, all’interno di una logica di esternalizzazione delle frontiere e di deterrenza dei viaggi via mare, spesso presentata come una strategia umanitaria da parte dei governi. Ma dietro questa narrazione si nasconde una realtà ben diversa: queste politiche, anziché ridurre la sofferenza, la amplificano. Finiscono per alimentare violenze, abusi e violazioni sistematiche dei diritti umani, come dimostrano le testimonianze raccolte sul campo.
Nel raccogliere queste testimonianze, avete incontrato resistenze o timori da parte delle persone, soprattutto per possibili ritorsioni da parte delle autorità tunisine o dei trafficanti?
No, chiaramente chi offre la sua testimonianze è perché vuole dire qualcosa. Ci sono molte persone che, dopo essere riuscite a fuggire dalla Libia, sentono proprio il bisogno di raccontare la loro storia: a volte per motivi personali, per il bisogno di elaborare un trauma, altre volte per senso di responsabilità verso chi è rimasto indietro. È una cosa che sentiamo spesso: “Lo racconto per i miei fratelli e sorelle che sono ancora là”. Questa è una frase che il nostro equipaggio si sente ripetere molte volte, soprattutto da chi ha vissuto i lager libici.
Nella vostra esperienza di soccorso in mare, avete riscontrato un impatto diretto delle restrizioni italiane e europee, come il decreto Piantedosi, che ostacola il salvataggio e l’assistenza dei migranti?
Siamo in una fase di criminalizzazione del soccorso in mare che va avanti da otto anni, sotto governi di ogni colore. Ognuno ha messo in campo i propri strumenti. L’ultimo è appunto il decreto Piantedosi che, combinato alla prassi dei porti lontani, è un colpo durissimo, sia dal punto di vista logistico che
umano: allunga i tempi e questo significa indirettamente maggior tasso di mortalità perché allontana i soccorritori dalle operazioni.
Queste politiche come hanno influenzato nel concreto il vostro operato?
La distanza dai porti di sbarco che ci vengono assegnati ha aumentato davvero enormemente i tempi di soccorso, mettendo a rischio la vita di chi è in mare.
Il governo italiano giustifica la politica dei porti lontani con l’idea di dissuadere i migranti e fermare gli arrivi. In nome della sicurezza e della protezione delle frontiere, vengono compromessi i diritti umani fondamentali, in particolare il diritto alla vita?
Sì. La ferita inflitta al diritto al soccorso è enorme: chi è in pericolo in mare ha bisogno di soccorso immediato. Le politiche restrittive aumentano il numero delle vittime, e questo per noi è inaccetabile: sulle migrazioni si possono avere idee diverse, ma il diritto-dovere di soccorrere non ha niente a che fare con la politica, è un dovere morale e legale.
Cosa dovrebbe fare concretamente l’Unione Europea per garantire una risposta più coerente e rispettosa dei diritti umani in materia di migrazione?
Noi da anni chiediamo la reintroduzione di una missione di soccorso europea guidata dagli Stati, un sistema di soccorso e accoglienza europeo, che permetta di rispondere prontamente a chi rischia la vita nel Mediterraneo. Le discussioni politiche e diplomatiche si fanno nelle sedi opportune, ma non si può accettare che da anni il diritto al soccorso venga progressivamente eroso e strumentalizzato. Non sono le ONG a politicizzare il diritto alla vita e al salvataggio in mare. Semmai è la politica a farlo, ostacolando l’azione umanitaria e mettendo a rischio vite umane.
(da Fanpage)

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FACT CHECKING SULLA SANITA’, CHI HA MENTITO SUI DATI TRA MELONI E SCHLEIN? LA BUGIARDA E’ GIORGIA, ELLY VINCE 5-0

Maggio 15th, 2025 Riccardo Fucile

TUTTI I DATI CITATI DALLA SEGRETARIA DEL PD SONO VERI

L’intervento di Elly Schlein durante il premier time alla Camera è sembrato essere uno di quelli che ha irritato maggiormente Giorgia Meloni, che prendendo la parola dopo la domanda della segretaria del Pd ha subito commentato: “Collega Schlein, penso che sia sempre un po’ complesso confrontarsi con qualcuno che per fare propaganda è costretto a mentire”.
L’accusa evidentemente è che Schlein abbia mentito nel corso del suo discorso, in cui ha elencato una serie di dati sulla sanità pubblica prima di chiedere a Meloni perché il governo la stia “smantellando”. Ma è davvero così? Abbiamo verificato ciò che la leader dem ha detto.
Il numero di infermieri e medici che mancano
“La sanità pubblica è al collasso, liste d’attesa infinite, mancano 65mila infermieri, mancano 30mila medici”, ha iniziato Schlein. Due i numeri da controllare: quelli degli infermieri e dei medici che “mancano”.
Per quanto riguarda i primi, che da poco hanno raccontato a Fanpage.it le difficoltà che la categoria affronta, il dato è una stima fatta dalla fondazione Gimbe. Si tratta del numero di assunzioni che servirebbe per portare l’Italia ad essere in linea con la media europea, per quanto riguarda il numero di infermieri ogni mille abitanti.
Sui medici la stima circola da un paio d’anni, l’ha fatta nel maggio 2023 il Forum delle Società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani. Tiene insieme i medici andati all’estero o nel privato, gli specializzandi che servirebbero per sostituire coloro che andranno in pensione nei prossimi anni, e la carenza di medici di famiglia e del Pronto soccorso per raggiungere un buon livello nel rapporto medici/cittadini.
I medici “fuggiti all’estero” e i pazienti costretti a spostarsi
Schlein ha proseguito dicendo che “il personale è stremato, con turni massacranti”, cosa che molte associazioni di categoria lamentano da anni. “Molti sono già fuggiti verso il privato, 40mila medici sono già fuggiti all’estero”.
Questo dato viene direttamente dall’Ordine dei medici, la Fnomceo: si stima che 39mila medici abbiano lasciato il Paese per andare a lavorare altrove tra il 2019 e il 2023, quasi 11mila solo dal 2022 al 2023. Va detto che, come per il numero di medici mancanti, in parte questo risale a prima che il governo Meloni entrasse in carica. Ma le associazioni professionali hanno continuato a lamentare lo stesso problema, e non risulta che la situazione sia migliorata negli ultimi due anni.
“La migrazione sanitaria da Sud a Nord è aumentata”, ha detto Schlein, altro dato confermato più volte dalla fondazione Gimbe.
La migrazione sanitaria avviene quando una persona deve andare in un’altra Regione per curarsi, e spesso gli spostamenti sono proprio dal Sud al Nord. “L’Istat dice che nel 2023 quattro milioni e mezzo di persone in Italia hanno rinunciato a curarsi, di cui oltre la metà per motivi economici. E sono 600mila in più dell’anno precedente”. I numeri, in questo caso, sono corretti e risalgono al 2024.
Lo scontro sulla spesa sanitaria
Poi è arrivato uno dei punto più contestato: la spesa sanitaria. “L’avete portata al minimo storico degli ultimi quindici anni”, ha accusato Schlein. Il punto qui è sempre lo stesso su cui la segretaria del Pd e la presidente del Consiglio si sono scontrate più volte: come calcolare la spesa pubblica in sanità.
Schlein considera la spesa in percentuale del Pil. Cioè non quanti miliardi in assoluto l’Italia mette nel Fondo sanitario nazionale, ma quale percentuale del Pil questa spesa rappresenta. Questo è anche il metodo usato dalla gran parte degli economisti. Meloni invece dice che ha portato un aumento record della spesa sanitaria perché ha aumentato i miliardi investiti (136,5), anche se la percentuale del Pil è scesa al 6,4%, che è effettivamente il minimo da anni.
“L’ho sentita rivendicare un record, ma ogni presidente prima di lei poteva dire la stessa cosa”, ha detto Schlein mostrando un grafico. È vero che negli ultimi
anni, con pochissime eccezioni, la spesa sanitaria è sempre aumentata in termini assoluti. Ma “la spesa sanitaria in tutto il mondo si calcola sul Pil, e con il suo governo è scesa fino al minimo storico”, ha insistito Schlein.
Nella sua risposta Meloni ha risposto su questo punto (mentre ha ignorato i precedenti) dicendo: “Continuo a ritenere che non ci sia alcun nesso logico tra la crescita economica e la qualità del sistema sanitario. Non è che se l’economia va meglio e quelle risorse incidono in modo diverso rispetto alla ricchezza, cambia lo stato del sistema sanitario”.
In questo caso però c’è una falla logica. Il ragionamento di Meloni è: se il Pil aumenta di molto, e la spesa sanitaria resta identica, allora risulterà più bassa in percentuale sul Pil, ma questo non vuol dire che la sanità vada peggio. Peccato che si tratti di parole che non hanno a che fare con la realtà: il Pil italiano non cresce molto in questi, anzi, è tornato ben al di sotto dell’1% di aumento all’anno.
In più, gli economisti guardano alla percentuale del Pil investita in qualcosa perché è un buon modo di capire quanto quella cosa sia importante per il governo. Se il Pil sale, a maggior ragione vuol dire che un governo ha l’opportunità di spendere di più sulla sanità. Se non lo fa per scelta politica, allora la percentuale del Pil resta la stessa o si abbassa. Come è avvenuto, appunto, durante il governo Meloni.
Il “decreto fuffa” sulle liste d’attesa
Infine, Schlein ha attaccato il “decreto fuffa” sulle liste d’attesa, lanciato “a pochi giorni dal voto europeo” lo scorso anno, “senza risorse aggiuntive”. Qui Meloni si è difesa dicendo che “oltre alle risorse che sono nel decreto a cui lei faceva riferimento”, ce ne sono state anche altre. La presidente del Consiglio ha elencato una serie di altre misure portate avanti dal governo, sulla cui efficacia si può discutere, ma qui il punto è solo capire se Schelin stesse effettivamente mentendo per fare propaganda o se l’accusa di Meloni fosse infondata.
Il decreto liste d’attesa è stato annunciato a giugno 2024. Da allora la sua messa in pratica è stata quasi nulla, cosa per cui Meloni ha incolpato le Regioni. Ma c’erano delle risorse aggiuntive oppure no? La presidente del Consiglio ha suggerito di sì, Schlein ha detto di no. Nel testo si parla di euro da investire
solamente in un articolo, quello che riguarda un taglio dell’Irpef sugli straordinari del personale sanitario.
Sommando tutte le spese previste si arriva a circa 580 milioni di euro tra il 2024 e il 2027, e poi circa 165 milioni all’anno da quel momento in poi. Per questa misura fiscale, quindi, erano indicati dei soldi da usare, e dove andarli a prendere. Ma attenzione: la grandissima maggioranza di queste risorse (tutte quelle impiegate dal 2025 in poi) veniva da un fondo già dedicato alla sanità.
Insomma, non sono soldi in più rispetto al previsto: erano già messi da parte per questo scopo. Tutte le altre misure che il governo ha inserito nel decreto (e che Meloni ha anche rivendicato) per migliorare la situazione delle liste d’attesa, invece, non hanno a disposizione nemmeno un euro stando al testo. Anche in questo caso quindi sembra che Schlein non abbia mentito, quando ha detto che non c’erano “risorse aggiuntive”.
(da Fanpage)

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