Destra di Popolo.net

DIMMI CHI VUOI PERDONARE E TI DIRÒ CHI SEI. IN UN SOLO GIORNO DONALD TRUMP HA CONCESSO IL PERDONO A 25 PERSONE TRA CUI EVASORI, BANCAROTTIERI FRAUDOLENTI, LADRI DI BENI PUBBLICI, POLITICI CORROTTI. MA SOPRATTUTTO QUELLI CHE FINANZIANO LE SUE CAMPAGNE

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

TRA I GRAZIATI CI SONO I REPUBBLICANI MICHAEL GRIMM E JOHN G. ROWLAND, CONDANNATI PER FRODE FISCALE. POI C’È EARL LAMONT SMITH, SERGENTE E FERVENTE TRUMPIANO, CHE RUBÒ MIGLIAIA DI COMPUTER DEL GOVERNO. PER NON PARLARE DEL GANGSTER

In un solo giorno Donald Trump ha concesso il perdono presidenziale a 25 persone e commutato le pene ad altre 9. E se c’è un’indicazione da dedurne, è che il capo della Casa Bianca ama evasori, bancarottieri fraudolenti, ladri di beni pubblici, politici corrotti. Soprattutto quelli che lo sostengono e finanziano le sue campagne. Tant’è. Fra i graziati spiccano i nomi dell’ex rappresentante repubblicano di New York Michael Grimm e dell’ex governatore del Connecticut, John G. Rowland, entrambi condannati per frode fiscale.
Ancora, quelli di Jeremy Hutchinson, condannato a 4 anni per aver accettato mazzette quando era senatore in Arkansas, e dei coniugi Julie e Todd Chrisley, due star televisive che avevano truffato fisco e banche per 30 milioni di dollari per sostenere il loro tenore di vita.Quanto a Earl Lamont Smith, altro graziato, è sergente della riserva e fervente trumpiano, che nel 2010 rubò migliaia di computer di proprietà del governo, per rivenderli e intascare il guadagno. Dulcis in fundo, grazia anche per Imaad Zuberi, grande donatore di Trump, condannato a 12 anni per violazione della legge sul finanziamento elettorale e ostruzione della giustizia.
Un caso a parte e molto controverso è la commutazione di sei ergastoli decisa da Trump per Larry Hoover, già fondatore e capo della Gangster Disciples, banda criminale di Chicago che negli Anni Settanta arrivò ad avere 30 mila membri. In carcere dal 1997, condannato per omicidio, estorsione, riciclaggio e spaccio, Hoover, che ora ha 74 anni, non uscirà di galera perché deve ancora scontare 200 anni di condanna statale in Illinois.

(da Corriere della Sera)

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CHI E’ L’AGENTE DELL’ANTITERRORISMO “INFILTRATO” IN POTERE AL POPOLO

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

PER FARLO OCCORREVA L’AUTORIZZAZIONE DELLA MAGISTRATURA… A CHE TITOLO I PARTITI POLITICI VENGONO SPIATI E DA CHI?

Il giovane sarebbe rimasto tra le file del partito per dieci mesi, partecipando a tutte le principali iniziative. I primi dubbi sono sorti dopo la manifestazione del Primo maggio. presentate tre interrogazioni al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi
Era un agente della «antiterrorismo» il giovane 21enne che per 10 mesi avrebbe militato sotto copertura nelle file di Potere al popolo. L’agente, classe 2004 e uscito dalla scuola di polizia nel 2023, sarebbe stato prima assegnato alla Questura di Milano, poi trasferito alla «antiterrorismo». A svelarlo sono gli stessi documenti del ministero dell’Interno, citati nell’edizione odierna del Fatto Quotidiano. A partire dal settembre 2024, poi, il giovane compare tra i militanti di Potere al popolo: «Si è presentato a noi come uno studente fuori sede, proveniente dalla Puglia», aveva raccontato il
portavoce del partito, Giuliano Granato, a Fanpage. Ed effettivamente il legame con la Puglia l’agente non lo ha mai perso negli ultimi dieci mesi: stava a Napoli, «studente alla Federico II», fino al venerdì per poi rientrare a casa nel weekend.L’attività in prima linea poi i primi dubbi: «Usava il suo vero nome, abbiamo trovato foto in divisa»
Mentre era a Napoli, però, era sempre in prima linea in tutte le iniziative di Potere al popolo: «Ha partecipato a blocchi degli sfratti, lotte studentesche e anche ai momenti nazionali di Potere al popolo. Non mancava mai», ha racontato ancora Granato. I dubbi sono poi scattati dopo la manifestazione del Primo maggio, quando il giovane è stato visto in un ristorante seduto al tavolo con due uomini in giacca e cravatta. Le prime indagini, però, non avevano dato nessun riscontro: il giovane agente, pur «sotto copertura», aveva sempre usato il suo vero nome e dai social non compariva alcuna foto che lo ritraesse in divisa. Solo un’analisi più accurata della sua rete di contatti ha permesso ai membri di Potere al popolo di scovare l’occupazione del 21enne.
La versione «ufficiale» e le interrogazioni parlamentari a Piantedosi
Le «fonti qualificate», scrive ancora il Fatto Quotidiano, al momento negano, anche perché l’attività degli agenti sotto copertura deve per legge coinvolgere anche l’autorità giudiziaria. Per far chiarezza su questo punto, nei prossimi giorni le opposizioni avrebbero intenzione di presentare tre interrogazioni al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. «Già girano le prime versioni per insabbiare e spargere fumo sul caso», ha denunciato Peppe De Cristofaro, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra al Senato. Le altre due sono portate avanti dal Pd, con i deputati Chiara Gribaudo e Mauro Berruto, e dal Movimento 5 Stelle, a firma della deputata Gilda Sportiello.

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MACRON ATTACCA ISRAELE: “LO STATO PALESTINESE E’UN’ESIGENZA POLITICA”

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

POI L’INVITO A TRUMP: “SANZIONI MOSCA SE NON VUOLE PERDERE CREDIBILITA’”

Da Singapore, in una conferenza stampa, il presidente francese ha ribadito la necessità di mettere ulteriore pressione a Mosca. Su Gaza, invece, ha insistito sulla necessità di un maggiore impegno
umanitario da parte di Israele, minacciando un fronte unico europeo contro Tel Aviv
Le sanzioni alla Russia, in caso di ennesimo rifiuto di un cessate il fuoco, sarebbe da parte degli Stati Uniti un semplice «test di credibilità». Insomma se davvero – come si è detto negli ultimi giorni – il presidente americano Donald Trump è così «impaziente», non mancherà di «confermare il suo impegno a colpire Mosca». È il presidente francese Emmanuel Macron a suonare ancora una volta la carica contro il leader del Cremlino, Vladimir Putin, chiamando a raccolta le grandi potenze occidentali e spronando anche Washington a mettere ulteriore pressioni verso una tregua. «Ho parlato 48 ore fa con il presidente Trump. La domanda ora è: cosa facciamo?», ha detto durante una conferenza stampa a Singapore, una delle tappe del suo viaggio nel Sud-Est asiatico. «Noi europei siamo pronti, se la Russia conferma di non essere pronta a fare la pace gli Stati Uniti devono sanzionarla».
Gaza, Macron: «Riconoscere uno Stato palestinese è un’esigenza politica, l’Europa più dura contro Israele se non cambia nelle prossime ore»
L’impegno per Emmanuel Macron non si ferma al suo ruolo di rappresentante (di spicco) dei «Paesi volenterosi». Altro focus a livello internazionale è ovviamente anche il conflitto a Gaza, in merito a cui l’inquilino dell’Eliseo continua a ribadire con fermezza la sua posizione. «Riconoscere uno Stato palestinese non è semplicemente un dovere morale, ma un’esigenza politica». Per raggiungere questo obiettivo, il presidente francese ha stilato una serie di punti che Israele deve garantire. A partire dalla situazione umanitaria – ripristino di acqua, elettricità e flusso di aiuti nonché libera circolazione degli operatori sanitari –, fino a un piano di ripresa e ricostruzione di Gaza. Un progetto a cui Macron sarebbe
disposto ad accettare la partecipazione di alcuni Paesi arabi e che dovrebbe portare a uno Stato «con una nuova governance palestinese, guidata dall’Autorità nazionale palestinese». A stretto giro è necessario ovviamente un immediato e duraturo cessate il fuoco, per cui gli europei dovrebbero impegnarsi «rafforzando la loro posizione collettiva contro Israele se non ci sarà una risposta commisurata nelle prossime ore».
(da agenzie)

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IL FALSO MITO DELLA CINA CAPITALISTA E GLI OCCHI STRABICI DELL’OCCIDENTE

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

COSI’ STA VINCENDO IL MODELLO DI PECHINO

Vengo in questo paese quasi ogni anno da trent’anni. Ho potuto perciò vedere con i miei occhi la stupefacente rinascita di questo Stato-civiltà che ammalia chiunque lo incontri, da amico o da nemico, da alleato a invasore, prima e dopo Marco Polo. Ma è giunto il tempo di fare un inventario dei miei pensieri e dei miei sentimenti verso la Cina, e nelle scorse settimane ho avuto l’occasione di metterli alla prova in una serie di dibattiti ad alta intensità in alcune delle maggiori università del paese. Offro ai lettori un resoconto molto parziale dei temi sui quali mi sono misurato con studenti, professori, dirigenti di partito, giornalisti. Grandi temi, certo, perché tutto è grande nella Cina di questi tempi. E occorrono chiavi di lettura adeguate se non si vuole cadere in balia dei luoghi comuni, delle mezze verità e degli stereotipi. Non c’è un flusso di notizie affidabile su ciò che succede davvero in Cina, su come essa si comporti nella scena internazionale. Credo che la nozione più dura da afferrare per media e governi occidentali è che la potenza cinese attuale poggi su solide basi non-capitalistiche. Il più diffuso luogo comune è quello che pretende di spiegare il miracolo economico della Cina con la scelta di volare sulle ali del capitalismo occidentale per fuggire dall’inferno della povertà estrema in cui essa era piombata dopo la caduta del Celeste Impero. Mao Tse Tung e la rivoluzione comunista del 1949 non sarebbero stati altro che un costoso, eccentrico biglietto di ingresso nella modernità occidentale, perseguita poi fino in fondo secondo una formula autoritaria e nazionalista. La Cina di Xi Jinping, secondo le vittime del suddetto pregiudizio, è una replica tardiva e pericolosa della modernizzazione tedesca, giapponese e italiana del secolo passato destinata a terminare come sappiamo. Salvo una sua conversione dell’ultimo minuto alla democrazia liberale e allo Stato di diritto. Conversione di giorno in giorno più improbabile data la saldezza crescente di un dominio comunista diventato, con le nuove tecnologie, compiutamente orwelliano. La forza di questo stereotipo non è intrinseca, ma è dovuta all’assenza di una concezione antagonista
munita degli adeguati strumenti di contrasto.
L’eresia dei successori di Mao non è stata la conversione alla società del mercato, bensì la scelta di usare il capitalismo invece di distruggerlo, forzandolo a comportarsi come una risorsa al servizio del bene di tutti. Ma la potenza delle idee sbagliate può essere suprema. Lo deduco dal tempo che ha impiegato uno studioso di orientamento socialista come chi scrive per sentirsi in grado di attaccare il mito della Cina capitalista, e dalla timidezza con cui lo stesso governo di Pechino rivendica l’alterità del suo sistema rispetto a un Occidente capitalistico pervenuto alla fase terminale del suo declino.
Durante un dibattito in università, un alto dirigente del Partito comunista ha così motivato la riluttanza del PCC a marcare le basi non-capitalistiche di una Cina aperta al confronto con mercati e Stati esteri: “Primo, il concetto è difficile da spiegare, soprattutto a una audience straniera scettica verso di noi, pronta a considerare propaganda qualsiasi nostra dichiarazione di contenuto fortemente politico. Secondo, non intendiamo dare l’impressione di proporre un modello da imporre agli altri tipo l’esportazione della democrazia promossa dai neocon americani. Terzo, l’idea può essere facilmente distorta e messa in contrasto con la nostra advocacy dei principi di non interferenza e di rispetto della sovranità”.
In effetti, la narrativa di un sistema cinese composto da un’economia largamente capitalistica e di mercato e da uno Stato che non la riflette – perché socialista e orientato a dominarla invece del contrario – non è facile da spiegare neanche agli economisti. Credo che solo i keynesiani più fedeli alle idee originarie del loro maestro siano in grado di comprendere bene questo concetto. Ora non prendetemi per un attempato comunista se vi dico che il potere euristico di questa chiave di lettura è grandioso. Essa vi consente
non solo di risolvere l’enigma del miracolo economico della Cina post-Mao, ma vi permette di stare seduti in prima fila davanti al tramonto di un capitalismo occidentale dove la finanza si ciba dell’industria e del commercio.
Mentre le industrie euroatlantiche soffrono di una cronica caduta dei profitti e sono costrette per sopravvivere a trasformarsi in imprese finanziarie, quelle cinesi realizzano introiti dal 50 al 200% superiori a quelli delle loro controparti occidentali grazie alla riduzione dei costi e dei rischi apportata dalla pianificazione socialista e grazie all’assenza del vampirismo finanziario. Questo elemento è davvero fondamentale. Una delle maggiori risorse del “socialismo di mercato” cinese è un sistema bancario interamente pubblico, che consente di trasformare i risparmi dei cittadini in investimenti produttivi invece che in fiche del casinò finanziario mondiale. Il sistema cinese attuale è andato oltre Marx e molto oltre Keynes. Esso non cerca né di distruggere né di “riparare” il capitalismo, ma di usarne l’immensa forza e dinamicità a scopi di benessere collettivo. Superandolo anche nel campo dello sviluppo delle forze produttive. Come? Per mezzo di un possesso pubblico diretto di tutti mezzi di produzione strategici: il capitale-denaro, la terra, le grandi imprese dei settori strategici e, oggi, anche il mezzo di produzione più cruciale che è l’Intelligenza artificiale. Tutti questi beni, i centri di comando della produzione e della distribuzione, sono di proprietà statale. Il cuore, il cervello e il sistema nervoso dell’economia cinese, perciò, non obbediscono al capitale ma allo Stato. Sono essi stessi lo Stato. Il “corpaccione” materiale dell’economia cinese è invece largamente privato, composto da investitori capitalistici alla ricerca del profitto, del tutto simili ai loro omologhi occidentali. Parlo di milioni di imprese e imprenditori che sono la parte più visibile dell’economia reale più imponente del pianeta, che genera
ormai il 40% della produzione industriale globale. Il software di tutta la baracca è una pianificazione altamente sofisticata, algoritmica, tentativa, collocata agli antipodi della rigida pianificazione sovietica che ha scavato la fossa del socialismo russo. E agli antipodi anche della formula primitiva del capitalismo di Stato adottata in viarie parti del Grande Sud. Il piano quinquennale cinese raramente ha mancato l’obiettivo grazie al suo comando immediato di risorse pubbliche gigantesche, ai suoi megaprogetti infrastrutturali da 6 trilioni di dollari, e al suo potere di indirizzare le strategie delle grandi imprese private.
Questo potere è cresciuto invece di indebolirsi con la crescita del Pil, anche perché l’Intelligenza artificiale ha amplificato di molto la capacità predittiva dei movimenti della domanda. La competizione interna tra imprese cinesi pubbliche e private persiste ed è ancora vigorosa, ma l’intera economia della Cina funziona sempre più come una gigantesca singola corporation in grado di battere qualunque rivale estera grazie… al suo non essere ontologicamente capitalista.
(da Il Fatto Quotidiano)

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NEL PAESE DEL MALAFFARE ECCO MAZZETTE E SINDACI IN MANETTE

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

ORMAI NON SI CONTANO PIU’ GLI ARRESTI DI PUBBLICI AMMINISTRATORI E IMPRENDITORI

Ormai non si contano più le inchieste e gli arresti di pubblici amministratori e imprenditori (legati anche alla criminalità organizzata) per corruzione e appalti truccati. Da Nord a Sud non sono molti i comuni o le regioni immuni da fenomeni di corruzione nella concessione degli appalti, nel rilascio di licenze per costruire, di permessi per aprire attività commerciali, ecc.: gli episodi corruttivi e le turbate libertà degli incanti si contano a centinaia forniscono il quadro di una Pubblica amministrazione corrosa dal fenomeno delle tangenti
L’arte della corruzione nasce e si sviluppa negli uffici pubblici e in quelli di imprese private: la collettività è danneggiata enormemente dalle innumerevoli “cricche” locali, più o meno stabili nel tempo. I “colletti bianchi” della corruzione considerano, invero, il territorio alla stregua di una preda da scarnificare.
Molto frequente è che il corrotto indossi la fascia tricolore di un sindaco. Succede di continuo, ma le tante storie di corruzione locale spesso non escono dai confini provinciali, eppure, messe insieme, esse tratteggiano il quadro in cui il municipio, simbolo più immediato della democrazia, viene svenduto a interessi privati. In tale contesto corruttivo si collocano le recenti inchieste che hanno portato: a) all’arresto del sindaco di Paestum Franco Alfieri – presidente della Provincia di Salerno e fedelissimo di De Luca che lo ha definito “il re delle fritture di pesce” per le sue capacità clientelari – colpito da ben due ordini di arresto, uno per i reati di corruzione e turbata libertà degli incanti, l’altro per il reato di voto di scambio politico-mafioso; b) all’arresto del sindaco di Sorrento Massimo Coppola, colto in flagranza di reato perché intascava una “mazzetta” per un appalto pubblico di un valore complessivo a base d’asta di oltre 4,5 milioni di euro, dopo essere stato in precedenza colto a nascondere 14 mila euro in un panettone; c) all’arresto del sindaco di S. Marina, cittadina che si affaccia sullo splendido golfo di Policastro, Giovanni Fortunato di FI per aver incassato una tangente di 100 mila euro per il rilascio a un imprenditore di una concessione edilizia illegittima per costruire un complesso turistico. La Procura di Lagonegro ha dato atto che già nel 2023 erano stati sequestrati 160 mila euro e ha “delineato l’esistenza di un sistema di gestione della “cosa pubblica” orientata al perseguimento di interessi privati”
L’unica radicale soluzione possibile per contrastare questo cancro è quello di sottrarre ai Comuni la gestione del territorio. È assolutamente necessario togliere loro tutte le competenze in ordine ai piani regolatori e di lottizzazione, alle varianti urbanistiche, al rilascio delle concessioni edilizie e dei successivi certificati di staticità, agibilità o abitabilità e per i cambiamenti di destinazione di uso degli immobili e attribuirle a organi statali quali gli uffici tecnici provinciali delle Sovraintendenze e del Genio civile, integrati tra loro e opportunamente potenziati con uomini e mezzi.
Così come deve essere restituita ai prefetti e ai questori la competenza in tema di rilascio di licenze e autorizzazioni per gli esercizi commerciali. Ma è bene dire subito che una tale riforma, che va a incidere su rilevanti interessi politici ed economici poco trasparenti, difficilmente sarà attuata, considerato anche che l’attuale maggioranza parlamentare è impegnata a garantire sempre più spazi di impunità a pubblici amministratori abrogando il reato di abuso di atti d’ufficio e riducendo irresponsabilmente al minimo la durata delle intercettazioni pur sapendo che si tratta di uno strumento indispensabile per l’accertamento dei reati.
(da ilfattoquotidiano.it)

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SENZA MARTE NÉ PARTE: IL MEGA-RAZZO DI ELON MUSK, STARSHIP, SI SCHIANTA PER LA TERZA VOLTA CONSECUTIVA DA GENNAIO IN FASE DI TEST: IL SOGNO DEL MILIARDARIO KETAMINICO DI PORTARE L’UOMO SUL PIANETA ROSSO SI ALLONTANA

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

E PER LA NASA, A CUI TRUMP HA TAGLIATO DI UN QUARTO IL BUDGET, SO’ DOLORI: SE FALLISCE LA SOCIETÀ DI MUSK, SPACEX, POSSONO DIRE ADDIO ALL’ESPLORAZIONE SPAZIALE

Il razzo di Elon Musk era già in orbita quando l’orizzonte si è messo a roteare. Mentre in Italia era notte, mezz’ora dopo il lancio e all’inizio della fase di rientro, il propulsore ha perso carburante, le oscillazioni sono diventate incontrollabili e Starship — 123 metri di altezza, il razzo più grande mai costruito — è ricaduto giù.
Essendo un test, non c’erano astronauti. A Starship però è affidata un’ambizione grande come le sue dimensioni: riportare gli esseri umani sulla Luna e poi su Marte. Il suo terzo fallimento consecutivo da gennaio — i sei tentativi precedenti l’anno scorso erano andati meglio — ora fa sembrare il cielo, con la Luna e poi Marte, tutti più lontani.
A roteare poi non è solo Starship, ma anche i programmi della Nasa.
L’arrivo del presidente americano Trump ha portato alla riduzione di un quarto del budget dell’agenzia spaziale americana, al taglio del 10% del personale, al probabile annullamento del progetto di costruire un secondo razzo per Luna e Marte chiamato Space Launch System (Sls) e al possibile passaggio in secondo piano della missione verso il satellite rispetto al pianeta rosso.
Per Teodoro Valente, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), parlare di fallimento per Starship è prematuro. «Il lancio è sempre un rischio, specialmente per un razzo pionieristico con un primo stadio di 70 metri e 33 motori. Ora ci saranno altri tre lanci, a distanza di 3 o 4 settimane l’uno dall’altro. Solo dopo potremmo fare bilanci».
Il motto di Musk «fail quickly, fix quickly» (fallisci in fretta, rimedia in fretta) potrebbe riportare il razzo in traiettoria. Sulla rotta della Nasa invece restano le
incertezze. «Il budget con i tagli è stato presentato da Trump al Congresso a inizio maggio, ma c’è stata risposta. Il nuovo direttore della Nasa proposto da Trump è stato audito dal Senato, ma finora non approvato. Siamo impazienti di poter meglio comprendere la linea dell’agenzia spaziale americana per il futuro».
Proprio nella fase delle audizioni era emerso che il candidato alla guida della Nasa, Jared Isaacman, miliardario amico di Musk, fondatore di un sistema di pagamenti elettronici, era stato brevemente arrestato nel 2010 per aver saldato con assegni scoperti un debito al casino. Lui ha spiegato che c’era stata solo un’incomprensione coi gestori.
L’Asi partecipa con la Nasa al progetto Artemis per tornare sulla Luna. «È prevista una stazione spaziale in orbita attorno alla Luna che potrebbe subire revisioni» spiega Valente. «Resta invece l’intenzione di tornare sulla superficie lunare. In assenza di contatti ufficiali con i responsabili della Nasa però ogni piano è prematuro».
Dove batta il cuore di Musk è comunque chiaro. Il progetto lunare «è oggettivamente debole» ha detto ieri in un’intervista su X successiva al lancio, per nulla turbato dal fatto che il razzo della sua azienda SpaceX si era appena sbriciolato in una fontana di scintille.
«L’obiettivo ufficiale di Musk — conferma Valente — è atterrare su Marte senza astronauti nel 2026 e nel 2028. Per la missione del 2030 ha lasciato entrambe le opzioni aperte: robot o astronauti».
In tutti i casi, aggiunge il presidente dell’Asi, «un razzo per arrivare fin lì ci vorrà. E sarà solo la prima delledifficoltà della missione per Marte. Alle condizioni attuali un viaggio che solo per l’andata dura fra 6 e 9 mesi non è fisiologicamente sostenibile per gli esseri umani».
(da agenzie)

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L’UNICO FRUTTO PROIBITO DEI NOSTRI TEMPI È LA CILIEGIA: A MILANO VENGONO VENDUTE A 23 EURO AL CHILO, A ROMA SI ARRIVA A 11 MENTRE A BOLOGNA IL PREZZO SI È ATTESTATO INTORNO AI 20. MA COSA È SUCCESSO?

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

COLDIRETTI STIMA UN CALO DELLA PRODUZIONE DEL 70-80% PER COLPA DEL CLIMA IMPAZZITO. INOLTRE SCARSEGGIA LA MANODOPERA E MOLTI COLTIVATORI HANNO PREFERITO CONVERTIRE I CERASETI IN VIGNETI O ULIVETI CHE RISULTANO PIÙ REDDITIZI E SONO PIÙ FACILI DA COLTIVARE … MA È NEL PASSAGGIO DAI RACCOGLITORI AI GROSSISTI CHE IL PREZZO VIENE POMPATO

Per anni in Puglia si è vagheggiato dell’oro rosso. Il tesoro nascosto che avrebbe potuto far ricchi gli agricoltori. Ora il momento in cui le ciliegie sono diventate preziose come rubini (ma non ancora per i coltivatori) è arrivato. Se ne sono accorti i milanesi, che si sono ritrovati, negli scaffali dei supermercati, il prodotto a 23,3 euro al chilo. La varietà è la Bigarreau. «Figuriamoci quando arriveranno le Ferrovia», prevede Terry De Pietro, di Coldiretti.
Le ciliegie “Ferrovia”, tra le più care insieme alle “Vignola”, prendono il nome dalla leggenda del primo albero, che sarebbe cresciuto da un nocciolo gettato da un treno nel giardino di un casellante nel 1935. Col tempo Turi (Bari) è diventata la capitale italiana: dalla Puglia arriva il 30 per cento della produzione nazionale. Ma il lusso, a Milano, erano le primizie cilene a dicembre, non le Ferrovia a maggio.
Coldiretti stima un calo della produzione del 70-80 per cento. Per il clima impazzito: prima un caldo eccessivo, poi la gelata di aprile, infine le grandinate.
Scarseggia anche la manodopera, tanto che per sopperire, e per ospitare meglio i migranti in arrivo per la raccolta, il Comune di Turi ha messo a disposizione di 90 lavoratori un intero stabile.
Ma per una spiegazione più completa bisogna fare un passo indietro. A maggio 2021, quando a Casamassima gli agricoltori riversavano intere casse di Ferrovia per strada. I grossisti compravano a un euro al chilo.
Troppo poco: molti coltivatori decisero così di convertire i ceraseti in vigneti. O in uliveti. Più facili da coltivare — le olive, se non raccolte in tempo, non marciscono come le ciliegie — e più redditizi, visto l’aumento costante del prezzo dell’olio d’oliva.
Senonché anche le ciliegie, come tutti i “piccoli frutti”, sono sempre più richieste dal mercato: i consumatori non vogliono perdere tempo a sbucciare mele o pere. E così ora a meno di cinque euro al chilo ciliegie negli alberi non se ne trovano più. Neanche tanto, assicura Fanelli: «Un raccoglitore lo devi pagare 70 euro alla giornata ». Il grossista poi fa il suo ricarico, che include anche il trasporto. E così un chilo di ciliegie arriva a 9 (ma può toccare picchi di 13) euro al chilo alla grande distribuzione. E qui può avvenire di tutto: si va dagli 11-12 euro di Roma ai 20 di Bologna e ai 23 di Milano.

(da agenzie)

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IL POLITOLOGO MARCO TARCHI: “LA DESTRA CHIUDE GLI OCCHI SU TUTTO QUELLO CHE DI ORRIBILE ACCADE A GAZA, FRATELLI D’ITALIA NON VUOLE SCREDITARE NETANYAHU. PESA MOLTO LA NECESSITÀ DI SCROLLARSI DI DOSSO QUELL’OMBRA DI NOSTALGIE PER REGIMI CHE HANNO ADOTTATO POLITICHE ANTIEBRAICHE”

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

“NON È UN CASO CHE SIA STATO AFFIDATO A TAJANI IL COMPITO DI PRONUNCIARE IN PARLAMENTO QUALCHE FRASE DI CONDANNA UN PO’ MENO BLANDA”

Professor Marco Tarchi, di fronte alla morte, alla disperazione della popolazione di Gaza, agli aiuti insufficienti e alla fame, perché la politica continua a dividersi anche per una manifestazione?
«Perché, anche in democrazia, l’essenza della politica è il conflitto. Anzi, lo è ancor più che nei regimi autoritari, dove invece si cerca di contenere o reprimere il dissenso e dare l’apparenza dell’unanimità alle decisioni prese da chi governa.
Dove è ammesso ed esaltato il pluralismo, i contendenti puntano ad ottenere il consenso dell’opinione pubblica, e per riuscirci cercano di apparire diversi anche su temi dove in realtà le loro posizioni non sono lontane. Non è facile ammetterlo, ma questa è una delle cause del crescente disagio di molti cittadini che fa crescere i tassi di astensione».

La scrittrice Edith Bruck in una intervista a La Stampa ha chiesto agli organizzatori della manifestazione per Gaza di portare in piazza anche le bandiere di Israele: cosa ne pensa?
«Penso che sarebbe un controsenso: la manifestazione è contro l’azione bellica condotta dal governo (legittimo perché espresso da regolari elezioni) di Israele e punta a rivendicare il diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato. Come dicevo prima, di fronte a un conflitto non si può stare da entrambe le parti.
Come si possono al contempo rivendicare i diritti di un popolo e rendere omaggio, esponendone le bandiere, ad uno Stato che quotidianamente li calpesta favorendo da decenni l’insediamento sul territorio dei suoi abitanti di coloni la cui violenza è ben documentata?
Con l’irenismo e le immagini retoriche edulcorate non si giungerà mai alla risoluzione di problemi così drammatici. Serve invece una forte dose di realismo, che mi pare oggi latitare in tutti i campi».
Perché la destra “fatica” a manifestare su un tema, certamente delicato ma altrettanto importante come Gaza: cosa “pesa” nell’universo di quel mondo?
«Pesa molto, non solo in Italia ma in tutta Europa, la necessità di scrollarsi di dosso quell’ombra che gli avversari le gettano addosso. Per delegittimarla, la sinistra insiste a volerle imputare, con un pesante anacronismo, nostalgie per regimi che hanno adottato politiche antiebraiche, e la sua reazione difensiva è schierarsi a tutti i costi con lo Stato ebraico, chiudendo gli occhi su tutto ciò che di orribile sta accadendo a Gaza.
In altre parole, è l’effetto perverso dell’uso strumentale che viene fatto negli ambienti progressisti del mito dell'”antifascismo eterno” alla Umberto Eco. Fra gli intellettuali di sinistra c’è chi ha iniziato a capirlo, ma per ora è una minoranza lungimirante, ignorata dai partiti».
Una parte di Europa ha duramente criticato il comportamento di Israele, perché il governo italiano è sempre più distante dalle posizioni di molti leader europei?
«In parte per quel complesso a cui ho appena fatto cenno – che però riguarda Fratelli d’Italia, non la Lega o Forza Italia (e non è un caso che sia stato affidato a Tajani il compito di pronunciare in Parlamento qualche frase di condanna un po’ meno blanda). In parte perché non vuole partecipare all’ondata di discredito che sta investendo un governo che, come quello dell’Israele attuale, è descritto – ed è – di destra, se non di destra estrema. Di nuovo, siamo di fronte ad un gioco delle parti che è intrinseco alla politica, e soprattutto all’insistenza nel volerne rappresentare la dinamica in modo duale e manicheo, continuando ad usare il binomio, per tanti versi obsoleto, sinistra/destra».

(da La Stampa)

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UN SONDAGGIO DELLA RIVISTA “NATURE” MOSTRA GLI EFFETTI DISASTROSI DELLA CROCIATA DI TRUMP ALL’ISTRUZIONE: SU OLTRE MILLE SCIENZIATI INTERVISTATI, IL 75% VUOLE TRASFERIRSI IN EUROPA O IN CANADA

Maggio 30th, 2025 Riccardo Fucile

TRA GENNAIO E MARZO 2025 I RICERCATORI USA HANNO PRESENTATO IL 32% DI CANDIDATURE IN PIÙ PER LAVORI ALL’ESTERO RISPETTO ALLO STESSO PERIODO DEL 2024 … TRA I PAESI CHE POTREBBERO TRARRE I MAGGIORI BENEFICI DA UNA FUGA DI CERVELLI AMERICANI, L’ITALIA È AL QUINTO POSTO

Un sondaggio della rivista Nature su oltre mille scienziati americani dice che il 75% sta valutando l’opportunità di trasferirsi in Europa o in Canada. Il National Institutes of Health (Nih) statunitense, un enorme finanziatore della ricerca biomedica che impiega anche migliaia di scienziati nei propri laboratori, è «totalmente in panne e non operativo al momento», secondo un ricercatore che ha parlato alla rivista sotto anonimato. «Non possiamo assumere personale. Non possiamo reclutare personale. Non possiamo parlare con persone esterne. Non possiamo viaggiare».
I dati della piattaforma globale per le offerte di lavoro in ambito scientifico Nature Careers mostrano che tra gennaio e marzo 2025 gli scienziati Usa hanno presentato il 32% di candidature in più per lavori all’estero rispetto allo stesso periodo del 2024. Allo stesso tempo, il numero di utenti statunitensi che cercano lavoro all’estero è aumentato del 35%. «Vedo molta preoccupazione, ma non parlerei ancora di fuga», dice Cinzia Zuffada ex deputy chief scientist presso il Jet Propulsion Laboratory della Nasa e che ha un ruolo di collaborazione con l’agenzia spaziale americana finita sotto la scure di Trump.
«La ricerca ha bisogno di chiarezza sui budget per capire se può assumere e ritenere personale, per pianificare le attività. L’incertezza degli ultimi mesi ha provocato frustrazione, ma lasciare tutto non è semplice. Si tratta di settori specializzati, di laboratori particolari che devono avere dell’infrastruttura essenziale per poter lavorare, e che non è facilmente reperibile con uno spostamento verso l’Europa o l’Italia». Una variabile da considerare è anche l’anzianità di carriera.
«I ricercatori consolidati hanno tutto un ecosistema attorno che non è facile lasciare. Per quelli più giovani, più precari, per i ricercatori che magari hanno appena finito di studiare e contemplavano un’opportunità di lavoro o di postdoc negli Usa e che ora si vedono chiudere delle porte, per loro ha senso ripiegare su altre realtà». In un recente articolo di The Economist che analizza quali Paesi potrebbero trarre i maggiori benefici da una fuga di cervelli americani, l’Italia è al quinto posto, davanti a Francia, Spagna, Norvegia e Svizzera.
Il recente bando di 50 milioni finanziato dal Ministero dell’università e della ricerca per i ricercatori che vogliono trasferirsi nel nostro Paese potrebbe essere un ulteriore incentivo. […] «C’è ancora da lavorare: rispetto al resto dell’Europa noi abbiamo pochi laureati e pochi dottorati e quei pochi vanno via perché non hanno posizioni conformi alla loro formazione».
«Al là del fondo stanziato per attrarre i talenti, che cosa è cambiato nella sostanza?», dice Giovanni Medico, laureato a Torino si occupa di ricerca sui linfomi nel dipartimento di patologia del Weill Cornell Medical College.
«Il problema di quanto lo Stato stanzia per la ricerca biomedica è fondamentale, ma l’altro grande nodo è la burocrazia, che in Italia è troppa e rallenta tutto. Ci vuole una burocrazia più snella per rendere più competitive le istituzioni che acquisiscono quei fondi. Il terzo punto poi è il rapporto con i privati, con le aziende farmaceutiche, che qui in Usa è strettissimo e produttivo». Medico conferma che anche a Cornell – che si è vista congelare un miliardo di finanziamenti dall’amministrazione Trump – la situazione è di estrema apprensione.

(da agenzie)

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