“ADDIO TESSERA”: IL DISAGIO NEI CIRCOLI PD DI BOLOGNA
IL SEGRETARIO DI PARMA: “LA NOSTRA GENTE NON ACCETTA CHE NON SI SIA ANDATI AL VOTO”… IN EMILIA CRITICI ANCHE I RENZIANI
Un iscritto mi ha telefonato proprio stamattina per annunciarmi che avrebbe rinnovato la tessera: ma solo per restituirla un secondo dopo».
Cecilia Alessandrini è già un’ottima incassatrice nonostante i suoi 35 anni. Segretaria del circolo Pd “Joyce Salvadori Lussu”, lo stesso a cui era iscritto Romano Prodi, ha già fronteggiato lo sgomento e la rabbia dei militanti dopo che l’ex premier fu affondato da 101 franchi tiratori mentre navigava alla volta del Quirinale.
Meno di un anno dopo è costretta al secondo round con dubbi, perplessità , interrogativi di una base che può digerire anche brusche inversioni di rotta, ma in cambio chiede trasparenza e partecipazione.
La “staffetta”, come impropriamente viene definito l’avvicendamento tra Letta e Renzi, non convince.
Perchè si fa presto, a dire «primarie», spiega Cecilia, ma si è votato per un segretario e non per un premier.
«E se si deve continuare così», aggiunge, «allora bisogna dire che le primarie del Pd sostituiscono le elezioni nazionali».
Ottanta chilometri più a nord, Lorenzo Lavagetto, segretario del Pd di Parma, riassume i malumori intercettati nella giornata.
«La nostra gente spera che la svolta possa rivelarsi positiva, ma ne sottolinea le incognite – spiega Lavagetto – non accetta che non si sia andati al voto e che un uomo del partito ne abbia silurato un altro dello stesso partito».
Il gigante rosso, il principale serbatoio di voti del Pd, è scosso dall’ennesimo terremoto ai vertici.
«Dateci pure il mitico cambiamento», sembra dire la base del partito, «ma prima spiegatelo a noi e cercate di capirlo voi stessi».
La base Pd è confusa per il siluramento del governo Letta. E c’è chi corre ai ripari. Come fa il segretario bolognese, Raffaele Donini, da sempre attento a preservare l’unità del partito o, quanto meno, a evitare dolorose lacerazioni nell’epidermide del partito.
Al congresso il segretario ha votato Gianni Cuperlo ma è stato eletto attraverso un patto trasversale.
Ora ha convocato i parlamentari bolognesi e organizza riunioni nei circoli per spiegare agli iscritti cosa stia succedendo.
Ma senza cedere di un millimetro rispetto alla necessità della svolta: questa volta, insomma, la dirigenza bolognese non si farà interprete del disagio della base come accaduto la scorsa volta dopo l’affossamento di Romano Prodi e la nascita delle larghe intese.
Choc peraltro sicuramente più forti rispetto a quello vissuto oggi.
«Il turbamento di iscritti ed elettori? Passerà quando arriveranno le riforme radicali del nuovo governo», è il leit-motiv di queste ore.
Lunedì mattina i parlamentari sono convocati nella sede della Federazione Pd per organizzare, come chiede Donini, un tour nei circoli.
Del resto in via Rivani alla luce degli ultimi sviluppi si ricorda volentieri che martedì, cioè due giorni prima del “licenziamento” del premier Enrico Letta votato dalla direzione nazionale, il parlamentino del Pd di Bologna aveva approvato all’unanimità la relazione dello stesso segretario Donini che dichiarava chiusa la stagione dei governi «balneari».
«La nascita del governo Renzi attesa in tempi brevissimi è una scelta che va spiegata e la spiegheremo – dice Doninini – mettendoci la faccia come abbiamo l’abitudine di fare a queste latitudini».
Il passaggio è complicato da gestire, come dimostra il dibattito sui social network. «Marilena spiegaci tu cosa sta succedendo e soprattutto cosa succederà perchè in tanti si è frastornati», chiede ad esempio il capogruppo Pd in Provincia Gabriele Zaniboni alla deputata Marilena Fabbri.
Risposta: «Si è compiuto il disegno Renzi». Ma, aggiunge poi Fabbri, «non con il mio voto e il mio consenso. Sono tra coloro che pensano che il rispetto anche in politica sia ancora un valore. Io sono stata minoranza al congresso e mi sento minoranza».
Molti i cuperliani che prendono le distanze dal sì in direzione al siluramento di Letta a favore di un governo guidato da Renzi.
«Io non lo avrei fatto – dice per esempio, sempre via Facebook, il deputato modenese Davide Baruffi – perchè la cosa poteva essere gestita e risolta in altro modo migliore. E non ho sentito un solo contenuto programmatico su cui misurare la discontinuità annunciata».
Dubbi affiorano anche tra i renziani per la strada imboccata dal segretario Pd.
«La mia preoccupazione è solo che, nel fuoco incrociato, nemico e soprattutto amico, la scelta si riveli un azzardo e che alla fine, venga meno l’unica figura realmente in grado di allargare il consenso del centrosinistra e creare lo spazio per governare questo Paese», scrive il presidente della direzione Pd di Bologna Piergiorgio Licciardello.
«Se Renzi fallisce – avverte ancora Licciardello – torneremo nelle braccia della destra e ci rimarremo per chissà quando. Su questo vorrei riflettessero tutti quelli che oggi gridano alla tragedia e, magari, sognano un nuovo scisma a sinistra».
Gigi Marcucci
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