CATALOGNA, ECCO COSA PUO’ SUCCEDERE DOPO LA VITTORIA A META’ DEI SEPARATISTI
GLI SCENARI POSSIBILI
Che cosa succede adesso? Pochi lo sanno, molti lo intuiscono.
La secessione resta ancora un traguardo lontano, ma qualcuno già disegna scenari.
Per prima cosa, la piattaforma degli indipendentisti deve mettersi d’accordo con se stessa: i leader nazionalista del Cdc e dell’estrema sinistra separatista Cup, Artur Mas e Antonio Baà±os, devono confermare che il processo indipendentista sarà davvero avviato da qui al marzo 2017.
I seggi per farlo ci sono, ma i voti stanno al di sotto del 50% causa sistema proporzionale.
La promessa elettorale del Cup era stata: secessione solo col mandato diretto del 50%+1 degli elettori. Ora la sinistra potrebbe chiedere a Mas, in cambio, d’avere la presidenza della Generalitat.
Superato questo primo scoglio, il Parlament catalano potrà dichiarare l’inizio del processo di “disconnessione”: un atto che il governo di Madrid ha già detto di voler impugnare davanti alla magistratura sia ordinaria che costituzionale, considerandolo contro la legge.
Il premier spagnolo Mariano Rajoy può scegliere la politica muscolare, arrivando perfino a sospendere la storica autonomia della Catalogna, ma i rischi d’una simile mossa sono fin troppo evidenti.
Un’altra strada sarebbe la destituzione del nuovo presidente catalano, già minacciata nelle scorse settimane.
Una terza via sarebbe un lungo e faticoso negoziato con Madrid: difficilmente realizzabile, se al governo dopo il voto di dicembre rimarrà Rajoy, che coi catalanisti ha cercato finora lo scontro frontale.
Questo naturalmente non fermerà la voglia di separarsi: il Parlamento regionale potrebbe chiedere, come già proposto da alcuni partiti, un vero referendum sulla secessione (quella di domenica era solo un’elezione amministrativa: a trasformarla in un plebiscito pro o contro l’indipendenza è stato Artur Mas, dopo che la Consulta aveva bocciato nel 2014 la possibilità d’una consultazione popolare sulla secessione). A questo punto, entro i 18 mesi, il leader nazionalista ha già prospettato una dichiarazione d’indipendenza fiscale e per cominciare la “restituzione” di 16 miliardi d’euro, l’istituzione d’un ministero del Tesoro e d’una Banca nazionale catalana, oltre che la nomina formale d’un ministro degli Esteri e d’un corpo diplomatico.
S’è parlato spesso anche dell’istituzione d’una Difesa propria, nonostante i costi eccessivi: le strutture militari spagnole presenti sul territorio catalano sono stimate in mezzo miliardo di euro, la formazione d’un esercito proprio richiederebbe solo per cominciare una spesa minima di tre miliardi.
Senza parlare delle procedure, lunghe, per un ingresso nella Nato.
Tutti gli accordi con l’Ue s’intenderebbero azzerati e da rinegoziare, come stabilisce una normativa europea del 2004: dal Belgio alla Francia, dalla Gran Bretagna alla Romania, dalla Polonia alla Grecia, vari Paesi potrebbero però opporsi a un’adesione della Catalogna, temendo un effetto domino su possibili secessioni interne.
Ancora più complicato, il riconoscimento dell’Onu, perchè il precedente continentale del Kosovo, che peraltro molti Paesi non hanno mai riconosciuto, è considerato unico e difficilmente ripetibile.
Per il piccolo e povero Stato balcanico, la Nato fece una guerra: per la ricca Catalogna, è verosimile che la strada dell’indipendenza passi attraverso lunghe battaglie con Madrid a colpi di ricorsi giudiziari e carte bollate.
(da “il Corriere della Sera“)
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