COME LE FOGLIE D’AUTUNNO
RENZIANI SOSPESI TRA LA TENTAZIONE DI USCIRE DAL PD E QUELLA DI CONDIZIONARE MINNITI
Come le foglie d’autunno. Sospesi tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. Voglia di andarsene, freddo sostegno a Minniti, i renziani ortodossi si riuniscono a Salsomaggiore, stavolta a porte chiuse.
A metà pomeriggio nel teatro d’antan (il Teatro nuovo), Roberto Giachetti con la consueta schiettezza pone il problema: “Se dobbiamo parlarci con franchezza allora non possiamo nascondere la domanda che è davanti a noi, che è nella testa di chi è qui e nella nostra comunità . Se il nostro futuro è dentro il Pd o fuori. Io non ho la risposta, so che non possiamo diventare una corrente, perchè siamo molto più di questo”.
Salsomaggiore è una distesa di foglie cadute. Deserta, come accade a fine stagione. Dentro il teatro il confronto è vero, quasi uno sfogatoio.
Sul palco Renzi è seduto tra Simona Malpezzi, Alessia Rotta e Lorenzo Guerini, per “ascoltare” cosa dicono i suoi.
Ci sono i parlamentari più fedeli, sindaci, amministratori, circa 400 persone. Per intenderci quelli che hanno in mano un bel po’ di pacchetti di tessere.
“Che facciamo?”, “siamo fermi dal 4 marzo”, “come ci organizziamo?”, “guarda che se stiamo fermi ancora, gli altri ci mangiano”: in platea c’è la fila per parlare con Luca Lotti.
L’intero mondo che ha avuto in mano il partito e l’Italia per anni vive un senso di precarietà , spaesamento.
Per le prime due ore resta innominato Marco Minniti negli interventi dell’orgoglio renziano. Il capogruppo Andrea Marcucci rivendica fieramente “continuità “, senza abiure autocritiche. Perchè il nodo è tutto qui.
Un rapporto controverso con il “quasi candidato” Marco Minniti che, a Salsomaggiore, non verrà . Ne hanno bisogno, perchè la forza non è più quella di un tempo. Ma ne soffrono l’autonomia con cui sta gestendo la preparazione della candidatura.
Quella sala riempita alla presentazione del suo libro è un segnale politico che inquieta. D’Alema in prima fila assieme a mezzo governo Gentiloni, Walter Veltroni e pezzi di Stato, la rivendicazione di un percorso che viene dalla sinistra, l’invito a una impietosa analisi della sconfitta: insomma, “con Marco si può vincere ma non è uno dei nostri”.
È il travaglio di un mondo che teme di andare “oltre” ciò che è stato finora. È il “come” sostenerlo, e dunque “come” gestirlo, condizionarlo, legarlo, l’interrogativo di fondo: “Io — prosegue Giachetti – penso che dobbiamo restare, fare proposte. Certo è che se qualcuno pensa di riportare il Pd a sei anni fa, io non so dire se oggi quella è casa mia”.
È il senso di sospensione di chi, dopo essere stato il tutto fatica a sentirsi parte, con quel nome che evoca la sconfitta e la negazione di ciò che Renzi ha sempre rifiutato di diventare: una corrente. Parola ripetuta in continuazione dai partecipanti, anche se l’ex segretario, appena incrocia i cronisti lo nega.
Ivan Scalfarotto, l’organizzatore dei famosi comitati di resistenza civile lo ammette: “Chiamatela area, chiamatela corrente, è chiaro quel che sta accadendo. Noi siamo quelli che non si sono mai riuniti in vita loro. Quando Renzi diventò segretario disse ‘i renziani non esistono’. Ora però il contesto è cambiato.
Ecco, il dibattito è aperto. C’è chi la vuole, chi non la vuole, chi è della linea “si fa ma non si dice”, chi dal palco, davvero in parecchi, mettono agli atti la contrarietà a un congresso mai digerito: “Ma che senso ha — dice una giovane amministratrice in uno dei primi interventi — farlo ora? Il governo scricchiola, ci sono le europee e noi passiamo il tempo a dividerci tra noi. Avrebbe senso farlo esattamente a ottobre del prossimo anno”.
Ora però è difficile tornare indietro, perchè la macchina è avviata. E si sono pressochè definite le alleanze interne. I ben informati sostengono, ad esempio, che Graziano Delrio ormai “ha chiuso l’accordo con Martina” e si starebbe definendo un ticket con Matteo Richetti, altra certificazione di come si è ristretto il campo del renzismo ortodosso.
La verità è che il più travagliato di tutti è Matteo Renzi. Che non ha ancora deciso il da farsi, in prospettiva.
La tentazione di fare un’altra cosa resta sempre, il principio di realtà , inteso come consenso che riscuoterebbe l’operazione, lo sconsiglia. I fatti rendono obbligatorio stare nel gioco del congresso.
La discussione è sulla modalità del sostegno a Minniti: “contarsi” su una lista di appoggio per “contare” dopo negli organigrammi, e negoziare una linea accettabile, senza abiure e autocritiche.
Dalla sala arriva la richiesta di una piattaforma che “difenda la storia di questi quattro anni” e “della funzione che abbiamo svolto”, “scegliendo un candidato che sappia parlare al paese e battere Zingaretti”, considerato l’unico, vero avversario.
Fa freddo all’uscita dalla sala. Nella distesa di foglie cadute, sul viale centrale di Salsomaggiore, la corrente è nata. Nei fatti.
(da “Huffingtonpost”)
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