CORRUZIONE S.P.A. NON CONOSCE CRISI: IL GIRO DI AFFARI E’ DI 60 MILIARDI
INVESTIMENTI STRANIERI A PICCO: A ROMA UN CROLLO DEL 53%
Stop all’autolesionismo. Basta piangersi addosso.
E’ vero che il pil dell’Italia è calato nel 2012 del 2,2%. Ma le eccellenze nazionali tirano ancora.
Un esempio? I brillantissimi risultati della Tangenti Spa: il business della bustarella tricolore – calcola il Servizio anti-corruzione e trasparenza del ministero alla Funzione pubblica – muove ormai un giro d’affari da 60 miliardi l’anno, cifra con cui in Borsa si possono comprare Fiat, Enel e Unicredit messe assieme.
E, soprattutto, viaggia con il vento in poppa: nel 2011 Roma era al 69esimo posto (su 179 paesi) nella classifica di Transparency International sulla percezione del malaffare nella pubblica amministrazione.
Alla fine dello scorso anno siamo riusciti a far peggio, scivolando al 72esimo posto. Dietro Ruanda, Lesotho e persino alle spalle di Cuba.
LA ZAVORRA SULLE AZIENDE
Finmeccanica e Saipem, gli ultimi casi agli onori della cronaca, sono solo la punta dell’iceberg.
Mani Pulite è servita a poco. Tangentopoli è ancora qui e l’Italia – ha ricordato pochi giorni fa agli smemorati il presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino – deve fare i conti con un giro di bustarelle «gigantesco e sistemico, una piaga che si annida ovunque e che danneggia l’economia ».
Quanto? I pochi numeri a disposizione mettono i brividi.
Il 19% delle imprese della penisola — secondo un’analisi di Kroll International — è stato colpito in qualche modo nel 2011 dalla corruzione.
Come dire una società su cinque, il doppio dell’anno precedente.
E i ricavi di un’azienda costretta a lavorare in queste condizioni, calcola la Banca Mondiale, crescono in media il 25% in meno della stessa realtà impiantata in una situazione dove l’unica stella polare è la competitività .
Forbice che, purtroppo per noi, si allarga al 40% quando di mezzo ci sono le Pmi, la spina dorsale dell’industria di casa nostra.
I COSTI PER LO STATO
Pagano le imprese e paga pure — carissimo — lo Stato.
Le mazzette necessarie per oliare i meccanismi bizantini della burocrazia tricolore, dicono i giudici contabili, generano un sovrapprezzo medio del 40% sulle opere pubbliche.
Pallottoliere alla mano, significa che sui 225 miliardi di spesa previsti dal governo Monti nel piano di infrastrutture strategiche 2013-2015 si devono mettere in preventivo una novantina di miliardi in più, da contabilizzare alla voce “tangenti”.
È un circolo vizioso che tende diabolicamente ad auto-alimentarsi visto che ogni punto perso nella classifica di Trasparency International si traduce, secondo l’agenzia non governativa, in un calo del 16% degli investimenti esteri nel paese interessato.
E, sarà un caso, ma Roma negli ultimi due anni ha visto crollare del 53% i flussi di capitali stranieri nella nostra economia contro il – 7% del resto della Ue.
La sfiducia degli investitori esteri tra l’altro rischia di trasformarsi in un boomerang micidiale per un paese costretto a collocare ogni anno 400 miliardi di titoli di stato sui mercati.
POLITICA SFIDUCIATA
Le cifre, naturalmente, sono opinabili. Qualcuno ne contesta l’abnormità , sottolineando che in base a questi dati l’Italia garantirebbe – e c’è poco da vantarsi – il 50% del giro d’affari della corruzione made in Europe, stimato dalla Ue a 120 miliardi.
Di sicuro però nel campo abbiamo pochi avversari.
Le rilevazioni di Transparency – che ieri apriva il sito con una tirata d’orecchi a Silvio Berlusconi per lo “sdoganamento” delle bustarelle internazionali – parlano chiaro: il 69% degli italiani si considera più esposto alla corruzione degli altri europei.
L’89% pensa che il malaffare permei l’economia nazionale, un dato inferiore nella Ue solo a quello di Cipro e ben oltre la media europea del 67%.
I colpevoli?
La politica nazionale (67%) regionale (57%) e locale (53%), mentre si salvano forze dell’ordine (34%) e i magistrati (38%).
IL BUCO NEL PIL
Il Belpaese, naturalmente, riesce sempre tafazzianamente a metterci del suo.
La nostra politica ha passato qualche lustro a depenalizzare i reati finanziari, varare indulti e sconti di pena senza muovere un dito per riformare una giustizia civile da terzo mondo.
Approvando solo in zona Cesarini cinque mesi fa una legge anti-corruzione annacquata dalle resistenze del Pdl.
Una retromarcia fotografata senza pietà dal Rating of control of corruption – il “Trasparentometro” messo a punto dalla Banca Mondiale – dove il nostro punteggio è sceso dagli 82 punti del 2000 ai 59 del 2009, ultimo dato disponibile.
A farne le spese, alla fine, è il Pil.
Una nazione che combatte davvero il malvezzo delle tangenti ha un vantaggio competitivo di 2,4 punti di crescita economica ogni anno grazie a una concorrenza più sana, secondo la World Bank.
Tradotto in soldoni significa 38 miliardi di ricavi in più ogni dodici mesi per l’Italia Spa. Più o meno la metà della cifra necessaria per pagare gli interessi sul nostro debito.
Ettore Livini
(da “La Repubblica”)
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