COSTO DELLA SPESA E COSTI DELLA POLITICA
TRA VECCHIA POLITICA, NUOVE REPUBBLICHE, POTERI FORTI E ETERNE ILLUSIONI
In fondo è divenuto esercizio retorico per molti opinionisti denunciare i costi e gli sperperi della politica, così come è subentrata nell’opinione pubblica la rassegnazione nell’accettarli, come se ci trovassimo di fronte a un male necessario.
Fino a qualche tempo fa vedere immagini di strutture ospedaliere mai utilizzate, di nuove carceri mai inaugurate, di autostrade interrotte a metà , suscitavano indignazione. Spesso erano localizzate in meridione e immaginarle laggiù sollevavano in un certo senso il cittadino del nord dal pensiero che certe cose potessero accadere anche da noi.
Si ipotizzava un “interesse mafioso” dietro certi sprechi di denaro pubblico e la coscienza era un poco tranquillizzata. Da tangentopoli in poi, pur negli eccessi giustizialisti che le indagini spesso manifestarono, ci si rese conto che il fenomeno degli interessi che si celano dietro le pubbliche amministrazioni è un male diffuso che ha le sue radici nella formazione stessa di una classe politica troppo spesso al servizio dei poteri economici .
Un meccanismo perverso per cui lo stesso cittadino che grida contro i corruttori, una volta che si “mette in politica” non è poi molto diverso da coloro che fino al giorno prima aveva criticato. Abbiamo assistito alla nascita di partiti anticorruzione che hanno finito per ospitare al loro interno nuovi corrotti, a movimenti anticasta che si sono arresi di fronte alle prime spartizioni di poltrone e posti di potere.
Un male inevitabile per le democrazie occidentali?
Forse in parte è così, ma non si può negare che in Italia il fenomeno sia più accentuato che altrove: rispetto ad altri paesi europei i casi di tangenti, favori, interessi e lobbie di pressione, sprechi e consulenze, in Italia è molto più accentuato.
Se siamo arrivati ad essere lo Stato con il terzo debito pubblico al mondo un motivo ci sarà , se abbiamo un sistema previdenziale sempre sull’orlo del collasso una ragione andrà individuata, se sarebbe sufficiente che non venissero rinnovati i Bot in scadenza da parte dei risparmiatori per determinare allo Stato l’impossibilità di pagare stipendi e pensioni, qualcosa su cui riflettere dovrebbe esserci.
Contestualmente gli sprechi e gli scandali ci raggiungono e avvolgono nella prassi quotidiana: non c’è grande città che non ne sia toccata.
Genova ha visto in poco meno di un anno l’accavallarsi di inchieste giudiziarie che non hanno risparmiato i suoi centri vitali, a cominciare dal porto per finire alla macchina dell’amministrazione comunale, in un intreccio di interessi tra potere economico e politica, operatori e amministratori. Spesso ci si sofferma sul tema del “conflitto di interessi” di alcuni politici, ma sarebbe anche l’ora che guardassimo anche coloro che sono “rappresentanti di interessi”, ovvero che vengono eletti dal popolo italiano nelle sue variegate categorie e spesso dai ceti meno abbienti per rappresentarne le istanze ma poi finiscono invece per tutelare lobbie e potentati economici, distribuire lavori e favori ai “soliti noti”.
Un esempio che esula dagli scandali specifici locali, ma che investe il sistema politico nazionale: quello delle consulenze esterne, cui spesso sono beneficiari sempre gli stessi professionisti “amici degli amici”. Comuni, province e regioni hanno al loro interno dipendenti qualificati che potrebbero far fronte a qualsiasi esigenza, ma chissà perchè vengono assegnati a consulenti esterni, lautamente pagati, studi e ricerche, cause e progetti. E’ un fiume di denaro pari a miliardi di euro che in tutta Italia si riversa verso professionisti amici, come se certi compiti non potessero essere spesso tranquillamente svolti all’interno della propria struttura amministrativa.
Parlare di meritocrazia diventa impossibile in un contesto contaminato come quello degli enti locali. Chi dovrebbe decidere quali siano i dipendenti meritevoli? Quei dirigenti che sono divenuti tali grazie ad appoggi politici e non certo per merito? E non pensate che indicherebbero a loro volta come meritevoli quelli appartenenti alla loro piccola corte? Quanti sono negli uffici pubblici coloro che non hanno mai fatto carriera, in quanto non hanno cercato o voluto “protettori”?
Per debellare questo vizio italico forse più che Brunetta, ci vorrebbe la legge antiprostituzione proposta dalla Carfagna che vieta di “battere” in luoghi (o enti) pubblici.
Il quadro generale non induce a ottimismo, se non si agisce sulla necessità di cambiare la mentalità di approccio alla politica, ritornando a quella concezione nord europea di politica come servizio ai cittadini e non come cittadini al servizio dei politici.
E in momenti di recessione economica e di crescita della povertà che ormai colpisce anche il ceto medio, con l’esigenza di mettere in atto misure sociali incisive per tutelare i lavoratori, non è più accettabile sentire parlare di costi della politica, di sprechi, di privilegi, di portaborse sistemati negli enti collegati, di consulenze milionarie, di manager pubblici pagati milioni di euro l’anno. L’esempio deve venire dall’alto prima di pretendere sacrifici dai cittadini.
Basterebbe che l’Italia fosse gestita come una buona madre di famiglia pianifica il proprio bilancio familiare. Con molte rinunce e nessun spreco.
E con una filosofia di fondo: che si fa politica non per interesse o ambizione, ma per rappresentare idee e valori. Al servizio del proprio popolo.
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