E’ FINITA LA LUNA DI MIELE
AL SENATO INTERVENTI DA SEPARATI IN CASA, DI MAIO ASSENTE… TORNA LA GIUSTIZIA COME TERRENO DI SCONTRO TRA M5S E LEGA
Non sarà crisi, però la fotografia dell’Aula certifica che la luna di miele è finita dentro al governo gialloverde.
C’era una volta in cui ogni intervento della Lega era applaudito dai banchi dei Cinque stelle. E viceversa.
Raramente era accaduto ciò che è andato in scena sul decreto sicurezza, provvedimento simbolo della svolta securitaria di Salvini. Ognuno si applaude i suoi. E il capogruppo pentastellato Stefano Patuanelli ne parla come se fosse un inciso, nell’ambito di un intervento più ampio: il contratto, il reddito di cittadinanza, gli impegni da onorare per cinque anni…
E se le presenze in questi casi hanno sempre un significato politico, l’assenza di Luigi Di Maio, appena rientrato in Italia, non è dovuta al fuso orario.
Così ci sarà un motivo se anche il premier ha evitato di farsi vedere a palazzo Madama o se il ministro Toninelli ha preferito sedersi tra i banchi del Movimento e non tra quelli del governo, nel Salvini day, con i i ministri leghisti che hanno indossato il vestito delle grandi occasioni e il leader leghista ha celebrato il suo trionfo in tv, nel salotto popolare della D’Urso, nella Terza Camera di Vespa e a da Lilli Gruber a Otto e mezzo.
Quella vecchia volpe di Pier Ferdinando Casini, uno che di Repubbliche ne ha viste nascere e spegnersi parecchie, scatta così la sua istantanea: “È un processo di logoramento, che avviene anche senza l’opposizione. Ma non succederà nulla nel breve periodo. Se si dividessero si suiciderebbero, anche se si schifano sono costretti a stare assieme. Uno sta lì perchè guadagna, l’altro sta lì perchè perde e non può alzarsi”.
Di nuovo c’è che il blocco sovranista, che quando il governo è nato sembrava l’embrione di quasi un partito unico, è diventata una classica coalizione litigiosa segnata, come sempre accade nelle coalizioni, da una guerriglia a bassa intensità .
Solo il Pd continua a vederlo come una “testuggine” autoritaria: “Io — dice Tommaso Cerno — questo tipo di opposizione non la capisco. Dare a Salvini del fascista è come dire a Rodolfo Valentino che ha troppe donne. Così gli fai un regalo. Andrebbe fatta tutt’altra operazione”.
E invece governo e opposizione sono all’interno dello stessa maggioranza. In commissione Giustizia e Affari costituzionali stamattina la Lega prima era assente, poi è uscita di nuovo senza avallare la manovra dei presidenti dei Cinque Stelle, tesa a modificare la materia del provvedimento per rendere possibile l’inserimento del famoso emendamento sulla prescrizione.
Non è un dettaglio, perchè la decisione sarà affidata alla giunta per il regolamento ed è assai complicato che possa andare in Aula lunedì.
Alla fine, detta in modo un po’ grezzo, è rimasto tutto sospeso in attesa che si trovi un accordo politico. Ecco, quando un partito di maggioranza presenta emendamenti “contro” un suo alleato su un tema sensibile significa che scricchiolano i fondamentali.
Basta leggere in controluce gli emendamenti presentati dai Cinque stelle: “Se viene attuata la norma sulla prescrizione — spiega Gennaro Migliore — qualsiasi causa che sarebbe andata in prescrizione non ci va più. Ad esempio potrebbe non andarci quella che riguarda il capogruppo della Lega Riccardo Molinari, condannato in Appello sulla vicenda dei rimborsi”.
E potrebbe, sulla carta, riguardare in futuro anche il viceministro Edoardo Rixi coinvolto nel processo sulle spese pazze in Liguria.
Per i leghisti cioè è irrinunciabile una legislazione più garantista che non affidi solo alla sola magistratura la selezione della classe politica. Non a caso in più di un capannello al Senato qualche alto in grado della Lega parlava di “mettere mano alla Severino”: “Nel momento i cui gli amministratori sono condannanti in primo grado — spiega uno di loro – vengono sospesi, a differenza dei parlamentari per cui si attende il terzo grado. Se, come vogliono i Cinque Stelle, non c’è la prescrizione e il secondo grado può essere celebrato quando vuole il magistrato, un sindaco o un consigliere regionale rischia di rimanere in un limbo infinito. È una “follia””.
Il paradosso della nuova era è proprio questo ritorno all’indietro. Con la Giustizia che torna ad essere il terreno di scontro politico, non più tra Berlusconi e l’opposizione, ma all’interno della stessa maggioranza. Perchè quelle norme, già modificate nella scorsa legislatura allungando i tempi di prescrizioni, per come sono state formulate sono uno strumento di lotta politica.
Ed è chiaro l’incastro micidiale che è stato posto in essere. Perchè Di Maio ha bisogno di un vessillo su un tema a costo zero per arginare l’erosione di consenso, ora che la manovra è stata di fatto svuotata.
E non darà il via libera al pacchetto sicurezza, se prima non riceverà assicurazioni in materia. Per approvarlo, dopo il Senato c’è la Camera dove deve essere convertito entro fine mese, altrimenti “scade”.
Significa che serve un accordo politico robusto, considerati i tempi stretti che impone la sessione di bilancio. Accordo che al momento non c’è perchè le parole di Salvini sono un classico modo di buttare la palla in avanti, rilanciando su una riforma complessiva della Giustizia. E la forzatura sull’emendamento Bonafede, di cui dovrà essere valutata l’ammissibilità , ha prodotto un allungamento dei tempi. Se non fosse stato presentato, i Cinque stelle avrebbero incassato il pacchetto “anticorruzione”, sia pur in versione light come Salvini ha fatto sulla sicurezza, anch’essa annacquata rispetto alla versione originale.
Chissà se è ingenuità o nervosismo. Certo è che quando si comincia smentire l’eventualità del “voto a marzo”, come ha dichiarato Salvini, si è entrati in un’altra dimensione che non è più quella dell’intera legislatura.
Magari dopo il panettone ci sarà la colomba, ma comunque si è innescato un timer.
(da “Huffingtonpost”)
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