E SILVIO SI TROVA DISARMATO: “CI HA TOLTO L’OPZIONE DEL VOTO, LOTTIAMO PER LA CANDIDABILITA'”
TIMORI SUL PD: “QUELLI VOGLIONO FARMI FUORI”
E guardando in volto gli avvocati che lo affiancano nello studio di Arcore nel tardo pomeriggio – come poi farà in serata nella cena con tutti i direttori delle reti Mediaset e dei giornali del gruppo – tira le conclusioni del responso.
E per lui non sono certo conclusioni entusiasmanti
Tanto Ghedini e Coppi con lui, quanto Gianni Letta al telefono da Roma – braccio destro che sembra possa aver visto di persona Napolitano a Castelporziano – lo invitano a mordere il freno.
A reagire con cautela, perfino con una moderata soddisfazione alla presa d’atto del Colle.
In realtà il Cavaliere ai più intimi confida fino a tarda ora tutte le sue perplessità , adesso non gli si aprono certo autostrade, ma sentieri assai stretti e su quelli bisognerà lavorare.
Ma gli esiti a cui poteranno le vie tortuose sono incerti e per nulla rassicuranti.
«Sono moderatamente soddisfatto, ma certo non sto lì a suonare le fanfare» commenta con schiettezza il leader ai dirigenti che in sequenza lo chiamano per ore al centralino di Villa San Martino dalle più disparate località di vacanza.
Lui blindato ad Arcore e con la sensazione di essere ancor più stretto all’angolo, con scarsi margini di manovra.
E soprattutto, come ha confidato a pochi, col sospetto cocente che dietro tanti riconoscimenti del ruolo, dietro l’apprezzamento per il contributo al governo del Paese, si celi il rischio concreto di finire in una trappola.
Ordita dal Pd, senza tanti giri di parole. «Quelli continuano a volermi fuori gioco e proveranno a farlo già in giunta: considero quel voto il banco di prova» è una delle reazioni a caldo dopo la lettura delle parole del presidente Napolitano.
Le garanzie fornite dall’inquilino dal Colle all’ambasciatore di sempre Gianni Letta, lo hanno convinto insomma fino a un certo punto.
Nessun commento ufficiale, nessun comunicato, nessuna intervista tv, taglia subito corto il portavoce Paolo Bonaiuti.
E «gli spiragli positivi ci sono», fanno presente all’ex premier proprio gli avvocati e lo stesso Letta.
Punto primo, c’è in quella nota il riconoscimento della sua leadership politica e del suo ruolo nel governo del Paese.
Ma soprattutto – e in questo momento è l’aspetto che sta più a cuore al Silvio Berlusconi fresco di condanna – viene escluso del tutto il carcere, la pena restrittiva più umiliante.
Non quelle alternative, è vero, ma quella viene considerata un’apertura incoraggiante. Che, a ragione o forse a torto, i legali ritengono possa essere di conforto anche per il futuro, per le eventuali altre condanne se dovessero poi passare anch’esse in giudicato. Ancora, viene rimesso al partito, al Pdl o meglio a Forza Italia la valutazione delle strade legittime da intraprendere adesso
Per non dire del riconoscimento della legittimità del dissenso e delle riserve, come se le critiche mosse in questi giorni alla condotta del presidente di sezione Esposito non fossero prive di fondamento.
Poco o tanto che sia, è l’unica zattera alla quale il quartier generale berlusconiano deve aggrapparsi adesso.
Tutto questo si traduce nella decisione di evitare per il momento reazioni scomposte. Non ci saranno dunque ricadute immediate sulla stabilità e sulla vita del governo Letta.
Ma fino a quando il premier possa contare su questa stabilità non è chiaro e ad Arcore fanno pronostici.
La mossa della disperazione per ora è congelata ma non esclusa del tutto.
I falchi del partito alla Santanchè, Verdini, Capezzone non a caso tacciono, non partono arma in resta contro Napolitano, nè invocano una crisi a breve.
Ma il quadro resta complicato. Berlusconi lo sa.
Ad oggi «prende atto degli spiragli, pur considerandoli tali, appunto» racconta un parlamentare che gli ha parlato. Si accontenta di un Quirinale che «non lo spinge fuori dallo spazio politico».
Non fa cenno al nodo della incandidabilità . Lasciando perfino una breccia per la via della grazia.
Napolitano ha escluso il motu proprio, sembra. Ma non di valutare una eventuale richiesta.
Istanza che tuttavia il leader forzista è restio ad avanzare: «Vorrebbe dire riconoscermi colpevole e in quel caso dovrei accompagnare la richiesta con un impegno a fare un passo indietro».
E per adesso lo scenario non è contemplato tra quelli possibili.
L’unica cosa certa è che non ci saranno elezioni, nè oggi nè domani.
Il messaggio del capo dello Stato impone uno stop a chi lavora sotto traccia per una crisi, sia nel Pdl che nel Pd.
«Ma adesso di tutta la macchina di Forza Italia lanciata in corsa dobbiamo valutare che fare» ragionava ieri sera un Berlusconi perplesso.
Manifesti, aerei, spot sul web. Perchè è chiaro che di una macchina elettorale si tratta, più che di un semplice partito rimesso a nuovo.
E se non si va al voto entro pochi mesi, rischia di bruciare tutto nella corsa a vuoto. Infine l’incubo in prospettiva.
Pier Ferdinando Casini e Luca Cordero di Montezemolo hanno intuito che a destra si spalancano praterie, pronti a lanciare un’Opa su un partito segnato dalla leadership monca.
L’ex premier ha colto la minaccia. È l’altra insidia che lo assilla, tutta interna stavolta: la tenuta del Pdl, il suo travaso in Forza Italia senza che tutto venga fagocitato da un grande centro deberlusconizzato.
La figlia Marina si tira fuori dai giochi. Ma i più vicini alla «corte» invitano a cogliere le ragioni strategiche della mossa: se non l’avesse fatto in queste ore, la sua disponibilità implicita avrebbe offerto sul piatto l’alternativa già in campo rispetto a una leadership ormai segnata e tramontata.
Se ne riparlerà quando si apriranno davvero i giochi elettorali.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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