ECCO IL CATALOGO DEI LIBRI CONSIGLIATI DA FDI, UNA RAFFAZZONATA CONTROEGEMONIA
CONSIGLIATO ANCHE UN VOLUME SUI VOLONTARI FILO-RUSSI IN DONBASS
Senza gridare allo scandalo né lanciare l’allarme democratico; senza buttarla a ridere né alzare il sopracciglio schizzinoso risulta comunque abbastanza raffazzonata la “controegemonia” dei Fratelli d’Italia.
L’impegnativa espressione dà il titolo al primo bollettino editoriale del partito di maggioranza, ma diversi contributi, tanto per cominciare, sembrano scritti prima dell’estate scorsa e ripubblicati pari pari dopo la vittoria e la conquista di Palazzo Chigi; così come fra le proposte di libri pubblicati dalle case editrici di area ce n’è qualcuna che l’atlantismo della premier avrebbe forse sconsigliato, tipo l’avventurosa cronaca di guerra di un militante di destra, Vittorio Nicola Rangeloni, che è andato a intrupparsi con i separatisti filo-russi in Donbass (Idrovolante). In compenso l’autobiografia di Meloni, Io sono Giorgia, è indicata come una pietra miliare il suo successo, 160 mila copie, “un risultato incredibile”, “il vero inizio”, “lettura obbligata” – là dove il pur comprensibile slancio scade nel più convenzionale soffietto cortigianesco.
Ma pazienza. Quello della cultura di destra resta un mondo per certi versi sorprendente, un pullulare di iniziative a tratti perfino bulimico, ma uno sguardo d’insieme lo mostra qui ancora perdutamente radicale, e, specie adesso, anche inutilmente catacombale. Come se le varie pubblicazioni comprese nel documento a cura del Laboratorio Editoria del partito fossero rimasti indietro rispetto alle novità, dominati da equivoci, prigionieri di complessi che i fratelli maggiori della Nuova destra cresciuta tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso – vedi l’esperienza de La Voce della Fogna di Marco Tarchi – avevano ampiamente superato.
Il primo e anche il più bizzarro di questi complessi è uno stato di soggezione e sudditanza psicologica verso una cultura di sinistra che in realtà versa da decenni in uno stato agonico, cosa di cui evidentemente da quelle parti si fatica a prendere atto.
Il vittimismo, d’altra parte, non aiuta a capire il presente, se si esclude qualche riflessione più o meno strampalata e complottistica sul neoliberismo, mentre manca una visione originale ed evoluta sugli effetti della società delle merci e degli spettacoli, le condizioni e il che fare dell’ambiente, la rivoluzione digitale, gli algoritmi, i giganti della tecnologia.
Così, il risultato è che si rimestano gli argomenti di sempre: i soliti futuristi, le immancabili foibe, i martiri degli anni di piombo, Nietzsche (“Nice che dice?” era la parodia dei camerati iconoclasti di quarant’anni orsono) o Mishima, tanto per cambiare.
Al massimo, se molto curiosi, si può essere attratti da una specie di autobiografia di Nino Benvenuti e Il mio esodo dall’Istria (Ferrogallico): non male però i disegni che l’accompagnano; così come colpisce l’allucinatorio fumettone Timeo, che sbaraglia le copertine con spade, spadoni e guerrieri a cavallo.
Vero è che da tempo la politica si è scissa dalla cultura e quindi ogni iniziativa e censimento in tal senso assomiglia a un atto quasi eroico. Ma il secondo handicap che affligge questo mondo ritrovatosi quasi di colpo maggioranza relativa è ancora quello dell’auto-emarginazione.
Restarsene nel “ghetto” o, peggio, crogiolarsi compiaciuti nel “cattiverio” si traduce infatti nella pratica impossibilità di un confronto e ha tutta l’aria di spingere alla fuga verso un Altrove ora un po’ surreale, ora ammuffito, dall’Armenia cristiana alla trilogia giapponese dell’ambasciatore Vattani junior, quando non sono meticolose ricostruzioni sul movimento carlista o revival di Peron (Fergen).
Se poi Mussolini rimane un tabù, come del resto il fascismo quale fenomeno storico unificante, ecco che l’entrante stagione meloniana rischia di annegare dentro un caotico minestrone che ospita l’identità cattolica e le follie di D’Annunzio (Passaggio al Bosco), o tiene insieme Mazzini e il brigantaggio post-unitario senza risparmiarsi qualche strizzatina d’occhio ai neoborbonici.
Quando la confusione è troppa, non resta dunque che rifugiarsi nella Patria, genericamente posta alla base delle pubblicazioni dell’attore Edoardo Sylos Labini (Cultura identità). Ma anche qui, a parte l’inesorabile retorica, si fa presto a gridare Patria nella nazione delle tante, tantissime patrie – fin troppo chiacchierone oltretutto per innescare qualsiasi fantomatica controegemonia.
(da La Repubblica)
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