ERIC ZEMMOUR E’ UNA CARICATURA DI POLITICO
LA CLIP DELLA SUA APOCALITTICA CANDIDATURA SEMBRA UN CINEGIORNALE DEGLI ANNI ’40… SOVRANISTI DIVISI IN DUE E’ UN VANTAGGIO PER MACRON
Ma davvero quest’omino nervoso che parla a scatto, la voce perennemente stizzita, gli occhi bassi nello sfogliare il testo del suo discorso, apparso ieri dalla penombra di un angolo di una biblioteca da sala d’attesa di un vecchio studio legale, può diventare il presidente della Repubblica francese?
Éric Zemmour, al culmine di una febbrile escalation mediatica sembrata a tratti irresistibile s’è finalmente dichiarato candidato alla corsa presidenziale del prossimo aprile.
L’ha fatto con un discorso alla nazione di dieci minuti, i toni gravi, il destino della storia incombente. C’è da salvare un paese che non riconosce più se stesso, dove i veri francesi vivono da esiliati in casa loro, dov’è in atto un “grand remplacement” umano: arabi e neri stanno invadendo l’Europa, i bianchi sono destinati a diventare minoranza.
La clip della sua apocalittica epifania, per quanto subito diffusa su Youtube, sembrava uscire da un cinegiornale luce degli anni Trenta-Quaranta, la sua immagine studiatamente sovrapponibile a quella del maresciallo Pétain capo della Francia collaborazionista con i nazisti e contemporaneamente a quella del generale De Gaulle capo della Francia che si è ribellata ai nazisti.
Un cortocircuito che solo la confusione di questi anni rende possibile, con la frammentazione digitale del discorso politico contemporaneo che macina tutto, come si vede nelle spettacolari immagini che nella clip zemmouriana si alternano al viso scavato di quest’uomo dalla postura fatale.
La douce France in bianconero, dei sorridenti e giovanili Jean Gabin, Alain Delon, Belmondo e naturalmente Brigitte Bardot. Ma anche Johnny Holliday, Charles Aznavour e persino Georges Brassens.
Zemmour masticava le parole e sembrava dire: ve la ricordate voi nonni? Ve l’hanno raccontata papà e mamma a voi ragazzi? E poi ovviamente, Giovanna d’Arco, Luigi XIV, Napoleone Bonaparte.
Una sintesi emotiva della Francia perduta e simbolica che il novello esplosivo alchimista della politica vuole riportare in vita ad uso dei nostalgici e degli smarriti. Tutta, anche la Francia del Concorde e delle centrali atomiche, esibite sulla colonna sonora del secondo movimento della Settima di Beethoven. Quella che secondo Wagner rappresenta una “apoteosi della danza”.
Ma qual è il ballo che sta muovendo Zemmour? Certo quella dell’imitazione storica. Smaccata, fino alla caricatura.
Diceva De Gaulle nell’appello del 18 giugno 1940: “La Francia attraversa la più terribile crisi della sua storia, la sua indipendenza e la sua anima sono minacciate di distruzione… Ma l’ultima parola non è stata detta”.
Il libro di Zemmour, con il quale ha cominciato la sua cavalcata a settembre, è intitolato “La Francia non ha detto l’ultima parola” e ieri, nell’appello per l’Eliseo, ha scandito il concetto: “Non è più tempo di riformare la Francia ma di salvarla… Non ci lasceremo dominare, sottomettere, conquistare, colonizzare… non ci faremo rimpiazzare”.
Il proclama alla Nazione di Éric Zemmour è però arrivato nel momento peggiore, quando la sua stella ha cominciato a calare nei sondaggi e nella degradazione della sua immagine pubblica.
Il culmine simbolico è arrivato sabato scorso a Marsiglia, dove una donna si è avvicinata alla sua auto e quando lui ha abbassato il finestrino lei gli ha mostrato il dito medio. Lui ha prontamente risposto con un altro dito medio accompagnato da un irato: “…e ben profondo”.
Era successo ben di peggio in questi mesi ma come sempre accade l’aneddoto pecoreccio ha avuto la meglio, per tre giorni non s’è discusso d’altro.
Lui si è scusato per il gesto poco presidenziale al confronto del quale però le famose corna di Giovanni Leone agli studenti che lo contestavano sembrano ora un’innocente mossa da napoletano scaramantico; nel caso di Zemmour quel dito è apparso invece come il segno di un disprezzo elitario.
Gli ultimi tempi dell’iperattivo polemista sono stati costellati da un precipizio di immagine. Sbeffeggiato a Marsiglia, emarginato a Londra il 19 e 20 novembre dove gli è stata negata la sala della Royal Institution, accanto a Westminster, prenotata da settimane e lui è stato dirottato in un modesto hotel Ibis.
Il sindaco Sadiq Khan di origini pakistane lo ha definito persona sgradita, “come tutti quelli che incitando all’odio per il colore della pelle”.
D’altra parte è stato più volte denunciato e anche condannato per incitamento all’odio razziale. Nemmeno il populista Nigel Farage, iniziatore del movimento Brexit, ha voluto vederlo.
Cosa succederà in Francia si capirà meglio sabato prossimo allo Zenith di Parigi dove Zemmour terrà il suo primo grande meeting dopo la candidatura. Sono annunciati sostegni a sorpresa e d’élite,
Le Monde parla oggi anche di figure originarie della gauche intellettuale accanto ad esponenti dell’élite economica, a dispetto del dichiarato populismo del candidato.
Il suo grande sponsor è il finanziere Vincent Bolloré con la sua catena di televisioni e giornali che ne fanno una specie di Murdoch francese.
Quello che è certo è che Zemmour ha diviso il campo dell’estrema destra per quarant’anni dominato dal clan Le Pen (padre e figlia) e anche un po’ quello della destra un tempo gollista che terrà a giorni le sue primarie per designare lo sfidante per l’Eliseo.
Nei sondaggi Marine Le Pen è tornata davanti a Zemmour, ma la strada è ancora lunga e piena di incognite. L’unico che ha già tratto un sicuro vantaggio da questa rissa è Emmanuel Macron.
(da Huffingtonpost)
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