FLESSIBILITA’, QUATTRO GIRAVOLTE DI RENZI IN CINQUE MESI
PER OTTENERE 16 MILIARDI DA USARE PER SPOT ELETTORALI, IL PREMIER HA CAMBIATO MOLTE CARTE: DALLA CLAUSOLA MIGRANTI AL PACCHETTO SICUREZZA, DALLA TURCHIA AI COSTI DELLA CRISI LIBICA
Ormai non passa giorno senza un botta e risposta tra Roma e Bruxelles con al centro la famigerata flessibilità .
L’ultima giravolta è la richiesta di escludere dal calcolo del deficit i costi sostenuti dall’Italia per la crisi libica: la solita “clausola migranti”, ma definita in modo diverso per evocare un parallelo con i fondi concessi alla Turchia per gestire l’arrivo dei siriani.
Il vero pomo della discordia è ben noto, ma è facile perderlo di vista tra le polemiche sulle “perversioni burocratiche” europee, i richiami a ipotetici “patti di umanità ” contrapposti a quello di stabilità e le risposte piccate della Commissione Ue “offesa” dall’Italia.
Quasi cinque mesi di tira e molla da cui emergono anche i dietrofront e le contraddizioni del premier: basti dire che venerdì scorso a Berlino ha battuto i pugni sul tavolo chiedendo alla Ue di chiarire come verrà contabilizzato il contributo al fondo per Ankara, ma il 29 dicembre aveva rivelato che la risposta era già arrivata, come puntualizzato a stretto giro dal portavoce della Commissione.
Il conto della flessibilit�
Il governo attende per il mese di maggio il verdetto dell’esecutivo comunitario sulla legge di Stabilità . In particolare ha bisogno che Bruxelles dia il via libera a un aumento del deficit dall’1,4% del Pil (il valore inizialmente concordato per il 2016) fino al 2,4%: una differenza che vale circa 16 miliardi, con cui il governo ha finanziato più di metà delle uscite della manovra per il 2016.
In più, per Palazzo Chigi è indispensabile poter ottenere uno “sconto” anche per il 2017: in caso contrario quando verrà varata la prossima manovra occorrerà trovare 25 miliardi solo per disinnescare le solite clausole di salvaguardia (aumento dell’Iva e delle accise sulla benzina) e tagliare il deficit.
Per giustificare lo scostamento, il governo ha chiesto di poter sfruttare tre diverse clausole di flessibilità .
Le prime due sono espressamente previste dalle linee guida varate a gennaio 2015 alla fine del semestre italiano di presidenza Ue: si tratta di quella che permette di tener fuori dal deficit i contributi al fondo istituito dal piano Juncker per promuovere gli investimenti e di quella riconosciuta agli Stati che fanno riforme strutturali (vedi il Jobs Act e la riforma della pubblica amministrazione).
La prima vale lo 0,3% del prodotto interno, la seconda lo 0,5%, di cui lo 0,4 già accordato e uno 0,1 aggiuntivo ancora sub iudice.
In aggiunta, Palazzo Chigi e il Tesoro rivendicano uno 0,2% aggiuntivo, pari a circa 3,3 miliardi, per far fronte all’emergenza migranti.
Per la quale però l’Italia, come ricostruito a suo tempo da ilfattoquotidiano.it, di miliardi ne spende solo 1,1.
Subodorando l’orientamento negativo su questo punto, lo scorso novembre Renzi ha aggiunto in corsa al treno delle richieste un nuovo vagone: il pacchetto cultura-sicurezza che comprende tra l’altro il bonus di 500 euro per i neodiciottenni.
Il 3 febbraio il premier ha poi tirato fuori dal cappello un coniglio solo apparentemente diverso: i costi sostenuti “per la crisi in Libia”.
Cioè sempre i soldi spesi per l’emergenza migranti, ma legati idealmente a uno scenario di guerra per far passare l’idea che devono essere valutati con gli stessi criteri applicati all’esodo siriano attraverso la Turchia.
Secondo Repubblica e il Messaggero, però, i colpi di scena non sono finiti: il premier sarebbe disposto a rinunciare ai 3,3 miliardi “per i migranti” in cambio del rinnovo delle clausole per gli investimenti e le riforme anche nel 2017, anno pre-elettorale. Perchè in caso contrario sarebbe molto difficile rispettare la promessa di tagliare l’Ires e l’Irpef.
Chiara Brusini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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